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Gargandus - L'Impero degli Hiiragi
Gargandus - L'Impero degli Hiiragi
Gargandus - L'Impero degli Hiiragi
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Gargandus - L'Impero degli Hiiragi

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About this ebook

In un mondo in cui gli elfi sono il prodotto dell’unione fra le fate e gli umani, Renhel la Saggia, prima sacerdotessa del villaggio elfico di Combra, viene nominata Tramite e incaricata di una delicata missione, ossia quella di contaminare la pietra nascosta chiamata megaloide per poter così distruggere con l’inganno  gli Elfi Balchi, invasori provenienti da un altro mondo, colpevoli dello sterminio di un’intera razza di Gargandus. Ad accompagnarla nel viaggio per radunare i Fuochi di Hun, potenti magie in grado di deturpare il gioiello incantato, gli amici di sempre; la guardiana Haldana, il Maestro di Creazione Lephron e il fratello acquisito Vernus. Con loro anche l’hiirago Senarius, signore di Gargandus, animato dalla sola sete di vendetta. Un’avventura pericolosa e un cammino tortuoso fino alla verità più dolorosa di tutte. Esiste o no una speranza per il selvaggio regno di Gargandus?
L’Impero degli Hiiragi è il primo dei due volumi della saga di Gargandus, ed è seguito da L’Ultimo Dominatore.
LanguageItaliano
Release dateMay 8, 2018
ISBN9788828320791
Gargandus - L'Impero degli Hiiragi

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    Gargandus - L'Impero degli Hiiragi - Valeria Ornano

    http://write.streetlib.com

    GARGANDUS

    L’Impero degli Hiiragi

    ***

    Si narra che tremila anni prima del Regno di Alchidìon e di quello di Intinor, quando il nostro stesso territorio era selvaggio e inospitale, gli Hiiragi dominavano su ogni cosa, e il loro impero sembrava essere destinato all’eterno. In quel tempo vi erano ben poche delle razze che ai nostri giorni abitano questa terra, e gli uomini non conoscevano la magia. Essa apparteneva agli elfi, e a noi fate loro genitrici. Era il tempo dei Dominatori. Era il tempo di Gargandus.

    ***

    CAPITOLO 1

    Senarius

    La polla era vasta e profonda almeno venti metri, non quanto necessario per essere considerato un luogo maestoso, anche se l’anfiteatro di roccia chiazzata di muschio verde che la abbracciava creava un senso di meraviglia e di incontaminato ogni volta che gli occhi delle creature che vivevano nei dintorni si posavano sul panorama da essa offerto. Il colore grigio naturale delle rocce creava un bel contrasto con il bruno dei tronchi di alcuni alberi che crescevano a poca distanza e i cui rami coperti di fogliame rosso e oro si protendevano sull’acqua, celando in parte alla vista di Senarius il corpo nudo della splendida ninfa sulla quale aveva messo gli occhi quel giorno, e che fra poco sarebbe diventata il suo temporaneo strumento di piacere.

    L’hiirago, figlio del maschio dominante di Gargandus, rimase sdraiato su un fianco ancora per alcuni minuti, immobile sul gomito ripiegato all’indietro per sostenersi, gli occhi verde pallido fissi sulla femmina. Ignara, la ninfa si immerse per bagnare i suoi biondi capelli ricci, dandogli inavvertitamente le spalle. Il tonfo la impensierì appena, ma quando le braccia estremamente forti di Senarius la agguantarono, lanciò un grido di finta indignazione, dibattendosi solo per alcuni momenti. I numerosi assalti dell’hiirago la tennero piacevolmente impegnata per alcune ore, così come sembravano fare con poche sue simili spettatrici. La loro presenza non disturbava affatto Senarius, che anzi riteneva quella dimostrazione di virilità un ottimo metodo per evitare inutili lotte delle sue prossime amanti. Compiuto il suo dovere, l’hiirago lasciò andare la preda, gratificandola di un sorriso soddisfatto, e nuotò fino alla cascata, permettendo ai getti gelidi ma non troppo forti di abbattersi sul suo capo ornato da un paio di corna ripiegate all’indietro. La stanchezza cominciava a stendere la sua mano su di lui, e adesso desiderava solo sdraiarsi di nuovo sulla sua roccia preferita, quella più in alto, e fare un ben meritato riposo sotto i raggi del sole. Suo padre poteva anche essere il capo della sua gente e di tutto Gargandus, ma là, in quella polla d’acqua cristallina, lui era il re incontrastato. Non invidiava né il suo genitore né suo fratello maggiore per il loro ruolo nella comunità degli hiiragi, esso comportava di gran lunga troppa responsabilità, e Senarius era felice così, almeno finché non fosse venuta l’età per accompagnarsi ad una femmina della sua specie, la rispettabile figlia di un hiirago della loro radura, che generasse per lui numerosa prole. Quel momento era vicino, Senarius lo sapeva, così come sapeva benissimo delle critiche che gli venivano rivolte dagli altri della sua razza per le sue frivolezze. Alla sua età si richiedeva ad un hiirago della famiglia dominante di dedicarsi più ai combattimenti che al piacere. Ma non erano, i suoi soliti, scontri migliori piuttosto che quelli inutili con gli altri giovani adulti della radura, che peraltro vinceva con troppa facilità? Sospirò, infastidito da quei pensieri, e si sdraiò per riposare, i lunghi capelli castani ondulati in parte appiccicati al collo e alle spalle dall’acqua. Sentì per qualche istante ancora le risatine lascive delle ninfe dietro le sue spalle, qualche scialacquio, poi il sonno lo catturò, immergendolo in sogni sereni di trionfale solitudine.

    Il sole del tardo pomeriggio lo svegliò con la sua luce morente. Era fine autunno, e nonostante a sud, in lontananza, si potesse avvistare il bianco delle nevi perenni delle montagne più alte, l’hiirago, così come i suoi simili, sopportava il freddo con noncuranza. Senarius si levò a sedere e si stirò informalmente braccia e spalle. Aveva sempre osservato con interesse l’alternarsi delle stagioni; esso portava sempre nuove creature nel suo regno, e le piccole come le più complesse erano di solito le benvenute. In quel suo mondo fuori dal mondo, non esisteva differenza fra i popoli, l’importante era che chiunque vi giungesse rispettasse il suo re, e cioè lui.

    La polla era deserta, immobile come se fosse stata incantata, e qualche foglia rossa galleggiava sul pelo dell’acqua. Il regno era tranquillo, Senarius poteva anche lasciarlo per qualche momento, e andare a far visita alla sua radura, quella in cui era un comune, sebbene importante, abitante.

    Si incamminò per il sentiero bordato dagli alberi, che divenivano più fitti man mano che avanzava, e come al solito dovette procedere per un’ora prima di arrivare alla sua vera casa.

    Gli alberi si aprivano in un punto nascosto agli occhi degli animali dei dintorni, e i tronchi formavano un cerchio ampio numerosi metri, dentro il quale perimetro erano erette le tende di pelli conciate e legno che i suoi compagni avevano costruito a loro dimora. Anche lui doveva averne una tutta per sé, da qualche parte là attorno, ma ormai non ricordava più quale fosse, perché preferiva di gran lunga la sua polla a tutto il chiasso del suo popolo. Non che fossero in molti a produrlo. Gli hiiragi della sua radura erano appena cinquecento, cinquecentocinquanta se si contavano i cuccioli, e Senarius sapeva che ne esisteva un’altra soltanto, a tre giornate di cammino verso sud-est, che ospitava più o meno lo stesso numero di suoi simili. In tutto poco più di un migliaio di individui, che erano però la razza più forte di tutto Gargandus, e perciò, il popolo che comandava. Senarius ricordava come il fatto del loro numero fosse sempre una questione dibattuta nelle noiose riunioni a cui era costretto a partecipare assieme a suo padre e a suo fratello maggiore, e anche come fosse proprio quel dettaglio a turbare la sua quiete. Matho in particolare, l’hiirago più anziano di tutte e due le radure, insisteva ogni volta che aveva occasione di incrociarlo sul fatto che prendesse con sé una compagna, in modo da generare il prima possibile. Senarius storceva il naso perché, seppur cosciente del fatto che un hiirago non nasceva mai con sollecitudine, e spesso i genitori dovessero aspettare anni per avere un cucciolo, era altrettanto sicuro del fatto che un hiirago non moriva facilmente, ed era praticamente impossibile che venisse ucciso, visto che dominavano tutto lo spazio, fino ed oltre la portata della vista di un drago.

    La radura era immersa nella luce del tramonto quando egli ne varcò la soglia, rispondendo con cenni ai vaghi saluti che gli venivano rivolti. Percorse la strada maestra, lanciando un’occhiata divertita ad un gruppetto di cuccioli che giocava ad azzuffarsi, e li superò a passo svelto fino alla piazza principale, al centro della quale una femmina anziana incominciava ad approntare il grande fuoco notturno.

    Qualcosa gli si aggrappò improvvisamente alla gamba, facendolo quasi inciampare, e nel guardare in basso il suo sguardo truce si addolcì immediatamente.

    <>, gioì un cucciolo dai grandi occhi azzurri e le corna ancora appena abbozzate all’apice della fronte, levando le braccia per la felicità.

    L’hiirago gli diede una carezza che gli scompigliò i capelli castani, quindi si chinò appena a guardarlo in faccia, sollevandosi poi con espressione compiaciuta, <>.

    Il cucciolo si volse verso il gruppetto di compagni di giochi, <>.

    L’hiirago osservò con divertimento una frotta scalmanata venirgli incontro correndo, <>.

    <>.

    Senarius rise al ricordo della zuffa, e soprattutto a quello della forza con cui tutte quelle piccole braccia tentavano di scazzottarlo. Si chinò di nuovo, le mani sulle ginocchia, <>.

    Il piccolo hiirago si imbronciò.

    <>, precisò Senarius, per consolarlo, <>.

    <>, confermò una voce roca alle sue spalle.

    Senarius si volse. Il corpo di Matho rispecchiava chiaro il ricordo di ciò che egli era stato in un tempo lontano; un grande guerriero e un hiirago dalla forza esemplare. Il torace ancora ampio era ornato da copiose lingue nere, i segni indelebili di numerose vittorie e di onorificenze sempre più elevate. Senarius pensò che per arrivare ad averne egli stesso così tanti, la sua vita sarebbe dovuta durare almeno il quadruplo dell’età che aveva al momento, e senza la certezza di riuscire ad eguagliare l’hiirago più anziano e più saggio di Gargandus.

    <>, lo schernì rispettosamente.

    <>.

    Senarius si volse all’indirizzo del fratello più giovane e scrollò le spalle, <>, gli promise. Quindi si incamminò dietro al più anziano, che si fermò un momento all’ingresso della tenda per passargli un perizoma di pelle che Senarius si mise addosso svogliatamente. Non era una cosa necessaria, ma solo un simbolo di rango, e tanto valeva non fare troppe storie.

    In quello stesso momento dalla tenda uscì guardingo un altro hiirago, dai capelli più scuri di Senarius, ma dalla stessa struttura fisica possente e i medesimi occhi verdi quasi trasparenti.

    <>, sospirò Gresarius, lanciandogli un’occhiataccia ma accompagnandola con un’affettuosa pacca sulla spalla, <>.

    Senarius indirizzò al fratello maggiore un mezzo ghigno, <>, disse, entrando con lui nella tenda, Matho alle loro spalle.

    Una volta dentro, qualcuno gli mise velocemente in mano la sua coppa ovoidale piena di januta , e Senarius prese posto su uno sgabello fra il rimestio generale e il chiacchiericcio disordinato, cominciando a sorseggiare con rilassatezza la bevanda del convivio. Di lì a pochi secondi, evidentemente vedendo che erano tutti presenti, i membri del consiglio si accomodarono in cerchio sui rispettivi sgabelli.

    Baal alzò la sua coppa e bevve un sorso per aprire ufficialmente i dibattiti, imitato immediatamente dai partecipanti.

    <>, disse l’hiirago dominante, scoccando un’occhiata fuggevole a suo figlio minore, ma senza animosità, <>.

    Matho si protese appena, e sul suo volto scarno e solcato di rughe danzarono le fiamme della torcia al centro della tenda, <>.

    Senarius fissò lo sguardo al soffitto della tenda, irrobustito da grossi tronchi di legno rosso. Come al solito, anche il consiglio di quel semestre non avrebbe portato nessuna novità. Preparandosi ad annoiarsi a morte e consolato soltanto dal delizioso sapore della januta, il giovane hiirago sospirò fievolmente, scacciando uno sbadiglio e osservando suo padre annuire appena.

    Baal era un hiirago possente, ben più dei suoi due figli maggiori, e i suoi segni ornamentali erano estesi quasi quanto quelli di Matho, sebbene al maschio dominante mancassero tutti quelli relativi alle cariche di saggezza che invece decoravano il più anziano. Riguardo però a quelli di combattimento e a quelli sociali, Baal non si era certo fatto mancare molto. Le labbra di Senarius si incresparono appena mentre egli seguiva con lo sguardo i segni sociali di suo padre, e in particolare quelli relativi alla sua posizione familiare. Il possente hiirago aveva una compagna, Malah, madre di Senarius, e il segno nero che rappresentava questo evento faceva bella mostra di sé sul pettorale sinistro del capo, dal lato del cuore, perché Baal amava Malah, raro caso nella vita delle due comunità hiiragi. Senarius pensava sempre che non sarebbe stato altrettanto fortunato, perché conosceva tutte le femmine dell’età adatta della sua radura, e nessuna gli interessava davvero. Certo, alcune erano belle, ma tutto ciò che il giovane hiirago sperava era che il momento di avere una compagna fissa arrivasse il più tardi possibile. Sotto al segno di Malah, da esso spioventi, tre raggi indicavano i tre figli del capo; Senarius sorrise nell’occhieggiare quello che lo rappresentava, al centro, perché era così che si era sempre sentito fin da quando aveva iniziato ad interrogarsi sulla vita e sul mondo, in mezzo a cose che non gli interessavano minimamente.

    <>.

    La voce del genitore lo riportò al presente.

    <>, disse Shama, sussurrando fra i denti.

    L’allusione strappò qualche commento divertito, subito smorzato dalla reazione di Baal. Con voce cruda, il capo hiiragi apostrofò il consigliere, <>.

    Shama si alzò, <>, fece una piccola pausa, bevendo un sorso della sua januta, e indicando subito dopo Senarius con la mano che reggeva la coppa.

    <>.

    <>, rispose blandamente qualcuno.

    <>.

    Il discorso sortì un effetto davvero imprevisto rispetto alle altre volte che Shama lo aveva fatto, sebbene meno perentoriamente di poco prima. Ci furono urla di assenso, qualcuno batté sul proprio scudo da guerra, alcuni pestarono i piedi al suolo.

    <>, continuò Shama, sopra il rumore, <>.

    Il volto di Baal assunse un’espressione d’ira che raramente gli era stata vista in volto in periodo di pace, ma la sua risposta fu preceduta dal levarsi in piedi dello stesso Senarius.

    <>.

    Il giovane hiirago si era espresso con una voce soffiata e pervasa di glaciale rabbia che forse solo Matho aveva avuto modo di sentire altre volte. Il suo intervento aveva ammutolito i presenti, che si aspettavano la sua solita reazione indifferente e quasi beffarda.

    Shama sogghignò alla luce della torcia, <>.

    <>, ripeté Senarius, a denti stretti.

    Shama continuò a sorridere, immobile. Senarius si accorse che la sua faccia larga e il suo ghigno lo mandavano in bestia come niente altro. In un momento fu su una spada posata là accanto e l’attimo dopo Shama indietreggiava con la punta della lama a pochi millimetri dalla gola.

    Ci furono voci di sorpresa che il giovane hiirago sentì appena, poi un paio di braccia robuste quanto le sue lo trassero indietro, costringendolo ad abbassare appena l’arma.

    <>, consigliò Gresarius al suo orecchio, lanciando però saette con lo sguardo all’indirizzo di Shama.

    <>, ripeté il minore dei figli di Baal, cercando di levare di nuovo l’arma, e ancora trattenuto indietro dal fratello maggiore.

    Finalmente Shama reagì, e senza perdere il suo ghigno levò le mani in segno di resa, <>.

    Ancora mormorii di approvazione.

    <>, rise Shama, all’indirizzo dell’assemblea, con l’intento di portare un po’ di leggerezza nello scambio.

    <>, puntualizzò Senarius, continuando a fissarlo con occhi fiammeggianti, ma posando la spada e moderando l’asprezza della voce.

    <>, rise apertamente Shama, <>.

    Senarius faticò ad imbrigliare un nuovo fiotto di rabbia. Era d’accordo con Shama nel considerare le ninfe come semplici balocchi, e generalmente come tutti gli hiiragi per lui le donne, anche del suo stesso popolo, non erano altro che strumenti; di piacere, per la riproduzione, o per semplice bisogno di compagnia. Era certo che anche suo padre considerasse sua madre come il suo strumento di riproduzione associato ad una necessità di non essere solo. Era quell’ultimo componente che gli hiiragi chiamavano amore per la compagna, unito ad una inconsueta gentilezza, ed era un qualcosa di cui quasi nessuno della loro razza sentiva il bisogno. Nonostante condividesse quel punto di vista, per un momento gli parve quasi che Shama stesse mettendo in dubbio in qualche modo tutto il suo essere.

    <>, sbottò d’improvviso la voce di Baal, <>.

    L’hiirago obbedì.

    <>, disse l’hiirago dominante all’indirizzo del suo consigliere, <>.

    L’assenso a quelle parole fu unanime, e Senarius si sentì fiero per la saggezza che i Numi avevano dato a suo padre, anche se ne avevano riservata ben poca per lui.

    <>, continuò Baal, <>, si volse verso il minore dei suoi figli, <>.

    Il giovane hiirago ammutolì per un istante all’udire quell’ultimatum inatteso, poi però si riprese e si affrettò ad annuire, senza particolare emozione nella voce, <>.

    Dopotutto, avrebbe dovuto aspettarselo. Sapeva che prima o poi sarebbe successa una cosa simile, ed era meglio fare qualcosa a causa di un ordine piuttosto che di propria volontà, quando questa era controvoglia.

    Gresarius gli scoccò un sorriso furbo e una strizzata d’occhio senza farsi notare, e Senarius si ritrovò a sorridere sommessamente delle sue ribelli disavventure, cogliendo ciò che suo fratello intendeva trasmettergli con quell’occhiata: finché era durata, la sua epopea era stata un divertimento quasi per tutti.

    <>, chiese Baal, con aria annoiata.

    <>, intervenne di nuovo Matho, <>.

    Baal parve sorpreso, <>.

    <>, cercò di spiegarsi Matho, <>.

    Quelle parole portarono qualche brusio, rotto però subito da Baal, <>, volle sapere l’hiirago dominante.

    Matho sembrava temere l’arrivo di una domanda simile, almeno da come aveva in precedenza misurato le parole. Ormai però non poteva più tergiversare, <>.

    Uno scoppio di risate seguì sonoramente quella dichiarazione. Persino Senarius, nonostante il cattivo umore, si unì all’ilarità generale per l’assurdità di tale previsione e di tale veggente.

    <>, sbottò Baal, che al contrario della sua assemblea sembrava indignato piuttosto che divertito, <>.

    Senarius comprese l’indignazione del padre, e scosse la testa. Se potevano esistere creature più ripugnanti degli incroci fra specie, lui non ne conosceva. La ninfa era sopportabile e quasi gradevole, essendo un’emanazione magica della creazione; le fate, per quanto aveva potuto avere occasione di vedere, erano splendide, ma talmente infantili e incostanti, sempre impegnate in acrobazie e voli da causargli un istintivo rifiuto; e poi gli umani… gli umani erano di gran lunga gli esseri più orrendi che esistessero a Gargandus. Per fortuna erano pochi, molti meno degli hiiragi, e morivano facilmente, grazie ai Numi. Gli umani erano inutili, deboli di braccio e di cuore, e Senarius non si spiegava il perché della loro esistenza. Se poi pensava agli elfi, quella razza nata dalla mescolanza di quelle sciocche fate con quegli inutili umani… quali obbrobri poteva creare il fato! Gli elfi vivevano in piccole comunità di mille individui al massimo, e purtroppo prosperavano in fretta, perché dall’unione reciproca nascevano ovviamente altri elfi. Loro si proclamavano grandi pensatori, dicevano di saper operare arcane magie derivanti dalle fate genitrici, erano convinti di saper decifrare il destino nelle stelle e altre assurdità del genere. Alcune comunità avevano dei sacerdoti, così come volevano essere chiamati, e questi pazzi si dedicavano allo studio di altrettante immonde sciocchezze. E il saggio della loro radura gemella aveva creduto ad uno di loro, anzi no, peggio, ad una di loro, tanto da far pervenire un messaggio… No, troppo assurdo.

    <>, domandò Matho, imbarazzato.

    <>, rispose Baal, come se solo quella domanda fosse oltraggiosa, <>.

    <>, aggiunse Gresarius, riprendendo a sorseggiare dalla sua coppa di januta, <>.

    Senarius annuì assieme agli altri, trovandosi perfettamente d’accordo con le parole del fratello. Notò però che Matho era rimasto assai silenzioso e quasi mogio, come se la decisione presa di non mandare alcuna risposta alla radura gemella lo rattristasse.

    <>, lo interrogò Baal.

    Matho annuì, e il consiglio si sciolse, mentre fra commenti e risa gli hiiragi adulti tornavano alle loro tende.

    Senarius stava per andarsene a sua volta, per tornare al regno immaginario immerso nella natura che ben presto avrebbe dovuto abbandonare, ma Gresarius lo trattenne per una spalla, accompagnandolo fuori dalla tenda.

    I due fratelli si fermarono poco lontano dal grande fuoco al centro della radura. Erano quasi alti allo stesso modo, e nonostante Gresarius avesse un decennio in più del fratello minore, appariva suo coetaneo.

    <>, esordì il più vecchio.

    <>, scherzò Senarius, sganciandogli un leggero pungo sul pettorale destro, il lato del dovere, dove curve e linee nere ornamentali narravano le gesta dell’hiirago, primo nella linea di successione a Baal. Senarius amava suo fratello maggiore, anche se non quanto il più piccolo, ed era certo di essere da lui molto ben voluto, almeno perché lo rispettava e non lo aveva mai sfidato per ottenere il suo posto. D’altra parte era risaputo che al più giovane non importava la propria collocazione in seno alla comunità, e da quel punto di vista era sempre stato considerato un ribelle, quasi una pecora nera. Spesso Senarius si stupiva della quantità di segni che i suoi coetanei della radura avevano sulle braccia e sul corpo a suo confronto, ma il particolare non lo irritava più di tanto, né lo faceva sentire inferiore a loro, come avrebbe dovuto essere. Un giorno, si diceva, quei marchi avrebbero finito per accumularsi senza che lui nemmeno se ne accorgesse.

    Gresarius sorrise, incrociando le braccia, <>.

    <>, rispose noncurante il minore.

    <>.

    <>, continuò a scherzare Senarius, salvo tornare serio prima che Gresarius potesse rimproverarlo, <>.

    Gresarius rise di gusto a quell’uscita, <>.

    Senarius annuì, gli occhi ridotti a fessure mentre Gresarius gli passava un braccio attorno alle spalle con fare cospiratorio, <>.

    Senarius sbuffò una risatina, <>.

    <>.

    <>.

    Gresarius si lasciò contagiare dal tono ilare, e rise a sua volta, <>.

    <>, tagliò corto Senarius, facendo per andarsene.

    <>, specificò Gresarius.

    <<È più che sufficiente>>.

    <>.

    La domanda inchiodò al suolo i passi di Senarius. L’hiirago si volse, e osservò l’espressione truce del fratello, del tutto simile a quella che anch’egli recava in volto. Tornò sui suoi passi.

    <>, sibilò, con rinnovata rabbia, <>.

    <>, convenne Gresarius, <>.

    <>, promise Senarius.

    Da quel giorno, l’hiirago trascorse alla radura più ore di quante di norma avrebbe mai pensato di poterne sopportare. Per la gioia di Anamus, trovò spesso ritagli di tempo da trascorrere in compagnia dei cuccioli, in zuffe e giochi che gli altri hiiragi trovavano inadatte ad un maschio adulto, e per questo per Senarius ancora più divertenti. Si rese conto che Anamus aveva un vero e proprio debole per lui, che lo considerava quasi un Nume e lo idolatrava davanti ai compagni di giochi, e si sentì felice e onorato come mai per quella eccessiva considerazione, scoprendo che avrebbe fatto di tutto perché il suo fratellino fosse sempre così euforico.

    Ebbe anche modo di intrattenersi con Narinna.

    Una mattina fosca la trovò al ruscello che lambiva la radura. Era intenta a strofinare delle stoviglie, i capelli biondi raccolti in fitti e sottili ricci che le cadevano davanti al volto. Senarius la osservò per una manciata di secondi; le sue corna erano delicate e curvavano ai lati del viso, come un diadema. Fu la prima volta che la bellezza di una femmina della sua specie lo colpì profondamente, inducendolo a valutare la sua vita fino a quel momento come puerile e inconsistente.

    Lei non si era ancora accorta di lui, continuando a strofinare e risciacquare con energia.

    Senarius si schiarì la gola. Narinna si volse, lo riconobbe, e i suoi occhi dalle iridi grigio chiaro si dilatarono diventando grandi e rotondi quasi come uno dei piatti che stava lavando. Il modo in cui arrossì toccò qualcosa dentro il petto di Senarius che egli non avrebbe saputo definire.

    Lei fece per alzarsi, ma fu Senarius a chinarlesi accanto, raccogliendo un piatto e immergendolo nel ruscello. Per un po’ lavorarono in silenzio, finché il tremore delle mani della femmina di hiirago non divenne fin troppo evidente.

    Senarius le sorrise, <>.

    Si alzarono. Narinna si asciugò le mani sulla corta gonnella di pelli che indossava. Il viso in fiamme, era chiaro come non avesse intenzione di guardarlo.

    <>.

    Senarius attese, ma lei non proseguì, strappandogli un sorriso, <>.

    Narinna abbassò la testa quasi fino a stirarsi il collo mentre Senarius pensava a quanto gli fosse venuto spontaneo quel complimento. Gli era uscito di bocca quasi senza che se ne rendesse conto.

    Un tuono sonoro sottolineò il momento di silenzio fra loro.

    Senarius soffiò una risata, <<È meglio se raccogliamo tutto e torniamo>>.

    Narinna annuì con energia, si chinò in fretta e furia e prese a mettere i piatti nel cesto. La pioggia li sorprese un momento dopo. Le mani della femmina tremavano talmente tanto, per l’imbarazzo o per la fretta, che una delle stoviglie si ruppe, aprendole un taglio trasversale sull’indice destro. Il sangue non sgorgò subito, a causa della temperatura bassa, ma Senarius le tolse la cesta dalle mani e la sollevò, trasportandola egli stesso. La pioggia era fitta e pesante, e la radura distava una decina di minuti. Decisero quindi di ripararsi in una vicina caverna poco profonda, immersa nel fitto delle conifere. Probabilmente quel luogo era stata la dimora di un orso, un giorno lontano, ma ora era soltanto un anfratto asciutto per due giovani hiiragi che non avevano voglia di una doccia gelata.

    Gli occhi di Narinna fissavano il tappeto di muschio steso sul suolo. I riccioli di lei avevano catturato alcune gocce di pioggia, che adesso li ornavano come diamanti.

    <>, commentò l’hiirago.

    Lei annuì. Levò un poco la testa e guardò fuori dall’arco del rifugio. Senarius la vide prendere un grosso respiro e sorridere appena, <>.

    L’hiirago lo annusò solo allora, e lo scoprì stranamente intrigante. Posò la cesta.

    <>.

    <>, bisbigliò Narinna.

    Senarius le prese la mano. Il sangue colava lento fino al polso dal piccolo ma profondo taglio. L’hiirago si portò il dito di lei alla bocca e lo leccò via. Quando sollevò gli occhi scoprì che Narinna aveva alzato la testa e lo stava guardando come se quella non fosse la realtà, ma uno strano inverosimile sogno. Il suo sguardo era puro, cristallino. Il viso rosso la rendeva ancora più bella. Senarius non aveva mai sperimentato quel tipo di attrazione, così innocente, a tratti infantile, ma capace di chiudergli lo stomaco e di fargli venir voglia di abbracciarla e coccolarla.

    Agendo d’istinto, si trovò a sporgersi nella sua direzione, gli occhi incollati dentro quelli di lei. Narinna indietreggiò fino a trovarsi spalle alla parete della caverna, ma l’hiirago non s’arrestò e annullò tutta la distanza, posando la fronte contro quella di lei. Le loro corna si sfiorarono, cozzando appena le une contro le altre. Senza più pensare, Senarius si chinò sulla sua bocca e la baciò a lungo, senza fretta e con lentezza, per timore che si spaventasse e ritraesse. Dopo una prima esitazione, Narinna levò le braccia e gli avvolse le spalle, rispondendogli con la stessa tenera concentrazione. Si divisero con un lieve sospiro comune. Senarius ne fu certo. Non sapeva da dove gli venisse quella sicurezza, ma era certo che ciò che stava provando per Narinna, improvviso come la pioggia che li aveva portati là, era ciò che legava suo padre Baal a sua madre Malah. Non aveva voglia di conoscere nessun’altra femmina. Non gli interessavano più le ninfe, futili giocattoli senza sentimento. Voleva lei. Voleva conoscere ogni lato del suo carattere, vederla arrossire così ogni giorno che avrebbero passato assieme. Lei era uguale a lui, era una femmina di hiirago, ed erano alla pari. Narinna lo completava.

    <>.

    Shama era entrato nella tenda che Senarius stava sistemando da quella mattina presto.

    Si trattava di una tenda periferica, non grande, ma accogliente. Era coperta di terriccio e infestata dai parassiti, perché Senarius non l’aveva mai usata da quando aveva smesso di essere cucciolo, e perciò necessitava di un lavoro ben fatto per poter accogliere non solo lui, ma anche la sua compagna.

    La voce del consigliere di Baal gli perforò l’orecchio, infastidendolo appena, ma egli continuò il suo lavoro, senza guardare l’indesiderato ospite.

    <>.

    Ancora silenzio.

    <>, continuò imperterrito Shama, <>.

    Senarius si lasciò sfuggire una mezza risatina, interrompendo il lavoro per guardarlo, <>.

    Shama ghignò, e nella penombra i suoi occhi quasi bianchi lanciarono un brillio, <>.

    Senarius gli rivolse un’espressione scettica, e riprese la sua opera di pulizia. Avrebbe anche potuto credergli, e passare sopra a qualsiasi sua angheria personale, ma non avrebbe mai potuto perdonargli di aver mancato di rispetto a suo padre.

    <>.

    Senarius lo guardò con la coda dell’occhio. Il suo volto da belva certe volte pareva ammansirsi davanti alla criniera di riccioli neri.

    <>.

    <>, lo interruppe il giovane hiirago.

    <>.

    Senarius sospirò.

    <>.

    <>.

    Il consigliere fissò il ghigno sicuro che si era dipinto sul volto del giovane.

    <>.

    Senarius sospirò ancora. Sebbene fosse palese che Shama stesse solo cercando un modo di screditarlo o di toglierlo di mezzo in maniera non sospetta, egli non aveva tutti i torti, dopotutto. Se voleva davvero vivere alla radura, avrebbe dovuto sposare completamente la natura degli hiiragi, e comportarsi non solo come uno di loro, ma come il figlio, seppur cadetto, del signore di Gargandus.

    <>.

    Il fuoco ardeva crepitando.

    La sua luce amaranto nella penombra della sera inoltrata disegnava sulla pelle dei due hiiragi riflessi arancio e neri. I due giovani adulti si fronteggiavano, attorniati da tutta la radura. Baal in persona si era sporto oltre la cortina di suoi simili per assistere all’ultimo scontro del torneo.

    I due contendenti avevano superato sedici avversari, ed erano finalmente arrivati all’ultima tappa che avrebbe decretato il migliore lottatore del torneo.

    Senarius fissava il suo antagonista. Aveva vinto i primi sei incontri in meno di un minuto. Gli avversari agivano e pensavano tutti allo stesso modo; lo avevano guardato, avevano pensato che aveva pochi segni e che quindi fosse incapace. E lo avevano sottovalutato.

    Gli scontri a mani nude erano quanto di più semplice ci fosse, per Senarius. Fin da cucciolo aveva sempre amato scontrarsi così coi compagni di giochi, e anche per la nuova generazione le cose non erano cambiate. Era bastato rispolverare qualche vecchia mossa; il resto lo avevano fatto i suoi muscoli. I successivi dieci avversari erano stati un poco più accorti, e gli avevano dato un po’ più filo da torcere, ma nulla di eccessivamente impegnativo. Senarius cominciò a chiedersi dove fosse l’inganno, a cosa Shama mirasse veramente, se avesse preparato una trappola che egli non riusciva ancora a cogliere. Non riusciva a credere che avesse davvero organizzato quel torneo per lui e non per il proprio tornaconto.

    Mentre pensava in quel modo, il suo avversario partì alla carica, a testa bassa, con l’intenzione di colpirlo allo stomaco. Senarius lo scansò con facilità, assestandogli una ginocchiata al petto e una successiva sciabolata alla schiena col braccio destro. Attorno a lui i mormorii aumentarono. I più anziani faticavano a credere che egli riuscisse ad essere così incisivo con così pochi movimenti. Senarius si rendeva conto di apparire quasi svogliato nella lotta, ma dopotutto era così che la stava affrontando. Come una mera dimostrazione di forza bruta. Se almeno l’avversario fosse stato alla sua altezza, se avesse pensato ad una finta … in quella, l’altro hiirago fece per rialzarsi, trafelato, ma egli lo spinse di nuovo giù con uno sgambetto, costringendolo alla resa con un piede sulla schiena. No, i suoi simili non usavano il cervello; erano soltanto forti. Peccato per loro che lui lo fosse di più.

    Alzò le braccia in segno di trionfo quando la folla eruppe in esclamazioni, grida e colpi sugli scudi.

    Mentre Matho si avvicinava col pugnale sacro per incidere sul suo corpo il segno di quella vittoria, Senarius guardò Narinna e Anamus, e il loro sorriso fu più prezioso di un trofeo.

    La sera del ventesimo giorno dopo il consiglio, Senarius si recò alla sua polla per trascorrervi la notte. La tenda gli sembrava ancora inospitale e scomoda, per non parlare di quanto fosse polverosa, e finché non l’avesse divisa con Narinna, preferiva dormire all’aperto. Di solito le unioni fra hiiragi si celebravano nelle notti di luna nuova, e la prossima sarebbe stata fra circa quindici giorni. Aveva tempo per concludere le pulizie.

    Il suo

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