Scritture postcoloniali: Nuovi immaginari letterari
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Book preview
Scritture postcoloniali - Francesca Tomassini
Francesca Tomassini - Monica Venturini
Scritture postcoloniali
Nuovi immaginari letterari
Galathea
saggi universitari
Comitato scientifico
Benedict Buono (Universidade de Santiago de Compostela), Fabio Camilletti (Warwick University), Simona Costa (Università Roma Tre), Marco Dondero (Università di Macerata), Pietro Frassica (Princeton University), Philippe Guerin (Unoversité Sorbonne Nouvelle), Giuseppe Ledda (Università di Bologna), Luca
Marcozzi (Università Roma Tre), Gabriele Pedullà
(UniversitàRoma Tre)
Direttore
Monica Venturini (Università Roma Tre)
Vice direttori
Paolo Rigo (Università Roma Tre),
Francesca Tomassini (Università Roma Tre)
Segreteria di redazione
Simona Onorii (Università Roma Tre)
Francesca Tomassini e Monica Venturini
Scritture postcoloniali
© Edizioni Ensemble srls - Roma, 2018
© Ensemble, 2018
Tutti i diritti riservati
edizione digitale maggio 2018
ISBN 978-88-6881-264-5
editing e correzione bozze Livresse progetto grafico Livresse
Ensemble
direttore editoriale Matteo Chiavarone direttore commerciale Davide Morbidelli redazione Samanta Latessa
ufficio stampa e comunicazione Cristina Loizzo
tel. +39 3931713162 direzione@edizioniensemble.it www.edizioniensemble.it
www.officinaensemble.it (iniziative, premi, laboratori)
Edizioni Ensemble
ISBN: 978-88-6881-264-5
Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write
http://write.streetlib.com
Indice
PREMESSA
PREFAZIONE
INTORNO AL ROMANZO
Monica Venturini
Laura Restuccia
Giovanni Saverio Santangelo
Ugo Fracassa
Laura Ricci
Elisa De Roberto
Ubah Cristina Ali-Farah
Note
PREMESSA
Gli Atti che qui si pubblicano sono frutto di un Convegno tenutosi il 5 e 6 aprile 2017 all’Università di Roma Tre, presso il Dipartimento di Studi Umanistici. Tale incontro nasce da una pregressa rete di rapporti interuniversitari, in questo caso, con l’Università di Palermo, dove dal 10 al 12 marzo 2016 si è svolto a Palazzo Chiaramonte (Steri) e al Museo Internazionale delle Marionette Antonio Pasqualino
il convegno Scritture Migranti. Letteratura postcoloniale italiana?
, iniziativa ideata e coordinata dal prof. Giovanni Saverio Santangelo e dalla prof.ssa Laura Restuccia.
Il Convegno si colloca infatti in un più ampio dibattito intorno alle scritture migranti e postcoloniali che ha necessariamente messo a confronto non solo generazioni diverse – ne è prova il ricco dialogo fra studiosi dal consolidato prestigio scientifico e più giovani ricercatori – ma anche scrittori e scrittrici in un serrato confronto con il mondo degli studi accademici.
La nostra gratitudine va naturalmente a quanti hanno reso possibile un colloquio estremamente stimolante e originale: dai colleghi di Roma Tre agli altri provenienti dalle Università di Palermo, Perugia, Siena e Stranieri di Siena. Il quadro che ne deriva non pu e non vuole proporsi come esaustivo, ma certo fa emergere la ricchezza di un dibattito critico inesaurito che ha impresso negli studi sul panorama contemporaneo una svolta essenziale.
Per l’organizzazione e realizzazione di questo progetto, si ringraziano il Dipartimento di Studi Umanistici, il suo Direttore, il prof. Mario De Nonno, e tutti coloro che hanno preso parte all’organizzazione del convegno, dal personale amministrativo ai giovani dottorandi che hanno contribuito alla riuscita dell’iniziativa, dai curatori di questi atti a quanti hanno dato il loro contributo tramite appoggio e suggerimenti.
La nostra riconoscenza si estende agli scrittori intervenuti – Ubah Cristina Ali Farah, Carlo Lucarelli, Melania G. Mazzucco, Igiaba Scego – a tutti gli amici e colleghi che hanno generosamente assicurato la riuscita scientifica del convegno, arricchendo così, con le loro relazioni e i loro interventi, il dialogo culturale proposto, affidato ora con fiducia a queste pagine, con la certezza che potranno ben testimoniare la serietà e la passione critica che ci hanno guidato fin qui e che, auspico, possano essere d’ispirazione a possibili ricerche future.
Simona Costa
Roma, 15 febbraio 2018
PREFAZIONE
Scritture postcoloniali.
Nuovi immaginari letterari
Siamo tutti profughi, senza fissa dimora nell’intrico del mondo.
Respinti alla frontiera da un esercito di parole, cerchiamo una storia dove avere rifugio.
(Wu Ming 2, Antar Mohamed, Timira. Romanzo Meticcio )
Il suono dell’oceano, il suo fragore, è il leitmotiv della mia infanzia. L’oceano ribolliva come piombo fuso e poteva deformarti il cuore.Nella sabbia i tuoi piedi diventavano radici d’acqua e di iodio, le tue ossa crescevano di silicio e sale.
Il mio oceano era una pozza di conchiglie rosse e di spugne impregnate, un cavità segreta di meduse e dollari di mare. (Ubah Cristina Ali Farah, Un sambuco attraversa il mare )
L’Italia era ed è un paese che ha paura del cambiamento.
(Igiaba Scego, La mia casa è dove sono )
Lei cammina. In verità, non è il verbo giusto.
Per mettersi in cammino bisogna avere una
direzione, e lei non ne ha. Lei passa.
(Melania G. Mazzucco, Io sono con te. Storia di Brigitte )
Il colonialismo italiano è stato un fenomeno storicopolitico solo recentemente indagato dopo un lungo periodo di rimozione. Il termine post-coloniale
sta oggi ad indicare le manifestazioni culturali di quelle realtà sociali influenzate, in un modo o nell’altro, dall’esperienza coloniale. L’Italia, peraltro, a differenza di altre nazioni che avevano instaurato veri e propri imperi coloniali, non ha vissuto né le fasi di liberazione dei territori colonizzati, né quelle relative ai processi della decolonizzazione. Solo recentemente, per – e questo volume ne è un segno tangibile – si è imposta all’attenzione del pubblico e degli studiosi una produzione indirizzata a rimuovere le reticenze sulla parentesi coloniale. Si afferma – è possibile fare i nomi di Carlo Lucarelli, Luciana Capretti, Igiaba Scego, Cristina Ubah Ali Farah, ma anche Erminia Dell’Oro, Shirin Ramzanali Fazel, Ribka Shibatu, Maria Abbedù Viarengo – la volontà di ri-pensare il passato e di dar voce a un’esigenza collettiva: la necessità di abbracciare nuove prospettive interpretative in nome di un modello identitario, in grado di rifondare dal suo interno la stessa idea di letteratura, non più espressione di un’identità esclusivamente nazionale, ma voce di una pluridentità
ibrida, migrante, dislocata e eccentrica
, alla base di inediti immaginari futuri:
Nel contesto italiano l’etichetta di letteratura postcoloniale pu essere applicata in senso stretto alle letterature emergenti dalle colonie italiane (Somalia, Eritrea, Etiopia, Libia) o, nella sua più ampia applicazione, come letteratura opposizionale, che mira alla destabilizzazione del canone tradizionale, e dei regimi di rappresentazione tra l’essere italiano e essere altro, a tutte le varie scritture migranti in lingua italiana. [¹]
Si tratta di una produzione vasta, dai contorni poco definiti, affermatasi inizialmente in area anglofona e francofona – concetti quali migrazioni
, razza
, subalterna
, cultura
e traduzione
sono da anni al centro del dibattito postcoloniale – un terreno comune, uno spazio volutamente ibrido:
Orientalismo, infatti, non è soltanto un fatto politico riflesso passivamente dalla cultura o dalle istituzioni [...] è invece il distribuirsi di una consapevolezza geopolitica entro un insieme di testi poetici, eruditi, economici, sociologici, storiografici e filologici; ed è l’ elaborazione non solo di una fondamentale distinzione geografica (il mondo costituito da due metà ineguali, Oriente e Occidente), ma anche di una serie di interessi
che, attraverso cattedre universitarie e istituti di ricerca, analisi filologiche e psicologiche, descrizioni sociologiche geografico-climatiche, l’orientalismo da un lato crea, dall’altro contribuisce a mantenere. [²]
Senza dubbio l’affermarsi della narrativa migrante ha contribuito a mettere in discussione l’idea canonica di letteratura, tramite il costante riferimento alla questione del canone letterario come conservazione e selezione delle opere ed elaborazione del personale orizzonte d’attesa dei lettori contemporanei. È innegabile, poi, che intorno a tale letteratura si sia sviluppato anche un nuovo fenomeno sociale ed editoriale relativamente recente, la cui portata sembra essere dal punto di vista non solo letterario davvero rilevante.
Per lungo tempo si è trattato d’un fenomeno carsico, sostenuto da piccole case editrici, e che solo saltuariamente faceva capolino tra quelle grandi sigle editoriali che oggi al contrario li cercano e accolgono. È il fenomeno dei cosiddetti scrittori migranti
, definizione ancor oggi dibattuta, ma che riassume comunque in sé la caratteristica propria di chi vive la condizione del dispatrio che l’ha portato talora ad assumere la doppia, se non addirittura plurima, identità di patria e di lingua. Con una immediata chiarificazione: che quell'aggettivo, migranti
, ha da fungere solo da indicazione di ci di cui ci si occupa, essendo chiaro che, là ove si raggiungono esiti letterari, solo di scrittori
si tratta: e scrittori pienamente appartenenti alla letteratura italiana, proprio in quanto esprimentisi nella nuova lingua acquisita e assunta a livello espressivo. [³]
Come emerge nei saggi qui presenti e negli studi più recenti, [⁴] non esiste, ad oggi, una chiara ed esaustiva definizione di un campo d’indagine necessariamente pluridisciplinare, sfuggente e complesso qual è il colonialismo italiano, né tantomeno della produzione ad esso legata sul versante giornalistico e letterario. Dunque, si pone innanzitutto la questione della prospettiva e della posizione dello sguardo: fuori
dal canone della nostra tradizione letteraria, oltre il palcoscenico della storia ufficiale, ma dentro
il passato nazionale, snodo essenziale del secolo appena trascorso:
In questa decostruzione della lingua e delle sue tecnologie, in queste lacune, in questi varchi aperti nella prosa, nelle fratture del suono, emergono altri strumenti e altri significati: quelle differenze che rendono possibile il processo del rinvio e la dispersione e redistribuzione dei poteri, dell’autorità, di centro e periferia. Nel replay culturale, nella ripetizione storica, c’è un’apertura verso un altrove. [⁵]
A ben vedere, ci che si pu desumere, concentrando lo sguardo da una parte sugli eventi storici ancora in corso, dall’altra sull’evolversi e il moltiplicarsi delle pubblicazioni sul tema, è che esista una sovrapposizione tra diversi ambiti: la questione dell’autorialità, l’ibridazione culturale e linguistica, un’idea nuova e trasversale dell’esperienza letteraria. Il risultato è una produzione vasta, dalle caratteristiche sfuggenti e disomogenee:
L’utilizzo degli idiomi europei, dapprima imposti dal colonizzatore, poi in molti casi e per varie ragioni accettati e fatti propri dal colonizzato ed ex colonizzato che li ha adattati ai propri bisogni fino a violentare
quelle lingue (spesso con esiti estremamente nuovi, ricchi e felici) ha nondimeno costretto il soggetto a fare continuamente i conti con due disparati universi, non solo linguistici ma anche mentali, quello della lingua materna e quello della nuova lingua, [...] a prezzo di un evidente disagio dal punto di vista del posizionamento identitario. [⁶]
Se un reale ripensamento della nostra avventura coloniale in Africa si trova già nelle opere di grandi autori come Moravia, Pasolini, Tobino, Emanuelli, Berto, è per soprattutto la fase dirompente e di svolta
della produzione postcoloniale più recente, a segnare una svolta. E dunque, anche i saggi qui proposti – dalle ampie ricognizioni di Giovanni Saverio Santangelo e Laura Restuccia alle analisi linguistiche di Laura Ricci e Elisa De Roberto, alle prospettive di natura critico-teorica elaborate da Ugo Fracassa – si inseriscono in tale quadro mosso e quanto mai complesso, segnato dalla volontà di revisione storico-culturale che anima la ricerca nel suo insieme.
Il postcoloniale viene, dunque, concepito qui più come «un insieme di pratiche discorsive» − si pensi al concetto di impero come metadiscorso
elaborato da Said in Orientalismo − che come genere letterario. Gli scrittori/scrittrici oggetto di questi saggi realizzano l’incontro mancato con l’Altro, facendo esplodere le contraddizioni e denunciando luci ed ombre dell’esperienza coloniale italiana.
Si potrebbe ricorrere, per concludere, al concetto di letteratura in between, nell’ambito della quale si instaura con le tradizioni con le quali si entra in contatto un dialogo transnazionale
, eccentrico e dislocato; e ci vuol dire, al contempo, «esser parte di un tempo di re-visione, di un ritorno al presente per ri-descrivere la nostra contemporaneità». [⁷]
Francesca Tomassini e Monica Venturini
I NTORNO AL ROMANZO
INTORNO AL ROMANZO
Monica Venturini
« In questo lontano West» .
Alessandro Spina e il romanzo storico
A volte, viene da pensare a Babele. Ma è proprio questa flessibilità che ha fatto del romanzo la prima forma simbolica
davvero mondiale: una fenicie che ovunque si trovi sa riprendere il volo, e ha l’astuzia di azzeccare sempre il linguaggio giusto per i suoi nuovi lettori.
(M. M ORETTI , La cultura del romanzo )
Il romanzo non è uno specchio di realtà, ma dono di realtà, conclude arrogante il romanziere – moi-même . (A. S PINA , Elogio dell’inattuale )
La questione del romanzo storico, negli ultimi decenni al centro di un vivace dibattito, continua a rappresentare oggi un ampio campo d’indagine, certo connotato da una maggiore complessità e dall’ambizione, inscritta nel genere, di legare destini individuali e processi storico-culturali, esiti letterari e trasformazioni sociali. Dagli anni Ottanta [⁸] in poi, si assiste ad un nuovo incremento del genere, corrispondente ad un notevole successo di pubblico, anche se, in questa fase, «l’acquisizione della coscienza storica diventa problematica, si complica sotto il profilo ermeneutico». [⁹] Entrano in crisi la conoscenza storica, i processi secondo i quali si affida alla memoria la testimonianza viva di un’epoca, di una stagione, di un fatto. Sono le stesse categorie spaziotemporali a saltare o, nel migliore dei casi, a registrare una frattura insanabile che allontana la narrazione storica dalla realtà, per sottoporla ad un estenuante lavorio di frammentazione del vissuto e di messa in discussione di ogni rappresentazione che si voglia corale e collettiva:
L’autocoscienza perde spessore, la memoria si appiattisce sul presente e il passato viene sempre più colto nei suoi aspetti stereotipici, sotto il profilo delle sue connotazioni estetiche. I processi di rielaborazione della memoria sono oggi sostituiti dalla ricezione passiva di una massiccia informazione non più controllabile, selezionabile e rielaborabile a livello individuale. [¹⁰]
Solo in una simile temporalità stravolta o «cronologia parallela», [¹¹] pu essere oggi lecito confrontare la nostra idea di nazione con il passato coloniale, a lungo rimosso. E certo non è un caso che, proprio nell’ambito di tale genere, tramite importanti novità che investono indubbiamente anche le categorie di spazio e tempo, nascano opere nelle quali schemi narrativi e modalità discorsive proprie della tradizione si coniugano con inedite strategie letterarie che aprono a nuovi contesti i confini del genere, rimodulandone profondamente senso e struttura. In questo senso, romanzo storico, scritture postcoloniali ed epica novecentesca convergono per molti aspetti, presentando elementi di stretta contiguità e trovando sintesi inaspettate ed eccentriche in opere recenti, come accade in quella dello scrittore arabo-italiano, Alessandro Spina, [¹²] autore di un intero ciclo di undici opere dedicate all’Africa, pubblicato nel 2006, I confini dell’ombra [¹³] (il primo racconto, Il capitano Renzi, appare nel 1954 su «Nuovi Argomenti»). Nato a Bengasi nel 1927 e morto nel 2013 nei pressi di Brescia, Alessandro Spina – pseudonimo dall’evidente richiamo verghiano, dietro il quale si cela il nome di Basili Khouzam − vive in Libia fino al 1940, quando torna in Italia, a Milano, dove risiede fino al 1953, per poi tornare in Africa e rimanervi oltre venticinque anni, fino al 1979. Gli undici tomi del ciclo (romanzi e raccolte di racconti) sono tutti ambientati in Cirenaica, la provincia orientale della Libia, dal 1911 al 1964, un vero e proprio unicum nel panorama della letteratura italiana novecentesca:
Sono undici [opere] e formano uno straordinario affresco che sarà anche la storia di un Paese, anzi di due, la Libia e l’Italia, dal periodo della conquista giolittiana passando per il regime fascista, fino agli anni postcoloniali, con tutte