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Oblivius l'Elmo sacro
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Oblivius l'Elmo sacro

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About this ebook

Dopo anni di quiete, il Sacro Ordine Obrukrit viene convocato: l'Elmo Sacro è in pericolo!
Un Fervidium, un Blator e uno stregone intraprendono un pericoloso viaggio verso il Monte Strawgoh dove è situato il Faro di Strazum. Il loro intento è quello di azionarne il complesso meccanismo che funge da segnalatore di pericolo imminente per le terre
vicine.
Il terribile esercito di Metil, re degli Gnotem, sta per incombere sulle terre del sud. Nel frattempo un manipolo di uomini si avventura nel regno del terribile Dendron. Anche l'esercito del Regno Nero sta avanzando. Ad essere in pericolo, adesso, non è solo l'Elmo Sacro.
L'intera armatura Oblivius è in pericolo!
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateMar 23, 2018
ISBN9788827821992
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    Book preview

    Oblivius l'Elmo sacro - Antonio Mauro

    633/1941.

    -1-

    L’inseguimento

    Ansimando vagava nella notte, cercando una via di uscita da quel torbido bosco. Era solo. L’ululato dei lupi gli faceva sussultare l’anima. Il freddo cominciava a far sentire i suoi artigli graffiando la sua pelle parzialmente nuda, trascinandosi a stento verso una meta sconosciuta. Nessun bagliore, nessun barlume di speranza trapelava da quella selva immersa nella completa oscurità. A un tratto una voce rauca attraversò la foresta, la paura pervase l’anima della povera creatura e lì il panico prese il sopravvento. Cominciò a correre lontano da quell’eco ma si ritrovò presto davanti a un bivio. Si fermò: a destra un sentiero pieno di rovi, stretto, insolitamente lucente, a sinistra una luce in fondo a un sentiero tenebroso. Prese coraggio e andò, a destra verso la luce. Gli abiti strappati mettevano in evidenza il suo giovane fisico tornito e muscoloso. Correva scalzo sul fogliame e le radici delle maestose querce ricoprivano il terreno. I lunghi capelli castani, arruffati e bagnati di sudore, danzavano al ritmo della sua corsa e il vento li alzava oltre le spalle. I suoni della foresta che sussultavano dentro di lui erano la sua unica compagnia. S’incamminò lungo il sentiero. La voce udita pochi istanti prima si fece più forte e assordante. Qualcuno si stava avvicinando. Iniziò a correre più velocemente verso il lontano bagliore. Era certo che qualcuno lo stesse inseguendo. In lontananza si udivano gli zoccoli di uno o forse due cavalli riecheggiare nel silenzio della foresta. Si apprestò a nascondersi dentro una grande quercia che aveva un’incavatura nel maestoso tronco, inarcò le scapole allungando le braccia verso l’esterno per infilarsi dentro. L’interno del tronco era viscoso e piccole gocce d’acqua scivolavano sui muschi della corteccia. Gli insetti e i tanti lombrichi passavano attraverso le sue dita dei piedi e sulla pelle scoperta ma rimase in silenzio. Non voleva farsi individuare. Pochi istanti dopo, infatti, sopraggiunsero in prossimità della quercia due cavalieri. Il ragazzo cercò di intravedere qualcosa da una piccola fessura nella corteccia. Aguzzò i suoi profondi occhi verdi e vide i due cavalieri che si aggiravano nelle vicinanze: avevano seguito le sue orme. Accanto a loro vi erano due enormi cani. Uno dei due cavalieri richiamò il proprio cane con voce rauca e profonda: Rudus vadrim aquei! troveruset qudeis? (Rufus vieni qui! Trovato qualcosa?). Quando dall’insenatura vide quell’imponente bestia, gli si raggelò il sangue. Un enorme bulldog nero, con un collare di pelle rossa con borchie su cui vi era inciso un emblema su uno scudo, tipico dei cavalieri del regno nero. La tensione sul suo corpo si trasformò in tremore: i due cani erano a pochi passi. Il respiro affannoso e i denti digrignati si facevano sempre più forti. Preso dal panico il ragazzo si nascose completamente nell’insenatura, era totalmente avvolto dal buio. Il secondo animale passò davanti all’albero. Per un interminabile istante il respiro del ragazzo si fermò. Vide una testa, poi una seconda, un piccolo corpo che terminava in altre due teste. Era un Brulikam, il leggendario cane a quattro teste. Cominciò a scavare e annusare il terreno proprio ai piedi della quercia. La pelle deteriorata dal tempo, secca e tumefatta da lunghe ferite. Doveva essere un cane da guerra! Si avvicinò allo spiraglio. La pelle del ragazzo oramai vibrava e il sudore trapelava dai pori, il Brulikam cominciò ad annusare con le due teste anteriori nell’insenatura e abbaiò. Per fortuna, in quel momento, il secondo cavaliere lo richiamò vicino a sé. I due cavalieri avevano armature mastodontiche, all’apparenza molto pesanti e massicce, proprio sopra ai deltoidi avevano due grandi copri spalla pentagonali. Sopra vi era un simbolo che a prima vista sembrava un drago. A un certo punto il primo cavaliere, quello più possente, si voltò verso il secondo, un po’ più esile e mingherlino, e gli disse qualcosa di cui non si capì bene il significato: Nudereteraquei (Non sono qui), la sua voce era profonda e dal portamento sembrava una persona molto importante. Aveva una barba fitta che ricopriva tutto il viso, con una treccina sul lato destro. Una folta chioma nera e ondulata scendeva ai lati della larga fronte. Gli occhi, solo a guardarli, incutevano timore, bianchi come il ghiaccio, contornati nero. La sua stazza faceva dedurre una grande dedizione all’arte della guerra, era pieno di ferite e cicatrici sulle lunghe braccia muscolose. La corazza era color oro, molto squadrata, con alternanze di altorilievi in prossimità dell’addome e del petto. Sulle gambe si protraeva un’armatura leggera fatta di maglia di ferro con due pendenti pentagonali ai lati, a protezione dei fianchi, e, infine, sulle caviglie due parastinchi che si erigevano fin sopra le ginocchia con una mezza luna adornata centralmente e una grossa pietra d’ambra. Il secondo, quello più esile, aveva la stessa armatura, ma di colore e consistenza diversi. Era di argento con rifiniture rosse. Questo si voltò verso il cavaliere dalla corazza color oro e disse: Ketror varmuson vroi, slu troverus dovaurum (Ketror andiamo via, lo dobbiamo trovare!). Poi gridò rivolto verso il Brulikam: Varmuson Bektor (Andiamo Bektor), Ketror si girò verso di lui e con il duro timbro di voce sicuro rispose: Aik Sibilus (Va bene Sibilus). Si allontanarono nella foschia della notte, scortati dai due cani. In lontananza si sentiva ancora il riverbero degli zoccoli. Finalmente era salvo. Uscì dal tronco ancora terrorizzato e si incamminò verso il sentiero poco distante da lui. Seguì la luce in fondo al viale alberato, era sempre più calda e splendente. Era fuori e subito vide qualcosa che lo colpì.

    - 2 -

    La locanda

    Appena uscì dalla fitta foresta, si ritrovò davanti agli occhi un sentiero articolato tra grandi montagne sul lato destro e una distesa arida vastissima sul lato sinistro. Tentennò alcuni istanti e si avviò verso il sentiero montuoso. Inizialmente il tragitto era pianeggiante e l’ascesa fu semplice; attraversò il primo lungo tratto fino ad arrivare ai piedi di una piccola montagna situata nella zona antistante una lunga catena montuosa che si estendeva fino a perdita d’occhio verso nord. Ai lati di questa vi era un sentiero ghiaioso circondato da altissimi pioppi e poco più avanti una locanda sulla quale si poteva leggere l’insegna in legno massello Locanda Aruson. Il ragazzo vide in lontananza il locale e, titubante, si avviò; era ridotto in pessimo stato. Durante il tragitto incrociò un anziano uomo che, vedendolo all’improvviso, sussultò e domandò al ragazzo: Buon uomo, come mai sei in queste condizioni? Mi sono perso nella foresta, rispose prontamente. Appresa la notizia, l’uomo, anche se molto perplesso, lo invitò ad entrare nella locanda affermando di esserne il padrone.

    Entrati dentro dalla porta sul retro, si avviarono verso la sala principale della locanda, dalla quale proveniva un gran frastuono. Prima di varcare la soglia, però, il locandiere diede delle vesti pulite e un paio di scarponcini di juta al ragazzo. Questi lo ringraziò e l’uomo gli spiegò che era usanza del luogo aiutare quelli che si avventuravano in quel posticino così remoto, perché la scalata della montagna era molto ardua e si doveva affrontare nel pieno delle condizioni fisiche e con un buon equipaggiamento. Entrarono nella locanda, era piena di scalatori, Gnotem, Stregoni, Blator, Skyler, insomma vi erano tutte le creature della valle. A quel punto il padrone della locanda si presentò: Io mi chiamo Ludus, questa è la mia umile dimora e tu come ti chiami straniero?.

    Il mio nome è Breton.

    I due si avviarono verso il lungo bancone situato sul lato destro della locanda. Era una locanda molto rustica con due grossi pilastri, grandi tronchi di pino dalla corteccia ruvida e scanalata tipica dei maestosi alberi, nel mezzo che sorreggevano il tetto a spiovente. Le pareti, a parte due grandi finestre, erano composte da grandi massi di pietra liscia, messi uno sopra l’altro a incastro perfetto. Tra le pareti e i due pilastri scendevano dal tetto tre grandi lucernari a illuminare l’ampia sala piena di tavoli e sedie di ferro battuto. Al lato del bancone, vi era un pianoforte suonato da un’incantevole ragazza. Era molto giovane e bella, i suoi occhi verdi dal contorno nero erano sfiorati dai lunghi capelli rossi ondulati che scendevano sulle sue guance. Breton la stava osservando da un po’.

    Bella eh?, domandò con uno sguardo indagatore Ludus.

    Beh, che dirti, è proprio una bellissima ragazza.

    Come mai sei da queste parti, straniero?

    Sono in viaggio verso la valle Treuron.

    In quel momento un Blator si avvicinò a Breton e gli domandò: Se ho ben capito vuoi attraversare le grandi montagne, giusto?.

    Sì. Come ho appena detto sono in viaggio verso la valle Treuron.

    Vivi lì? esclamò il Blator.

    No, ma ho un gruppo di amici che mi attendono.

    Anche io vado in quella direzione. Le montagne della catena Dakror sono molto ripide e una spalla su cui contare non sarebbe una cattiva idea.

    I Blator erano grandi combattenti. La loro pelle era completamente nera. Il fisico muscoloso e robusto era simile a quello degli esseri umani, eccetto per gli spuntoni che fuoriuscivano dalle clavicole, dai gomiti, dalle ginocchia, dal bacino e dai talloni. Avevano una coda lunghissima, che toccava quasi terra, cadeva dalla bassa schiena fino a terminare con una lama a forma di lancia nell’estremità opposta. Avevano una folta peluria su tutto il corpo. Inoltre, benché fossero tutti maschi, i lineamenti erano molto femminili, infatti erano delle creature unisessuali che si riproducevano per partenogenesi. Il viso dei Blator era affascinante, la fronte e la testa erano ricoperte da una folta chioma di tentacoli spesso raccolti come fossero capelli in una coda di cavallo; gli occhi, che erano disposti in diagonale e dalla forma ovale, sfoggiavano delle pupille di colore rosso con un’iride completamente nera. Al posto del naso avevano due piccole fessure sulla superficie centrale, proprio sotto gli occhi. La scatola cranica era, nella parte postero-inferiore, leggermente allungata, con le orecchie terminanti a punta rivolte verso i lati. Erano degli esseri tanto stupendi quanto terrificanti. Ludus si rivolse a Breton e disse: Con Victor sarai dall’altra parte della valle in meno di due giorni. I due si scrutarono e dai loro sguardi trapelava una grande e ingiustificata fiducia uno nell’altro. Ludus, sei sempre il solito, poi si rivolse a Breton: Vanta sempre le mie gesta ma non sono così gloriose come lui racconta. Comunque anche se Ludus mi ha anticipato mi presento.

    Suvvia, Victor, ormai sanno tutti che sei il mercenario più affidabile quaggiù. Breton ti consiglio di accettare l’invito, non capita a tutti di avere tali fortune.

    Se così stanno le cose, accetto volentieri la tua compagnia Victor. Il Blator offrì da bere a Breton e ordinò uno strano intruglio di erbe tipico della zona.

    Ora, però, ho bisogno di dormire. Hai camere disponibili? domandò Breton a Ludus che prontamente rispose: Certo. Le camere sono sul retro della locanda.

    Perfetto, grazie.

    Fai un buon riposo. Domani mattina al secondo canto del gallo ti aspetto davanti alla locanda, lo avvisò Victor.

    Detto questo Breton seguì Ludus che lo accompagnò nella sua stanza.

    Il mattino dopo, al primo canto del gallo, Breton si alzò e si diresse verso la parte anteriore della locanda, dove trovò Victor già pronto: aveva un equipaggiamento molto

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