Due Anime - Dos Almas
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Due Anime - Dos Almas - Paolo Tagliapietra
Indice
Prologo
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Ultimo
Paolo Tagliapietra
Due Anime
Dos Almas
© 2018, Paolo Tagliapietra
Tutti i diritti riservati
Prima edizione: marzo 2018
ISBN: 9788827825624
Youcanprint Self-Publishing
Copertina di Francesca Tagliapietra
La riproduzione, anche parziale e con qualsiasi mezzo, non è consentita senza la preventiva autorizzazione scritta dell’Autore.
Dedicato ai miei genitori
Prologo
settembre 1978, Roma
L’estate sembrava non voler lasciare il passo a settembre, imponeva ancora delle giornate assolate, umide, ma la luce abbandonava presto i profili dei palazzi e dei monumenti, comunque assaliti dai turisti, voraci di immagini.
Il vero clima della città, non era quello che leggevano nelle previsioni della sera. Roma era ancora turbata da tutta la vicenda del rapimento e uccisione dell’Onorevole Moro e della sua scorta.
Si respirava ancora quella paura, controlli di polizia, fermi, pattugliamenti in tutta la capitale, i colori militari facevano capolino negli angoli più remoti della città.
Non c’era spazio per troppa leggerezza, ma chi riusciva si dedicava maggiormente alle sue cose. Le persone iniziano a chiudersi quando cercano un senso di protezione perduto.
Le paure hanno sempre generato spazi vuoti dentro e fuori gli individui, tanto da creare distanze incolmabili.
La ragazza camminava con passo deciso ma impreciso, come chi non conosce le strade, i gradini, i tombini incerti.
Si guardava intorno, incuriosita e rapita da tutto quel movimento, dalla gente che avanzava schivando i più lenti o da quelli che parlavano ad alta voce, un po’ sguaiati.
Aveva solo poche indicazioni, scritte su un biglietto che ogni tanto tirava fuori dalla sua borsetta di vernice beige. Un foglio piegato in quattro che mostrava ai passanti chiedendo quanto fosse distante da quell’indirizzo.
Aveva considerato di arrivarci a piedi in quel posto, quindi si era presa tutta la mattinata di tempo, voleva guardarsi intorno, per capire come si viveva nella capitale. Stava arrivando da un quartiere non centrale e giungervi a piedi non era così immediato.
Se ne era resa conto e la scelta delle scarpe basse fu ragionevole. Si sentiva in ordine. I grandi occhiali da sole e i lunghi capelli acconciati, le davano decisamente un’aria più matura della sua età.
Senza quasi accorgersene si era trovanti davanti le due grandi colonne in marmo del Banco di Roma. Corrispondevano esattamente alla descrizione del biglietto.
Era entrata valicando un pezzo di storia, immaginandosi proprio quell’effetto.
Sfarzosa e ricca di marmi, la banca all’interno era fresca, grande e i suoni rimbalzavano, smorzandosi subito. Lontano, i rumori delle calcolatrici elettriche indicavano il ritmo degli impiegati, solerti a servire i clienti.
Alzando gli occhiali tra i capelli, si guardò ancora, intorno, quasi a cercare un supporto, un aiuto che la potesse sottrarre a quel senso di incertezza che ormai la accompagnava da un po’: proprio quella condizione, catturò l’attenzione di qualcuno.
-Signorina buongiorno, posso esserle d’aiuto? Mi chiamo Pietro Salvadori, responsabile contabilità clienti di questo Istituto -.
-Oh, buongiorno- si voltò, quasi sorpresa da quel tempismo- Mi chiamo Dusino, Luisa Dusino, avevo bisogno di alcune informazioni-.
-Sono qui per questo, signorina-.
-Sì, - quasi intimidita -vorrei aprire un conto corrente in questa banca-.
-Si accomodi alla scrivania, così avrò modo di raccontarle tutto ciò che le serve-.
- Lei non è di Roma- riprese, evidentemente rassicurato dall’inflessione-.
-No direttore-.
-Non mi chiami direttore, - la interruppe scherzosamente-altrimenti il vero direttore mi manda alla filiale di Tivoli, sono un modesto ragioniere, ma... continui, mi scusi-.
-Va bene, le dicevo, non sono di qui, sono di Asti-
-Ah, ed è qui…? -
-Per lavoro, - rispose decisa - l’azienda per cui lavoro, ad Asti, mi ha chiesto di seguire l’avviamento qui, a Fiumicino, di una succursale, per sei mesi, un anno. Industria dolciaria, biscotti, insomma...-
-Bene, un’ottima notizia, anche per la nostra città- riprese Salvadori.
Era uno spunto che aspettava per poter iniziare a raccontare, con tutto il suo miglior eloquio, le migliori proposte che potevano offrire. Quell’incontro durò quasi un’ora, alternando spiegazioni tecnico-finanziarie a curiosità del quotidiano. Sembrava chiaro che il mediocre ragioniere
fosse rimasto particolarmente ammaliato dalla giovane piemontese, alla quale non aveva chiesto, educatamente, l’età.
Avrebbe atteso pazientemente la settimana successiva per leggere le copie fotostatiche
dei documenti che le aveva chiesto per il conto corrente.
Da maturo scapolo trentaseienne, si era immaginato più del dovuto da quell’incontro inaspettato.
Quegli occhi scuri e profondi, quelle parole leggere e gentili, avevano riacceso la giornata di Salvadori, i mucchi di numeri che scriveva ogni giorno, si erano trasformati in note musicali.
"La Poesia al Potere", stava scritto sul muro di fronte alla sua finestra.
Passarono diversi giorni e la mattina concordata, Luisa Dusino, aveva già pensato che non avrebbe fatto di nuovo tutta quella strada a piedi, come l’altra volta, ma i mezzi pubblici erano decisamente più favorevoli. Aveva scelto con cura il suo abbigliamento, appena elegante, borsa nera, un filo di trucco e la cartellina con i documenti che le avevano richiesto.
Intanto Salvadori aveva già dato disposizioni, agli altri impiegati, di farlo chiamare appena fosse arrivata la signorina Dusino, poiché aveva lui gran parte degli incartamenti.
Raccontare che, nei giorni precedenti, fosse stato dal parrucchiere e avesse comperato una nuova cravatta, sembra superfluo. Si sentiva, orgogliosamente, un uomo d’altri tempi e i particolari dovevano fare la differenza.
Ormai, ogni quattro conti alla calcolatrice, si alzava per arrivare fino al banco degli sportelli, quasi a contare, invece, le persone in fila. Si teneva un fazzoletto nella mano destra, quella che avrebbe teso davanti a sé, perché non fosse sudata.
Benché il grande portone apparisse in controluce, si accorse immediatamente dell’ingresso della signorina e quel suo gesto di alzare i grandi, rotondi, occhiali scuri sui capelli, gli permise di respirare nuovamente.
Un contemporaneo, luminoso sorriso, anticipò, di un secondo, una lunga stretta di mano, perfettamente a contatto.
Le porse la sedia prima che lei si potesse accomodare.
-Prego signorina, ci fa molto piacere che sia tornata a trovarci- ma, quel plurale, Salvadori, lo avrebbe voluto usare solo per sé.
Contrariamente a ciò che faceva di solito, chiedere come era stata la settimana appena trascorsa, non era una formalità.
-Guardi, non ho ancora avuto davvero il tempo di visitare un po’ la città. Sono spesso a fare documenti tra i più diversi uffici-.
Salvadori non aspettava altro che vestire gli abiti del gentiluomo.
-Signorina, - quasi a bassa voce - non vorrei sembrarle maleducato, ma mi farebbe un infinito piacere poterla accompagnare in giro per Roma -.
Quel mezzo secondo di silenzio aveva quasi portato Salvadori a pensare di aver detto una cosa fuori posto.
-Ragioniere, magari sì, ma la chiamerò prima qui, in ufficio-.
-Meglio pensare al conto corrente, - si disse Salvadori -invece che a una magra figura.
-Bene, vediamo i documenti che ci ha portato, intanto può leggere le condizioni-.
Era tornato al suo lavoro e lei ad essere cliente.
Il tutto non ebbe più spazio di una mezz’ora e la signorina Luisa, si alzò congedandosi.
-È stato davvero gentile, accetterò la visita della città, la chiamerò a questo numero-.
Nel pomeriggio, alla sera, nei momenti di silenzio, quell’ultima frase rimbalzava nella sua testa. Ogni giorno, non vedeva l’ora di tornare in ufficio per sentir suonare quel telefono.
L’attesa non lascia molto spazio al tempo.
I giorni che passavano avevano già dichiarato di dover dimenticare ogni tipo di fantasia su quell’incontro.
Il ragioniere si era illuso di rimettere in gioco il tema dei sentimenti, tanto importante, quanto messo da parte dopo l’ultimo fallimento.
Ma come poteva pensare, un tipo come lui, di un mondo così lontano, di poter suscitare interesse ad una tipa così e per giunta di nove anni più giovane?
Disincantarsi era la parola d’ordine.
Ma, considerato che il fato, il destino, il caso, si fanno gioco dei nostri pensieri, delle nostre intenzioni, un certo giorno, il telefono suonò.
-Ragioniere, buongiorno, sono Luisa Dusino-.
L’attimo seguente si trasformò, per Salvadori, in un vortice di sensazioni, luci abbaglianti, calore, sudore, sangue che pulsa, stomaco che si chiude, testa che gira, voce strozzata.
-Pronto, mi sente ragioniere? -
-Sì... pronto, signorina buongiorno… si sentiva malissimo, sarà il mio telefono...-
-Accetto quella sua famosa proposta di farmi visitare Roma...-
Di lì in poi fu solo cronaca, raccontata dai vicoli della città, dai