Una vita sui trampoli
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Una vita sui trampoli - Angelo Coscia
Ringraziamenti
Prefazione
Questo lavoro di Angelo mi ha portato indietro negli anni, nel tempo dove fioriva la mia giovinezza. Non esistevano le slot machine né tantomeno i computer, figuriamoci i telefonini... a volte la ricerca di un gettone per una cabina telefonica diventava una questione di vita o di morte.
Insomma, leggendo questo racconto ho rivisto i miei anni ‘70 e ‘80, quando un po' tutti portavamo un eskimo innocente
, non necessariamente dettato dalla povertà.
In pochi avevano una Vespa o una Lambretta, in pochissimi avevano una 500, ma in tanti avevamo una chitarra che sputava storie, valori, suonate bene o suonate male e ciò che ne usciva, magicamente era la nostra speranza.
I capitoli del libro sono lievi e ci narrano la vita di Gregorio nella quale, a volte, succede tutto improvvisamente, quando meno te lo aspetti capitano cose cattive e buone che gli scoppiano in mano, ma che ti portano a tifare per lui, affinché abbia da vivere situazioni più gloriose dopo il successo del suo libro Distillati di Equilibrio
.
Chi di noi non ha mai respirato la necessità di avere un luogo di incontro, dove poter fare musica, dove poter fuoriuscire le speranze delle nostre chitarre, oppure un reading di poesie o una mostra di pittura?
Io ed i miei amici ce l'avevamo. Un vecchio cantinone aperto e gestito a fatica dove però trovavano rifugio artisti di ogni genere, gente che veniva dalla strada, dai mercati, pieni di campanelli e tamburelli incollati su ogni parte del corpo e in più... LA CHITARRA!
L'arte è nata dalla strada, ce lo hanno insegnato Dario Fo, Gaber, Jannacci.
Angelo, nel suo racconto, riesce ad esaltare nella vita di ogni giorno situazioni che ognuno di noi ha vissuto, brillanti, spente o meno felici, distillando equilibrio in tutto ciò che scrive.
Alla fine del racconto condivido con l'autore l'AMICIZIA, LA PARTECIPAZIONE, il SENSO DI COSCIENZA SOCIALE che il protagonista Gregorio vive, ma soprattutto la sana esaltazione che Angelo da a Giullari, Menestrelli e Cavalieri che saranno sempre custodi dei nostri sogni, compagni di Canzoni e di voglia di vivere.
Enzo Iacchetti
Attore, comico e conduttore televisivo
Casa e vicini
Quel mattino Gregorio si svegliò nel proprio letto e, sorpresa, si era tramutato in un gigantesco insetto.
Questo era l’incubo che Gregorio si stava lentamente abituando a vivere ogni mattina prima di svegliarsi, un incubo iniziato da quando aveva finito di leggere La Metamorfosi di Kafka.
Era il più assurdo i nizio di giornata che avesse mai potuto vivere, terrorizzato come era dal fatto che questa cosa gli potesse accadere davvero.
Tutte le mattine, prima di girarsi verso l’armadio della sua camera, lì dove era collocato un grande specchio che avrebbe dovuto rivelargli la verità, sudava freddo. Gregorio (che da ora, per semplificare, talvolta chiameremo Greg) non era un temerario e sicuramente non era una persona felice
ed il suo unico desiderio era che qualcosa finalmente potesse cambiare. In cosa direte voi? In quella che lui chiamava esistenza piatta
. Da qualche giorno, per assurdo, anche diventare insetto sembrava poter essere una valida alternativa per il cambiamento, proprio come accade nei film, in un bel colpo di scena.
Greg era un solitario ed abitava in un piccolo appartamento, un lascito di una lontana parente che i suoi genitori, appena decise di allontanarsi dalla casa paterna, gli donarono come un iniziale anticipo ereditario. Era il suo unico avere e lo viveva dividendolo in modo equo, tra l'essere la sua ancora di salvezza e l'essere la sua pesante palla al piede; in più di un'occasione gli si era offerta la possibilità di andar via, ma non era riuscito mai a trovare le condizioni ideali per affrontare il senso enorme del trasloco, cui si univa una totale incapacità nel gestire il fatidico momento del distacco.
Non era certamente uno che amasse le imprese ardite o i colpi di testa e i racconti che leggeva e che lo affascinavano, restavano la sua ulteriore speranza che qualcosa improvvisamente cambiasse.
Quel mattino lo specchio non sembrava voler essere portatore di novità e così decise di alzarsi dal letto, come al solito, con le sue due solite gambe. Si diresse verso il bagno, si avvicinò al lavandino e allo specchio, che ahimè, riconfermò la sensazione che nulla sarebbe cambiato. La barba lunga oramai era davvero diventata indecente ed era giunto il momento di rasarla; anche sul posto di lavoro qualcuno iniziava a rompere
sull’aspetto dei dipendenti e sul decoro, come se la barba fatta e la camicia pulita avessero importanza nel momento in cui si era intenti nel modellare gli oblò in vetroresina per le lavatrici.
Questo era il compito di Gregorio, portato avanti con costanza e impegno da 20 anni, compito che gli era valso anche un premio di mille euro per aver aggiustato l'impianto macchina al quale era assegnato, senza aver dovuto obbligare l'azienda a fermare la produzione e soprattutto senza aver avuto nessun costo di assistenza.
Quei mille euro li aveva immediatamente investiti in una chitarra usata, appartenuta al chitarrista degli Hell‘s Cobra Blues Band, gruppo che lui, da sempre, adorava.
Un bravo ragazzo
, era stato detto davanti a tutti gli altri impiegati durante la cerimonia di premiazione. A detta sua, invece, la verità era che era stato invidiato per i soldi ricevuti e quindi, schifato
per aver favorito i padroni.
Lo specchio intanto era ancora lì, come ogni mattina. Greg si insaponò per benino e, con il suo vecchio rasoio a baionetta, iniziò a radersi con cura mentre dalla cucina il fischio della caffettiera annunciava che il caffè era pronto.
La moka elettrica era un regalo del babbo che aveva creduto che una moka programmabile avrebbe portato il giusto miglioramento alle sue giornate.
Ben rasato e lavato, mutande e maglietta pulite, seduto in cucina attorno alla sua piccola tavola rotonda, intento a prendere il caffè, fissava le assurde mattonelle quadrate della parete affidando alle fughe di stucco che le attorniavano, la speranza che il nettare nero non avesse quel sapore tremendo come tutte le mattine, speranza, purtroppo subito vanificata!
Gesto rituale e... tutto il contenuto della moka dritto nel lavandino.
Aveva provato in ogni modo ed era arrivato alla conclusione che fare un buon caffè era una questione di culo. Il caffè disposto a montagnola nel filtro, il chicco di sale, l’acqua fatta portare da Napoli, ma nulla da fare! Il caffè, in casa di Gregorio, veniva sistematicamente uno schifo.
Era vestito, pettinato, con giubbotto, stivali e zaino addosso.
Spente le luci, tre giri di chiave alla porta per proteggere il suo piccolo castello, e via verso una nuova giornata di lavoro.
Nel garage lo attendeva la sua moto, una vecchia Honda Four 400 degli anni ‘70, una forma di orgoglio recuperata da un vecchio ripostiglio, restaurata tutta da lui, compreso la verniciatura con quello strano colore carta da zucchero. Un po' di movimento ondulatorio della chiave per trovare il contatto, e poi l’accensione con qualche immancabile scoppio della carburazione, del resto, mai perfettamente settata.
L’aria pungente sulla faccia ed ecco che iniziava, come ogni giorno, a percorrere la distanza che separava la sua residenza abitativa al suo domicilio lavorativo. Il tragitto veniva compiuto tutto rigorosamente senza occhiali, poiché Gregorio amava credere che tanti anni di moto gli avessero donato la terza palpebra, quella dei gatti e quindi la capacità di non lacrimare, cosa naturalmente sconosciuta ai moscerini che, con infallibile precisione, riuscivano in gruppo, a centrarlo sistematicamente.
La fabbrica era posta in una parte della zona industriale, appena fuori città, dove un tratto della tangenziale ed alcune stradine periferiche sembravano consentire di fare un po’ di movimento
tutte le mattine.
Greg ci teneva alla forma fisica!
Il problema degli occhiali si acuiva in modo esasperante nei giorni di pioggia in quanto le gocce, come spilli, gli pungevano il viso e gli occhi. Arrivò al punto di ritenere opportuno di comprarne un paio, pensiero che però, pur accompagnandolo lungo tutto il tragitto, veniva rapidamente accantonato una volta giunto a destinazione ed aver parcheggiato.
All’ingresso della fabbrica, come ogni mattina, senza mai dimenticarsene, gli chiedevano i documenti. Questa cosa lo infastidiva come poche cose al mondo e si insinuava il dubbio che nessuno lo conoscesse e che nessuno lo riconoscesse. Per dignità aveva imparato a non darlo a vedere. In realtà, però, erano tante le cose che lo infastidivano ma anche in questi casi aveva capito come relativizzare
riuscendo a mantenere sempre lo stesso sguardo distaccato ed inespressivo in qualsiasi situazione si trovasse.
Il suo armadietto, quello che utilizzava per cambiarsi e per riporvi cose che altrimenti avrebbe dimenticato, aveva il lucchetto a combinazione. Era da considerarsi quasi un obbligo visto che le chiavi erano diventate un lusso dedicato solo a coloro che fossero in grado di non perderle. Questo lusso non era per lui.
Indossata la tuta blu, Greg prendeva posto davanti alla sua pressa dove, per 6 ore, venivano riscaldati e schiacciati fogli di vetroresina. Nelle piccole pause di 10 minuti ogni 3 ore, ne approfittava per prendere il caffè dalla macchinetta distributrice, e questo momento era da considerarsi quasi il migliore della giornata, insieme a quello del piccolo taccuino dove, piacevolmente, segnava alcuni appunti e coltivava la sua passione di sempre: la poesia
.
A fine turno, ripeteva tutto il percorso che aveva compiuto per entrare, con l'unica differenza che, per uscire, lo affrontava, per ovvi motivi, al contrario. Facevano eccezione la sosta al supermercato, dove si approvvigionava dello stretto indispensabile e la fermata al bar per degustare un aperitivo molto personalizzato. Quest'ultimo era un momento magico, tutto a base di birra, con la variante estiva fatta di granita di limone e quella invernale a base di prosecco. In entrambi i casi veniva svuotata, ogni volta, la vaschetta delle arachidi e con proverbiale timidezza, i crostini con le olive, le salse e le mille piacevoli bandierine.
Una volta a casa, sistemate le vivande nella piccola credenza e vestitosi con un pizzico di ironia, controllava la lista sulla lavagnetta posta in cucina, per essere certo che tutto ciò che mancasse fosse stato preso.
Si, perché una cosa che la madre di Gregorio aveva provveduto a regalare al figlio quando si era trasferito nel piccolo appartamento, era una di quelle lavagnette con i tasselli, per evidenziare le cose che mancassero in casa, lavagna che comunque Gregorio non aggiornava mai. Risultato? Finiva per essere sempre felice nel vedere che in casa non mancava mai nulla.
Ciabatte, pantaloni larghi e stereo, iniziava così il momento del rilassamento. Un libro, la pentola sul fuoco per prepararsi qualcosa da mangiare e poi via, di corsa, verso l'agognato divano dove, nella migliore delle ipotesi, si addormentava con il libro ben saldo tra le mani.
Gregorio sapeva bene che nulla avrebbe mai turbato quella piatta e comoda esistenza
.
Era il 4 settembre e al risveglio, dopo il già più che famoso rituale dello specchio, si alzò dal letto, ma si rese subito conto che qualcosa non andava. La sua gamba destra era completamente addormentata e così anche una parte del suo corpo. Rischiò, alzandosi senza controllo, di farsi molto male inciampando nel tappeto scendiletto.
Regalo della mamma per evitare che scendendo dal letto, toccasse con il piede nudo il pavimento gelido.
Quel mattino, il regalo della mamma era servito da strumento per un vero e proprio attentato.
Un violento urto contro il telaio della porta e una profonda ferita sul labbro riuscì in breve tempo a far inondare di sangue qualsiasi cosa.
Un attimo per pensare e di corsa in bagno verso la salvezza, la cassetta del pronto soccorso.
Un regalo preziosissimo del papà, il quale sosteneva che nella casa di un single non poteva mai mancare la cassetta che, peraltro, non era stata ancora aperta fino a quel giorno, cosa, e vedremo, mai più sbagliata.
Nell'aprirla fu grande la sorpresa nello scoprire la vena ironica del babbo: era piena di preservativi.
Ecco cosa intendeva.
Il sangue non si fermava e i sette