Il lungo sguardo
By Hermes Rao
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Book preview
Il lungo sguardo - Hermes Rao
633/1941.
La lettura è come una malattia dalla quale non si può guarire. Da qui scaturiscono le grandi riflessioni sulla vita e sulla bellezza. Questa è una storia di infelicità e di poesia.
Il racconto lascia, tuttavia, immutato il mio animo, ma forse trattiene in me una tristezza inconsapevole. La curiosa coincidenza che mi ha portato in questi ultimi mesi a impadronirmi di questo breve racconto, che io definirei deforme, è stata un accidente capitatomi.
Un vecchio faldone posto in cima a una libreria contenente delle vecchie carte, che per un’incauta e maldestra operazione mi cade quasi in testa. Quel faldone, cadendo, si rompe in due parti e ne fuoriescono, scompaginandosi per terra, una miriade di fogli e disegni vari. Tra tutta quella confusione di carte, rivedo un piccolo pamphlet con la copertina color ocra: il lungo sguardo, c’era scritto sopra… E lì, la mente corre indietro negli anni a quel periodo così felice e così incosciente.
Ero un giovane studente di architettura a Palermo, io e due miei sventurati amici, Saro e Michele, ci prestammo all’epoca per organizzare una mostra fotografica e successivamente pianificammo una rassegna cinematografica. La location di quelle vicende era situata nella parrocchia S. Giuseppe Cottolengo di Palermo. Quell’incarico ci fu affidato da un vecchio signore, amico di Saro, il dott. M. Vaccaro; questi curava le iniziative del Circolo Culturale Cottolengo per l’attività di Cineclub della parrocchia. Lo scopo dell’iniziativa tendeva a valorizzare e a rendere efficiente un salone parrocchiale poco utilizzato e che in fondo era una splendida sala cinematografica anni ‘60 dove proiettare dei buoni film. Detto fatto, il primo step fu superato brillantemente. Il secondo step, fu decisamente più faticoso. Scegliemmo una dozzina di pellicole, del tipo: Solaris di Andrej Tarkovskij, Il gattopardo di Luchino Visconti ed altre ancora. La rassegna fu pianificata. Disegnai le locandine a mano con inchiostro su fogli di carta lucida che successivamente furono stampate e diffuse presso le facoltà e luoghi vari in città. Fu un successo, anche di pubblico, poiché sovente quando la pellicola era di un certo interesse, dopo la proiezione si programmava un incontro con gli spettatori.
Lo scopo era di discutere del film e tentare di coinvolgere gli spettatori, suscitando curiosità e interesse per quella pellicola, commentando le impressioni. Noi, diciamo così, ci presentavamo o piuttosto millantavamo di essere dei veri relatori di quella piccola assemblea di spettatori.
Resta qualche dubbio sulle nostre qualità di relatori mentre, sicuramente come operatori di macchina a turno, per la proiezione dei film eravamo certamente molto efficienti. La rassegna venne svolta in una splendida primavera del secolo scorso. Certo, poteva anche capitare che, in quei caldi pomeriggi palermitani, durante qualcuna di quelle proiezioni, essendo stato designato come operatore di macchina per proiettare una pellicola. All’inizio della proiezione in sala c’erano al massimo una ventina di spettatori e che poi sfilavano via durante la proiezione.
Del resto, certe pellicole d’essai non sono certo per tutti. Ma la condotta di quell’iniziativa, che potremmo definire sfrontata, avrebbe portato a noi sventurati un premio! Il premio consisteva nello scrivere, per conto di una non meglio precisata organizzazione cattolica, una sceneggiatura cinematografica che ci avrebbe spinto a girare un film con mezzi da loro forniti. Noi avremmo dovuto selezionare il casting degli attori, che dovevano essere ovviamente amatoriali. Il film, infine, avrebbe partecipato a un oscuro concorso cinematografico! Beh, l’offerta era decisamente ghiotta e interessante. Difatti, i tre baldi figuri cominciarono a scrivere quel canovaccio commissionato dai quei parrini, che doveva avere come tema principale la donna. Detto fatto, l’estate passò in fretta e già i primi di ottobre quella sceneggiatura fu vergata, nel senso più vero del termine, cioè a mano. Nel secolo scorso, alla fine di quella stesura cartacea, trascrivemmo successivamente il tutto con la vecchia olivetti-lettera 33 di mio padre. Addirittura, già i primi di ottobre, nella di Palermo in via lo Forte, tenemmo un paio di riunioni per formare il casting del film. Attrice principale per la parte di Giorgia era stata scelta la fidanzata di Michele. Vita! Anche tutto il gruppo degli amici del Risiko notturno venne coinvolto e promettemmo loro che avrebbero fatto parte del film. Ma i primi di novembre una triste notizia arrivò come un fulmine a ciel sereno. Il nostro gancio, quel vecchio signore che faceva da tramite tra noi e la parrocchia, morì improvvisante di infarto. Che iattura! La sceneggiatura non fu mai completata e fu definitivamente accantonata. Il film non si realizzò mai! Tutti noi continuammo la nostra vita da studenti in una Palermo di piombo, che era quella che fluiva in quei tempi.
In seguito, qualche tempo dopo, io ripresi quel canovaccio di poche pagine scritte a tre mani … quella storia mi piaceva molto! Ne delineai un’altra, naturalmente tenendo ferma l’immagine iniziale. Tratteggiai meglio i personaggi, aggiunsi oltre al commissario e Giorgia, anche il pittore e la gallerista. Abbozzai il menabò strutturale della sceneggiatura e disegnai alcuni bozzetti che mi servivano per immaginare meglio i personaggi. Bozzetti che oggi, ovviamente ridisegnati completamente, sono diventati parte integrante della storia. All’epoca, però, chissà perché, quella storia l’avevo immaginata a Parigi. Non so, forse avevo delle latenti manie esterofile.
Purtroppo, quella storia non la completai; era sì ben delineata, ma non completa. E ora che siamo nel secondo millennio, questa storia mi sembra sia ancora abbastanza originale. È indubbiamente una storia sofferta e autentica, nonché intima, con dei risvolti psicoanalitici tali da affrontare il problema in profondità. Se però andiamo a scavare dentro la crosta, il risultato del lavoro è distruggente, quasi eccessivo. Ma questa è una storia urlata, che vuole anche essere una storia di denuncia. Non avrei mai immaginato come quel racconto, delineato tanti anni fa, potesse essere così terribilmente attuale. Mi fa sorridere e pensare che se non mi fosse quasi caduto in testa quel faldone e quella cartella ocra non fosse venuta fuori, questa storia non l’avrei mai riscritta.
E per tutto questo ne sono felice e soddisfatto. D’altro canto, tutti abbiamo dei sogni magnifici in testa, fatti di lucidità e di poesia, che a volte si rivelano inafferrabili, e sono più resistenti a uscire e a rivelarsi, ma tutti buoni da condurci al buon senso della nostra realtà. Le immagini sfuggenti esposte, di quelle persone immaginate e analizzate, risultano a volte schiette, ma evidenziano con pudore una storia dolorosissima, con un finale… magico. Il soggetto principale è privo di inibizione e di vergogna. Vive un male interiore e la sua storia è del tutto priva di ipocrisia. È la parabola di una donna in fiamme, che rappresenta l’anello di congiunzione tra la sua esistenza e il suo intimo. L’astrazione labirintica entro cui cade Giorgia è libera e incosciente, ma purtroppo la porterà inderogabilmente alla morte. Giorgia, nel romanzo viene narrata come un’enfatizzazione quasi onirica o immaginaria, ma è purtroppo realissima e attualissima. Il carattere tormentato della storia e la sua schietta rappresentazione mette in crisi, turba profondamente. Il capitolo sul godimento artistico del pittore è angoscioso! Egli trasforma lo spirito del mutamento della sua arte al servizio del suo godimento privato, posto in rapporto con l’idea di piacere alienato. Il collegamento affettivo è interpretato in base a una complessa dinamica dell’espressione, come puro sentimento arbitrario. Il punto di partenza analitico per sviluppare le tesi sull’interpretazione dei sogni, riproduce il nucleo di una figurazione rigorosa dell’onirico, quale processo di rievocazione che indissolubilmente porta all’oblio. Infine, la chiave interpre tativa del romanzo sta nell’essere stato travolto dal rimorso di alcuni personaggi presenti nella storia. Ma tale atteggiamento mette fuori gioco, quasi destabilizza. L’assimilazione della storia si compie e diviene tangibile, quando obiettivamente tutto si delimita. L’esercizio del leggere di questa breve esperienza letteraria spero metta il lettore in uno stato di consapevolezza, che rafforza un’idea. Narrare storie cosi tortuose, dure e ingiuste, conduce il nostro umore a infettarsi, a incazzarsi per le ingiustizie ascoltate. E così i pensieri diventano ossessivi e alienati, che trasformano uno status normale in irritazione! Questa è in fondo una storia semplice, di denuncia civile, per cui oggi mi sembra inaudito che tutti giorni tante donne debbano morire per colpa degli uomini.
Qualcuno aveva sporcato Giorgia, senza che lei avesse fatto qualcosa. È una domenica sera ed è molto tardi.
Giorgia è una ragazza di trentatré anni, è ubriaca, strafatta e ora è lì davanti all’ingresso del teatro che singhiozza copiosamente. In un quartiere piuttosto vetusto come questo, anche Catania non si sottrae al peso delle memorie di una cronaca cittadina.
Questo teatro, edificato a spese del Comune e dedicato al nome immortale di VINCENZO BELLINI, fu solennemente aperto la sera del X novembre MDCCCLXXXII ad ammaestramento e sollazzo del popolo e a perenne decoro della città. Questa è l’epigrafe, posta sulla facciata del teatro, del Vate Etneo Mario Rapisardi. L’incarico ideativo del teatro Vincenzo Bellini fu affidato nel 1870 all’architetto Andrea Scala.
Egli aveva il compito di trovare un sito idoneo per costruire un nuovo Politeama. Dopo aver esaminato le varie opzioni si decise per l’area di Piazza Cutelli. Ma la società incaricata dell’opera, finì presto in liquidazione, e nel 1880 fu sostituita dal Comune che decise di modificare la struttura a teatro Lirico imponendo variazioni al progetto.
In sette anni i lavori furono terminati. Mancando i fondi per affidarlo a un impresario si dovette aspettare il 31 maggio 1890 per l’inaugurazione con l’opera Norma del compositore catanese Vincenzo Bellini. La facciata del teatro in stile neobarocco si ispira al classico sansoviniano della Biblioteca di Venezia. Il resto dell’immobile, però, se ne distacca nello sviluppo laterale, assumendo la forma di teatro. Ma dal punto di vista del racconto, ora immaginiamo per osmosi a uno scambio di spazio. Siamo piombati idealmente a Parigi, al centro de la