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La scala di Giacobbe
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La scala di Giacobbe

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About this ebook

A soli diciotto anni Carla si macchia di un orrendo delitto e, per sfuggire a una responsabilità che non sente propria perché non ne comprende l'origine, sola e in attesa di una bambina si rifugia in un convento, dove finalmente può accogliere il messaggio che il Signore ha voluto inviarle. Un percorso non semplice, il suo, tormentato dal dubbio, dai ricordi, dalla paura che a volte torna a farle visita. Un percorso, tuttavia, costantemente illuminato dal faro della fede, che con il passare degli anni diventa sempre più chiaro e vivo, durante il quale impara a fare i conti con i propri demoni, a indagare nel proprio animo con la consapevolezza che solo abbandonandosi fiduciosa a Dio e superando con coraggio le prove che le pone di fronte potrà trasformarsi nella donna che ha sempre desiderato essere.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateMar 20, 2018
ISBN9788827816769
La scala di Giacobbe

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    La scala di Giacobbe - Marisa Giaroli

    twitter.com/youcanprintit

    PARTE PRIMA

    CAPITOLO 1

    Era un caldo, afoso, pomeriggio di luglio e tutti nel palazzo, persone e animali, attendevano con ansia accaldata le prime ombre del tramonto per uscire sulle terrazze o nei giardini in cerca di fresco.

    Il silenzio pomeridiano venne attraversato dal tonfo di una porta sbattuta al terzo piano.

    Una ragazza, dopo aver sostato un attimo incerta davanti all’ascensore occupato, prese a scendere precipitosa le rampe. La scala era deserta e la sua corsa ebbe termine davanti a una porta metallica. Senza fiato, la giovane rimase immobile alcuni istanti, poi con la mano che tremava visibilmente afferrò la maniglia e spinse. Incredula, rimase a osservare le automobili allineate. Non sapeva da che parte dirigersi: era braccata. Smarrita.

    «Ciao!».

    Al suono di quella voce sconosciuta si sentì raggelare, il cuore le balzò in petto. Cautamente girò la testa e nella semioscurità cercò di darle un volto.

    Il giovane che aveva parlato la scrutò con evidente curiosità.

    «Cosa ti succede?» s’informò con voce gentile.

    «Mi sono persa» balbettò lei. Appoggiò la schiena alla porta metallica perché a malapena si reggeva in piedi. Intanto l’altro aveva acceso le luci e la osservava tra il divertito e il serio.

    «Sei nel parcheggio sotterraneo di questo palazzo. Sarà meglio uscire prima che tu svenga».

    La guidò attraverso le automobili e mentre procedevano la sbirciava con interesse.

    Era una ragazza di media statura, coi capelli neri che le cadevano sulle spalle; il viso, dalla pelle chiara, metteva in evidenza gli occhi, di una profonda tonalità di grigio. Ebbe la sensazione di avere davanti una ragazza molto graziosa. Sicuramente più giovane di lui di qualche anno. Giunti all’aperto, dove lei lo aveva seguito fiduciosa, conscia della propria impotenza, lui si fermò.

    «Ti sei presa un bello spavento! Stai ancora tremando».

    «Credo di sì».

    «Com’è che sei finita là sotto?».

    «Non so bene… È la prima volta che vengo qui».

    «Infatti non ti ho mai vista. Cercavi qualcuno?».

    «Una mia compagna di scuola. Grazie per avermi aiutata. Ciao».

    «Aspetta un momento» la trattenne per un braccio. «Come ti chiami?». Lei esitò, allora lui continuò: «Io sono Giampiero Meri e abito in questo palazzo».

    «Sono Carla Rolli. Devo andare. Sono attesa a una festa».

    «Oh. Ora capisco la ragione di tanta eleganza». Carla arrossì, ma non rispose.

    «Dove si tiene la festa?».

    Di nuovo la ragazza rimase muta. Non aveva la benché minima voglia di andare a quella festa.

    Allora lui osservò: «Qui siamo alla periferia della città e senza un mezzo proprio è difficoltoso spostarsi. La fermata dell’autobus è distante».

    Lei lo sapeva bene, perché per arrivare aveva percorso a piedi un bel tratto di strada sotto al sole cocente.

    «Avrei dovuto andarci in macchina con la mia compagna che abita qui».

    Alzò gli occhi per osservare meglio quel giovane alto, dai capelli castani chiari e occhi scuri.

    «Conosco tutte le ragazze del palazzo. Come si chiama la tua amica?».

    Quando lei glielo disse, lui esclamò euforico: «Rita Cerbini?! Le nostre madri si frequentano. Rita mi ha invitato a questa festa. Non pensavo di andarci, ma ora…» rimase un attimo pensieroso. «Sei fortunata, ho la motocicletta poco distante. Andiamo».

    Con riluttanza lei lo seguì e quando furono davanti al veicolo osservò: «Bella!».

    Lui sorrise. «Sì, è molto bella. Me l’hanno regalata i miei per la laurea».

    «Sei già laureato?» domandò stupita.

    «Non ancora, in realtà. Sono iscritto ad Architettura, per ora ho finito gli esami e conto di discutere la tesi in autunno». La motocicletta partì e Carla si tenne ben stretta a Giampiero per non cadere dalla sella.

    La casa dove si svolgeva la festa si trovava in collina, verso Fiesole. Era un villino circondato da un bel frutteto, alla cui ombra i ragazzi e le ragazze stavano scaricando le tensioni della maturità appena superata.

    L’arrivo della potente motocicletta destò l’attenzione del gruppo; in particolare quella di Rita, che si staccò dagli altri e avanzò fino a fermarsi accanto ai due arrivati.

    «Che sorpresa! Non sapevo che vi conosceste!» esclamò fissando l’amica negli occhi con un’espressione seria e curiosa.

    «Ora lo sai» rispose il giovane «e siccome entrambi eravamo invitati abbiamo pensato di venire insieme».

    Così dicendo prese sottobraccio Carla e la guidò al tavolo delle bevande.

    Carla si versò del tè freddo e prese a sorseggiare la bevanda; desiderò essere altrove, ma l’istinto le suggeriva di rimanere. Cacciò in fondo agli occhi le lacrime e assunse un’apparenza serena.

    Poco distante, Rita e Giampiero conversavano. In verità era Rita a parlare, lui appena l’ascoltava, preso com’era a osservare l’espressione ancora tesa di quella ragazza appena conosciuta, e mentre guidava Rita nell’improvvisata pista da ballo si convinse che doveva essersi presa un bello spavento nel parcheggio.

    Quando la musica cessò di suonare, il giovane le si avvicinò nuovamente.

    «Non balli?».

    «Non sono capace».

    Lui comprese che diceva sul serio. La fissò un momento incerto, poi si allontanò alla ricerca di una nuova compagna. Distanti, di tanto in tanto i loro sguardi si incontravano in una fugace occhiata: quella di lui era divertita, ma ugualmente tenera, quella di lei pervasa da una sensazione imbarazzata.

    Un paio d’ore dopo Carla decise di lasciare la festa. Furtivamente guadagnò il cancello, ma subito alle sue spalle la voce di Giampiero la trattenne.

    «Vai già via?».

    «Sì, non mi sento bene. Questo caldo mi distrugge. Devo anche preparare la cena a papà e a mio fratello. Ciao».

    Questa sua determinazione non smosse Giampiero, che mettendosi al suo fianco osservò: «Sarei curioso di sapere come intendi scendere in città. Ti accompagno io in moto».

    Carla abitava in una via del centro di Firenze, e quando giunsero davanti casa lei lo ringraziò.

    «Sono mortificata. Non volevo tu lasciassi la festa per accompagnarmi».

    Lui sorrise senza rispondere. Fermi davanti al portone, nessuno dei due sembrava avere più fretta. Lei giocherellava con le chiavi, mentre lui lasciava vagare lo sguardo dall’ingresso al volto di lei.

    «Mi dai il tuo numero di telefono? Vorrei rivederti, fanciulla misteriosa».

    Il suo sorriso accattivante la convinse a dargli il numero.

    Una manciata di minuti dopo, nella sua camera, la ragazza era di nuovo in balia del panico.

    Ciò che aveva fatto era mostruoso, inspiegabile. Disperata, cercò delle attenuanti a quel gesto folle, ma non le riuscì di trovarne alcuna: si sentiva in preda a potenze ostili, sconosciute. Vedeva l’uomo steso a terra e lei col tagliacarte in mano. Nulla lasciava presagire che l’incontro si sarebbe concluso in quel modo. Per un istante prese in considerazione l’idea di chiedere aiuto a qualcuno. Ma a chi? Non le venne in mente nessuna persona con la quale potersi confidare. Con un lungo lamento si buttò sul letto e, affondato il viso nel cuscino, scoppiò a piangere. Poco dopo, sopraffatta dalla tensione e dalla stanchezza, cadde in un sonno profondo. La mattina dopo si svegliò al suono del telefono. Rimase in ascolto incerta, alla fine scese dal letto e a piedi nudi raggiunse l’apparecchio nel corridoio. Era suo padre.

    «Buongiorno tesoro. Hai riposato bene? Ti sei divertita alla festa?».

    Ancora intontita per il brusco risveglio, rispose in modo elusivo: «È stata una bella festa. Ti racconterò al mio arrivo. Parto col solito treno».

    Qualche ora dopo, mentre si dirigeva verso la stazione, acquistò un quotidiano. Seduta al suo posto, prese a sfogliare diligentemente le pagine per non lasciarsi sfuggire un eventuale articolo sul fattaccio. Non trovando nulla, si lasciò andare contro lo schienale e per alcuni minuti rimase a osservare le case che sfrecciavano oltre il vetro del finestrino. Lo scompartimento era vuoto e lei prese a pensare. Si sentiva sgomenta perché non riusciva a dare una spiegazione alla violenza che l’aveva invasa davanti a quell’uomo e che l’aveva portata a impugnare il tagliacarte e a colpirlo lasciandolo poi privo di sensi sul pavimento. Nonostante cercasse di ricordare i gesti, le parole che si erano detti, nella sua mente rimaneva solo quella figura distesa a terra.

    Alla stazione di Viareggio vide il fratello in attesa sul marciapiede.

    «Mi porti al mare nel pomeriggio?» le chiese il ragazzo dopo averla abbracciata.

    Lei promise. Non se la sentiva di stare per tante ore in casa col padre, qualsiasi conversazione le sarebbe riuscita insopportabile. Sarebbe stato meglio sdraiarsi al sole, fare un bagno.

    ***

    Ore dopo, al rientro, i due fratelli trovarono il padre intento a preparare la cena.

    «Hai bisogno di aiuto?».

    «No Carla, grazie. Vai pure a farti la doccia».

    Più tardi, raccolti attorno al tavolo, Carla prese a raccontare della festa del giorno prima e descrisse il luogo dove si era svolta. I particolari su cui si soffermava erano seguiti con molto interesse dal padre. A un certo momento il ragazzo diede segni di stanchezza. Salutò e andò in camera.

    Padre e figlia rimasero a guardarsi in silenzio, poi lei prese a sparecchiare.

    Al padre non sfuggì l’espressione assorta, grave, della figlia. Percepiva che gli nascondeva qualcosa, ma non sapeva trovare un gancio a cui attaccarsi per farla parlare.

    Finito di riordinare la cucina Carla, accusando stanchezza, si ritirò nella sua stanza.

    CAPITOLO 2

    Un cielo sgombro di nubi splendeva su Viareggio e la brezza tiepida portava a pensare che quel lunedì sarebbe stata una giornata calda. Gino Rolli si era alzato di buon mattino per innaffiare il giardino e l’orto dietro casa. Dalla lunga gomma che teneva tra le mani usciva uno zampillo che si riversava sulle aiuole. Quando ne vedeva una particolarmente fiorita, si fermava alcuni istanti ad ammirarla.

    La costruzione era opera del suocero; risaliva agli anni del dopoguerra. A pianta rettangolare, aveva due piani e vi si accedeva salendo alcuni gradini. Al piano rialzato c’erano una grande cucina, la sala da pranzo, un ampio salotto-studio con il caminetto e un bagno. Salendo le scale si arrivava alle tre camere da letto e al secondo bagno. Il mare distava trecento metri e lo si poteva ammirare dalle due stanze che si affacciavano su quel lato. Una di queste era di Carla, molto spaziosa e l’unica ad avere un’ampia terrazza dalla quale si godeva la vista della spiaggia.

    In questo villino la famiglia Rolli trascorreva le vacanze e ogni momento libero da altri impegni.

    La nonna materna di Carla era sarta, e la ragazza ricordava ancora con affetto e nostalgia i tanti pomeriggi trascorsi accanto a lei a tagliare e cucire abiti per sé e per le sue bambole. I genitori di Gino erano invece pugliesi. Lui, portalettere nel paese natio, aveva conosciuto la futura moglie durante una gita dei dipendenti delle Poste di Firenze in Puglia. Alcuni mesi dopo aveva chiesto e ottenuto il trasferimento a Firenze. Si erano sposati nel giro di un anno. In seguito lui aveva frequentato una scuola serale e conseguito il diploma di ragioniere. Addetto allo sportello dei conti correnti, aveva mantenuto quell’impiego fino al pensionamento.

    Anni dopo, la moglie di Gino, Teresa, aveva perso entrambi i genitori in un incidente automobilistico sulla strada che da Firenze conduce al mare. Molto provata da questo duplice lutto, la donna era caduta in una profonda depressione dalla quale non si era più ripresa. Aveva smesso di uscire con gli amici e non era più ritornata a Viareggio. Un giorno, in un momento di particolare sconforto, si era tolta la vita lasciando nel dolore il marito e i due figli: Carla di dodici anni e Daniele di sei.

    La vita al villino si svolgeva con dei ritmi regolari. Innaffiare era sempre il primo lavoro di ogni mattina di Gino. Gli piaceva farlo, gli dava un senso di serenità e lo predisponeva al buon umore per il resto della giornata; tuttavia quella mattina l’uomo mostrava sul volto i segni di una notte insonne e di una grande tensione. I suoi pensieri erano rivolti a Carla. La sera prima aveva finto di non accorgersi dello stato d’animo della figlia e, speranzoso, aveva atteso che fosse lei a parlare, ma così non era stato. Cosa le era successo da turbarla così tanto? Perché era evidente che qualcosa doveva essere accaduto.

    Queste riflessioni furono interrotte dall’arrivo di una potente motocicletta che si fermò davanti al cancello. Incuriosito, Gino lasciò cadere la gomma e si avvicinò.

    Dopo essersi tolto il casco, un giovane lo salutò sorridendo apertamente: «Buongiorno. Rolli? Cerco Carla Rolli».

    Gino annuì col capo e sorrise: ecco spiegato il turbamento della figlia!

    «In questo momento non c’è. Venga, comunque, e sarà bene che metta dentro anche il suo bolide. Di questi tempi è meglio non fidarsi». Aveva accompagnato le parole aprendo il cancello grande. Attese che il giovane fosse entrato poi continuò: «Immagino non avrà fatto colazione. Vuole farmi compagnia?».

    Il giovane sorrise e accettò. Quell’uomo era simpatico. Durante la colazione Giampiero si sentì in dovere di raccontare che lui e Carla si erano conosciuti alla festa del sabato precedente e che l’aveva accompagnata a casa. Il giorno successivo, non ottenendo risposta al telefono, si era recato all’abitazione speranzoso d’incontrarla e una vicina gli aveva riferito che la ragazza era partita per il mare.

    «Ha avuto difficoltà a trovarci?».

    «Niente affatto! La vostra vicina è stata molto chiara nelle spiegazioni: Vada sul lungomare, fino al grande orologio…». Non riferì che la donna si era lasciata sfuggire che il padre e il fratello della ragazza si trovavano al mare da giugno, così lui aveva capito che Carla gli aveva mentito dicendo che doveva preparare la cena per loro.

    «Mia figlia non mi ha anticipato il suo arrivo».

    «È una sorpresa».

    Un lampo d’interesse attraversò lo sguardo del padrone di casa.

    «Carla ha l’abitudine di alzarsi molto presto per andare a passeggiare sulla spiaggia. Le piace farlo quando non c’è ancora gente. È una grande camminatrice».

    La conversazione fu interrotta da Daniele che, entrando in cucina, salutò con un gesto della mano per poi concentrarsi sui pasticcini.

    «Ciao, io sono Giampiero, un amico di tua sorella».

    Il ragazzo lo guardò per alcuni istanti, borbottò un saluto laconico e ritornò alla sua colazione. Finito di spalmare la nutella sul pane, si girò verso il nuovo arrivato e farfugliò:

    «Sarà sugli scogli. Se mi dai cinquecento lire posso accompagnarti».

    «Daniele!» esclamò il padre guardandolo serio.

    «Mi servono per comperare le figurine».

    «Potrebbe essere un buon affare» osservò divertito Giampiero.

    Mentre il ragazzo si preparava, il giovane aiutò a riordinare.

    «Ti fermi a pranzo?» chiese Gino smettendo di lavare le tazzine. Lo fissò con un’espressione che era più di un invito. Giampiero si sentiva a suo agio in quella casa, pertanto accettò.

    Più tardi, quando in motocicletta giunsero nelle vicinanze del luogo ove si trovava Carla, Giampiero allungò cinquecento lire a Daniele, che rifiutò.

    «Prometto di non dirlo a tuo padre».

    Il ragazzo disse di no con un cenno del capo e poi, con gli occhi incollati alla motocicletta, rispose: «Mi basta aver fatto un giro su questa. Accidenti che spettacolo!».

    Se ne andò fischiettando soddisfatto. Giampiero rimase a guardarlo finché scomparve nel traffico. Allora si girò e con una grossa catena bloccò la moto.

    ***

    Seduta su uno scoglio, Carla fissava il mare. In preda a un lieve stordimento, alla consapevolezza di essere veramente nei guai, cercava di difendersi da quella verità terribile alla quale non poteva sottrarsi. Tempo prima, un’ora, due ore, non ricordava, era uscita di casa abbastanza serena e a passi speranzosi si era diretta all’edicola. Davanti alla locandina il suo cuore aveva cessato di battere. La terribile notizia era scritta a grandi caratteri: Noto commercialista trovato morto dalla domestica. Aveva acquistato il giornale e di corsa raggiunti gli scogli. Lontana da occhi indiscreti aveva preso a leggere.

    Mentre stiamo andando in stampa ci giunge la notizia del ritrovamento del cadavere del commercialista Luigi Spatola. A fare la macabra scoperta è stata la domestica, che ha trovato l’uomo disteso a terra nel suo ufficio. Alle sue urla sono arrivati gli inquilini dello stesso pianerottolo, i quali hanno cercato di soccorrere l’uomo. Questo tentativo, inutile perché lo Spatola era già morto, potrebbe aver cancellato o alterato tracce utili a risolvere il caso, non avendo la polizia ancora stabilito se si tratta di suicidio o d’omicidio. L’ufficio è stato sigillato per permettere agli uomini della scientifica di svolgere le loro indagini. In questo momento le forze dell’ordine stanno interrogando la domestica e alcuni vicini. Appena avrà fatto ritorno dal mare, sarà interrogata la moglie, poi gli amici. Gli inquirenti scavano nella vita privata e professionale del commercialista, al fine di conoscere particolari, ma soprattutto la polizia vuole sapere chi nel pomeriggio di sabato o nelle prime ore di domenica ha fatto visita alla vittima. Si spera nell’aiuto dei vicini di casa perché qualcuno potrebbe aver visto o sentito qualcosa. Tante ipotesi che fanno da corollario a un macabro ritrovamento.

    Fissando la monotona distesa d’acqua di fronte a sé, Carla piangeva senza accorgersene. Avrebbe voluto tornare indietro nel tempo, al momento in cui era andata alla biblioteca per cambiare quel libro. Aveva sostato al tavolo dei quotidiani e ne aveva sfogliato uno. Il suo sguardo si era fermato sull’annuncio Cercasi impiegata.

    Nonostante la mattina fosse luminosa e calda, un freddo pungente l’avvolgeva tutta.

    Desiderava alzarsi, fuggire, scomparire dalla faccia della terra, ma le forze sembravano aver abbandonato il suo corpo. Ancora una volta si chiedeva perché mai non fosse riuscita a dominare quella violenza forte e sconosciuta che l’aveva portata ad aggredire l’uomo, a fare di lei un’assassina. Dalla sera alla mattina era forse impazzita?

    Immagini e ricordi la portarono ancora una volta lontano, a sua madre.

    Affermavano che il dolore per la perdita dei genitori l’avesse fatta impazzire, per questo motivo si era buttata dal quarto piano. Quella lontana mattina d’inverno durante la lezione di storia, suor Matilde, preside dell’Istituto Santa Maria Assunta, dove lei al tempo frequentava la scuola media e il fratellino le elementari, era entrata in aula e l’aveva chiamata. L’aveva condotta nella cappella del convento, e con parole affettuose, le aveva dato la triste notizia. La suora non aveva parlato di suicidio e solo anni dopo lei lo avrebbe saputo. Quel giorno il padre era andato a prenderli a tarda sera. Nelle ore precedenti la neve era caduta abbondantemente e in città gli spalatori avevano iniziato a pulire le strade. Si rivedeva al funerale, tremante negli abiti invernali: una mattina fredda, con una nebbia fitta che aveva trattenuto a casa molti amici dei genitori. La breve cerimonia si era svolta nella cappella del cimitero; un lungo silenzio aveva accompagnato la cassa che scendeva nella fossa gelida. Carla non si era mai sentita tanto sola quanto in quel momento. Negli anni successivi raramente era ritornata col pensiero a quei giorni, e se lo aveva fatto aveva preferito soffermarsi su suor Matilde, che da quel momento si era presa cura di lei. Con affetto materno la suora, sua insegnante, l’aveva aiutata e incoraggiata; i loro incontri si erano diradati solo quando lei aveva lasciato la scuola religiosa per proseguire gli studi presso il liceo linguistico statale.

    Ora a questi ricordi

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