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Blues di provincia: racconti
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Blues di provincia: racconti

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Blues di provincia è una raccolta di 28 racconti brevi dove si narrano i sentimenti e le atmosfere della vita di provincia.
La geografia dei racconti conduce chiaramente al territorio toscano anche con riferimenti precisi ad alcune località, ma la provincia di cui si parla è un luogo dell'anima e per questo universale.
Bar, discoteche, stazioni ferroviarie, centri commerciali dove si consumano le giornate con le gioie, i dolori, le delusioni e le illusioni.
Personaggi borderline che il paese li accoglie e integra perché la loro stranezza costituisce un antidoto alla piatta normalità.
In tutti i racconti serpeggia la solitudine, il tempo che fugge, una nota dolente e malinconica come un blues.
LanguageItaliano
Release dateMay 3, 2018
ISBN9788828319115
Blues di provincia: racconti

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    Blues di provincia - Fabrizio Nelli

    d'amore

    Ciucheba

    Sono arrivati i temporali e hanno cancellato le lunghe e oziose giornate estive dove le cicale strillavano come se fossero impazzite.

    Osvaldo è triste. Fatica ad abituarsi alla nuova stagione. Già si vede rinchiuso in qualche cinema a trascorrere ore vuote e inconcludenti.

    Per reagire è andato ugualmente al mare. Non in un posto qualunque, ma in un luogo speciale che porta nel cuore.

    Sulla costa livornese al confine tra Castiglioncello e Rosignano Solvay c’è la frazione di Caletta. C’è stato in vacanza per diversi anni con i genitori e poi anche da solo.

    Qui si sente bene, incamera l’energia per affrontare la noia dell’autunno e la rigidità dell’inverno.

    Il cielo è nuvoloso, ma il sole ogni tanto filtra tra le nubi. Qualche raggio di calore arriva a mitigare il suo congedo dalla bella estate.

    Cammina lungo il sentiero che costeggia il mare. La strada che si insinua tra la scogliera conduce alla pineta Marradi e alla zona centrale di Castiglioncello. Ogni passo Osvaldo smuove un ricordo.

    In un baleno si ritrova davanti al Ciucheba, la discoteca cult degli anni Novanta. Qui le donne ballavano seminude con i capelli e i vestiti scompigliati dal vento.

    Mettevano in mostra il corpo con la pelle arsa dal sole cosparsa di creme toniche e rinfrescanti.

    Adesso il Ciucheba, fagocitato dalla vegetazione, è andato in rovina. Il Comune lo ha puntellato e messo in sicurezza, ma l’incuria continua a corroderlo.

    È una sofferenza vederlo ridotto così. Quello che era uno dei locali più chic della Toscana sta per crollare. Per chi lo ha frequentato, il degrado fa più male di un pugno allo stomaco.

    Osvaldo si siede sul muretto di pietra che delimita la passeggiata e con la mente torna indietro nel tempo per rivisitare quella mitica struttura dove si è divertito e più di una volta anche innamorato.

    Ecco la pista, la postazione del dj, i tavoli con i divanetti, il ristorante, il piano bar dove andava a rilassarsi dopo un’overdose di musica scalpitante.

    La scena agisce su di lui come un lampo che squarcia la memoria e all’improvviso si ricorda della ragazza del piano bar. Osvaldo macinava ottanta chilometri all’andata e ottanta al ritorno solo per lei.

    Si chiamava Lina, cantava con voce roca e sensuale accompagnata da un pianista che, tranne per il colore della pelle, assomigliava a Sam del film Casablanca.

    Alternava vecchie canzoni a pezzi più moderni che scaldavano un pubblico amante della dance, ma anche dei classici intramontabili del pop.

    Tra un motivo e l’altro intonava il refrain di un successo del festival di Sanremo del 1995.

    Ma che ne sai

    Ma che ne sai

    Ma che ne sai

    Se non hai fatto

    il piano bar [1]

    Quella sera era l’ultima esibizione della cantante al Ciucheba e Osvaldo voleva salutarla come si deve.

    Un sabato dopo l’altro, una sigaretta dopo l’altra fumata durante le pause, erano entrati in confidenza e avevano scoperto di avere molto in comune.

    Osvaldo aveva atteso pazientemente fino alla chiusura, fino all’ultima canzone:

    Ecco…

    La musica è finita,

    Gli amici se ne vanno.

    Che inutile serata, amore mio [2]

    Erano quasi le quattro del mattino. Lei sistemava la borsa con gli spartiti e le altre sue cose, quando Osvaldo, sfidando lo sguardo truce del pianista, le chiese di fare colazione insieme.

    Uscirono nella notte e si fermarono su una panchina a guardare il mare ancora scuro, mentre alle loro spalle spuntava l’alba. Si baciarono, si tennero la mano. Poi, abbracciati, si lasciarono prendere da un sonno leggero.

    Li svegliò l’odore dei croissant appena sfornati e li guidò verso il bar che aveva aperto da poco. Dopo colazione Osvaldo a malincuore l’accompagnò in Piazzetta dove il pianista attendeva con l’auto accesa.

    Le grida dei ragazzi che giocano a biliardino al bagno Tre Scogli lo distolgono da quel dolce flashback. La realtà della decadenza torna a riempire ferocemente i suoi occhi. I resti del Ciucheba che rinvengono come zombi davanti a lui, gridano vendetta e lasciano rimpianto e nostalgia.

    Vorrebbe rimanere ancora, cercare altre storie, ma si è fatto tardi e deve rientrare. Il cielo è diventato nero e le onde si frangono sugli scogli spezzandosi in lembi.

    Supera a passo svelto i bagni Salvadori e Belvedere, raggiunge il parcheggio di Caletta dove ha lasciato la macchina. La sua ultima giornata di mare si sta concludendo. Non si è proprio rilassato, ma una sferzata dal passato è giunta comunque a scuoterlo. La stagione che sta arrivando non gli piace, ma stavolta non si farà prendere dalla noia e dalla monotonia.

    C’è qualcosa che può fare nei prossimi mesi. Salvare il Ciucheba o almeno la sua memoria. Come e con quali azioni lo deve ancora decidere.

    Potrebbe organizzare una mostra fotografica, scrivere un racconto, mettere su un gruppo facebook, promuovere una petizione on line, cercare quell’amore dimenticato che insieme a lui aveva vissuto il periodo glorioso di quel locale.

    [1] Ma che ne sai se non hai fatto piano bar, Festival di Sanremo 1995, di Claudio Mattone, cantata da Trio Melody (Gigi Proietti, Peppino di Capri, Stefano Palatresi).

    [2] La musica è finita, Festival di Sanremo 1967, di Nisa, Franco Califano e Umberto Bindi, cantata da Ornella Vanoni.

    Ylenia

    Dopo le ore di caldo opprimente dove la canicola prende allo stomaco, quando l’afa inizia a calare e si sono accese le luci dei lampioni, Oreste scende in giardino.

    Lo spazio verde si trova a ridosso della strada e Oreste, oltre la siepe sente i rumori delle persone che si concedono un po’ di refrigerio prima di andare a dormire. Sente passi che si muovono e fischi che richiamano cani, ma a lui queste cose adesso non interessano.

    Guarda l’orologio, c’è ancora tempo prima che Ylenia, la giovane badante ucraina, venga a gettare la spazzatura.

    «Buona sera, come va?» dice quando la vede comparire.

    «Io sempre casa annoiare» risponde lei.

    Ci scambia qualche parola. Si sofferma sul quel corpo bianco e sensuale che, complice il caldo, lascia poco all’immaginazione. A volte la invita a sedersi, le porta qualcosa da bere. Da diverso tempo non prova più certe emozioni e Ylenia è arrivata come un ciclone a sconvolgere la sua vita di quasi pensionato.

    Ha poco tempo per provarci. Le badanti non sono mai libere e inoltre lei è una sostituta. Accudisce Olga, quell’arpia dell’appartamento del piano superiore. La vecchia la reclama in continuazione. Vuole che la ragazza risponda immediatamente alle sue richieste e ai suoi ordini, spesso senza senso, perché la despota ormai è anche un po’ partita con la testa.

    Una sera, con una scusa, Oreste conduce Ylenia nella stanza della lavanderia e tenta di baciarla. La badante non dice di no. Con la foga di lui e la paura di lei, esce il sesso breve e concitato di un rapporto che lascia desiderio e vuoto da colmare.

    «Anche le sostitute hanno diritto a qualche ora di riposo dal lavoro!» esclama Oreste che vuole trattenerla più a

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