Econarrando - Econovelle per l'Ambiente
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Econarrando - Econovelle per l'Ambiente - Autori Vari
Prefazione
A cura di Carmen Ferrari
Racconti questi, reali e immaginari che la scrittura avvicina a noi e al rapporto tra noi e la natura.
Una natura che si manifesta nelle forme animali o vegetali e in luoghi specifici, nei ricordi e nelle immaginazioni di chi scrive.
Veniamo immersi nelle sue descrizioni; dalle faggete dell’Amiata con i suoi cinghiali, ai seccatoi di castagne del Casentino, alle strade che parlano della loro storia, ai fiumi che scorrono narrando del loro cammino a valle. Vi scorgiamo quel ‘genius loci’ che ci sorprende ogni volta nell’incanto di ciò che ne sappiamo trarre dalle nostre interpretazioni.
A volte sono i lavori e i frutti della terra a ricordare fatiche e speranze nell’alternarsi delle stagioni, come le stagioni della nostra vita che obbediscono alle leggi della natura, essendo noi stessi natura, ma che possono portare cambiamenti inattesi.
Ci sono le emozioni che proviamo e i sentimenti che escono a ricordarci come abbiamo vissuto, come stiamo vivendo in una natura che, malgrado le alterazioni culturali e ambientali che la influenzano, ci affascina ancora e che dobbiamo per questo salvaguardare.
È il mondo che parla con noi e i suoi simboli; dagli animali a cui si da parola, all’uomo preistorico, protetto nel suo corpo dai ghiacci; ai viaggi fantastici dove l’elemento acqua ospita una sirena che compie la sua trasformazione o di una possibile Alice nel mondo delle meraviglie che, attraversando cunicoli sotterranei, compie il suo viaggio fino al centro della terra.
La terra con la sua sacralità, in un’ecologia che incarna queste prose e che ci mette dinanzi ad una dimensione umana e spirituale dove l’uomo può trovare se stesso nei momenti dell’incontro con la natura, per dialogare con lei, per aprire i nostri pensieri, per trovare le nostre verità, ma anche per difenderla, così come la stessa natura sollecita conoscenza e relazioni tra uomini nell’incontro con l’umile gattara romana.
Un racconto corale di questo rapporto singolare che ognuno ha con la natura e che trova la sua espressione in queste forme narrative.
Buona lettura.
Massimilla Manetti Ricci
Raggiolo, una colonia corsa nel cuore del Casentino
Il vecchio boscaiolo, ricurvo sugli anni e ormai incerto nell’incedere lento, si avviava col sacco sulle spalle verso il seccatoio.
In quel sacco tutta la raccolta di castagne di una giornata di fine ottobre, una di quelle un po’ nebbiose, una di quelle dal profumo di muschio incollato alla corteccia molle di legno umido; una di quelle dall’odore di fungo, nascosto dalla sfoglia di foglie una sopra l’altra.
Uno di quei momenti dell’anno dalle volute di fumo girovaghe sui comignoli delle case, dagli stivali infangati e bagnati da foglie marcite in terra, dai silenzi rotti dalla vanga o dal richiamo di uccelli del bosco.
In quel sacco scuro tutta la fatica di un solo giorno, che a lui, così anziano, poteva apparire invece, come il frutto di un lavoro chino di molto più tempo.
Tra poco quelle castagne sarebbero finite nel seccatoio, una piccola costruzione in pietra, una dimora da gnomo del bosco, adagiate su una stuoia a mezza altezza per essere avvolte poi da aria calda mista a fumo, per tanti giorni. Quindi, denudate del guscio e della buccia, sarebbero state polverizzate dalla mola del mulino per diventare farina di colore avorio antico come antico era il lavoro di raccolta nella foresta secolare.
La polvere ambrata era il pane, del montanaro, il pane dei poveri, un bene prezioso per sfamarsi e per sfamare la famiglia nel solitario inverno casentinese.
Dall’alto, laddove la foresta lasciava il passo al crudo sasso
, La Verna benediceva il lavoro curvo dell’uomo con anelli di vento che soffiavano dentro i rami le parole lavora e prega
.
E pregava e ringraziava il suo Signore il boscaiolo perché anche per quell’anno un po’ di cibo era assicurato.
Mentre così pensava il vecchio entrò guardingo nel vecchio mulino, rimase lì qualche ora, ne uscì, si dileguò nel crepuscolo autunnale e… fu subito oggi.
Le voci di Dado, di Leo, di Fabio si sovrappongono a quella del cantastorie che li sbalordisce con la narrazione delle novelle del luogo, di boscaioli e di montanari, ma anche con storie di fantasmi, di diavoli, di streghe, di monaci ed eremiti, di figure losche e truculenti dal vago spirito gotico, di nobili cavalieri , protagonisti di quella Divina Commedia che tanto ha attinto da questi luoghi.
Raggiolo, borgo medievale alle pendici del Pratomagno, nel cuore dei castagneti tinti di rosso, di giallo, di marrone dall’autunno bruciante, risale al VII secolo come feudo longobardo e popolato, secondo la leggenda, da una comunità corsa.
Nel periodo della castagnatura, da metà ottobre a metà dicembre, un fumo azzurrino dall’odore acre e pungente avvolgeva il borgo, perché il fuoco lento e caldo del seccatoio non doveva mai spegnersi in questi mesi, favorendo le veglie serali e i racconti della tradizione orale contadina.
Il ceppo, ad altezza d’uomo, scoppietta in mezzo alla piazzetta di Raggiolo.
Va il fumo, va in alto sopra i tetti delle case in pietra per correre dietro allo scricchiolio delle foglie secche accartocciate ai piedi dei grandi alberi.
Come in un rituale che arriva dalla notte dei tempi, si accende attorno al fuoco quasi una danza propiziatoria di adulti e bambini che sfidano il cuore incandescente del ceppo fatto di cenere e lapilli e ne mutuano la forza e il vigore, mentre il suo calore corposo e tozzo diffonde luminosità nella piazzetta immobile intorno al simbolo della Castagnatura.
Poco lontano il vecchio mulino è diventato un ecomuseo dove i figli dei figli dei figli di quel boscaiolo rendono viva oggi la tradizione dell’avo e ne tramandano il lavoro.
Il fumo azzurrino del giorno lentamente scivola nel blu notte, le voci si attutiscono, i castagni bisbigliano alle foglie di staccarsi, il buio invita al letto tiepido, la Verna chiama alla preghiera, gli occhi dei pellegrini si levano in alto verso le costellazioni autunnali tanto limpide questa sera da pensare che il tempo sia sospeso nel tempo: la terra è quella dei monasteri, degli eremi, ma anche delle streghe e degli spiriti delle belle quanto malvagie castellane.