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Burning (Amethyst #2)
Burning (Amethyst #2)
Burning (Amethyst #2)
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Burning (Amethyst #2)

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About this ebook

Angel Watson non è più una ragazza normale. Ha scoperto di essere oggetto di una profezia, il suo corpo ha subito diversi mutamenti, molte sue certezze sono state messe in discussione. Dopo aver rischiato di morire in un'imboscata organizzata dal re dei vampiri, inoltre, ha capito di non potersi fidare di nessuno. Purtroppo, però, questo è solo l’inizio: la ragazza deve superare molti altri ostacoli, perché il pericolo è dietro ogni angolo. Le sue certezze, inoltre, vengono messe in discussione da alcune rivelazioni inaspettate. Ad aiutarla, però, ci sono i suoi fratelli e gli alleati di sempre, come il suo amato Josh e l’irruente Aaron, ma anche nuovi amici.
Tra viaggi, sfide e avversità, Angel dovrà dimostrare di essere forte e degna del proprio destino, ma anche di saper fare scelte importanti. Di vita o di morte.
LanguageItaliano
Release dateApr 9, 2018
ISBN9788828303022
Burning (Amethyst #2)

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    Burning (Amethyst #2) - Silvia Castellano

    Silvia Castellano

    Burning

    UUID: 35b9e1d4-f40d-11e8-8211-17532927e555

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    Prologo Try to set the night on fire

    1. Living in fear ain’t living for me Vivere nella paura per me non è vivere

    2. My heart has never smiled so hard Il mio cuore non ha mai sorriso così tanto

    3. This pain is just too real Questo dolore è semplicemente troppo reale

    4. It burned too hot to survive Bruciava troppo per sopravvivere

    5. I was looking for a breath of life Stavo cercando un respiro di vita

    6. I can't breathe without you, but I have to Non riesco a respirare senza di te, ma devo farlo

    7. Let the puzzle undone Lascia il puzzle incompleto

    8. The loneliness is hard to bear La solitudine è difficile da sopportare

    9. I heard that evil comes disguised Ho sentito che il male viene travestito

    10. So seek the wolf in thyself Quindi cerca il lupo in te stesso

    11. I’m lost in time Sono persa nel tempo

    12. As my anger reigns Poiché la mia rabbia regna

    13. I struggle with the feeling that my life isn’t mine Combatto con la sensazione che la mia vita non mi appartenga

    14. Forgetting him was like trying to know somebody you never met Dimenticarlo era come cercare di conoscere qualcuno che non hai mai incontrato

    15. Going back is harder Tornare indietro è più difficile

    16. Every now and then I fall apart Di tanto in tanto cado a pezzi

    17. You only see what your eyes want to see Vedi solo ciò che i tuoi occhi vogliono vedere

    18. It didn’t take long for the room to fill with dust La stanza non ci ha messo molto a riempirsi di polvere

    19. The blood of innocence burning in the skies Il sangue dell’innocenza che brucia nei cieli

    20. We’re the scars that don’t heal Siamo le cicatrici che non guariscono

    21. I’m still haunted by the memories Sono ancora perseguitata dai ricordi

    22. You never really can fix a heart Non puoi mai davvero aggiustare un cuore

    23. You push on me, I’m gonna push back harder Se mi colpisci, colpirò più forte di rimando

    24. Sometimes it’s easy to forget only for a moment A volte è facile dimenticare solo per un momento

    25. Say something, I am giving up on you Di’ qualcosa, sto rinunciando a te

    26. I’m only human after all Alla fine sono solo umana

    27. Hey, here’s to you, California Hey, questo è per te, California

    28. Maybe I’ve been California dreaming Forse ho solo sognato la California

    29. You can’t make your heart feel something it won’t Non puoi far sentire al tuo cuore qualcosa che non sente

    30. Moon’s awake now, with eyes wide open Adesso la luna è sveglia, con occhi bene aperti

    31. And please don’t tell me that I’m dreaming E per favore non dirmi che sto sognando

    32. I’m bleeding tears Sto sanguinando lacrime

    33. There are monsters in the dark Ci sono mostri nel buio

    34. Underneath the broken mask Sotto la maschera rotta

    Epilogo I fell into a ring of fire

    RINGRAZIAMENTI

    LISTA DEI TITOLI

    Burning

    Copyright © 2018 by Silvia Castellano

    Qualsiasi riferimento a persone o fatti è puramente casuale.

    I diritti di riproduzione e traduzione sono riservati. Nessuna parte di questo libro può essere utilizzata, riprodotta o diffusa, con qualsiasi mezzo, senza una diretta autorizzazione scritta dell’autrice tranne in caso di brevi citazioni. I riferimenti a persone o frasi famose è da intendersi come un tributo, come previsto dalla legge sul diritto di citazione o citazione breve.

    Copertina realizzata da Catnip Design - Be Sophisticated © | http://www.catnipdesign.it

    Elaborazione immagini © fotolia | Kaponia Aliaksei, © bigstockphoto.com | magann

    A chi continua a credere in me.

    La vita è un carosello

    Danzando attorno gli specchi andiamo su e giù

    Quindi lascia che la musica porti via il dolore che sei arrivata a conoscere così bene

    Lascia andare perché...

    Non puoi cambiare il corso del tempo

    Lascia stare e starai bene

    Quel che è fatto e fatto e va tutto bene

    Non puoi cambiare il corso del tempo

    Hands of time - Rachel Diggs

    Prologo

    Try to set the night on fire

    Erano le prime ore del giorno e Blade non riusciva a dormire. Rimuginava sui vari tentativi falliti con quella ragazzina americana. Per essere una semplice sedicenne, aveva più vite di un gatto. Indubbiamente qualcuno l’aiutava, forse alcuni dei pidocchiosi mezzi cani che si aggiravano in quella zona e che gli avevano già procurato non pochi fastidi, rovinando i suoi piani e uccidendo molti dei suoi vampiri. Quando aveva mandato William, il licantropo, pensava che finalmente avrebbe ottenuto ciò che voleva, ma si era sbagliato. La piccola Ametista continuava a sfuggirgli dalle dita.

    Con un ringhio di frustrazione, uscì dalla bara. Ormai non avrebbe più chiuso occhio, era inutile rimanere sdraiato tutto il giorno. Doveva escogitare un nuovo piano. Si diresse verso il minibar dove teneva la scorta di sangue zero negativo per le emergenze, ne tirò fuori una sacca e, dopo aver rotto la plastica, ne versò il contenuto in un bicchiere.

    Bevve un sorso generoso, poi si andò a sedere sulla sedia di pelle nera. Fece roteare il bicchiere e osservò pensieroso il liquido scuro e denso. Dopo si dedicò al plico di buste arrivate il giorno prima che non aveva ancora aperto. La maggior parte erano inviti a balli di beneficenza e ad altri eventi a cui non partecipava quasi mai. Finanziava molte associazioni ed era a capo di parecchie industrie, ma riteneva uno spreco di tempo dover incontrare tutti quegli umani. Se non fossero stati fondamentali per il suo scopo finale, li avrebbe già eliminati da tempo. Invece, purtroppo, aveva bisogno di loro, soprattutto di recente, dato che il suo potere stava diminuendo. Ma non gli sarebbero serviti ancora per molto: presto avrebbe dominato su quegli esseri inferiori, anzi sul mondo intero. Doveva solo uccidere la mocciosa americana, bere il suo sangue e finalmente avrebbe ottenuto l’invincibilità. Nessuno sarebbe più stato in grado di fermarlo.

    L’ultima busta conteneva un invito VIP alla cerimonia di apertura delle Olimpiadi di quell’anno, che si sarebbero tenute in Cina ad agosto. Stava per buttarlo nel cestino con il resto quando gli balenò un’idea: gli occhi di tutto il mondo sarebbero stati puntati su quella cerimonia, era un’ottima occasione per rivelare a tutti l’esistenza dei vampiri e dare inizio al suo impero.

    Anche la data era perfetta: il primo agosto, giorno in cui ci sarebbe stata un’eclissi di sole totale. Il trionfo del buio, anche se solo per pochi minuti. Sì, era un’ottima idea. Ora doveva solo occuparsi dell’Ametista.

    Anzi: l’avrebbe uccisa il giorno della cerimonia. Doveva soltanto aspettare più a lungo, ma il risultato non sarebbe stato solo una soddisfazione per sé, bensì anche una dimostrazione della propria crudeltà.

    Blade sorrise e bevve un altro sorso di sangue. Presto l’Ametista sarebbe morta e lui avrebbe dominato il mondo. Non vedeva l’ora.

    1. Living in fear ain’t living for me

    Vivere nella paura per me non è vivere

    Da bambina sognavo spesso che il mio Principe Azzurro venisse a prendermi con il suo cavallo bianco e la sfavillante armatura. Io indossavo un bellissimo vestito e lo guardavo arrivare dalla finestra della mia stanza; improvvisamente, avevo i capelli lunghi come Raperonzolo e il principe si arrampicava fino a me usando la mia lunga treccia. Non appena entrava nella mia stanza, alzava la visiera e mi sorrideva. Aveva sempre un sorriso da favola. Col tempo, il suo aspetto fisico era cambiato, seguendo le mie cotte del momento. A otto anni, per esempio, assomigliava a Leonardo di Caprio, solo un po’ più giovane. Alla fine di quei sogni, mentre ci allontanavamo in groppa al suo destriero bianco, partiva la canzone di Carly Simon, Let The River Run. Un perfetto epilogo da film, in effetti.

    Quella notte, però, il sogno che di solito mi rendeva allegra apparve da subito diverso: invece di essere chiaro come in una bellissima giornata di sole, il cielo era scuro come la notte. Mi trovavo all’interno una vera torre e indossavo un lungo abito color sangue. Osservavo un cavaliere avvicinarsi, ma non provavo gioia. Ero in angoscia, anche se non sapevo spiegarmi il motivo. In quel sogno non avevo la treccia, ma non ce n’era bisogno perché all’improvviso mi trovavo all’aperto, davanti al cavaliere, mentre cominciava a piovere. Lui scendeva da cavallo e si dirigeva nella mia direzione, mi raggiungeva, toglieva l’elmo e scoprivo che si trattava di Josh. Era lui, ma allo stesso tempo sembrava un’altra persona. Provava a dire qualcosa, ma dalla sua bocca non fuoriusciva alcun suono. Io andavo da lui, lo abbracciavo, poi mi accorgevo di avere le mani piene di sangue. Le guardavo cercando di urlare, ma non potevo.

    Percepivo che era un sogno, ma non riuscivo a svegliarmi. Mi agitavo, combattevo, piangevo ma niente. Volevo dire a Josh di andarsene, di salvarsi.

    Infine Josh cadeva a terra, morto, lasciandomi lì, colpevole e impotente.

    Mi svegliai in piena notte, in preda all’agitazione. Mi sentivo stremata, col fiato corto, come se avessi appena fatto una maratona.

    Invece avevo soltanto assistito alla morte del ragazzo che amavo.

    Erano passati ben dieci giorni da quando, dopo il funerale della signora Keeper, il mondo mio e di Josh era andato in frantumi. Lui era diventato umano, oltre che enormemente indebolito, e io ne ero la responsabile.

    Non potevo perdonarmelo, anche se lui sembrava averla presa bene. Era tranquillo perché non doveva più preoccuparsi di farmi del male. Anzi, adesso ero io a dover fare attenzione con lui ed essere sempre in allarme, ma ne avevo tutti i diritti. Come tante altre cose che avevo scoperto negli ultimi tre mesi, non c’era un precedente, quindi non sapevamo cosa aspettarci. Nella mia vita sembravano non esserci più certezze.

    Avevo conosciuto Josh a metà settembre. Lui era il nuovo arrivato, il ragazzo strano che sembrava avere un certo interesse per me, la ragazza più invisibile della scuola per leggi genetiche. In qualche modo, nonostante il mio carattere sospettoso, era riuscito a fare breccia nella mia curiosità e, in seguito, nel mio cuore. Mi aveva rivelato il segreto della sua famiglia, la sua identità di mezzo vampiro e mezzo licantropo, cosa che non aveva mai fatto prima di allora, e si era fidato di me. E io mi ero fidata di lui.

    Poco dopo, però, qualcosa era cambiato nella mia vita. Avevo cominciato a notare mutamenti nel mio aspetto e ad avere strani malori, poi due vampiri-soldato avevano cercato di rapirmi e, probabilmente, di uccidermi per conto del re dei vampiri. Tutto a causa di una profezia di circa duemila anni che riguardava colei che avrebbe salvato il mondo, riappacificando le due specie nemiche da tempo: i vampiri e i licantropi.

    Certo, Josh e la sua famiglia avevano promesso di proteggermi contro ogni minaccia. Erano persone fantastiche e con loro mi sentivo al sicuro. Solo con il fratello di Josh, Aaron, i rapporti erano complicati, ma la situazione era precipitata quando avevamo scoperto che non solo da giovane aveva avuto una relazione con mia madre appena ventenne, ma che lei aveva perfino avuto un figlio da lui, che poi aveva dato in adozione.

    Colui di cui invece non mi ero mai fidata ‒ a ragione ‒ era William, un vecchio amico del signor Cohen e grande studioso della profezia che, in teoria, avrebbe dovuto aiutarci. Invece, alla fine si era rivelato solo una pedina nelle mani del re dei vampiri. Poiché quest’ultimo aveva in ostaggio sua madre e sua figlia, William era stato costretto a ubbidirgli. Mi aveva attirata in una trappola e, minacciando di fare del male a mio fratello, aveva cercato di convincermi a uccidermi per permettergli di raccogliere il sangue proveniente dal mio cuore. Il suo tentativo era fallito, per fortuna, ma a caro prezzo: la signora Keeper era morta per salvarmi, rivelandosi solo alla fine mia guardiana e Sibilla.

    Altrettanto inaspettata era stata la scoperta che il mio migliore amico dei tempi delle medie era divenuto un agente della COV, una sezione segreta dell’FBI che si occupa di cacciare e distruggere i vampiri e di cui facevano parte anche i miei genitori. Ed era stato proprio per colpa di Kyle e della sua testa calda che ero stata costretta a far bere a Josh il mio sangue, trasformandolo in umano.

    E ora eravamo a Londra, io, Josh e Kari, sua sorella. Sarebbe potuto essere piacevole godere della nuova situazione, se non fosse stato che eravamo lì a cercare il mio fratellastro e non avevamo ancora scoperto nulla sul suo conto. Sembravano esservi decine di Tristan Irving in città e non eravamo nemmeno sicuri che tra di essi ci fosse il ragazzo che cercavamo. Poteva non risiedere più lì da tempo oppure essersi trasferito. Non avevamo altre informazioni che il suo nome e la sua età. La ricerca Tristan Aaron Irving, inoltre, non dava risultati su internet.

    Eravamo a un punto morto e non riuscivamo nemmeno a contattare Aaron, che a sua volta era venuto a Londra per trovare Tristan. Sembrava sparito nel nulla. Era ovvio che non volesse essere trovato.

    Lanciai un’occhiata furtiva a Josh, che dormiva beatamente accanto a me. Per fortuna non sembrava che si fosse svegliato, nonostante il mio sonno tutt’altro che tranquillo. Respirai profondamente per calmarmi, poi decisi di andare in cucina a bere un bicchiere d’acqua. Mi alzai in silenzio e uscii in punta di piedi dalla stanza, chiudendomi la porta alle spalle.

    L’appartamento che avevamo affittato a South Kensington era al ventesimo piano di un palazzone moderno appena inaugurato. I prezzi erano altissimi, ma Josh e Kari sembravano volersi trattare bene. Il salone era circondato da un’immensa vetrata che lasciava intravedere un bel pezzo della città ancora addormentata – effettivamente erano solo le tre del mattino. La cucina era accessoriata in stile high-tech, con piastra elettrica, elettrodomestici di acciaio ossidato e il piano di marmo.

    Feci per aprire il frigorifero, ma mi fermai. Mi guardai le mani, timorosa di trovare delle macchie di sangue, ma non c’era nulla. Erano pulite.

    Scossi il capo. Quel sogno mi aveva davvero sconvolta.

    Decisi di lavarmi le mani al lavello; forse l’acqua fresca sulla pelle mi avrebbe tranquillizzata.

    Cercai invano la leva, poi ricordai che c’era il sistema automatizzato, quindi passai una mano davanti alla piastrina in basso e l’acqua uscì. Sciacquai mani e polsi, lentamente.

    Era vero, il liquido fresco mi aiutava.

    L’attimo di tranquillità, però, terminò in fretta. Un rumore provenne dalla stanza di Josh. Allontanai di scatto le mani, in ascolto. Lo scoscio dell’acqua si spense immediatamente. Per qualche secondo parve tutto tranquillo, poi successe di nuovo: un attacco di tosse, lungo e violento.

    All’inizio pensai di essere ancora mezza addormentata e di essermi immaginata tutto, poi ricordai che Josh era umano e che un colpo di tosse era normale. Eppure la tosse secca non era un buon segno, soprattutto se si considerava che Josh era ancora debole e che anche un semplice raffreddore poteva essere pericoloso.

    Lasciai perdere il bicchiere d’acqua. Dovevo parlare con Kari. Mentre mi dirigevo verso la sua stanza, mi asciugai le mani sul tessuto del pigiama.

    Bussai piano, sicura che mi avrebbe sentito, poi aprii la porta e sbirciai dentro. «Kari?»

    «Che c’è?» chiese immediatamente. Si mise a sedere accendendo la luce.

    Non potei fare a meno di notare che, anche senza trucco, la ragazza faceva la sua figura. Era una forza della natura anche se di corporatura minuta. Aveva occhi verdi chiarissimi che ti facevano gelare il sangue e lunghissimi capelli biondi.

    Non era esattamente la mia migliore amica, ma era un’alleata fedele.

    «Ho fatto un brutto sogno» mormorai.

    Mi lanciò un’occhiata di fuoco. «E allora?»

    «C’era Josh.» Indicai il letto. «Posso sedermi?»

    «Ormai mi hai svegliata, quindi ti ascolto.»

    Mi sistemai in fondo al letto, tesa, presi un respiro profondo e le raccontai il mio incubo.

    Quando ebbi terminato, Kari si stropicciò gli occhi. «Secondo me ti senti ancora responsabile per quello che è successo. Dovresti smetterla, non è stata colpa tua.»

    Cercavo di convincermi, ma non ci riuscivo. «Invece sì» replicai.

    «Ne dobbiamo davvero riparlare? Per la milionesima volta?» esclamò roteando gli occhi. «Dovresti smetterla e basta. Non è colpa di nessuno. È successo, non si può tornare indietro. Discorso chiuso. Ora torna a dormire e non ci pensare più.»

    «C’è un’altra cosa.» Dovevo dirglielo, sperando di non essermelo immaginato.

    «Cioè?»

    «Prima che venissi qui, Josh ha tossito.»

    «E me lo dici perché...?»

    «Era tosse secca. Non è un buon segno, potrebbe essere malato.»

    «Non dire sciocchezze, Angel. Avrà preso un raffreddore e non si muore per una cosa del genere, mi pare.»

    Non afferrava il punto. «Normalmente no, ma...»

    «Non mi preoccuperei» mi liquidò. «Staremo attente a come si evolverà. Magari non era niente, solo un colpo di tosse sporadico. In caso si aggravasse, lo porteremo da un medico.»

    «Perché non lo facciamo subito?»

    Aggrottò le sopracciglia. «Adesso? Alle tre del mattino?»

    «No, più tardi. Sarei più tranquilla.»

    Kari sospirò, sistemandosi meglio sul letto. «Senti, non credo che dovremmo coinvolgere dei dottori finché non capiamo cosa sta succedendo a Josh. Potremmo essere costretti a rispondere a domande poco piacevoli.»

    «Se sta male, non abbiamo tempo da perdere, Kari» replicai.

    Incrociò le braccia sul petto e mi guardò seria. «È commovente, Watson, ma stai prendendo le cose troppo sul serio. Le tue paure sono infondate.»

    «Preferirei fare un controllo non necessario ed essere sicura che sta bene piuttosto che avere qualche sorpresa. Si dice che prevenire sia meglio che curare, no?»

    Kari sbuffò. «Ma se non c’è niente da curare, è inutile preoccuparsi. Sta’ tranquilla, andrà tutto bene.»

    «Come lo sai?»

    «Lo so e basta. Ora torna a dormire e non pensarci più.»

    Per un momento pensai di crederle e di andare a letto, docile. Ma continuavo a ripensare all’incubo di prima e mi venivano i brividi.

    «Credo che guarderò un po’ di televisione, non ho più sonno.»

    «Fa’ come vuoi, ma tieni il volume basso, altrimenti lo sento.»

    Va bene, anche il suo livello di sopportazione aveva un limite. «Scusa se ti ho disturbata. Buonanotte.»

    «Grazie.»

    La sentii infilarsi nuovamente sotto le coperte mentre aprivo la porta e me la richiudevo alle spalle.

    Rimasi al buio, in mezzo a quella profonda oscurità che, per la prima volta nella mia vita, mi faceva paura. Accesi la luce del soggiorno e mi sistemai sul divano grigio perla, facendo scorrere i canali per cercare qualcosa di interessante. Abbassai il volume fino a quando fu solo appena percettibile, anche al mio udito ormai supersviluppato come quello di un vampiro. Guardai una replica di un episodio di Happy Days e un documentario sui leoni. Infine mi riaddormentai con la testa appoggiata sul braccio destro, ma per fortuna non sognai nulla.

    Mi svegliai quando fuori era già giorno. Sbattei le palpebre, accorgendomi che Kari mi fissava, in piedi davanti a me.

    «Accidenti, Kari, vuoi farmi prendere un infarto?»

    «Dubito che ti ucciderebbe» fu il suo commento sarcastico.

    Ah-ah. Che ridere.

    «Che ore sono?» chiesi stropicciandomi gli occhi e muovendo le dita intorpidite.

    «Le undici.»

    «Le... undici?!» Caspita, era tardissimo! «Dov’è Josh?» chiesi saltando in piedi e dirigendomi verso la camera da letto in fretta e furia.

    Kari mi camminò dietro con passo tranquillo. «È uscito un’ora fa. Ha detto che aveva una cosa da fare e che al suo ritorno avrebbe portato la colazione.»

    «E non è ancora qui?» chiesi guardando l’ordine lasciato nella stanza dal mio perfetto ragazzo ex-ibrido. Mi venne quasi da sorridere pensando al caos che regnava solitamente in camera mia, a Dickinson. Magari avrei potuto chiedergli di passare a sistemare un po’, ogni tanto, dato che era così bravo.

    Ma, forse, considerate le sue condizioni di salute ‒ vere o presunte ‒, era meglio evitare.

    «Sta arrivando, mi ha scritto un messaggio sul cellulare» disse Kari. «Fammi capire, hai dormito sul divano tutta la notte?»

    «Stavo guardando un documentario e mi sono addormentata» spiegai aprendo i cassetti per decidere cosa mettermi.

    «Ci credo, guardando un documentario» commentò sarcastica. «Di’ la verità, non volevi riaddormentarti per paura di avere di nuovo un incubo.»

    «Beccata» borbottai tirando fuori una maglia di lana bianca col collo alto e dei jeans scuri. «Se fossi nella mia situazione, vorresti cercare di restare sveglia anche tu.»

    «A volte sei proprio testarda.»

    «Lo so.» Le passai accanto e mi infilai in bagno.

    Feci una doccia veloce e indossai i vestiti. Mi pettinai i capelli, truccai leggermente gli occhi e le guance, lavai i denti e uscii.

    Kari era ancora lì. «Stai diventando veloce, complimenti» commentò con l’ombra di un sorriso dipinta sul volto.

    «Uhm, grazie.»

    Mi squadrò attentamente. «Stai bene.»

    «Sto imparando. Dovresti esserne compiaciuta.»

    «Lo sono» disse sorprendendomi.

    Non feci in tempo ad aggiungere altro che la porta d’ingresso si aprì. «Ehilà, c’è qualcuno?»

    Era tornato Josh.

    Corsi verso di lui. Indossava un cappotto pesante e i capelli, che di solito cadevano sulla fronte, erano spostati indietro, ai lati del viso. Notai sollevata che sembrava stare bene.

    Gli gettai le braccia al collo e lo baciai con trasporto. Lui rispose con passione, cingendomi i fianchi, poi si allontanò leggermente. «A cosa devo questo saluto così passionale?»

    «Sono solo contenta che tu sia a casa.»

    «Non sono stato via molto» ribatté con un sorriso perplesso.

    Lo strinsi più forte e dissi semplicemente: «Lo so.»

    «Stai bene, Angie? Per quanto mi piaccia questo tuo improvviso lato affettuoso, mi preoccupi» commentò allarmato.

    «Sto bene» lo rassicurai lasciandolo andare. «Cos’hai portato da mangiare?»

    Lui ridacchiò, nuovamente di buonumore. «Hai fame, lupacchiotto?»

    Che interessante scelta di animale. Effettivamente, in teoria, presto avrei cominciato a subire gli effetti della luna piena o qualcosa del genere. Se fino a poco tempo prima avevo subito una mutazione in quasi-vampiro, senza però divenire un succhiasangue vero e proprio, era probabile che sarei diventata anche un quasi-licantropo. Intanto manifestavo solo un sano appetito. «In effetti parecchia.»

    Kari tossicchiò alle nostre spalle. «Se avete finito di sbaciucchiarvi potremmo anche mangiare.»

    Josh rise e agitò il sacchetto che aveva in mano. «Croissant in arrivo!»

    Prendemmo tre piatti e ci dividemmo le brioche, due a testa. Il bello di essere l’Ametista era che potevo mangiare quanto volevo senza ingrassare. Una vera fortuna.

    «Che buoni» commentai dopo l’ultimo morso, pulendomi la bocca con un tovagliolo.

    «Angel ci sta prendendo gusto» mi prese in giro Kari. «E ora mi sembra anche di buonumore.»

    Le lanciai un’occhiataccia, ma, grazie al Cielo, Josh non fece caso al suo commento. Allungò le gambe e si stiracchiò. «Adesso sto meglio. Anzi, quasi quasi mi faccio un altro caffè. Voi ne volete uno?»

    «Angel no. Troppa caffeina non la fa dormire bene.»

    Perché non la smetteva di punzecchiarmi?

    «Non è vero» replicai.

    Josh mi osservò confuso, la tazza a mezz’aria. «È per questo motivo che stanotte sei andata a dormire sul divano?»

    E adesso?, pensai nel panico.

    «Non esattamente... diciamo che non volevo dormire, è diverso. Ma non ho voglia di parlarne. Tu, piuttosto, come mai sei uscito così presto stamattina?»

    «Non era poi così presto» replicò lui prendendo una capsula e inserendola nella macchina del caffè. «Sono andato a trovare un vecchio amico che speravo potesse aiutarci a trovare Tristan, ma purtroppo il ragazzo sembra non essere qui a Londra, almeno non ufficialmente.»

    «In che senso?»

    «Tra i Tristan Irving che ci sono in città e quello che stiamo cercando noi non sembra esservi riscontro. O hanno un’altra età o sono nati in Gran Bretagna. Il tuo fratellastro, dunque, non ha un appartamento a suo nome, non è iscritto ad alcuna università e pare non avere alcun lavoro. Se è in città, non vuole essere trovato.»

    «L’hanno cercato anche sotto Tristan Aaron?»

    «Sì, ma niente da fare.» Sospirò. «Ho paura che stiamo solo sprecando tempo.»

    «Quindi ci arrendiamo?» mormorai sgomenta.

    Josh lanciò un’occhiata a Kari, poi tornò a guardare me. «Non so cosa fare. Potremmo continuare le ricerche da Dickinson e tornare in caso scoprissimo qualcosa. Per ora stiamo girando a vuoto.»

    Feci per ribattere, ma lui mi interruppe: «Con questo non sto dicendo che ce ne andremo subito. Possiamo restare qualche altro giorno, ci sono ancora delle cose che dobbiamo fare qui.»

    Qualche giorno? Non era niente!

    Josh tirò fuori qualcosa dalla tasca e lo posò sul tavolo davanti a me e Kari. Erano dei biglietti.

    Kari fece un sorriso. «Non si arrende proprio?» chiese rivolta a Josh.

    «Pare di no.»

    Di cosa parlavano? «Sareste così gentili da spiegare anche a me?»

    Josh tornò a sedersi con il suo caffè fumante. «Sono tre biglietti per la première di Tre rose, il nuovo film di Christian Thompson. Lui e Kari hanno un passato in comune e lui vorrebbe incontrarla, così ci ha procurato gli inviti.»

    Alzai un sopracciglio. Io alla prima di un film? Era uno scherzo?

    «E noi intendiamo andarci?» domandai incerta.

    Kari mi scoccò un’occhiata di rimprovero, poi alzò gli occhi al cielo. «Spiegami quando mai ti capiterà un’altra occasione del genere.»

    «Mai. E a me non interessa. Sono cresciuta a Dickinson, da noi ci sono a malapena due cinema.»

    «Prendilo come un segno, allora.» Kari si alzò dal tavolo. «Alzati, abbiamo un sacco di lavoro da fare!»

    «Prego?»

    «Dobbiamo fare shopping e ovviamente renderti presentabile per una première cinematografica. Credimi, nel tuo caso non basterebbe nemmeno tutta la giornata.»

    Gentile come sempre. «M-ma...» balbettai, cercando di ribattere in qualche modo.

    «Niente ma, seguimi.»

    Guardai Josh in cerca d’aiuto. Lui rise di fronte alla mia espressione atterrita. «Arriva subito» disse poi rivolto alla sorella.

    Kari non replicò e schizzò come un fulmine verso la sua stanza e, soprattutto, il suo armadio.

    Josh mi prese per mano e mi fece sedere sulle sue ginocchia, mentre toglieva un ciuffo di capelli dal mio viso. «Non sei molto contenta, vero?»

    Mi persi a contemplare le sue iridi color smeraldo, mentre giocherellavo con i suoi capelli. «Non è questo, è solo che speravo di stare un po’ di tempo con te stasera.»

    Si fece serio e attento. «C’è qualcosa che non va?»

    «No», risposi forse con troppa enfasi, «solo che da quando siamo qui non siamo mai stati davvero insieme. Mi manchi.» Lo baciai dolcemente. «La ricerca di Tristan ci ha coinvolti un po’ troppo.»

    «Siamo venuti a Londra per questo.»

    «Lo so, ed è stato tutto inutile.»

    «Non completamente.» Sorrise baciandomi di nuovo. «Almeno hai visto Londra e per una settimana non ci siamo dovuti preoccupare di Blade e tutto il resto.»

    «Vero» dovetti ammettere. «Solo che volevo davvero conoscere mio fratello. Non posso credere che nel 2008 non si riesca a rintracciare una persona.»

    «In effetti è strano. L’unica cosa che mi viene in mente è che William ci abbia presi in giro.»

    Scossi il capo. «So che, almeno in questo, non mentiva.»

    «Allora potrebbe essere che Tristan non sia più a Londra.»

    «Oppure che non abbiamo cercato abbastanza.»

    Josh sospirò. «Abbiamo chiesto a tutti gli orfanotrofi e le cliniche che si occupano di adozioni a Chicago e a Londra, siamo persino venuti qui per cercarlo. Il problema è che abbiamo pochi elementi, Angel. Sappiamo solo che si chiama Tristan Irving, se è questo il suo vero nome, e che ha venticinque o ventisei anni, capelli biondi e occhi azzurri. Non è una gran descrizione, devi ammetterlo.»

    Sapevo che aveva ragione, solo che non volevo lasciar perdere. Per qualche motivo sentivo che eravamo vicini e che dovevamo continuare a cercare. Era una delle mie strane sensazioni e molte, in passato, si erano rivelate vere.

    «Restiamo ancora cinque giorni» proposi.

    «Te ne posso concedere due. Abbiamo già perso gli esami e la prossima settimana inizieranno le lezioni.»

    «Quattro, allora.»

    «Tre. Prendere o lasciare.»

    «Affare fatto.»

    Josh sorrise e mi baciò. «Affare fatto.»

    Saltai in piedi, soddisfatta del risultato. Ora avevo solo altri tre giorni per trovare il mio fratellastro scomparso. Non era molto, ma meglio di niente.

    «Angel?» Kari mi chiamò dalla sua stanza.

    Sbuffai rumorosamente. «Ti prego, trova una scusa per farmi restare qui ancora un po’.»

    Josh sorrise con aria furba. «Forse ho un’idea.»

    «Davvero?» chiesi confusa.

    «Già.» Avvicinò di nuovo il viso al mio e mi baciò le labbra con avidità.

    Lo baciai a mia volta, appoggiando il mio corpo al suo.

    Era diverso baciarlo da umano. Certo, mancava l’elemento magico dovuto alla sua natura sovrannaturale, ma avevo scoperto che ora si lasciava andare molto di più, cosa che non era da sottovalutare.

    Cercai di capire se vi fosse qualcosa di strano in lui, una cosa qualsiasi, ma sembrava normale.

    Cominciavo a pensare di essermi immaginata tutto.

    «È abbastanza?» sussurrò con le labbra ancora appoggiate alle mie.

    «Uhm, non proprio.»

    «Che ne dici se continuiamo dopo?»

    «Quando? Stasera dobbiamo andare a una première cinematografica, l’hai dimenticato?»

    «Vedrai che riusciremo a trovare un po’ di tempo per noi» mi rassicurò con un sorriso.

    Sorrisi a mia volta. «Non vedo l’ora.»

    «Angel!» tuonò Kari dalla sua stanza e, sì, sembrò davvero un rombo proveniente dal cielo.

    «Devo andare oppure non arriverò viva a questa sera» commentai affranta.

    «Sarà meglio.»

    Baciai Josh un’ultima volta, poi raggiunsi Kari.

    Com’era prevedibile, fu una giornata faticosa: Kari mi trascinò in giro per quasi tutti i negozi di Londra. Non esagero. Si era fatta un’idea ben precisa di ciò che voleva comprare, sia per sé sia per me, e non intendeva scendere a compromessi.

    Tornammo al nostro appartamento soltanto alle quattro del pomeriggio, con le mani colme di sacchetti. Io stavo per crollare dalla fame, ma Kari sembrava soddisfatta dei nostri acquisti. Anche se chiamarli nostri era un eufemismo perché, naturalmente, aveva pagato tutto lei con la magica carta di credito del signor Cohen. Io non avrei avuto i soldi nemmeno per comprare le scarpe.

    Nonostante tutto, dovevo ammettere di essere contenta. Per sé, Kari aveva scelto un abito aderente blu elettrico con lo scollo a cuore e un profondo spacco laterale. Non l’avevo vista provarselo, ma ero sicura che le stesse divinamente.

    La scelta per me era stata più ardua perché avevo bocciato quasi tutte le proposte. Lei voleva un abito appariscente come il suo, mentre io preferivo qualcosa di semplice ma carino. Infine aveva trovato quello giusto e dovevo ammettere che non aveva torto: era un piccolo gioiello. Sembrava un vestito da ballerina, corto e senza maniche. La gonna era di tulle bianco arricciato, e dalla scollatura a forma di cuore partiva una serie di perle e lustrini neri e argentati che scendevano lungo il corsetto creando una sfumatura irregolare. Era una meraviglia di luci e ombre.

    L’avevo indossato con delle scarpe argento col tacco alto e mi era piaciuto: mi faceva sentire slanciata e bellissima.

    Kari mi aveva truccata e mi aveva arricciato i capelli, poi si era chiusa nella sua stanza e non ne era più uscita. Attraverso la porta proveniva una serie di canzoni degli anni Ottanta e lei ci canticchiava dietro.

    Ero sconcertata perché non l’avevo mai sentita cantare prima di allora. Era diversa dal solito, in modo positivo.

    Forse qualcosa stava finalmente cambiando, in tutti noi.

    2. My heart has never smiled so hard

    Il mio cuore non ha mai sorriso così tanto

    Verso le sei ero in camera a tentare di fare entrare portafoglio e cellulare nella mia nuova minuscola pochette quando Josh entrò. «Sei pronta?» mi chiese, poi notò il mio abito e fece un fischio. «Wow, credo di essermi innamorato nuovamente.»

    Alzai gli occhi al cielo e scoppiai a ridere. «E chi sarebbe la fortunata?»

    «Oh, non credo tu la conosca. È una biondina alta circa un metro e sessanta, con gli occhi più belli del mondo... e ora indossa un vestito meraviglioso.»

    «Mi hai quasi fatta ingelosire.»

    Si avvicinò e posò le labbra sulle mie. «Non ne hai alcun motivo. Io amo solo te e nessun altro.» Sorrise, poi aggiunse: «Vieni con me, devo farti vedere una cosa.»

    «Solo un attimo, sto cercando di chiudere...» commentai, ricominciando a litigare con la mia borsetta.

    «Faccio io» disse prendendomela dalle mani. Due secondi dopo, era chiusa. «Ecco, è stato semplice.»

    Inarcai un sopracciglio con un sorrisetto. «Ce la facevo anche da sola, non mi serviva il cavaliere.»

    «Approfittane» commentò, poi mi prese per mano e mi condusse nella zona giorno, di fronte alla finestra. «Guarda giù.»

    «Cosa?» chiesi confusa. Poi notai un’automobile nera e lunghissima parcheggiata davanti al nostro condominio. «Cos’è, una limousine?»

    «In effetti sì.»

    Gli rivolsi un sorrisetto. «Tu mi vizi.»

    «Non ti ho mai portata su una limousine.»

    «Infatti dopo questa sera mi mancherà. Dovrai farlo più spesso» commentai maliziosa.

    «Allora lo faremo.»

    «Grazie.» Gli diedi un bacio sulla guancia. «Peccato che Kari sia già uscita, altrimenti sarebbe potuta venire con noi» osservai, anche se, da una parte, ero felice che fossimo solo noi due.

    Josh scoppiò a ridere. «Non credo che avrebbe apprezzato quanto te. Inoltre non ti stupire se la vedremo poco stasera. Starà quasi tutto il tempo con un vecchio amico, il regista a cui ho accennato prima.»

    «Intendi che verrà alla festa con un vecchio

    Feci una smorfia immaginando la graziosa Kari presentarsi a braccetto con un vecchio bavoso.

    Mi fissò divertito. «Veramente Christian ha solo trentadue anni. Andavano a scuola insieme una quindicina d’anni fa.»

    Bene, ero già più sollevata.

    «Non si accorgerà che non è invecchiata quasi per niente?»

    «Per questo non c’è pericolo, sta’ tranquilla» commentò con una risata.

    Cosa significava? «Sono preoccupata, invece» ammisi.

    «Allora non esserlo. Devi fidarti di me.» Mi sorrise con tenerezza, come solo lui riusciva a fare dopo avermi praticamente ordinato di chiudere la bocca. «Sai, se non avessi il rossetto sulle labbra, ti bacerei all’istante.»

    «È a prova di bacio» sussurrai. Come si chiamava la marca? Ah, sì: Baciami ancora.

    Fece una smorfia. «Preferirei comunque non rovinare il lavoro di Kari. Inoltre rischierei di arrivare alla festa sporco di rossetto su tutta la faccia. Non sarebbe piacevole.»

    «Magari sì» replicai cercando di immaginarmi la scena. Sarebbe stato parecchio imbarazzante, ma di certo divertente.

    «Miss Watson, lei sta rischiando davvero di essere baciata.» Non sorrideva più. Mi guardava serio, gli occhi che brillavano come due fiamme color smeraldo.

    «Potresti provare con un bacio sulla guancia, allora. O sulla fronte.»

    «Io ho un’altra idea, in realtà.»

    Mi scostò i capelli dal collo e mi baciò lentamente la pelle, nel punto in cui passava la carotide. Aveva osato farlo solo una volta da quando uscivamo insieme.

    Il mio cuore cominciò a battere all’impazzata sotto quel tocco leggero. Certo che quella parte del corpo era davvero sensibile...

    «Signor Cohen, credo che lei mi stia facendo andare in iperventilazione» mormorai chiudendo gli occhi.

    «Ed è una buona cosa?»

    «Penso di sì, ma purtroppo la nostra limousine ci aspetta e io... non credo di poter sopportare un altro minuto senza baciarti.»

    Josh mi fece voltare e mi baciò sulla fronte. «Magari aspetteremo dopo per fare questo genere di esperienze.» Mi prese per mano e fece per uscire dalla porta.

    Recuperai un po’ di lucidità prima che l’aprisse. «Non stai dimenticando qualcosa?»

    «Cioè?»

    «La giacca.»

    Scoppiò a ridere prima di sbottare: «Va bene... mamma.» Poi andò a prendere i cappotti per entrambi.

    Uscimmo dall’appartamento chiacchierando; appena superato il portone d’ingresso, ecco la limousine che ci aspettava.

    Era tutto irreale, sembrava di essere in un film.

    Un uomo di media statura e con un cappello nero ci venne ad aprire la portiera dell’auto.

    «Prima le signore» disse Josh con un sorriso.

    Salutai l’uomo e lo ringraziai, imbarazzata, poi entrai nella vettura. Era proprio come me l’ero immaginata: i sedili erano di pelle nera e due file di piccoli fari sul soffitto illuminavano l’ambiente. Josh si sedette accanto a me e mi fece l’occhiolino. «Agitata?»

    «Dovrei esserlo?»

    «Nah, andrà tutto benissimo.» Mi prese la mano e la strinse forte, mentre l’autista accendeva il motore e si immetteva nel traffico. «E comunque sarò sempre con te.»

    «È una minaccia, insomma» scherzai, poi appoggiai il capo sulla sua spalla. «Mi serviva staccare da tutto per un po’.»

    «Lo so.»

    «Voglio davvero trovare Tristan.»

    «So anche questo, ma stasera non ci devi pensare. Domani è un altro giorno.»

    «Disse Rossella O’Hara» commentai con un sorriso.

    Ridacchiò. «In fondo aveva ragione.»

    «Sei già stato a una prima cinematografica prima d’ora?» gli chiesi. Cominciavo a essere elettrizzata.

    «Solo una volta, ma era tanto tempo fa.»

    E tanto tempo fa poteva significare qualsiasi cosa. Magari aveva conosciuto i fratelli Lumière a Parigi nel 1895, quando l’unica idea di film era una serie di fotografie in movimento che duravano meno di un minuto. Potevo immaginarmelo, un bambino biondo di circa dieci anni che spintonava per guardare il video per primo.

    Peccato non potessi chiedergli di più a causa dell’autista della limousine. Se mi fossi ricordata, glielo avrei chiesto più tardi, una volta soli. In quel momento mi limitai a domandare: «Ti è piaciuto?»

    Il suo sguardo cercò di trasmettermi maggiori informazioni. «È stata un’esperienza incredibile e spero lo sarà anche per te.»

    «Ci sei tu, sarà comunque una serata stupenda.»

    Sorrise divertito. «Adesso cominci con le lusinghe, Angel?»

    «Niente affatto, signor Cohen. Dico sempre e solo la verità.» Sospirai e aggiunsi: «Stare da soli lontani da Dickinson non ci sta facendo altro che bene. È come se avessimo iniziato a essere una coppia di normali quasi diciassettenni.»

    «Finalmente possiamo esserlo davvero» disse a metà tra il serio e il divertito.

    Aveva ragione. Per la prima volta non dovevamo preoccuparci della differenza tra noi: lui non era più un ibrido amante della cioccolata la cui età anagrafica non coincideva con quella reale, era un umano e poteva pianificare il suo futuro. Io un po’ meno, dato che c’era ancora una profezia che si riferiva a me e il pazzo re dei vampiri che mi voleva morta, ma non importava. In quel momento Josh e io eravamo più vicini che mai.

    Arrivammo davanti al classico tappeto rosso e dovemmo scendere davanti a tutti. I giornalisti, non sapendo chi fossimo ma vedendoci scendere da una limousine, ci fotografarono per sicurezza. Lo stesso accadde alle persone dietro le transenne, che urlarono come se fossimo Brad Pitt e Angelina Jolie. Da una parte era divertente, dall’altra terribilmente imbarazzante.

    Mi tremavano le gambe e non sapevo dove guardare, ero come impietrita.

    Strinsi la mano di Josh per farmi forza e lui mi sussurrò all’orecchio: «Sorridi e saluta.»

    E così feci: mi obbligai a sorridere e sollevai la mano libera per fare un cenno. Percorremmo il tappeto e, dopo aver consegnato i nostri biglietti, entrammo nell’edificio. Io smisi di sorridere come una stupida e ripresi il controllo delle mie gambe.

    Josh mi osservò divertito. «Certo che non ti piace proprio ricevere attenzioni, eh?»

    «Sono abituata a non essere notata oppure evitata, quindi no, non mi piace per niente.»

    Lui ridacchiò, poi mi strinse la mano. «Mi dispiace, ma prendila con filosofia.»

    «Ci proverò» dissi, e mi guardai intorno. Nella stanza c’erano circa trecento persone, tutte eleganti. «Pensi che Kari sia già qui?»

    «Teoricamente sì. Andiamo a cercarla, così ti presento Christian.»

    Mentre camminavamo tra il fiume di gente, riconobbi alcuni attori e cantanti famosi. «Oddio, ma quello non è George Clooney? E chi è la ragazza insieme a lui?» sussurrai.

    «Non ne ho idea» rispose Josh. «Ma preparati, perché stasera ci sono un sacco di vip.»

    «Questo Christian è tanto conosciuto? Pensavo avesse fatto un film indipendente!»

    «Infatti è così», mi spiegò, «ma una decina di anni fa ha lavorato come attore in alcune produzioni hollywoodiane e si

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