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Non c'è onda troppo grande
Non c'è onda troppo grande
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Non c'è onda troppo grande

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L’uomo e le sue macchine, molto è stato scritto sull’argomento, sull’elevazione del rapporto col proprio mezzo di trasporto, al punto tale da consolidare una sorta di relazione affettiva. E quando si parla di mare e di yachting, il legame è se possibile ancora più intimo, perché di una barca ci si innamora, è inevitabile.
Durante un viaggio in Florida, sono venuto a contatto con una vecchia barca e con il suo armatore. Pochi minuti e la mia vita non sarebbe stata più la stessa. Mi sono letteralmente imbarcato in un’avventura ben al di sopra delle mie capacità; spaziando dalla costa orientale dell’America all’altro lato dell’Oceano in Europa, passando per l’Arcipelago delle Azzorre, tra colpi di scena, trionfi e fallimenti, con una determinazione e una fede incrollabili, nel tentativo di portare a termine un ambizioso progetto.
Questo racconto è un’occasione per riflettere su quanto la passione di un gruppo di uomini possa rendere possibile l’impossibile, anche oltre ogni ragionevole limite. È una storia fuori dall’ordinario che parla di amicizia, di resistenza e di fatica. È una storia di mare, di onde alte e di sale sulla faccia. È una storia di forza di volontà e di quattromila miglia da ricordare una dopo l’altra e da condividere, come si usa tra marinai.
LanguageItaliano
Release dateMar 13, 2018
ISBN9788867933693
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    Non c'è onda troppo grande - Roberto Gavagnin

    EDIZIONI SENSOINVERSO

    OroArgento

    © Edizioni SENSOINVERSO

    Collana OroArgento

    info@edizionisensoinverso.it

    Via Vulcano, 31 – 48124 – Ravenna (RA)

    © 2018 – Copyright | Tutti i diritti riservati

    Sensoinverso – P.I. 02360700393

    ISBN 9788867933679

    1° edizione – Febbraio 2018

    Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono fittizi o usati in modo fittizio. Tutti gli episodi, le vicende, i dialoghi di questo libro, sono partoriti dall’immaginazione dell’autore e non vanno riferiti a situazioni reali se non per pura coincidenza.

    ROBERTO GAVAGNIN

    NON C’È ONDA TROPPO GRANDE

    INTRO

    Voleva solo essere una storia per loro. Una specie di racconto da leggere alle mie due gnappette, prima di addormentarsi. Un modo per far loro sapere che razza di papà matto si ritrovano. Non mi sono mai reputato una buona penna, uno che scrive, tiene diari, e roba del genere. Ma la storia, questa storia, era davvero singolare. E meritava di essere raccontata. Quello che ne è uscito è il resoconto di oltre cinque anni trascorsi a inseguire un sogno. È tutto vero, nar-rato esattamente come è accaduto. Non c’è stato bisogno di roman-zare, o esagerare nulla. L’unica cosa inventata sono i nomi dei protagonisti… be’, quasi tutti i nomi. Il mio, e quello della barca, a pensarci bene, li ho mantenuti.

    RINGRAZIAMENTI

    Come per molti che si cimentano nello scrivere la loro opera prima, i dubbi sulla propria capacità di portare a termine il lavoro sono sempre tanti. Alle difficoltà tecniche, ai dubbi sulla qualità del proprio scrivere, si sommano spesso incertezze e perplessità sul fatto che forse, quello che abbiamo da dire, potrebbe non interessare al lettore. I momenti di stallo, quando ti dici che forse è meglio lasciar perdere, sono tanti. Io li ho superati, in gran parte grazie a… Vanessa, artista poliedrica e paziente aiuto nel rivisitare la versione originale. Donata, giornalista e scrittrice, sempre prodiga di consigli e motivazioni. Enrico, amico di vecchia data, abile produttore audio video e paziente correttore dei miei tanti errori. E infine Antonella Popy, scrittrice di talento, responsabile del mio non mollare, vera mentore in questa mia nuova e insolita avventura.

    Ad Annie ed Ellie.

    Le due migliori ragioni al mondo per farcela…

    PRIMA PARTE

    Credo fosse febbraio. Me lo ricordo perché Mali non aveva neanche due anni. Come spesso capita alle coppie la cui vita era stata stravolta dall’arrivo della prima figlia, mia moglie e io sentivamo la necessità di prenderci uno spazio per noi due. Avevamo scelto la Florida, una breve vacanza, giusto il tempo per interrompere l’inverno con un breve giro al caldo sole delle Keys.

    A quel tempo avevamo ancora ERINNI, lo yacht di famiglia. Dopo dodici anni di continui miglioramenti, e cure amorevoli, la nostra barca era in perfetta forma. Soltanto qualche mese prima, avevo speso oltre trentacinquemila dollari nel completare un programma di ricondizionamento e aggiornamento. Venderla non era semplicemente nei nostri programmi, tantomeno cambiarla con un’altra barca. Tuttavia, devo ammettere che nel corso degli anni ero giunto alla conclusione che, quando e se, avessi preso in considerazione di sostituirla con un’altra barca, mi sarei orientato verso uno yacht sostanzialmente diverso.

    ERINNI era uno sloop leggero, una barca da regata crociera, di quelle che tanto andavano di moda nel Mediterraneo negli anni Settanta e Ottanta. Una barca molto invelata, come si dice in gergo, ovvero con un rapporto peso / superficie velica che la rendeva piuttosto impegnativa da manovrare. Sicuramente rispondeva alle esigenze che avevo quando la comprai, molti anni indietro. Del resto, io stesso, allora, ero molto più giovane. Le mie esigenze di navigazione erano mutate profondamente con il passare degli anni. Mi ritrovavo spesso a navigare con bambini a bordo, e quasi sempre a dover gestire la barca da solo; inoltre, dopo essermi occupato per anni quasi completamente da solo della manutenzione, e aver così imparato molto sulla costruzione e la robustezza delle diverse imbarcazioni d’altura, avevo maturato la convinzione che la mia futura barca sarebbe stata quella definitiva; la scelta sarebbe senz’altro andata nella direzione di una barca oceanica, possibilmente costruita nel nord Europa, da uno dei cantieri più blasonati, come Halberg Rassy, Swan, o Nauticat.

    In quel periodo, era abbastanza normale rivolgersi al mercato statunitense. Sfruttando un cambio particolarmente vantaggioso tra il dollaro Usa e l’Euro, era possibile fare degli ottimi affari. Giusto pochi mesi prima, un amico e collega, Andrea, aveva acquistato un bellissimo Swan 47' vicino a Boston. Spinto dalla curiosità, mista al segreto desiderio di scovare il giusto affare, anch’io avevo più volte sbirciato tra i vari siti web americani. Diciamo che, a quel tempo, ero molto curioso di conoscere meglio quelle barche oceaniche tanto decantate dalla comunità dei velisti di tutto il mondo. Volevo leggerne, e saperne di più. La verità era che su uno yacht del genere non ci ero neanche mai salito.

    Surfando sul web, la mia attenzione era stata catturata da una barca in particolare. Si trattava di un Nauticat 521, denominato ZARA. Fin da subito apparve chiaro che si trattava di uno yacht ben al di sopra delle mie possibilità, tanto presenti, quanto future. Nonostante ciò, avevo scambiato alcune email con il broker incaricato della vendita di questo super yacht. Una volta ricevuto il materiale illustrativo, e la scheda tecnica, non avevo saputo resistere e, fingendomi interessato all’acquisto, avevo organizzato una visita all’imbarcazione. Chiamai il numero di West Palm Beach e mi sforzai di sembrare un potenziale acquirente, inducendo il venditore a credere che avrei volato apposta dall’Italia per vedere la barca. Ovviamente, mi guardai bene dall’informarlo che, essendo un pilota di linea, avevo la possibilità di recarmi su e giù dagli Stati Uniti a mio piacimento.

    Myrna e io eravamo atterrati all’aeroporto internazionale di Miami in un tiepido pomeriggio d’inverno. Spendeva il sole e, dopo aver affittato una macchina, avevamo imboccato l’autostrada verso nord. Si trattava di allungare il nostro percorso di un paio d’ore, prima di dirigerci verso la vera meta del nostro viaggio. Dopo aver visionato la barca, infatti, ci saremmo diretti verso sud, a Key Largo, una delle tante isole che si spingono nell’oceano, a sud di Miami, unite da un unico lunghissimo ponte.

    A mano a mano che ci eravamo avvicinati alla cittadina di West Palm Beach, non avevamo potuto fare a meno di notare la bellezza del luogo. Avevamo guidato tra splendide ville, giardini curatissimi, ristoranti affacciati sul mare. Era un continuo susseguirsi di campi da golf, yacht club, case private e locali pubblici di estrema eleganza. Il lusso delle ville faceva da sfondo a quello degli yachts. Mi era venuto spontaneo il paragone tra i marina che stavamo osservando e i porti ai quali eravamo abituati, a casa. In America, i posti barca sono dotati di pontili galleggianti posizionati a lato di ogni imbarcazione. Questa soluzione ha il duplice scopo di consentire un comodo accesso alle barche, offrendo la possibilità di un imbarco laterale, e, al tempo stesso, costituiscono un eccellente sistema per proteggere gli yachts, evitando che questi vengano in contatto tra loro.

    L’esatto contrario di quanto accade da noi. In Europa, e in Italia in particolare, la mancanza di spazio, e l’ingordigia di coloro che gestiscono i porti, fa sì che solitamente le barche siano ormeggiate una al fianco della successiva, spesso in triple o quadruple file.

    Tutto questo aveva contribuito al notevole colpo d’occhio che avvertii quando, finalmente, adocchiai ZARA. Ero stato subito colpito dalla barca, nonostante essa fosse ormeggiata tra imbarcazioni anche più grandi. Il venditore si era rivelato molto cortese e, una volta scambiati i convenevoli, ci aveva invitato a seguirlo a bordo. Fin da subito fu chiaro che questa era una barca sostanzialmente diversa da quelle a cui eravamo abituati.

    Si trattava di uno scafo disegnato da Sparkman & Stevens, costruito dal leggendario cantiere finlandese Siltala Yachts. Costruita in modo semiartigianale, assemblata utilizzando i migliori materiali esistenti sul mercato, ZARA dava un’impressione di solidità e durevolezza. Un vero blue water yacht, costruito per affrontare lunghe navigazioni oceaniche. Il livello di finiture era altissimo. Le dotazioni, gli accessori, e i sistemi di bordo confermavano che la barca era stata dotata di tutte le comodità che tipicamente si trovano a bordo delle imbarcazioni in Nord America. Non mancavano infatti l’aria condizionata, la lavapiatti, il dissalatore. L’elenco dei ricambi presenti a bordo era davvero impressionante: un numero elevato di filtri di ricambio, giranti, pastecche e grilli; molti dei ricambi erano ancora sigillati nei rispettivi involucri.

    La configurazione dello yacht suggeriva un design estremamente confortevole, e sicuro per gli occupanti. Il pozzetto, ben protetto, molto alto rispetto al mare, con la timoneria appena spostata a sinistra rispetto all’asse longitudinale della barca. Al centro spiccava un deck saloon completamente chiuso, protetto da una finestratura di spessi cristalli corazzati. In esso, una sezione era dedicata alla timoneria interna, dalla quale si poteva condurre l’imbarcazione ben protetti dal mare e dagli agenti atmosferici. Entrambe le timonerie erano dotate di una serie completa di strumenti di navigazione, quali radar, plotter cartografici e vari strumenti di controllo.

    Lo yacht era dotato di quattro cabine divise in due sezioni completamente separate, una a prua e una a poppa. Questa soluzione permetteva a due famiglie, o gruppi distinti di occupanti, di vivere a bordo senza quasi venire a contatto tra loro. La zona tecnica della cucina, posizionata a mezza nave, era molto spaziosa. I gavoni, e gli spazi adibiti a immagazzinare le scorte alimentari e non, erano semplicemente enormi. In coperta, lo yacht era dotato di vele avvolgibili gestite da un sistema idraulico. Questa soluzione rendeva di fatto la barca molto gestibile anche da un equipaggio ridotto, al limite anche dal solo skipper, a dispetto delle dimensioni ragguardevoli.

    Mentre stavamo ispezionando lo yacht, il venditore ci informò circa l’imminente arrivo dell’armatore. Avevo accolto la notizia con entusiasmo; il proprietario stava raggiungendo la sua barca con l’intenzione di godersi qualche giorno di relax, al sole della Florida. Pregustavo con entusiasmo la possibilità di ottenere chiarimenti dal diretto interessato circa le molte curiosità che, a mano a mano, stavo mentalmente annotando. A un certo punto il venditore, con una scusa, era sceso dalla barca e rientrato negli uffici, lasciandoci soli. Riconobbi una tattica piuttosto scontata. Spesso, infatti, i broker utilizzano questo banale stratagemma per lasciare un potenziale acquirente da solo a bordo; il cliente ha così a disposizione qualche prezioso momento privato, per sentire la barca sotto i suoi piedi. In quei pochi istanti, l’acquirente è assalito da un’inspiegabile emozione, e la sua immaginazione lo porta ad assaporare quale potrebbe essere il piacere di possedere e navigare con la barca che sta valutando. Sostanzialmente, un metodo molto efficace per incrementare le probabilità di portare a termine la vendita.

    ZARA era di certo una gran bella barca. Mi piaceva molto. Ma molto di più mi era piaciuto il suo armatore. Theodor era uno squisito ometto di ottant’anni. Non molto alto, con due occhi azzurri chiari, una barba bianca piuttosto incolta, era salito a bordo e immediatamente ci aveva sorriso. Indossava una giacca a vento da barca, un cappello da marinaio, e in bocca teneva una vecchia pipa spenta.

    Era un medico ormai in pensione. Nato in Grecia, di umili origini e trasferito in America ancora bambino, aveva al suo attivo una significativa carriera nel mondo della medicina; raggiunse il culmine occupando la posizione di primario di chirurgia cardio toracica in vari ospedali dell’Ohio. Viveva a Cleveland, e ci raccontò che gli piaceva scendere in Florida ogni quattro/cinque settimane, per raggiungere la sua bella barca.

    Credo di poter affermare che ci intendemmo al volo. In poco tempo, la nostra conversazione si era spostata dalla barca, e i suoi sistemi, alla vita in generale, i problemi del mondo, e le nostre comuni radici europee. Theodor era di certo una persona particolarmente intelligente, e molto diretto. Affascinante, in un certo qual modo, egli trasmetteva una immensa passione per la vita. Condivise con noi molti aneddoti della sua lunghissima esperienza di velista e navigatore. Trovavo curioso che, nonostante egli avesse vissuto sostanzialmente la quasi totalità della vita negli stati Uniti, le sue origini greche fossero quanto mai evidenti. Fu chiaro che era felice di aver incontrato due europei, e finì per raccontarci un sacco di storie, alcune alquanto singolari.

    Un particolare, mi aveva davvero colpito: l’anziano dottore ci aveva illustrato il suo programma di tornare con la sua barca in Grecia, per un’ultima volta. Avevo trovato la cosa ammirevole e improbabile al tempo stesso; non mi sembrava certo nelle condizioni di poter affrontare una simile impresa. Il tempo passava, e mi accorsi di essermi totalmente rilassato mentre ascoltavo le storie di quest’uomo. Ci trasferimmo fuori, nel pozzetto. Sorseggiando del Gin & Lemon Tonic, l’anziano medico ci illustrava alcune delle caratteristiche di ZARA. Era chiaro quanto lo skipper amasse e apprezzasse la sua barca. Egli non si limitava a elencare le qualità marine dello yacht. Piuttosto, si soffermava sugli aneddoti accaduti nei suoi numerosi viaggi compiuti con lei. Sentivo che mi stava parlando con il linguaggio del marinaio, quando questi si rivolge a un suo simile. L’anno precedente, Ted aveva portato a termine una navigazione di oltre millecinquecento miglia, raggiungendo il St. Lawrence Sound, in Canada. Fui subito catturato dal racconto, in quanto quello era sempre stato un viaggio che avrei voluto fare. Lo skipper ci raccontò della rotta, le difficoltà e le bellezze di quei luoghi scarsamente abitati, selvaggi. Piuttosto che illustrare come la barca era stata all’altezza di quella impegnativa navigazione, egli si soffermava sulla bellezza dura e inospitale di quei luoghi. Dal racconto imparai degli innumerevoli incontri con orche, balene, e ogni genere di wild life. Era stata decisamente una spedizione avventurosa.

    Fui io stesso, in realtà, ad analizzare il racconto in prospettiva. E il fatto che erano state le straordinarie qualità marine di ZARA a rendere possibile una simile avventura. A volte lo interrompevo, chiedendogli qualche spiegazione; Ted sorrideva, pensava, e, a guardarlo, sembrava che egli tornasse, per un istante, a quei luoghi lontani. Mi spiegò come ZARA avesse affrontato questa o quella difficoltà con naturalezza. In parte grazie alla sua caratteristica di barca oceanica, in parte grazie ai numerosi sistemi di bordo. Ogni difficoltà, ogni situazione, era stata gestita, e risolta, con facilità e sicurezza.

    In seguito scendemmo sotto coperta, nell’ampio deck saloon. Ted volle dimostrare il funzionamento di alcuni dei sistemi di bordo. Ricordo come egli muoveva le sue piccole mani con gesti decisi e, al tempo stesso, gentili. A ogni gesto, ogni attivazione di questo o quel dispositivo, Ted sorrideva, e gli occhi gli brillavano. Era visibilmente compiaciuto, e amava la sua barca. E a ogni gesto, la barca rivelava esattamente la sua natura. ZARA era diretta, senza sotterfugi, senza inganni: una vera barca oceanica.

    Anche quando la conversazione si spostò sull’argomento delle inefficienze, e delle avarie presenti a bordo, Theodor non fece il minimo tentativo di nasconderle, né di minimizzarle. Al contrario, sembrò felice di aver menzionato questo o quel sistema che al momento non funzionava a dovere, e che avrebbe quindi avuto bisogno di una futura riparazione. Ancora una volta, apprezzai la schiettezza del marinaio, che parla a un altro uomo di mare. Proprio come si confà a un vero yachtsman, egli non diede alcuna importanza all’aspetto economico di questa o quella riparazione. Un malfunzionamento a bordo di uno yacht era semplicemente una questione che andava risolta, senza cercare scorciatoie.

    La conversazione si spostò nuovamente verso un’area più personale. Mi colpì lo sguardo schietto e onesto di questo strano armatore. Spesso si dice che nella compravendita di una barca è essenziale che l’acquirente piaccia al venditore, e viceversa. Per quanto mi riguardava, potevo affermare con certezza che ero stato fortunato nel conoscere quest’uomo. E, stando alle sensazioni che stavo provando, l’apprezzamento era reciproco.

    In definitiva, fu una giornata memorabile, il tempo era letteralmente volato. Prima di congedarci, Ted mi rivolse una diretta quanto semplice domanda. Ovvero, quanto fossi realmente interessato all’acquisto di ZARA. Senza esitazione guardai dritto negli occhi l’anziano dottore e gli risposi: Senti Ted, a me non va di prenderti in giro. Posso farlo tranquillamente con il venditore, che per il suo stesso ruolo non è coinvolto emotivamente, e, di solito, è abituato a mentire e ad ascoltare menzogne di ogni tipo. Sono venuto qui perché ero curioso di vedere da vicino, e capire quanto davvero straordinari fossero questo tipo di yachts oceanici. Ovviamente ZARA mi piace tantissimo, è una barca da sogno. E, aggiungo, mi piaci tu, la tua onestà, e la storia che ha questa barca. Ma devo confessare che stiamo parlando di un range di imbarcazione completamente fuori dalla mia portata. Come ti ho detto prima, le mie esperienze sono tutte riferite a barche di tutt’altra caratura. Sarebbe fantastico potersi permettere uno yacht come questo, ma realisticamente, per me, si tratta solo di un sogno.

    Il sorriso di Ted si fece, se possibile, ancora più benevolo. Egli mi fissò attentamente, quasi stesse misurando l’uomo che aveva di fronte. Poi, con semplicità, mi rispose che comprendeva perfettamente il significato delle mie parole. Espresse gratitudine per essere stato onesto con lui; infine, quasi con imbarazzo, aggiunse: Guarda Robert, per un uomo nella mia posizione, giunto alla mia età, il denaro non è tutto. Specie nel considerare di dar via la mia bella barca, ti assicuro che dal mio punto di vista vi sono altre considerazioni che potrebbero prevalere. Pertanto non ti curare troppo del costo, e della tua incapacità di arrivare alle cifre che sono state menzionate dal venditore. Se un giorno davvero deciderai di volere ZARA, allora cercami, e ne parleremo.

    Più tardi, alla guida della Mustang decappottabile, mentre ci dirigevamo verso sud, non potei evitare di rimuginare su quelle parole. Le riascoltai nella mente decine di volte, cercando di darci il giusto peso. Non fu facile abbandonare il pensiero di ZARA, dell’incontro con una persona così particolare, e dell’emozione provata nel trascorrere qualche ora a bordo di una barca così bella. A dire il vero, mi sentii proprio come un pesce che, eccitato dalla preda, non sa resistere a una bella esca artificiale che, luccicando, lo attira inesorabilmente verso l’inevitabile cattura.

    Questi pensieri rimasero a farmi compagnia per il resto della vacanza. Una volta rientrati, ero ormai fermamente convinto che avevo definito quale tipologia di yacht avrei desiderato per il futuro. Ovviamente mi sarei dovuto accontentare di un modello più piccolo. Ma in ogni caso, i dettagli costruttivi, la solidità dei materiali e la cura nella costruzione artigianale mi avevano persuaso che avrei cercato, un giorno, di acquistare e navigare a bordo di un Nauticat. La tipologia stessa di queste barche, con il pozzetto centrale, il bordo libero molto alto, la presenza di un deck saloon, mi convincevano che la inevitabile penalizzazione a livello di prestazioni andava accettata senza indugio, e scambiata per un livello di comfort e sicurezza decisamente superiore. Del resto, non era certo un mistero che per qualsiasi velista, un po’ in tutto il mondo, le barche nord europee rappresentavano il meglio, specie per quanto riguarda gli yachts oceanici. ZARA era una sintesi quasi perfetta, racchiudendo un potenziale di alto livello, e offrendo riserve di energia, carburante, acqua potabile, molto al di sopra di barche di pari dimensioni. Pur rimanendo uno yacht che, per come era allestito, con l’armo a due alberi, era facilmente gestibile da un equipaggio ridotto.

    L’unico vero problema era che, comprensibilmente, barche di questo tipo erano piuttosto rare, anche a fronte del fatto che i rispettivi armatori sono generalmente riluttanti a separarsene.

    Formulai quindi un semplice piano strategico. La prima cosa da fare sarebbe stata vendere ERINNI. La mia barca era stata mantenuta fino a quel momento in un’ottica di tenerla per altri anni. Tutti gli interventi di manutenzione, sia ordinaria sia straordinaria, erano stati eseguiti in accordo a tale filosofia. Solo pochi mesi prima, avevo fatto installare un nuovo ponte in teak, un’operazione dal costo esorbitante. Era decisamente una bella barca, e, a dispetto dell’età, aveva ancora un gran fascino. Mi resi subito conto che non sarebbe stato facile venderla, e recuperare, almeno in parte, le risorse che avevo appena speso per migliorarla.

    Nei mesi seguenti, continuai a guardare nei siti web di mezzo mondo, alla ricerca di una possibile prossima barca. ZARA era e rimaneva un sogno. Semplicemente era troppa barca per le mie possibilità. I mesi passavano, e le mie perplessità sulla difficoltà di vendere la mia vecchia imbarcazione si rivelarono fondate. Nonostante le numerose richieste di informazioni, fotografie, schede tecniche, l’interesse per ERINNI rimaneva superficiale. Con l’aiuto di un amico, preparai un’accattivante scheda web, da inviare a coloro che ne avessero fatto richiesta. Un paio di volte ebbi la sensazione di aver trovato un’acquirente realmente interessato. In entrambi i casi, invece, si trattava di due o tre partner che si erano messi alla ricerca di una barca da condividere. E, come spesso accade in questi casi, uno dei soci non era d’accordo.

    Un giorno, a fine estate, controllando il web, notai che ZARA non era più offerta: dedussi che qualcuno l’aveva finalmente acquistata, e la immaginai nelle mani del suo nuovo armatore. Fu solo nella primavera successiva che, finalmente, riuscii a vendere la mia barca. Una volta completata la transazione, mi rimisi alla ricerca del mio prossimo yacht. Guardando qua e là nei vari siti web, incappai in un altro Nauticat 521. Di nuovo, una barca ben al di sopra delle mie possibilità, e del mio budget. Si sa, i sogni su Internet sono gratis, quindi, mentre valutavo questa o quella barca, dalle dimensioni e costi più consoni alle mie possibilità, occasionalmente mi permettevo di sbirciare qualche super yacht. Fu così che mandai al broker, che aveva in carico questo Nauticat, una richiesta di informazioni. La barca si trovava a Wilmington, nella Carolina del nord. Sembrava molto simile a ZARA e, stranamente, costava circa ottantamila dollari in meno.

    Qualche ora dopo, un bling del computer mi avvisava che era arrivata una email. In essa, un pacchetto di informazioni relative al Nauticat. Quasi caddi dalla sedia; per qualche strana ragione, ZARA era ora in vendita nel North Carolina, e il prezzo richiesto era di parecchio più basso. Immediatamente presi il telefono e chiamai il broker. Ottenni così la conferma che sì, si trattava della stessa barca. Preso da una inspiegabile emozione, senza pensare troppo, mi dissi semplicemente che questo non poteva essere un caso e organizzai un appuntamento per visionare la barca.

    Fu così che, solo qualche giorno dopo, mi ritrovai nuovamente a calpestare, a piedi nudi, il ponte di ZARA. Il broker incaricato della vendita mi raccontò una storia alquanto incredibile.

    Mi disse che l’armatore, un anziano signore di oltre ottant’anni, nell’autunno precedente aveva deciso di voler prendere il mare, e navigare in solitaria fino alla nativa Grecia. Dopo aver preparato la barca, e accertato che essa fosse nelle condizioni per attraversare l’Oceano, egli aveva lasciato la Florida, facendo prua verso l’Europa. Sfortunatamente, pochi giorni dopo aver salpato, fu colto da una forma di trombosi. Essendo un medico, egli stesso si rese conto della gravità delle sue condizioni. Gli fu impossibile manovrare lo yacht, che prese ad andare alla deriva. A fatica, l’uomo riuscì ad attivare il trasmettitore di emergenza e a dare l’allarme. Dalla Florida, la Guardia Costiera inviò un elicottero di soccorso, che localizzò l’imbarcazione in pieno Oceano, a circa duecento miglia dalla costa. Il team di soccorritori prese a sorvolare la barca, e notò che sul ponte vi era un solo marinaio. Egli appariva in difficoltà, incapace di muoversi. L’esperto skipper sapeva fin troppo bene che i

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