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Io sono un numero 9
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Io sono un numero 9

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About this ebook

A seguito di un terribile incidente Marcello si ritrova in coma in una camera d'ospedale. Lo stato d'incoscienza in cui versa, lo induce a far visita ai ricordi del passato, ripercorrendo le tappe di vita che lo hanno forgiato negli anni.

Analizzando ogni singolo particolare del tempo tra coscienza e conoscenza, subisce una metamorfosi che, al suo risveglio, compie ulteriormente per mezzo dell'aiuto dell'infermiera che lo ha assistito dal momento del ricovero in ospedale.

Il protagonista mosso dal sentimento per questa donna, si ritroverà a comprendere una nuova verità, ovvero che possedere ancora un'anima significa poter per sempre amare.

La sua determinazione, voglia di vivere e attaccamento all'essenza dell'amore, lo aiuteranno a scoprire la vastità senza spazio e senza tempo di quel mistero che chiamiamo vita.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateMar 5, 2018
ISBN9788827817018
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    Io sono un numero 9 - Lenio Fabris

    fantasia.

    IO SONO UN NUMERO 9


    di Lenio Fabris

    Mettimi come un sigillo sul tuo cuore, come un sigillo sul tuo braccio; perché l’amore è forte come la morte, la gelosia è dura come il soggiorno dei morti. I suoi ardori sono ardori di fuoco, fiamma potente. Le grandi acque non potrebbero spegnere l’amore, i suoi fiumi non potrebbero sommergerlo. Se uno desse tutti i beni di casa sua in cambio dell’amore, sarebbe del tutto disprezzato.

    Cantico dei cantici 8: 6-7

    2018

    Per la mia musa. Senza la quale,

    le parole di questo testo non avrebbero senso.

    A mio padre e mia madre.

    Io Sono Un Numero 9

    Prologo


    "A dar da mangiare al pensiero

    si finisce per vomitare il tutto".

    Ho trascorso la maggior parte del tempo a pensare tutta la mia modesta vita. Le persone a me care me lo dicevano, soprattutto mia madre: figlio mio ti avrei voluto meno sensibile. Quanto ti ho trasferito per educarti, ti ha reso una persona poco spensierata. Non vivi con la leggerezza che la vita richiede, così come me non farai altro che pensare e ripensare a ogni tua azione intrapresa fino a che non ne avrai pace. Ho paura che tu possa diventare insicuro. Vivi con spensieratezza.

    Per quanto sia difficile ammetterlo, i genitori molto spesso hanno ragione. In quasi tutti i casi, però, i loro sforzi per evitare ai figli gli errori da loro commessi in gioventù falliscono. Spesso, senza volerlo, i loro consigli conducono i figli sull’orlo di un precipizio generato proprio dalle paure degli adulti.

    Non provare mai a dire a qualcuno ciò che non deve fare, perché ti ritroverai a sortire l’effetto opposto. Il rifiuto mentale è un classico quando si parla di legami genitore-figlio. L’argomento è sempre attuale, quasi intramontabile. Di generazione in generazione, il fenomeno diviene ancora più evidente e attuale.

    Per fortuna si dice che dagli errori s’impari, ma se non fosse proprio così? E se in fondo alla coscienza che ognuno possiede, vi sia invece una spiccata propensione a cacciarsi nei guai?

    Col tempo ho imparato a credere che quel pensare eccessivamente induca a valutazioni troppo ragionate, poiché partorite dal cervello e spesso non ben bilanciate dal cuore. A volte invece, diversamente, può verificarsi il contrario, ma quindi a chi bisognerebbe dare ascolto, al cervello o al cuore? Ci sono molte discussioni, lunghi trattati e veri studi scientifici sull’argomento. Che cosa regola il libero arbitrio e chi guida l’uomo nelle scelte quotidiane?

    Nella mia vita, esperienza dopo esperienza, le certezze dettate dalla ragione diventavano sempre più flebili. Insorgevano i primi dubbi. Cresceva in seno alla mia coscienza il terrore improvviso di aver sbagliato tutto. Si materializzava un quadro generale della vita, che aveva del disperato. Le teorie che avevano fatto partorire in me naturalmente intelletti di finta stabilità e rigore emotivo, lasciavano spazio a qualcosa che aveva del rivoluzionario, poiché generatrici di rivolta interiore. Gli schemi fissi mentali, assiomi di quella vita archetipica, non inducevano più alla felicità, ma diventavano scheletri traballanti pronti a crollarti addosso. Quando si ha questa sensazione, ci sono due tipi di reazione che l’individuo può avere: l’indifferenza, affidandosi a quel torpore dato dalle certezze possedute, oppure praticare un vero stravolgimento, una metamorfosi. L’individuo accetta di lasciarsi coraggiosamente stravolgere, cambiando tutto; non trascinandosi, ma rimorchiando o spingendo qualcosa o qualcuno.

    Il coraggio acquisito diventa alleato, sconfigge tutte le paure, azzittisce il pensiero, demolisce gli schemi e lascia spazio al cuore.

    Quando provai quei sentimenti, allontanai le paure e guardai cosa ci fosse oltre. Conobbi un altro me e lasciai che mi guidasse.

    1. Pennsylvania, giugno 2015


    La Interstate 380 è una strada sempre molto battuta dai pullman dei Tour Operators, che si dirigono da New York alle Cascate del Niagara. Tantissimi turisti, soprattutto europei, di solito acquistano il famoso pacchetto della East Coast. Sono fortemente attratti dalle metropoli americane come New York, ma, allo stesso tempo, allettati dall’idea di ammirare le meravigliose grandi cascate dell’America settentrionale.

    A cavallo tra il Canada e gli Stati Uniti d'America, ubicate tra i laghi Erie e Ontario, due dei più importanti del sistema idrografico statunitense, le Cascate del Niagara sono formate da un complesso di tre cascate distinte, ma originate dallo stesso corso d’acqua, il fiume Niagara. Il termine deriva dall’irochese (lingua dei nativi americani) Onguiaahra, che significa ‘acque tuonanti’.

    Quando mi trovai davanti a quello spettacolo, offerto ciclicamente dall’imponente muro d’acqua in caduta nel vuoto, non potei fare a meno di restare senza fiato. La guida che accompagnava il gruppo continuava a esaltare i numeri della portata d’acqua che, ogni minuto, piombava facendo un salto di ben cinquantadue metri. L'acqua, precipitando, concedeva ai visitatori dei bellissimi sbuffi bianchi ai quali nessun turista poteva resistere. Io stesso, fortemente attratto da quello scenario, cercai con la mia fotocamera lo scatto perfetto che potesse immortalare quel momento. L’immagine che potesse ritrarre, tra i fumi di vapore acqueo, il continuo crearsi di arcobaleni, tanto colorati da avere la sensazione di poterli toccare.

    Le cascate dal versante canadese..., proseguì la guida, "sono costituite dalle horseshoe falls (ferro di cavallo, per la forma semicircolare) dette talvolta anche canadian fall. Sono separate dalle American Falls, sul lato statunitense, dalla Goat Island (isola delle Capre) e finiscono sempre nel suolo statunitense, con le più piccole Bridal Veil Falls (cascate a velo nuziale) che sono sicuramente le più amate e desiderate dalle coppie di sposi. Vengono qui, infatti, per farsi ritrarre in foto con quello sfondo incantevole, reso ancor più incredibile dai milioni di effetti di luce che l’acqua è in grado di generare."

    Per un istante, chiudendo gli occhi, immaginai che da americano sarebbe stato bello sposarsi e fare lo stesso, ma da buon italiano avevo altri luoghi ai quali riferirmi. In particolare, una bellissima villa antica dai contorni merlettati, derivanti da influenze orientaleggianti egiziane. Da sempre era stata oggetto dei miei desideri e perfetta per le foto. Da piccolo, quando ci passavo davanti con i miei, restavo sorpreso dall’enorme numero di coppie che non appena sposate, vi accedevano allo scopo di posare in quelle istantanee dal ricordo indelebile. Quelle immagini le avrebbero poi mostrate ad amici e parenti durante le solite visite di cortesia e in quelle occasioni, infatti, con una banale scusa avrebbero proposto, con orgoglio ed entusiasmo, il proprio album fotografico del matrimonio.

    Quanto odiavo quei momenti, quando da ospite ero costretto a fingermi piacevolmente preso dall’idea di vedere l'album di nozze. Fotografie ripetute con un uso snodato di stili diversi o di filtri digitali dei più stravaganti. Tanto lavoro, per un risultato che sembrava quasi identico pagina dopo pagina. Non osavo immaginare, invece, quanto potesse esser noioso il filmino del matrimonio. Per me che adoravo di gran lunga una interessante e socievole chiacchierata tra amici appariva, infatti, come un pugno in pancia capace di togliere il fiato.

    Pensavo spesso a quella villa, sfogliando mentalmente i luoghi della mia infanzia salentina e di quelle belle estati trascorse con spensieratezza. Mi veniva in mente una foto all'età di dieci anni, nella quale ero in compagnia di mia mamma. Ci ritraeva entrambi in costume da bagno, in piedi lungo il viale d’ingresso di quella tenuta. Il viale divideva in due ampie zone, un parco formato da alberi dalla folta chioma aghiforme. Il ricordo legato a quell’immagine risvegliava in me il canto di centinaia cicali gracchianti a festa. Nell’aria si percepivano i profumi dell’estate; di un pomeriggio di luglio dal caldo afoso, appena temperato dalle fresche ombre create da quei giganti verdi: i pini marittimi. Davanti alla casa, uno spiazzo in ghiaino arrivava sino ai piedi di due imponenti scale in pietra colonnate. Si ergevano a mezzaluna a destra e sinistra, sino a riunirsi sul ballatoio centrale coperto da una romantica loggetta a volte. La facciata, in stile moresco, era assolutamente affascinante. Merito della cura dedicata ai dettagli architettonici. Le finestre del piano primo erano sormontate da bellissimi archi a punta e arricchite da motivi floreali. Al piano terra dell’edificio, centralmente, era stato ricavato un arco in pietra e gesso in stile arabesco. Fungeva da passaggio carraio per il giardino posteriore, il quale era stato piantumato con palmizi e altre varietà di piante esotiche. Quella vegetazione, unitamente allo stile del palazzo, immergeva i visitatori nella sensazione di rivivere le atmosfere tipiche de Le mille e una notte.

    Al momento di riaprire gli occhi, la guida capeggiava il gruppo che si accingeva a percorrere un sentiero scosceso. Discendeva tra le rocce attraverso una scalinata panoramica. La voce di Alice destò all’improvviso la mia attenzione:

    Marcello coraggio, non perder tempo ci stiamo allontanando dal gruppo!.

    La sua mano aveva preso la mia, come se si fosse materializzata dal nulla. Il gesto era stato energico, tipico del suo temperamento sportivo. Era stata una sportiva e il suo fisico non tradiva le apparenze. Quando incontrava persone nuove, era abituata a stringere con vigore loro la mano, continuando a sorridere cordialmente. Dotata di un’altezza sopra la media, aveva un corpo dalla muscolatura molto sviluppata. Soprattutto gli arti inferiori lo erano. Colpa dei tanti allenamenti che aveva fatto da ragazzina, in una breve ma intensa carriera sportiva che le aveva dato tante soddisfazioni. E pensare che quella bambina si era approcciata allo sport, solo per passare il tempo nei noiosi pomeriggi invernali.

    Arrivati dietro al gruppo, scorsi fra le teste, l’imbarco per il "Maid of the mist". Il battello eseguiva un servizio di trasporto turisti, fino al punto in cui le acque delle cascate del Niagara precipitavano potenti, echeggiando come il rombo di un tuono. A bordo, l’equipaggio del battello fornì a tutti i passeggeri impermeabili di colore blu elettrico. Dopo i primi momenti di imbarazzo, nei quali si cercava goffamente di comprendere come indossare quella che sembra essere una busta di plastica informe con all'estremità un cappuccio, mi guardai attorno in barca tra i volti allegri dei nostri compagni di viaggio. Tutti apparivano particolarmente eccitati dall’esperienza che si apprestavano di lì a poco a vivere. Forse anche sul mio viso trapelava lo stesso entusiasmo, perché dentro di me vivevo quel momento esaltato dall’idea di un così vicino contatto con l’acqua in caduta.

    Mollati gli ormeggi, il battello puntò la prua verso la montagna d’acqua a staffa di cavallo. Man mano che ci si avvicinava diventava sempre più imponente. All’inizio giunse acqua nebulizzata, poi via via più intensa e copiosa sino a bagnare le facce di tutti i passeggeri. Ciononostante, tenni fissa la mia reflex puntata sulle cascate. Mi concentrai così su di una serie di scatti che, finalmente, catturarono un formidabile arcobaleno. Con i suoi colori accesi, campeggiava maestoso al centro della scena, quasi a unire le Cascate del Niagara statunitensi con quelle canadesi, in un unico ponte ad arco dipinto con i sette strati dello spettro di luce.

    La giornata si concluse sul versante canadese, con la cena alla Skylon Tower. La vista era mozzafiato dalla vetrata della sala ristorante in cima alla torre. Si potevano ammirare le cascate illuminate da un gioco di luci colorate artificiali dai motivi cangianti. Sarebbe stato un momento molto romantico e suggestivo per chiunque, ma quell’iniziale percezione si dissolse rapidamente. La serata, infatti, divenne improvvisamente noiosa. Il buffet posizionato su alcuni tavoli al centro dell’enorme sala circolare presentava cibo freddo e di scarsa qualità. Così, dopo alcune battute scambiate con gli altri commensali tra un piatto e l’altro, mi ritrovai in camera d’albergo nelle braccia di Morfeo, dopo aver ricevuto da Alice un misero bacio della buona notte.

    La mattina dopo, come da programma, era stata organizzata la visita alla multietnica città di Toronto, con circa il trentasei per cento degli abitanti di origine non canadese. Basti pensare che il 911 di Toronto è attrezzato per rispondere in oltre centocinquanta lingue. Immaginai con fare sarcastico il servizio di pronto intervento. Una voce, registrata al momento della chiamata d’emergenza, avrebbe proposto all'utente, prima di passargli l'operatore, le centocinquanta opzioni di lingua abbinate a un numero da digitare con la tastiera. Era di sicuro un’immagine molto divertente, e colsi l’occasione per condividerla con gli altri per farci due risate.

    Motore dell’economia del Canada…, iniziò a descrivere la guida. "Toronto è considerata una città a due livelli: uno stradale e uno sotterraneo chiamato ‘The Path’. Questo è caratterizzato da circa ventisette chilometri di strade sotterranee, che sono parte integrante della città stessa. Fu creato agli inizi degli anni Sessanta, per sostenere i gelidi inverni che, abbinati ai suoi intensi venti nordici, spazzavano la città. Il risultato di quest’opera ingegneristica donò ai cittadini di Toronto l'opportunità di muoversi nella parte underground, indossando abiti primaverili anche nelle freddissime giornate invernali che sfiorano i -25°C. Nella città sotterranea è possibile spostarsi a piedi o con mezzi per disabili, ma il path ha numerosi punti di contatto con la viabilità esterna (parcheggi) o, con una rete di stazioni per il trasporto pubblico di superficie o sotterraneo (subway). Per orientarsi nel path è molto importante fare riferimento a elementi d’identificazione degli incroci (come quelli architettonici, facciate di banche, negozi tipici, ecc.), poiché non sempre il percorso sotterraneo (pedonale) corrisponde a quello stradale di superficie".

    Il giro turistico a Toronto prevedeva di percorrere un tratto di path, per comprendere come la guida avesse descritto in pullman. In effetti, anche se utili per conoscere le tappe del tour, trovai irritante le estenuanti informazioni, alcune del tutto banali. La guida americana, inoltre, esprimeva commenti personali, che avevano il cattivo gusto di paragonare le abitudini europee con il più moderno, gigantesco e infallibile gran stile americano. Cominciavo a non sopportare quell’uomo e il suo modo di fare. Il viaggio a Toronto sia pur breve, comunque mi aveva fatto conoscere una città sensazionale, storicamente e culturalmente molto attiva, ma soprattutto che artisticamente dimostrava un certo fascino. Quando fummo in procinto di lasciarla, promisi a me stesso che un giorno ci sarei ritornato, di certo lo avrei fatto col pensiero.

    Il bus turistico sembrava dolcemente scorrere su chilometri di asfalto nero e ben posato. Alice, che mi aveva gentilmente concesso di viaggiare sull’altro finestrino, si era addormentata sulla mia spalla. Per comodità mi ero appoggiato contro il vetro che, in quel momento, si affacciava su un bosco di alberi secolari. Il territorio che attraversavamo era pianeggiante e solo in alcuni tratti della collina che percorrevamo in discesa, mi permisero di spingere lo sguardo oltre quella maestosa vegetazione. In quei momenti potei ammirai il paesaggio aprirsi a nuovi colori, come il blu dei laghi o il rosso porpora delle vernici con le quali erano state dipinte le tipiche fattorie in legno. Il sole stava calando e in quel momento della giornata, a me sempre molto caro, contemplai il cielo che si stava colorando di rosso scarlatto e giallo ocra. Era sfumato qui e là da strisce di cirri celeste, rosa antico e lilla.

    Le conversazioni con Alice si erano interrotte molti chilometri prima quando, del tutto priva di forze e senza che me ne accorgessi, si era abbandonata su di me in un sonno profondo. Dalla sua bocca vidi uscire un rivolo di saliva, che stava

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