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Ebook213 pages2 hours

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About this ebook

Constance è fuggita ma non è ancora al sicuro: il migliore assassino di Octavius è sulle sue tracce.

Constance, dopo i traumi che ha subito, torna al sicuro di casa propria. Sfuggire alle grinfie di Octavius non è stato facile, ma restare libera sarà ancora più dura.

Un alleato inatteso mette tutto il suo mondo di nuovo sottosopra; avrà bisogno di tutto l’aiuto possibile, se vuole restare viva.

LanguageItaliano
PublisherBadPress
Release dateMay 5, 2018
ISBN9781547527267
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    Duo - Raven Whitney

    Duo

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    Raven Whitney

    Raven Whitney LLC

    Duo

    Questo libro è un’opera di finzione. Nomi, personaggi, luoghi ed eventi sono il prodotto della fantasia dell'autore, sono usati per scopi narrativi e non devono essere interpretati come reali. Qualsiasi analogia con persone, eventi, aziende o organizzazioni reali è puramente casuale.


    Copyright © 2016, Raven Whitney


    Tutti i diritti riservati. È vietata qualsiasi utilizzo o riproduzione dei contenuti del presente libro senza previa autorizzazione scritta, eccetto in caso di brevi citazioni contenuti in articoli e/o riviste critiche.


    Copertina realizzata da The Killion Group

    (http://thekilliongroupinc.com/)


    Traduzione di ES Traduzioni

    Revisione di Eugenia Franzoni

    Creato con Vellum Creato con Vellum

    Indice

    Ringraziamenti

    Capitolo primo

    Capitolo secondo

    Capitolo terzo

    Capitolo quarto

    Capitolo quinto

    Capitolo sesto

    Capitolo settimo

    Capitolo ottavo

    Capitolo nono

    Capitolo decimo

    Capitolo undicesimo

    Capitolo dodicesimo

    Capitolo tredicesimo

    Capitolo quattordicesimo

    Capitolo quindicesimo

    Caro Lettore,

    Sull’Autrice

    Altri libri di Raven Whitney

    Ringraziamenti

    Vorrei ringraziare entrambi i miei genitori per essere così di supporto alla loro bramosa artista, mentre cerca di perseguire i suoi sogni, e anche per avermi permesso di vivere nel granaio insieme ai miei gatti. Mia madre, in modo particolare, si merita un abbraccio forte per avermi tramandato il gene della scrittura e avermi mostrato come usarlo.

    Si meritano una medaglia i miei amici che mi sostengono da prima che ci crescesse il seno, hanno letto ogni bozza di questo libro e mi hanno garantito che non è una schifezza completa. Ma non ho un soldo per farvene fare una, cosa che sarebbe invece dovuta. Vi voglio bene, ragazzi. Davvero, follemente e profondamente.

    Infine, vorrei ringraziare la mia editor per aver tenuto a bada la mia pazzia, e la mia correttrice di bozze per essere stata tanto paziente con me.

    Capitolo primo

    Raven glyph

    Gli alberi curati si profilavano alti nell’oscurità; i loro rami come artigli sembravano allungarsi verso di noi. Ondeggiavano nella brezza e rendevano claustrofobico il buio abitacolo del grosso SUV. Fu dura respirare finché il veicolo non si fu fermato, lungo il parco, a qualche isolato dalla casa di Lexie.

    Quel sollievo svanì presto, però. Piccoli animali si muovevano frenetici fra gli alberi e le siepi, provocando un fruscio come di passi fra le secche foglie cadute. Sembrava che si stessero avvicinando e nonostante sapessi che sarebbero rimasti a distanza da noi grandi umani spaventosi, la pelle mi si accapponava, come se con gli occhi mi stessero perforando la schiena. Avevo una lettera scarlatta marchiata nell’anima, ormai: la A di assassina.

    Non appena i miei piedi toccarono la terra ferma della nostra città natale, mi gelai. Non posso farlo, Lexie. La gola mi si strinse dolorante attorno a quelle parole. Abbondanti lacrime mi bruciarono gli occhi e, come una bambina smarrita, non riuscii a smettere di stringerle la mano, in piedi sul ciglio della strada.

    Col pollice mi sfiorò le dita in segno di conforto mentre ringraziava l’uomo dalla dubbia personalità a cui avevamo chiesto un passaggio. Lui contraccambiò per gli inarrestabili affari che la famiglia di Lexie intratteneva con la sua società. Fece voto di segretezza, si rimise in marcia sulla sua Escalade nera e ci lasciò lungo un tratto deserto di Bellevue Avenue.

    Non posso tornare indietro. Mi tremavano le ginocchia e non era per il freddo. Era passata una sola settimana da quando Lexie era stata usata come esca per attirarmi in un’Artide infernale. Ma erano successe troppe cose, troppe ne erano cambiate… ormai, sembrava che fossero passati mesi dall’ultima volta che ero stata a casa.

    Mi abbracciò e le poggiai la testa sulla spalla. La sua pelle odorava ancora vagamente del suo bagnoschiuma preferito, persino sotto al più pungente aroma di sangue essiccato, e le sue vecchie scarpe da ginnastica sporche puzzavano dell’aereo merci su cui ci eravamo nascoste per il viaggio di ritorno. Senza volerlo, feci una leggera smorfia quando mi resi conto che a Lexie ancora non batteva il cuore. Come poteva essere viva?

    Mi chiesi se si fosse resa conto che il suo cuore era fermo. Se così fosse stato e riusciva comunque a restare in piedi, ne sarei davvero rimasta allibita. Anche se non lo sapeva, andava oltre ogni mia logica come potesse trovare la forza di essere così rassicurante, quando tutto il nostro mondo era stato distrutto, insieme a ogni cosa in cui avevamo creduto. Non l’avevo mai vista così forte come in quegli ultimi giorni.

    Lexie notò la mia reazione e fermò la mano che aveva sulla mia schiena. Possiamo farcela promise. È come quella volta che ci arrestarono per aver bevuto, da minorenni, a quella festa alla confraternita, ricordi? Quando rientrammo per le vacanze, eri così terrorizzata di dover affrontare la tua famiglia, ma non è stato poi così male come immaginavi nella tua testa, sbaglio?

    Feci uno strano suono, a metà fra un singhiozzo e una risata. "È stato esattamente terribile come immaginavo. E non avevo bevuto neanche un sorso di quella tequila. L’espressione di delusione sul volto di mia madre mi ha uccisa più delle urla di mio padre. Cosa farebbero se sapessero che ho… assassinato delle persone innocenti?"

    Lexie restò in silenzio per lunghi attimi. Beh, beata ignoranza! Non c’è bisogno che sappiano quella parte.

    Nonostante tutto, riusciva ancora a farmi ridere, anche se sembrava più che mi stessi strozzando con qualcosa.

    Fece un profondo respiro e lo lasciò fuoriuscire lenta. Hai ragione, però. Forse è una cattiva idea presentarci con l’aspetto di due che si sono rotolate su una scena del crimine e che puzzano di balene arenate.

    Dove possiamo andare se non a casa? Non abbiamo soldi, né documenti, niente. Il calmo tono di sconfitta nella mia voce tradiva l’espressione coraggiosa che stavo valorosamente, anche se senza successo, cercando di stamparmi in faccia.

    Si fermò a pensare. C’è ancora la chiave di riserva dell’appartamento nascosta fra gli arbusti dietro al Philter?

    Annuii. Il piccolo trilocale sopra il mio bar era ancora vuoto ed era il posto perfetto dove nasconderci, ripulirci e inventare una storia di copertura vagamente plausibile. Era a più di un chilometro di distanza e quello del passaggio se n’era andato, quindi avremmo dovuto attraversare l’intera città a piedi. Sarebbe stato un viaggio difficile da fare senza essere riconosciute, dato che era probabile che i nostri volti fossero stampati su volantini distribuiti in tutta la città, oltre a essere comparsi nel telegiornale della sera.

    Dovremo camminare a testa bassa, se non vogliamo essere segnalate alle autorità. Sono sicura che la mia famiglia abbia mosso tutte le forze di polizia per cercarmi in ogni dove disse Lexie, che era evidente stesse seguendo il mio stesso ragionamento.

    Mi ritrassi e asciugai le lacrime. Per nostra fortuna è Halloween, quindi almeno non daremo troppo nell’occhio.

    Annuì in accordo e iniziammo a camminare verso il centro, nella direzione opposta rispetto alla casa della sua infanzia.

    Era passato da un pezzo l’orario del dolcetto o scherzetto, quindi c’era poca gente in giro; ci facemmo strada per le vie vuote e superammo le svettanti ville fino al cartello appeso al lampione all’angolo della strada dove si trovava il mio negozio, che ci prometteva civiltà, docce calde e letti accoglienti.

    Alzai lo sguardo verso la brillante sfera sopra di noi e, d’improvviso, mi sembrò di essere tornata in quella cella: congelata, spaventata e dolorante, nel corpo e nello spirito. Feci un gemito gutturale e dovetti mordermi il labbro fino a farlo sanguinare, ma riuscii a mantenere il controllo; poi, quel terrore esplose alla vista di un uomo che camminava lungo la strada, verso di noi, con un costume da scheletro davvero kitsch. Non riuscivo a vedere altro che famelici teschi insanguinati che si muovevano in una massa agitata di carne urlante e venivano dritti verso di me.

    Mi cedettero le gambe e caddi a terra; il dolore del freddo asfalto mi scorticò le mani, fomentando la mia paura. Urlai senza controllo, divincolandomi a scatti, in preda a una crisi, finché non vidi Lexie davanti a me.

    Mi afferrò per le braccia e mi strinse fino a farmi sentire la pressione sulle ossa. A pochi centimetri dal mio volto, urlò: Riprenditi!

    La sua espressione mi riportò sulla terra. Lexie non era con me nella fossa. Nonostante non riuscissi a smettere di tremare e avere il fiatone, almeno avevo il controllo di me stessa e potevo smettere di strillare a squarciagola. L’uomo scheletro stava ancora camminando, nonostante mantenesse la distanza e avesse un’espressione confusa, come se pensasse che fossimo fatte.

    Tutto okay? chiese Lexie, ferma dritta davanti a me. Hai fatto a pezzi l’asfalto sotto di te!

    Per un attimo, non riuscii a fare altro che tremare e fissarla negli occhi, ora un poco meno luccicanti di prima che l’incubo iniziasse. Alla fine, annuii.

    Mi prese per le mani graffiate e mi tirò su in piedi. Forte.

    In pratica le volai fra le braccia, come trainata da un tir. Riguadagnai l’equilibrio e la guardai dubbiosa, ma lei era altrettanto perplessa.

    Scosse la testa e alzò le mani. Non lo so. Non lo voglio sapere. Andiamo e basta. Mi prese per mano e mi guidò lungo il marciapiede. Gettai uno sguardo indietro e mi resi conto che l’asfalto dov’ero atterrata era ridotto in mille pezzi.

    C’era ancora qualche persona che vagava per le strade, soprattutto adulti che tornavano a casa dalle feste, a giudicare dal loro passo instabile e dalle loro risate chiassose. Vampiri, lupi mannari e diavoli in abbondanza. Non potevo pronunciarmi sugli ultimi, ma gli altri due costumi erano davvero poco realistici.

    Un uomo mummia avvolto di carta igienica ci superò, fischiando: Zombie a un pigiama party! Mi piace, biondina!

    Lexie alzò gli occhi al cielo e rise. Io, però, non potei fare a meno di chiedermi se le fosse davvero successo quello. La sua pelle adesso era sempre fredda, non aveva mangiato niente dalla sera prima, quando era saltata fuori dal nulla nel bel mezzo delle foreste della Norvegia settentrionale, e, in qualche modo, era ancora viva, persino dopo esser stata decapitata dal magico indice di Unus. L’accesa linea rossa attorno al suo collo non mostrava segni di guarigione e sembrava ancora aperta e infiammata, ma lei non lasciava trapelare alcun dolore. Il cuore non le batteva e prendeva fiato solo quando stava per dire qualcosa. Zombie, fantasma, cyborg, qualsiasi cosa fosse, ero comunque grata di riaverla con me e non avevo la minima intenzione di guardare in bocca al caval donato.

    Svoltammo l’angolo costeggiando uno steccato in legno, verso il piccolo parcheggio vuoto dietro all’edificio in mattoni dove si trovava il Philter. Dentro alla recinzione vi erano delle siepi di bosso rinsecchite, che non venivano tosate da almeno un anno. Tesi la mano nello spazio fra due di esse e scavai nella terra compattata dal tempo per recuperare la microscopica chiave sotterrata in quel punto all’interno di una piccola bustina di plastica con la cerniera lampo.

    La tirai fuori mentre salivamo le scale in legno verso il piano superiore, per raggiungere la porta di accesso all’appartamento. Quando mio nonno era ancora vivo, lui e mia nonna vivevano lì, sopra al loro adorato bar. Quando era morto, qualche anno prima, mia nonna non era riuscita a convivere con tutti quei ricordi, quindi aveva deciso di passarmi le redini per trasferirsi in un piccolo cottage nel loro paese natale, il Galles. Dopo essermi laureata con Lexie alla Brown University, immaginavo che sarei tornata qui e ci sarei rimasta, mi sarei sposata con l’amore della mia vita e avrei messo su famiglia.

    Accidenti, quanto possono cambiare i programmi.

    Sbloccai la porta e la aprii su quei cardini cigolanti tanto familiari. Un giorno, avrei dovuto oliarli, ma in quel momento ero troppo felice di sentire quell’acuto stridio. L’aria calda, il primo vero calore che sentivo sulla pelle dopo una settimana, soffiò dolce su di noi e mi mandò dei brividi giù per la schiena. L’aroma di caffè, di casa e del profumo preferito di mia nonna mi fece liberare un respiro che non mi ero resa conto di aver trattenuto.

    Entrammo nel piccolo salotto e, per un attimo, tutto ciò che desiderai fare fu collassare sul divano color crema. Poi, però, mi ricordai che l’avrei macchiato con tutto il sudiciume che mi copriva dalla testa ai piedi. Mi tolsi i laceri stivali fangosi prima di fare anche solo un altro passo sulla moquette blu che ricopriva gran parte del pavimento del salotto. Stavo quasi per incitare Lexie a fare lo stesso, ma lei era ancora scalza.

    Puoi fare tu la doccia per prima dissi.

    Sicura? chiese, anche se era palese che la sua natura germofoba fosse impaziente di essere disinfettata.

    Annuii. Voglio preparare un po’ di acqua calda per la cioccolata. Forse hai ancora qualche vestito nella cassettiera in camera.

    Senza dire un’altra parola, Lexie quasi corse verso la porta del bagno lì di fronte.

    Io andai nella piccola cucina a parete dalla parte opposta del salotto. I vecchi armadietti tinti di bianco avevano dei disegni anni settanta che scendevano dalla fila di sportelli più in alto. Rovistandoci dentro, trovai proprio ciò che stavo cercando: un preparato per cioccolata calda con pezzi di marshmallow. Di solito, avrei preferito del latte e cacao vero, ma, dato che nessuno viveva più lì, non c’era niente di deperibile e non volevo rischiare di espormi ancora scendendo in negozio.

    Il bollitore da tè, rosso acceso, era ancora lì, vuoto, sull’immacolata cucina in acciaio, allegro e paziente. Mentre aspettavo che l’acqua bollisse, passai le dita sugli intagli del bancone da macellaio, dove, tempo prima, avevo imparato a cucinare, senza riuscire mai a tenere il coltello sul tagliere. Ero rimasta sorpresa che mia nonna non avesse carteggiato e rifinito il top quando avevano ristrutturato l’appartamento qualche anno prima, ma ne ero felice. Quei segni mi ricordavano adesso giorni migliori.

    Tutta tua gridò Lexie, ruotando come una ballerina sul pavimento, felice di essere finalmente pulita. Mi stavo chiedendo dove fosse finito questo. Si era messa un pigiama rosa di flanella con dei piccoli gufi disegnati sopra.

    Sorrisi al suo atteggiamento e attraversai la cucina, superando la zona pranzo e il piccolo tavolo di legno per raggiungere la camera da letto. Quando lo senti bollire, potresti versarmi un po’ di cioccolato? Ho già sistemato la tazza sul bancone.

    Lexie annuì e si lasciò cadere sul divano.

    La camera matrimoniale dall’altro lato dell’appartamento aveva un fascino pittoresco che era sempre stato invitante. Le pareti bianco sporco, il pavimento e le modanature in legno scuro facevano sembrare lo spazio più grande di quanto fosse; quindi, nonostante riuscisse a ospitare l’antico letto a baldacchino king-size, la cassettiera coordinata, due comodini, un piccolo armadio e uno specchio da terra, non sembrava pieno. Il caldo bagliore del lampione esterno gettava una luce dorata nella stanza, prima che chiudessi le spesse tende imbottite e premessi l’interruttore del lampadario in ottone.

    Dopo essermi laureata all’università, avevo portato la maggior parte dei miei oggetti personali lì, ma quando il tumore al seno di mia madre le aveva preso le ossa, avevo voluto tornare a casa

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