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Lettere al padre
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Lettere al padre

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Virginia Galilei, figlia illegittima del celebre scienziato Galileo e della veneziana Marina Gamba, nacque a Padova nel 1600. Si trasferì da Padova a Firenze nel 1611. Entrò con la sorella Livia (Suor Arcangela) - una di 13 e l'altra di 12 anni - nel Monastero di S. Matteo in Arcetri dell'Ordine delle Sorelle Povere nel 1613 assumendo il nome di Suor Maria Celeste. Morì a Arcetri, Firenze nel 1634, otto anni prima del padre.
Di Virginia rimangono 124 lettere scritte al padre e da questi gelosamente conservate (in una di esse Virginia si dice commossa che il padre conservi le sue lettere); la prima è del 1623, l'ultima del dicembre 1633, quando Galileo rientrò da Siena per scontare gli arresti domiciliari inflittigli dal Sant'Uffizio al termine del noto processo. Galileo viveva all'epoca nella Villa "Il Gioiello", a poche decine di metri dal Convento dove si trovava la figlia: venne dunque meno l'esigenza di un rapporto epistolare. Di contro, non ci è pervenuta nessuna lettera scritta da Galileo alla figlia, probabilmente perché, alla morte di lei, le lettere furono distrutte essendo pur sempre di un sospettato di eresia.
LanguageItaliano
Publisherepf
Release dateMar 21, 2018
ISBN9780244976255
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    Lettere al padre - Virginia Galilei

    Virginia Galilei

    Lettere al padre

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    informatica umanistica

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    Ebook realizzato nel 2018 da un'opera di pubblico dominio.

    1.

    A Firenze

    San Matteo, 10 maggio 1623

    Molto Illustre Signor Padre.

    Sentiamo grandissimo disgusto per la morte della sua amatissima sorella e nostra cara zia; ne abbiamo, dico, gran dolore per la perdita di lei e ancora sapendo quanto travaglio ne avrà avuto V. S. [Vostra Signoria], non avendo lei, si può dir, altri in questo mondo, né potendo quasi perder cosa più cara, sì che possiamo pensar quanto gli sia stata grave questa percossa tanto inaspettata. E, come gli dico, partecipiamo ancor noi buona parte del suo dolore, se bene dovrebbe esser bastato a farci miglior conforto la considerazione della miseria umana, e che tutti siamo qua come forestieri e viandanti, che presto siamo per andar alla nostra vera patria nel Cielo, dove è perfetta felicità, e dove sperar doviamo che sia andata quell'anima benedetta. Sì che, per l'amor di Dio, preghiamo V. S. a consolarsi e rimettersi nella volontà del Signore, al quale sa benissimo che dispiacerebbe facendo altrimenti; e anco farebbe danno a sé ed a noi, perché non possiamo non dolerci infinitamente, quando sentiamo ch'è travagliata e indisposta, non avendo noi altro bene in questo mondo che lei.

    Non gli dirò altro, se non che di tutto cuore preghiamo il Signore che la consoli e sia sempre seco, e con vivo affetto la salutamo.

    figliuola Affezionatissima

    S. Maria Celeste.

    2.

    In Villa

    10 agosto [1623]

    Molto Illustre Signor Padre.

    Il contento che mi ha apportato il regalo delle lettere che mi ha mandato V. S. scrittegli da quell'illustrissimo Cardinale, oggi sommo Pontefice, ci è stato inesplicabile, conoscendo benissimo in quelle, qual sia l'affezione che le porta, e quanta stima faccia della sua virtù. Le ho lette e rilette con gusto particolare, e glie le rimando come m'impone, non l'avendo mostrate ad altri che a Suor Arcangela, la quale insieme meco ha sentito estrema allegrezza, per veder quanto lei sia favorita da persona tale. Piaccia pure al Signore di concedergli tanta sanità quanta gli è di bisogno per adempire il suo desiderio di visitar Sua Santità, acciocchè maggiormente possa V. S. esser favorita da quella; e anco vedendo nelle sue lettere quante promesse gli faccia, possiamo sperare che facilmente avrebbe qualche aiuto per nostro fratello.

    Intanto noi non mancheremo di pregar il Signore, dal quale ogni grazia deriva, che gli dia di ottener quanto desidera, purché sia per il meglio.

    Mi vo immaginando che V. S. in questa occasione avrà scritto a Sua Santità una bellissima lettera per rallegrarsi con lei della dignità ottenuta, e, perché sono un poco curiosa, avrei caro, se gli piacesse, di vederne la copia, e la ringrazio infinitamente di queste che ci ha mandate, e ancora dei poponi a noi gratissimi. Le ho scritto con molta fretta, imperò la prego a scusarmi se ho scritto così male. La saluto di cuore insieme con l'altre solite.

    figliuola Affezionatissima

    S. M. C.

    3.

    In Villa

    13 agosto 1623

    Molto Illustre Signor Padre.

    La sua amorevolissima lettera è stata cagione che io a pieno ho conosciuta la mia poca accortezza, stimando io che così subito dovessi V. S. scrivere a una tal persona, o per dir meglio al più sublime signore di tutto il mondo. Ringraziola adunque dell'avvertimento, e mi rendo certa che, mediante l'affezione che mi porta, compatisca alla mia grandissima ignoranza e a tanti altri difetti che in me si ritrovano. Così mi foss'egli concesso il poter di tutti essere da lei ripresa e avvertita, come io lo desidero e mi sarebbe grato, sapendo che avrei qualche poco di sapere e qualche virtù che non ho.

    Ma poiché, mediante la sua continua indisposizione, ci è vietato infino il poterla qualche volta rivedere, è necessario che pazientemente ci rimettiamo nella volontà di Dio, il quale permette ogni cosa per nostro bene.

    Io metto da parte e serbo tutte le lettere che giornalmente mi scrive V. S., e quando non mi ritrovo occupata, con mio grandissimo gusto le rileggo più volte, sì che lascio pensare a lei se anco volentieri leggerò quelle che gli sono scritte da persone tanto virtuose e a lei affezionate.

    Per non la infastidire di troppo, farò fine, salutandola affettuosamente insieme con Suor Arcan-gela e l'altre di camera, e Suor Diamante ancora.

    figliuola Affezionatissima

    S. M. Celeste.

    4.

    A Firenze

    San Matteo, 17 agosto 1623

    Molto Illustre Signor Padre.

    Sta mattina ho inteso dal nostro fattore che V. S. si ritrova in Firenze indisposta: e perché mi par cosa fuora del suo ordinario il partirsi di casa sua quando è travagliata dalle sue doglie, sto con timore, e mi vo immaginando che abbia più male del solito.

    Pertanto la prego a darne ragguaglio al fattore acciocchè, se fosse manco male di quello che temiamo, possiamo quietar l'animo. Ed invero che io non m'avveggo mai d'esser monaca se non quando sento che V. S. è ammalata, poiché allora vorrei poterla venir a visitare e governare con tutta quella diligenza che mi fosse possibile. Orsù ringraziato sia il Signore Iddio d'ogni cosa, poiché senza il suo volere non si volta una foglia.

    Io penso che in ogni modo non gli manchi niente, pur veda se in qualche cosa ha bisogno di noi e ce l'avvisi, che non mancheremo di servirla al meglio che possiamo. Intanto seguiteremo, conforme al nostro solito, di pregare nostro Signore per la sua desiderata sanità, e anco che gli conceda la sua santa grazia. E per fine di tutto cuore la salutiamo insieme con tutte di camera.

    figliuola Affezionatissima

    S. M. Celeste.

    5.

    A Firenze

    San Matteo, 21 agosto 1623

    Molto Illustre e Amatissimo Signor Padre.

    Desiderosa oltremodo d'aver nuove di V. S. mando costì il nostro fattore, e per un poco di scusa gli mando parecchi pescetti di marzapane, quali, se non saranno buoni come quelli d'Arno, non penso che siano per essere cattivi affatto per lei, e massimamente venendo da San Matteo.

    Non intendo già d'apportargli incomodo o fastidio con questa mia, per causa dello scrivere, ma solo mi basta d'intendere a bocca come si sente, e perché se niente possiamo in suo servizio ce l'avvisi. Suor Chiara si raccomanda a suo padre e a suo fratello e a V. S. di tutto cuore; e il simile facciamo ambedua noi, e dal Signore Iddio gli preghiamo e desideriamo la perfetta sanità.

    Ricevemmo i poponi e' cocomeri buonissimi, e ne la ringraziamo.

    figliuola Affezionatissima

    S. M. Celeste.

    6.

    A Firenze

    San Matteo, 28 agosto 1623

    Molto Illustre Signor Padre.

    Ci dispiace grandemente il sentire che per ancora V. S. non pigli troppo miglioramento, anzi che se ne stia in letto travagliata e senza gusto di mangiare, che tanto intendemmo ieri da messer Benedetto. Niente di manco abbiamo ferma speranza che il Signore, per sua misericordia, sia per concedergli in breve qualche parte di sanità, non dico in tutto, parendomi quasi impossibile, mediante le sue tante indisposizioni, quali continuamente la molestano, e le quali indubitatamente gli saranno causa di maggior merito e gloria nell'altra vita, essendo da lei tollerate con tanta pazienza.

    Ho cercato di provveder quattro susini per mandargli e gliene mando, se bene non sono di quella perfezione che avrei voluto; pure accetti V. S. il mio buon animo.

    Gli ricordo che quando riceve risposta da quei signori di Roma, m'ha promesso di concedermi che ancor io la possa vedere; dell'altre lettere, che m'aveva promesso mandarmi, non starò a dirgli niente, imaginandomi che le tenga in villa. Per non l'infastidire troppo non gli dico altro, se non che di tutto cuore la saluto insieme con Suor Arcangela e l'altre solite. Nostro Signore la consoli e sia sempre seco.

    figliuola Affezionatissima

    S. M. C.

    7.

    A Firenze

    San Matteo, ultimo d'agosto 1623

    Molto Illustre e Amatissimo Signor Padre.

    Ho letto con gusto grandissimo le belle lettere da lei mandatemi. La ringrazio, e gliene rimando con la speranza però d'averne per l'avvenire a veder dell'altre. Mandogli appresso una lettera di Vincenzio acciocchè con comodo gliela mandi.

    Ringrazio il Signore, e mi rallegro con lei del suo miglioramento, e la prego a riguardarsi più che gli è possibile fino a tanto che non racquista la desiderata sanità. La ringrazio delle sue troppo amorevolezze, che in vero, mentre che ha male, non vorrei che di noi si pigliassi tanto pensiero. La saluto con ogni affetto, insieme a Suor Arcangela, e da Nostro Signore gli prego abbondanza della sua grazia.

    figliuola Affezionatissima

    S. M. Celeste G.

    8.

    A Bellosguardo

    San Matteo, ultimo di settembre [1623]

    Amatissimo Signor Padre.

    Le mando la copiata lettera, con desiderio che sia in sua satisfazione, acciocché altre volta possa V. S. servirsi dell'opera mia, essendomi di gran gusto e contento l'occuparmi in suo servizio.

    Madonna non si trova in comodità di comprar vino, fino che non sarà finito quel poco ch'abbiamo ricolto, sì che fa sua scusa appresso di lei, non potendo dargli satisfazione, e la ringrazia dell'avviso datogli intorno al vino. Quello che ha mandato a Suor Arcangela è assai buono per lei e ne la ringrazia: e io insieme con lei ne la ringrazio del refe e altre sue amorevolezze.

    Per non tenere a bada il servitore non dirò altro, se non che la saluto caramente in nome di tutte e dal Signore Iddio gli prego ogni desiderato contento.

    sua figliuola Affezionatissima

    S. M. Celeste.

    9.

    A Bellosguardo

    [autunno 1623 ?]

    Amatissimo Signor Padre.

    Le frutta che V. S. ha mandate mi sono state gratissime, per esser adesso, per noi, quaresima; sì come anco a Suor Arcangela il caviale; e la ringraziamo.

    Vincenzio si ritrova molto a carestia di collari, se bene egli non ci pensa, bastandogli averne uno imbiancato ogni volta che gli bisogna; ma noi duriamo molta fatica in accomodargli, per esser assai vecchi, e perciò vorrei fargliene quattro con la trina insieme con i manichini; ma perché non ho né tempo né danari per farli, vorrei che V. S. supplissi a questo mancamento col mandarmi un braccio di tela batista e 18 o 20 lire almanco per comprare le trine, le quali mi fa la mia signora Ortensa molto belle; e perché i collari usano adesso assai grandi, vi entra assai guarnizione; dopo che Vincenzio è stato così obediente a V. S. che porta sempre i manichini, perciò, dico, egli merita di avergli belli; sì che Ella non si maravigli se domando tanti danari. Per adesso non dirò altro, se non che di cuore saluto ambeduoi, insieme con Suor Arcangela. Il Signore la conservi.

    sua figliuola Affezionatissima

    S. M. Celeste.

    10.

    In Villa

    San Matteo, 20 ottobre 1623

    Molto Illustre e Amatissimo Signor Padre.

    Gli rimando il resto delle sue camice che abbiamo cucite e anco il grembiale quale ho accomodato meglio che è stato possibile. Rimandogli anco le sue lettere, che, per esser tanto belle, m'hanno accresciuto il desiderio di vederne delle altre. Adesso attendo a lavorare nei tovagliolini, sì che V. S. potrà mandarmi i cerri per metter alle teste, e gli ricordo che bisogna che siano alti, per esser i tovagliolini un poco corti.

    Adesso ho rimesso di nuovo Suor Arcangela nelle mani del medico, per vedere, con l'aiuto del Signore, di liberarla dalla sua noiosa infermità, che a me apporta infinito travaglio.

    Da Salvadore ho inteso che V. S. ci vuol venire presto a vedere, il che molto desideriamo; ma gli ricordo ch'è obbligato a mantener la promessa fattaci, cioè di venire per star una sera da noi, e potrà star a cena in parlatorio, perché la scomunica è mandata alla tovaglia e non alle vivande.

    Mandogli qui inclusa una carta, la quale, oltre al manifestargli qual sia il nostro bisogno, gli porgerà anco materia di ridersi della mia sciocca composizione; ma il veder con quanta benignità V. S. esalta sempre il mio poco sapere, m'ha dato l'animo a far questo. Scusimi adunque V. S., e con la sua solita amorevolezza supplisca al nostro bisogno. La ringrazio del pesce, e la saluto affettuosamente insieme con Suor Arcangela. Nostro Signore gli conceda intera felicità.

    figliuola Affezionatissima

    S. M. C.

    11.

    In Villa

    San Matteo, 29 ottobre [1623 ?]

    Molto Illustre e Amatissimo Signor Padre.

    S'io volessi con parole ringraziar V. S. del presente fattoci, oltre che non saprei a pieno sodisfare al nostro debito, credo che a lei non sarebbe molto grato, come quella che, per sua benignità, ricerca più presto da noi gratitudine d'animo che dimostrazioni di parole e cerimonie. Sarà dunque meglio che nel miglior modo che possiamo, ch'è con l'orazione, cerchiamo di riconoscere e ricompensar questo e altri infiniti, e di gran lunga maggiori, benefizi che da lei ricevuti abbiamo.

    Gl'avevo domandato dieci braccia di roba, con intenzione che pigliassi rovescio stretto e non questo panno di tanta spesa e così largo e bello, quale sarà più che a bastanza per farne le camiciuole.

    Lascio pensar a lei quale sia il contento che sento in legger le sue lettere che continuamente mi manda; che solo il vedere con quale affetto V. S. si compiace di farmi partecipe e consapevole di tutti i favori, che riceve da questi signori, è bastante a riempirmi d'allegrezza. Se bene il sentire che così presto deve partirsi mi pare un poco aspro, per aver a restar priva di lei, e mi vado immaginando che sarà per lungo tempo, né credo d'ingannarmi.

    E V. S. può credermi, poiché gli dico il vero, che dopo lei, io non ho altri che possa darmi consolazione alcuna; non per questo mi voglio dolere della sua

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