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Il lato sinistro
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Il lato sinistro

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About this ebook

Per Lorenzo è l’inizio di una nuova vita, una vita che lo spinge nel mondo, quello vero, che ha il sapore del primo amore. Ma Lorenzo è un debole e non è capace di decidere un bel niente. Carlotta, apprendista avvocato, mollerebbe la carriera per fare la fotografa, ma è incastrata tra incombenze e responsabilità. E poi c’è Marilena… vent’anni dopo. Tutto è avvolto da quel Sinistro, inteso non solo in senso figurato, ma come altro e oscuro, a tratti maligno, in cui i personaggi si rivelano nella loro doppia essenza. Romanzo di formazione, ambientato nella bella Cremona dei violini, il Lato Sinistro vede tre protagonisti, che nel corso di tre decadi, portano avanti un’unica storia, e il loro riscatto, nell'ottica dalla propria prospettiva.
LanguageItaliano
Release dateApr 30, 2018
ISBN9788831909082
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    Il lato sinistro - Elisabetta Croce

    indice

    CAPITOLO I 1984 LORENZO

    1

    2

    3

    4

    5

    6

    7

    8

    CAPITOLO II 1994 CARLOTTA

    1

    2

    3

    4

    5

    6

    7

    8

    CAPITOLO III 2012 MARILENA

    1

    2

    3

    4

    5

    6

    7

    Temperino rosso

    edizioni

    Elisabetta Croce

    Il lato sinistro

    Temperino rosso edizioni

    Temperino rosso edizioni

    Prima edizione Brescia 2018

    Grafica Afo-TR designer

    © 2018 Temperino Rosso Edizioni Fortini

    ISBN 978-88-31909-08-2

    IL LATO SINISTRO

    CAPITOLO I

    1984

    LORENZO

    1

    Lo stereo non si stanca di riprodurre i sintetizzatori dei Depeche Mode, ormai l’unica musica che suona da mesi, e sembra che, nemmeno lui, abbia voglia di sentire altro.

    Hai consumato il nastro, la musica scricchiola e la radio ti supplica di rimediare. Devi procurare una nuova cassetta se vuoi continuare a nutrirti di quei pezzi, e sai perfettamente dove andare.

    In motorino, canticchi il ritornello di una delle canzoni di quell’album seguendo il ritmo con la testa. Sembri un bambolotto. Fermo ai semafori, sei ancora più grottesco. Dentro alle macchine, la gente ti guarda, e te ne freghi se ti prendono per pazzo. Arrivi persino a cantare a squarciagola, la voce mascherata dal motore truccato.

    Una catapulta è meno veloce di te.

    Abbandoni il motorino con le chiavi ancora dentro (tanto il tuo catorcio, non se lo fila nessuno) e quasi scardini la porta del negozio.

    L’odore di polvere e vinile ti avvolge come un incantesimo e tutto si ferma. I manifesti si arrampicano silenziosi fino al soffitto, suonano sinfonie dai poteri magici, e l’uomo dietro al bancone ne è il direttore d’orchestra, o l’apprendista stregone, a seconda della prospettiva. È un uomo umile, mesto nei modi, muove le mani come se suonasse il theremin. È basso di statura ma un gigante per autorità. Conosce tutto ciò che le sue stanze contengono. È decisamente il più potente degli stregoni.

    Lo invidi. Vorresti essere come lui. Vorresti essere lui. Forse, un giorno, chissà?

    Una tipa indugia alla cassa e ti separa dall’obiettivo. Ti dà le spalle: un muro rosso fuoco che si staglia tra te e il tuo sciamano. La maglia colorata, con la firma grande quanto la schiena, ti si incaglia nelle budella.

    Vomiteresti bile solo per contrastare il verde al rosso, perché siete due estremi opposti. La tua maglia con buco e le tue scarpe vecchie fanno a pugni con le firme di quegli abiti.

    A guardarvi, si direbbe che sono arrivati gli alieni, anche se non è ben chiaro chi dei due sia l’invasore.

    Abbassi gli occhi. I pantaloni stretti sul suo sedere pieno riescono ugualmente a stimolarti la creatività. La tua faccia è completamente stregata da quel fondoschiena.

    La ragazza padroneggia movenze impalpabili, sembra danzare tutta la musica che vi circonda.

    Ti scoccia ammetterlo. È sexy.

    Finalmente, paga e viene verso di te.

    Non illuderti, stai praticamente sulla porta e, per uscire, è obbligata a venire da questa parte. La guardi come si guardano gli sconosciuti in un negozio, quando uno dei due cede il passo all’altro. La scarsa ampiezza dell’ambiente vi spinge a trovarvi vicini e il sapone dei suoi abiti stimola le tue narici. Sembra che abbia… (no, no, è certamente un’illusione ottica, determinata dalla luce fievole). Accennate rapidi passi di danza per prendere l’uno il posto dell’altra. Adesso è lei sulla porta e se ne esce con la tua cassetta nella tasca, anche se, ancora, non lo sai.

    Ancora non sai nulla.

    Ancora, non sai cosa sarà questa sconosciuta per te, e sarà importante, credimi, non sai quanto.

    Perbene come ti hanno insegnato, ti rivolgi al negoziante che ha l’aurea fatta di musica.

    Buongiorno. Gli dici con reverendo rispetto. L’ultimo dei Depeche Mode, per favore.

    L’esperto di musica ti guarda dispiaciuto. La sua espressione inizia a farti girare le palle.

    Questa non ci voleva. Risponde. Ho appena venduto l’ultima copia.

    Merda! Non ne ha un’altra?.

    Diventi scurrile. Tuttavia, tirare in ballo la merda ti sembra la più educata delle espressioni.

    Purtroppo non ne ho altre, in casa. Dice con sincera aria afflitta.

    Non ti resta che rassegnarti al suono graffiato della tua vecchia scatoletta e aspettare una nuova fornitura, anche se ci vorrà parecchio, almeno a stare alle parole dello stregone, che, negli ultimi cinque minuti, ha perso tutto il suo potere magico.

    Infili entrambe le mani nelle tasche dei jeans senza etichetta, ringrazi per recuperare un po’ dell’educazione a cui tua madre tiene tanto, ti chiudi la porta alle spalle e provi a sgranchirti i pensieri.

    Avrai fatto sì e no settantaquattro passi, e ancora non ti togli dalla testa l’occhio sinistro di quella ragazza. Quell’occhio ha mandato in tilt la parte del tuo cervello, quella che produce immagini. Ti chiedi se non sia stato un riflesso o se non si sia davvero trattato di un’illusione ottica.

    No. Ne sei quasi certo, quell’iride non era uguale all’altra, era più chiara, di una tonalità che non sei riuscito ad afferrare.

    Sei talmente rapito dal ricordo di quell’immagine che stai per sbattere contro una colonna.

    Complice il flusso indeterminato di pensieri, metti da parte l’occhio, la ragazza e la tua cassetta nella sua tasca e torni indietro di qualche mese. Ti ritrovi a scuola, al solito banco vicino alla finestra, in quarta fila. Davanti a te, fianco alla cattedra, il professor Ferrari, racconta una delle sue verità. Figlio di un partigiano, ti ha insegnato più cose lui in tre anni che tuo padre in tutta una vita, e un po’ te ne rammarichi.

    Mi mancherà quel farabutto comunista. Dici tra lingua e denti.

    Un sogghigno ti si stampa in bocca perché ricordi la volta in cui lui, il prof. Ferrari, parlando della galleria in cui ti trovi ora, proclama: Sei pilastri fino al cielo che reggono la scritta XXV APRILE. Sei pilastri che reggono la Libertà come fossero Cariatidi. E poi Barbieri, dalla tua destra, reclama ironicamente: Prof. non è mica sempre stato così. Prima si chiamava 23 MARZO, me l’ha detto mio padre. Metà della classe ride, all’altra metà dovete spiegare perché.

    Ti incupisci perché le vostre strade si stanno per dividere. La nostalgia incalza a un mese dal diploma.

    A maturità presa, il prof. Ferrari lo incontrerai solo nei sogni, quando, a quarant’anni, sognerai di ripetere la maturità, incubo che chiunque ha, almeno una volta nella vita. Non lo vedrai più, nemmeno per caso. Lo incontrerai solo una volta, non lo riconoscerai e tirerai dritto.

    Non l’avresti mai detto, eppure stai per dire addio a una parte della tua vita che non sei ancora pronto ad abbandonare. Non sei mai pronto a niente, tu. Sei un retrivo incallito, fomenti le rivoluzioni storiche e ti rifugi nella consuetudine. Chiaro, sei giovane, ma la personalità te la fissa l’adolescenza con l’attak e difficilmente cambia. C’è gente che, a vent’anni, ha già condizionato il mondo con scoperte e intuizioni, ma non preoccuparti, non è il tuo caso. Non cambierai un bel niente, Lorenzo mio, sarai solo in grado di incasinare la tua vita e basta.

    Ancora distratto, per poco non ti accorgi che quella ragazza, quella con l’occhio diverso, si avvicina, ancora una volta. Sarebbe da veri codardi farla andare oltre, così, fai una cosa che non è nelle tue abitudini e mi stupisci. Credimi, non l’avrei mai detto, eppure, prendi l’iniziativa.

    Ostacoli la sua via di fuga per costringerla a darti retta.

    Ciao. Le dici e sembri un assassino. Non ci sai proprio fare con le ragazze.

    Ci conosciamo?. Risponde stizzita.

    Ti infastidisce che non ti riconosca, eppure ti ha visto pochi minuti fa, è impossibile che non si ricordi di te.

    Con gli anni, ti renderai conto che, alla gente, di te, non frega un cappero, sebbene tu sia il centro del tuo mondo.

    Parlare ti risulta complicato, inoltre, quegli abiti alla moda sono lo scudo di un guerriero antico.

    Trascini le parole: Ecco… ti ho vista poco fa, al negozio di musica.

    Come?

    È sfacciata.

    Non è stata una buona idea farsi avanti’ pensi con voltastomaco, e ti senti un equilibrista sulla fune in lotta contro la gravità, vorresti lasciar perdere, ma prosegui, non hai alternative.

    È che ti sei comprata l’ultima copia di una cosa che volevo anche io e… insomma mi chiedevo, sinceramente non so nemmeno io perché te lo chiedo e perché dovresti dirmi di sì, comunque… mi chiedevo se me ne potevi fare una copia. Ti pago la cassetta vergine, o te la porto… insomma….

    Dimmi la verità, Lorenzo, non hai capito nemmeno tu che cosa le hai detto. Speri che abbia almeno afferrato il senso del discorso e ti congratuli con te stesso per non aver tirato in ballo Sacramenti come tuo solito.

    Ci tieni molto?

    Che domanda. Ovvio che ci tieni.

    … eh sì.

    Non è che ci stai provando?

    Questa qui non te la manda a dire. Tua nonna direbbe, nel dialetto più stretto, L’hai trovata quella del formaggio, un luogo comune di cui non hai mai capito la logica, sebbene il messaggio sia inequivocabile, ma questa non è la sede per spiegarlo, perciò tanto ti basti.

    Non rispondi. Ti prende in giro e ti senti in difetto.

    Dai scherzo! Recupera lei notando la tua espressione da perfetto permaloso.

    Bello scherzo! Dici e ti senti di aver detto una cazzata.

    Lei ride come si ride a una battuta, e tu sei povero persino nelle reazioni.

    Dimmi dove e quando. Appena rientro a casa, te la faccio.

    Ok. Ci vediamo alla Taverna All’Arco… tipo… per le nove?

    Ok. Io sono Vittoria, anche se non me l’hai chiesto.

    Io, Lorenzo.

    Maledici la consuetudine in generale, perché ti senti diverso da lei. Il mondo vi vuole distinti in classi sociali ben definite. Odi te stesso, perché non puoi essere te stesso, perché te stesso ti fa schifo. Vaghi fino a sera, osservi la gente, gli atteggiamenti, gli alberi, le cabine del telefono; tutto ti suggerisce, a suo modo, di stare alla larga da quella ragazza. Li ascolterai?

    Hai dato appuntamento a Vittoria proprio in quel posto dove ti trovi con gli amici e dove lavori ogni tanto. Ti è venuto così, potevi proporre un qualsiasi altro angolo della città, ma hai scelto un luogo familiare, perché vuoi farla entrare nella tua vita e ancora non lo sai.

    Le dieci, e lei non si è ancora fatta viva.

    Avresti voluto che gli altri ti vedessero con una di un altro livello. Te la saresti tirata a lungo, per questo.

    Continui a ispezionare la porta dallo sgabello su cui siedi, simulando i più possibili scenari con il massimo dell’inventiva di cui disponi, intanto che la disillusione pressa le tempie.

    È passata una, un attimo prima che arrivassi. Mi ha dato una cosa per te.

    La voce che riempie il frigo da sotto il bancone ti prende a schiaffi. Niccolò Barbieri, tuo compagno di banco per tutti i cinque anni delle superiori, nonché figlio del capo e tuo collega di briscole, emerge, si pulisce le mani sui Levis e ti lancia un oggetto che recupera da dietro la cassa. Afferri, al volo, la custodia di plastica nera e bianca e te la ripassi tra le mani come una verifica andata male per cui avevi studiato per l’intero fine settimana. Leggi i titoli delle canzoni. Hai ottenuto ciò che volevi, però non sei appagato.

    Non è che per caso conosci quella ragazza? Domandi alla spina di Nastro Azzurro.

    Strofinaccio in spalla, l’amico risponde: Quella lì è Vittoria Marchesi. Frequenta gente influente, mica plebaglia come noi. I suoi hanno una ditta di scarpe e soldi fin sopra le orecchie.

    Come lo sai?.

    Lascia perdere, Lorenzo, sei una delle tante vittime dell’ingiustizia cosmica.

    Lo sanno tutti. Senti proferire dalle spalle che sistemano i bicchieri e che, anche, ti ammoniscono. Hai intenzione di fissare quella roba ancora per molto o vieni a darmi una mano?

    A casa, non resisti e fai tutto di fretta. Getti le chiavi del Ciao nello svuotatasche, attento però a non far rumore per non svegliare i tuoi che dormono, e appendi il giubbotto di jeans sul dorso di una sedia, fregandotene di tua madre che ti raccomanda di usare l'appendiabiti. Snoccioli tre quarti del guadagno della serata nel barattolo Spese Mese, tenendo per te giusto il necessario, e togli la cassetta dalle tasche per infilarla al più presto nel walkman. La metteresti nello stereo, ma è tardi, e ti vuoi sparare quella roba a tutto volume, dritta in vena.

    Non ti sembra un po’ tardi?

    Gli occhi di tuo padre ti incendiano da dietro la poltrona consumata. La luce azzurra della tv gli fa da riflettore, sembra un panettone, e le palle ti girano più del nastro che si riavvolge nel mangianastri.

    Non più degli altri giorni. Rispondi, e vorresti mandarlo a fare in culo.

    L’odore speziato che aleggia nell’aria non ha nulla a che vedere con la cena.

    Ci ucciderai con quella roba. Esplodi.

    Aspetti risposte che non arrivano, aspetti una razione, aspetti inutilmente. Tuo padre non comunica, più per torpore che per ammissione di colpa, di questo ne sei super-convinto.

    Questa volta no’. Pensi. Non ti costringerà a letto con il ventre ingarbugliato come ogni sera. Questa volta, decidi di lasciarlo andare e che tanto è inutile, perché domani non farà differenza. Questa volta, desideri andare avanti.

    Abbandoni Antonio Fontana e la dipendenza da Marijuana in salotto, in compagnia del matrimonio fallito, tenuto assieme dalla routine e dalla dipendenza, quella vera, di una madre che si spacca di straordinari in fabbrica e lavoro in nero per concedere alla famiglia l’apparenza di una vita. Chiudi tutto ciò fuori dalla tua tana, la tua camera, dove hai sempre trovato rifugio dalle ingiurie fin da quando eri bambino.

    Adesso c’è spazio solo per quella cassetta che ti ha regalato colei che viene da una stirpe agli antipodi, che viene da una società che non lavora per necessità ma per voglia, una società avanti anni luce, una società che arriva prima in tutto, persino in un negozio a comprare una stupida musicassetta.

    2

    Per le strade, si aggirano solo gli arditi e l’ombra del sole che ha picchiato il lastricato per l’intero pomeriggio. È buio, eppure puoi sentire addosso i raggi caldi, ancora incastrati tra i muri dei palazzi.

    Un altro venerdì notte di città deserta.

    La tua città è questa. Cremona: baluardo di violino e torrone durante l’inverno, in piena estate si trasforma nel deserto del Sahara, sia per clima, sia per densità demografica, almeno così appare nell’ottantaquattro.

    Barbieri è un divo alla scopa e ti fregava a ogni mano. Giocate da parecchio e non ne hai ancora vinta una. Speri in una svolta fortunata, ma quello ti batte anche bendato.

    Siete rimasti soli, gli altri se ne sono andati da un pezzo.

    Hai già pensato cosa fare dopo il diploma?

    È furbo il ragazzo. Fa domande per distrarti, così ti può bastonare ancora.

    Effettivamente no. Manderò qualche curricula, il lavoro al bar non mi sfama. Tu? Rispondi, cercando di non perdere d’occhio le carte, e metti un quattro di bastoni sul tavolo, sperando non gli sia utile.

    Mica ho altra scelta, mi sa che mi inchiodo a ‘sto posto. Ci vengo da quando ero piccolo. È praticamente casa. Ho passato più tempo qui che in camera mia. Scopa!. E ti frega!

    Ci rinuncio. Lanci le carte e stiracchi la schiena, aspirando la sigaretta che tieni in mezzo ai denti manco fossi James Dean.

    Se preferisci, giochiamo a rubamazzetto. Ti provoca.

    Vaffanculo!

    Cosa ci vuoi fare se sono imbattibile?

    Ti sfotte, così alzi il dito medio della mano destra e baci la falange per enfatizzare il gesto. Guardi oltre i vetri mentre Niccolò sistema il nuovo mazzo. Evidentemente, vuole fare un’altra partita e tu, piuttosto, correresti la maratona di New York con una gamba sola.

    Non gira un’anima. Dici.

    Sai che ti dico? Niccolò ti sembra scosso da un’idea che risolverebbe l’incognita della relatività. Chiudiamo e ce ne andiamo allo Smash.

    Mi pagherai l’intera serata?

    Bell’opportunista! Tanto, ti paga mio padre e a lui mica lo diciamo.

    Allora ci sto!

    L’orologio scocca le ventitré e la porta si apre, spinta da una grassa risata. Non ti volti e lasci che sia Niccolò a dire: Spiacenti, stavamo per chiudere. È lui il capo quando non c’è suo padre.

    Ok, ce ne andiamo. Che modi. Dice una voce che, pensando a un colore, assoceresti senza dubbio al blu.

    Peccato, speravo di trovare un amico.

    A parlare, adesso, è la voce più chiara di una ragazza e la tua bocca rinsecchisce, perché riconosci Vittoria. Sollevi la fronte senza

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