I divieti di discriminazione del lavoratore secondo i Trattati UE
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I divieti di discriminazione del lavoratore secondo i Trattati UE - Francesco Orbitello
Francesco
PREMESSA
Un decisivo contributo allo sviluppo della tutela contro le discriminazioni non soltanto nei rapporti di lavoro è venuto dal diritto dell’UE.
La direttiva 2000/43/CE vieta le discriminazioni fondate sulla razza o sull’origine etnica.
A questa si affianca la direttiva 2000/78/CE che fissa una serie di misure per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, vietando discriminazioni fondate sulla religione o sulle convinzioni personali, sulle disabilità, sull’età o sull’orientamento sessuale.
PARITA’ DI TRATTAMENTO IN MATERIA DI OCCUPAZIONE E DI LAVORO
1 – Sintesi.
La direttiva 2000/78/CE, stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro.
Lo scopo di tale direttiva è quello di garantire che le persone con una determinata religione o convinzione personale, disabilità, età o orientamento sessuale non siano oggetto sia di discriminazioni dirette sia di discriminazioni indirette. Le molestie, che creano un clima ostile, sono considerate una discriminazione.
I paesi dell’UE devono garantire che tutte le persone che si ritengono lese in seguito alla mancata applicazione nei loro confronti del principio della parità di trattamento, possano accedere procede dure giurisdizionali e/o amministrative, anche dopo la cessazione del rapporto che si lamenta affetto da discriminazione. Ulteriori dettagli su mezzi di ricorso ed esecuzione sono contenuti nel capo II della direttiva.
2 – Relazione della Commissione al Parlamento Europeo e al Consiglio.
Relazione congiunta(COM/2014/02 FINAL) sull’applicazione della direttiva 2000/43/CE del Consiglio, del 29 giugno 2000, che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica e della direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro.
1. introduzione
La protezione contro le discriminazioni è uno degli ambiti in cui il diritto dell’UE incide direttamente sulla vita quotidiana dei cittadini dell’Unione. Il quadro esauriente definito dalle direttive antidiscriminazione dell’UE[1] informa il panorama del diritto europeo in materia di discriminazione ormai da oltre un decennio. Prima del recepimento delle due direttive, in alcuni Stati membri la legislazione in materia era quasi inesistente e le direttive hanno introdotto nuovi elementi, come la protezione contro le discriminazioni fondate sull’età, negli ordinamenti di tutti gli Stati membri.
Le direttive antidiscriminazione: – vietano le discriminazioni fondate sulla razza o l’origine etnica (direttiva 2000/43/CE) e sulla religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali (direttiva 2000/78/CE); – offrono protezione in alcune sfere fondamentali della vita: l’occupazione e la formazione professionale (entrambe le direttive); l’istruzione, la sicurezza sociale e l’assistenza sanitaria, l’accesso a beni e servizi e alla loro fornitura, incluso l’alloggio (direttiva 2000/43/CE); – vietano diverse forme di discriminazione, cioè la discriminazione diretta e indiretta, le molestie, l’ordine di discriminare persone e la vittimizzazione; – impongono agli Stati membri di prevedere sanzioni e mezzi di ricorso efficaci.
Le prime relazioni di applicazione risalgono rispettivamente al 2006[2] e al 2008[3]. Considerato che le due direttive antidiscriminazione prevedono relazioni periodiche[4] e che l'approccio normativo e i contenuti di molte loro disposizioni sono identici, con il presente documento si è voluto riferire congiuntamente per entrambe; a ciò si aggiunga che la maggior parte degli Stati membri le ha recepite con un’unica legge nazionale. Al momento dell'adozione delle prime relazioni molti Stati membri le avevano appena recepite e non avevano quindi ancora abbastanza esperienza della loro applicazione.
Oggi il processo di recepimento è concluso in tutti i 28 Stati membri e questi ultimi hanno acquisito maggiore esperienza. La Corte di giustizia dell’Unione europea (di seguito la Corte di giustizia
) le ha inoltre interpretate nella propria giurisprudenza. La presente relazione offre quindi l’occasione per esaminare l’applicazione delle due direttive, fare il punto dell’interpretazione della Corte di giustizia e dei giudici nazionali e individuare le sfide future[5].
Conformemente alle direttive[6], tutti gli Stati membri hanno trasmesso alla Commissione informazioni per contribuire alla presente relazione. La Commissione ha altresì consultato gli organismi nazionali per la promozione della parità di trattamento[7], la rete europea Equinet, l’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali, le parti sociali[8], le organizzazioni della società civile[9] e la rete europea degli esperti giuridici in