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La sorgente del male
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La sorgente del male

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About this ebook

Un’antica leggenda, una sorgente misteriosa e qualcosa che stravolge la consueta e monotona tranquillità della comunità di Springfield
Chi è l’autore della serie di omicidi commessi in pochi giorni e apparentemente inspiegabili?
E perché il killer uccide persone che sembrano non avere nulla in comune fra loro?
Saranno il tenente di polizia John Davis e la profiler Sonia March che dovranno cercare di fornire una risposta a queste domande
Per loro avrà inizio una disperata corsa contro il tempo per evitare che nuovi omicidi possano essere commessi
Per farlo saranno costretti ad immedesimarsi con i pensieri dell’assassino, accettando una sottile sfida psicologica, con il solo obiettivo di fermare quell’assurda striscia di sangue.
LanguageItaliano
PublisherMax63
Release dateMay 21, 2018
ISBN9788828323587
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    La sorgente del male - Massimo Flori

    Disraeli

    PROLOGO

    Mi guardo nello specchio e ciò che vedo mi piace.

    Sorriso splendente e accattivante, fisico asciutto, muscoloso.

    Folti capelli neri, occhi verdi e sguardo magnetico, mani curate.

    Sì, mi apprezzo.

    Mi trovo prestante e affascinante.

    Sono fiero del mio aspetto... e non solo di quello.

    Penso di avere delle idee.

    Sì, dei pensieri importanti.

    Non ho mai voluto perder tempo nel sottopormi a quegli stupidi test psicologici per la misurazione del quoziente intellettivo.

    No, non ne ho bisogno...

    Conosco già la risposta: punteggio massimo.

    Non comprendo chi non crede in se stesso, chi non è orgoglioso di se e della sua vita, di ciò che fa’...

    Anzi, lo odio.

    Odio chi non fa nulla per migliorarsi.

    Odio chi non si prende cura della propria persona e della propria vita.

    Come può contribuire a migliorare la società cui appartiene chi non è in grado di migliorare se stesso?

    Credo che gli Dei, Brahma in testa, creatore di tutti gli esseri viventi e architetto dell'universo, si attendano da noi la ricerca della perfezione.

    Sta a noi perseguirla nella nostra vita.

    Ogni uomo deve tendere alla perfezione.

    Nell'estetica, nel lavoro, nell'impegno, nel sostegno che, con le proprie capacità e risorse, ognuno di noi può fornire alla società.

    E non può essere solo un blando intento... deve essere un obbligo, un dovere assoluto.

    Odio chi non lo fa e odio di più chi fa finta di provarci.

    Chi crede di ingannare gli altri ma inganna solo se stesso, e, cosa che gli assicura la dannazione eterna, è talmente stupido da credere di poter ingannare Brahma, padre di tutti noi.

    Mi guardo intorno ogni giorno e, in ogni luogo e in ogni istante, mi trovo circondato da peccatori.

    Non c'è momento nella mia esistenza in cui non voglia esser io a punirli.

    No! Non per il gusto di far loro del male...

    Ciò mi porterebbe a peccare come e più di loro.

    Punire per purificarli.

    Per permettere loro di espiare i propri peccati.

    Voglio esercitare il potere del soma per salvaguardare tutti noi, la società intera.

    Credo fermamente sia questo il mio compito, la mia missione.

    LA MIA MISSIONE!

    Io sono Kalki avatar, la decima e ultima reincarnazione del nostro Dio, venuta al mondo con il solo scopo di distruggere il male e salvare l'uomo dalla maledizione che con i propri peccati egli stesso ha attirato su di sé, offendendo i sacri Dei.

    Il mio compito è di distruggere il male e chi lo compie.

    Distolgo lo sguardo dallo specchio, fiero di ciò che ho visto.

    Chiudo il cassetto del mobiletto del bagno dopo aver riposto le pinzette e le forbici da sinistra a destra, prima le forbici che sono più lunghe, poi le pinzette.

    Esattamente in quest’ordine, come sempre.

    Prima di uscire controllo che gli asciugamani siano perfettamente allineati e che le mie scarpe siano pulite, lucide, immacolate.

    Rientro in camera e mi metto ai piedi del letto, esattamente al centro, per osservare la sovraccoperta.

    Sì, Bene! E’ perfettamente stirata e allineata e cade con la stessa lunghezza sia dal lato sinistro che da quello destro.

    Passo in salotto e mi fermo davanti alla libreria.

    La guardo prima da un paio di metri di distanza per poterne avere una visione d'insieme, poi salgo sulla scaletta che faccio scorrere sul suo binario rigorosamente da sinistra verso destra lungo gli scaffali.

    Da sinistra verso destra, come le forbici e le pinzette nel mobiletto del bagno.

    Mi sincero che in ogni scaffale i libri siano allineati e disposti in ordine decrescente, i più alti a sinistra e poi via via a scendere verso destra.

    Da sinistra a destra.

    E' importante.

    E' essenziale.

    Inoltre nessun libro deve sporgere dal proprio ripiano e le copertine devono essere anch'esse perfettamente allineate, compatte, come a formarne una sola.

    Lascio il salotto ed entro in cucina, dove faccio un ultimo giro di perlustrazione prima di abbandonare l'appartamento.

    I piatti della cena della sera prima sono nello scolapiatti esattamente come li desidero: prima il piatto piano, poi il piatto fondo e infine il bicchiere, secondo un ordine di grandezza decrescente da sinistra a destra.

    Come per le forbici e le pinzette nel mobiletto del bagno e i libri nella libreria.

    Perché così dev'essere.

    E' importante.

    E' essenziale.

    Chiudo con delicatezza e attenzione lo sportello dello scolapiatti e mi reco verso la porta di casa.

    Come ogni mattino cammino con lo sguardo basso per contare il numero di mattonelle del pavimento che mi separano dall'uscita... 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9

    Bene! Sono 9, un multiplo di 3, il numero perfetto.

    Bisogna tendere alla perfezione.

    E’ un’esigenza, è un dovere.

    Apro la porta, mi volto a dare un’ultima occhiata e finalmente posso recarmi al lavoro.

    Chiudo la porta metallica dando tre mandate.

    Ancora una volta il tre che ricorre.

    Passo dalla luce del pianerottolo alla semioscurità della rampa di scale che mi porterà alla luce del sole, in superficie.

    Ora un’altra giornata al servizio della gente mi attende.

    Sarò bravo nel mio lavoro, come sempre.

    No' non bravo.

    Sarò impeccabile.

    Sì, ecco... IMPECCABILE!

    E solo dopo, quando avrò prestato servizio per la mia comunità, allora potrò finalmente dedicarmi a quello che rappresenta il mio obiettivo primario, quello per cui sono al mondo... la mia missione... fare pulizia e liberare questa terra dai peccatori per difendere l'uomo dall'uomo stesso.

    Per purificarlo e impedirgli di profanare i luoghi sacri e oltraggiare le sacre scritture.

    Questa è la mia missione.

    Questo è il mio dovere.

    Questo è il mio scopo.

    UNO

    Correvo a perdifiato lungo la discesa sentendo il cuore tambureggiare nel petto fino a scoppiarmi.

    Non so se per la fatica o per la felicità.

    Era una giornata di primavera e il sole sorrideva alla vita.

    Il cielo era di un azzurro intenso e l'aria, fresca e pungente, profumava di fiori.

    Enormi distese di girasoli sembravano guardarmi come mille visi costeggiando la strada, andando a creare due ali di folla a sostegno della mia corsa.

    Poi, d'un tratto, in mezzo a tutti quei volti festosi e urlanti, uno, diverso dagli altri, attirò la mia attenzione.

    Orbite nere in un viso scarno attraversato da un sorriso gelido e inquietante.

    Nemmeno il tempo di rendermi conto dell'ostilità del suo sguardo che subito altre figure spaventose e oscure comparvero tutt'intorno a me.

    Uscivano lentamente dalla massa, e, chi da destra, chi da sinistra, chi da dietro, pur muovendosi come al rallentatore, si avvicinavano rapidamente.

    Tutto, intorno, sembrava perder realtà.

    Il sole parve spegnersi, si alzò un vento freddo e ostile, nuvole nere si addensarono basse sopra la mia testa e i girasoli scomparirono lasciando il posto a mostruose maschere demoniache.

    Cercavo di aumentare la mia velocità spingendo sui muscoli delle gambe, ma ottenevo l'effetto contrario e quei mostri stavano per raggiungermi.

    Più mi sforzavo di correre via veloce e più sembravo muovermi al rallentatore.

    In un ultimo sforzo disperato cercai di accelerare ancora, ma le loro braccia protese verso di me, come rami di un lugubre albero rinsecchito, stavano già sfiorando le mie braccia e le mie spalle, graffiandole.

    Sentii le loro mani deformi stringersi come artigli sul mio corpo e, in un attimo, caddi a terra vedendomi sopraffatto da quei mostri urlanti.

    Iniziò a tuonare e rapide saette squarciarono il cielo divenuto improvvisamente nero.

    Un turbinio di foglie cominciò ad avvolgermi come in un gorgo impazzito e, preso dal panico, iniziai a urlare.

    Sentendomi spacciato, cercai di liberarmi dalla loro presa agitando le braccia, iniziai a gridare in preda al panico ma ottenni l'effetto contrario.

    Più mi dimenavo e più sentivo le forze venirmi a mancare.

    Ringhiavano e avanzavano, grugnivano dalle loro bocche aperte mostrando canini affilati e schizzi di bava mi raggiungevano mentre i loro artigli iniziavano a lacerarmi le membra.

    Sentivo il puzzo del loro alito caldo scendermi giù nei polmoni e un altro odore terrificante, come di carne bruciata, assalirmi le narici.

    Da terra li vedevo arrivare da ogni parte e ascoltavo i loro latrati come fossero lupi affamati.

    Poi, all'improvviso, udii un suono a me familiare.

    Un trillo acuto e fastidioso, comunque salvifico, che distolse da me la loro attenzione.

    Mi lasciarono dolorante in terra girandosi di scatto verso la direzione da cui proveniva quel suono.

    In un istante scomparvero.

    Si dissolsero nel nulla con la stessa rapidità con la quale erano apparsi.

    Pur restando sdraiato a terra in posizione fetale a protezione del mio corpo, aprii gli occhi per capire se il pericolo fosse realmente scampato e rendermi conto di cosa stesse accadendo.

    Con sguardo appannato riuscii lentamente a mettere a fuoco la sedia a dondolo appoggiata alla parete in fondo alla mia camera da letto.

    Mi voltai verso sinistra e guardai sbigottito il comodino.

    La sveglia stava suonando in modo sempre più forte come avveniva ogni qualvolta non la spegnessi immediatamente.

    Allungai la mia mano per far cessare quel suono tirandomi su, a sedere sul letto.

    Era stato solo un sogno.

    Un incubo.

    Mi alzai a fatica, entrai in bagno osservando me stesso riflesso nello specchio.

    Avevo ancora l'affanno per lo spavento provato e rivoli di sudore scendevano dalla mia fronte.

    Il battito del mio cuore era molto più accelerato del normale.

    Mi guardai le mani e mi accorsi che tremavano.

    Che cosa avevo sognato? E perché?

    Mi capitava sempre più spesso di avere degli incubi durante la notte e dormire sonni agitati.

    Ripensai alle parole di Jimmy, mio collega giornalista allo Springfield New-Sun e mio amico d'infanzia.

    Sosteneva che il vivere la mia vita da single incallito e donnaiolo, pur appagando i miei bisogni sessuali con avventure e brevissime relazioni dovute a incontri occasionali, in realtà facevano sì che io trascorressi la maggior parte delle mie serate in completa solitudine senza parlare con nessuno e, soprattutto, senza che le mie necessità affettive potessero essere soddisfatte.

    Secondo il suo parere il risultato di questa scelta di vita mi portava a vivere una vita arida e monotona e la qual cosa spingeva la mia mente verso un'attività fantastica volta a compensare questo vuoto.

    E tutto ciò trovava sfogo essenzialmente nel lavoro onirico del mio super-io durante il sonno.

    Forse c'era qualcosa di vero in quest’interpretazione.

    Per quanto avessi sempre ostentato un atteggiamento di scherno e mostrato disinteresse verso quelle sue teorie, sarebbe stato il caso che iniziassi davvero a riflettere sulle sue parole cercando di prendere maggiormente in considerazione la mia vita.

    Osservai con più attenzione la mia immagine riflessa nello specchio.

    Che cosa vedevo? Chi ero? A che punto era arrivata la mia esistenza?

    Trentaquattro anni, moro, occhi azzurri, un metro e ottanta di altezza, fisico asciutto grazie ad una costante attività sportiva, bei lineamenti anche se alcune piccole rughe d'espressione iniziavano a segnare il contorno degli occhi.

    Barba incolta di un paio di giorni e una piccola cicatrice sul lato destro della bocca a chiudere un sorriso simpatico e contagioso.

    Mentre controllavo la mia pelle e l'eventuale presenza di fastidiosi punti neri, riflettei qualche istante sulla mia vita.

    Lavoravo come reporter oramai da sei anni per l'unico giornale della città.

    All'inizio era sembrato un gran bel lavoro che avrebbe permesso di dare sfogo al mio bisogno d’indipendenza riuscendo a garantirmi uno stipendio adeguato e buone possibilità di una carriera in crescita.

    Con il passare degli anni però il mio entusiasmo si era affievolito poiché il mio lavoro non aveva mai avuto né scosse, ne sbocchi, né passi avanti.

    Continuavo a occuparmi, come agli inizi, di piccoli articoli di gossip e cronaca mondana.

    Dopo sei anni ero stufo di vedere e scrivere sempre delle stesse facce.

    La cena dell'aristocratica tal de tali, l'avventura amorosa della nuova stellina della televisione divenuta famosa solo per essere andata a letto con il produttore della trasmissione x, la clamorosa lite fra i due dei maggiori stilisti americani gay in un conosciuto locale del centro, la battaglia legale fra parenti per accaparrarsi l'eredità in seguito alla morte dell'industriale y.

    Che palle!  Non ne potevo davvero più.

    Mi sentivo demotivato e una crescente sensazione di fallimento si faceva largo nella mente andando pesantemente a intaccare il livello della mia autostima.

    In contrapposizione a tutto ciò cercavo almeno di mantenermi in forma fisicamente.

    Ogni mattina, accompagnato dai miei due Golden Retriever, Marta e Lisa, andavo a correre intorno all’Oak Ridge Cemetery, il memoriale ai veterani del Vietnam.

    Marta, due anni color biscotto e Lisa, anch'essa di due anni ma più chiara, tendente al biondo.

    Nei fine settimana, quando non giocavo a tennis, le portavo a correre con me fino al vicino villaggio di Petersburg a New Salem, che altro non è che una ricostruzione di casette di legno dove il Presidente Abraham Lincoln visse da ragazzo.

    Con le donne avevo sempre riscosso un discreto successo nonostante il mio modo di vestire piuttosto trasandato e la mia barba incolta e, a dire il vero, l'unico aspetto realmente positivo della mia professione, era stato quello di permettermi di frequentare ambienti mondani che si erano rivelati facile terra di conquiste femminili.

    Nulla di serio però, non avevo alcuna voglia di impegnarmi in una vera relazione.

    Si trattava solo di approcciare una bella ragazza, portarla fuori a cena, offrirle un drink e poi a letto per una sana e divertente scopata.

    Di solito facevo in modo di essere io a infilarmi in casa loro in modo da potermela squagliare prima dell'alba quando ancora dormivano.

    Il giocare fuori casa e non ospitarle nel mio appartamento mi permetteva di evitare il doppio imbarazzo del risveglio: dover trovare una scusa plausibile per allontanarle immediatamente dalla mia abitazione e il dover raccontar loro una delle solite balle colossali del tipo: Tranquilla, ti chiamo io.

    Staccai lo sguardo dal mio viso riflesso nello specchio ed entrai in doccia.

    Poi mi vestii e uscii dal bagno.

    Nemmeno un'ora dopo ero già in redazione, dove incontrai Stanley Tucci, il mio capo redattore.

    Lo conoscevo da anni, anche se il nostro rapporto lavorativo non si era mai trasformato in una vera amicizia.

    D’altronde conducevamo due stili di vita totalmente opposti.

    Da un lato c’era il mio bisogno d’indipendenza, il mio disordine mentale, il desiderio di alimentare continuamente Peter Pan che vive dentro di me e che m’impedisce di crescere e responsabilizzarmi, dall’altro la maturità, il rigore e la saggezza di Stanley.

    Caratteristiche che l’hanno portato al matrimonio e a esser padre in età molto giovane e poi a svolgere con piena responsabilità il compito di capo redattore del giornale cittadino. 

    Ciao Dan, fatto tardi ieri sera? Hai una faccia! - Il suo sorrisetto sardonico non lasciava spazio a dubbi - "Qualche bella fanciulla ti ha fatto stancare?"

    No Stan, è che come spesso mi accade ho dormito davvero male.

    Dovrò stare più attento a ciò che mangio la sera... novità?" - chiesi con l'intenzione di cambiare immediatamente discorso.

    "Ci sarebbe da realizzare un servizio presso la Springfield High School dove è prevista la partecipazione del sindaco Morton per l'inaugurazione della palestra.

    Potresti tirar fuori una buona intervista non credi?".

    Veramente nosbuffai - "comunque so che è inutile discuterne e quindi vado... prima arrivo e prima finisco!".

    "Dai! Smettila di lamentarti sempre.

    Il clima politico è abbastanza incandescente, le elezioni si avvicinano e visto il tipo di opposizione sporca che i suoi diretti avversari stanno mettendo in atto, è quasi certo che il sindaco rilascerà delle dichiarazioni di fuoco".

    Si forse hai ragione tagliai corto.

    Mentre prendevo il mio registratore portatile e la mia fedele reflex sentii arrivare un messaggio sul mio cellulare.

    Lo lessi velocemente.

    Era di Sally, una simpatica rossa che avevo conosciuto recentemente a una festa e che mi proponeva di incontrarci quella sera stessa.

    Lasciava a me la scelta su come trascorrere la serata.

    Decisi di non rispondergli immediatamente.

    Se davvero avevo intenzione di cambiare qualcosa nella mia vita e nel modo di impostare il mio rapporto con il sesso opposto, forse era il caso di iniziare da subito.

    Uscii dal giornale e salii sulla mia vecchia Buick dirigendomi verso la scuola.

    A causa del traffico infernale, per quanto tenessi spinto al massimo l'acceleratore, riuscii ad arrivare alla Springfield High School solo un attimo prima che avesse inizio la conferenza stampa.

    Il sindaco era al centro del palco attorniato da altre autorità cittadine e dai suoi fedeli portaborse.

    Mi feci largo fra le poche persone presenti e accesi il registratore che avevo in mano.

    "Sono lieto di essere qui fra voi per presenziare all'inaugurazione di questa bellissima palestra che aggiunge nuovo valore a questa struttura scolastica e che permette di fornire nuovi servizi e occasione di svago ai nostri concittadini. Sono altresì lieto che questo avvenga a poche settimane dal voto... - Il sindaco fece un profondo sospiro quasi a voler dare maggiore rilievo a ciò che avrebbe detto subito dopo - ... infatti questa nuova palestra è qui a dimostrare una volta di più, semmai ce ne fosse il bisogno, quanto quest’amministrazione stia facendo per la nostra città e quanto io mi stia impegnando in prima persona perché Springfield possa essere considerata non più una piccola cittadina della provincia americana... - nuovo sospiro e nuova pausa volta a catturare la massima attenzione - ... bensì l'esempio di una moderna città all'avanguardia di quel grande paese che sono gli Stati Uniti d'America".

    Il colorire i propri interventi con frasi che attingevano alla più scontata retorica nazionalista era un’abitudine consolidata fra tutti i politici, a prescindere dal fatto che essi fossero democratici o repubblicani.

    Numerosi test avevano dimostrato come il cittadino, soprattutto quello appartenente al proletariato o in ogni caso quello meno istruito e colto, era facilmente conquistabile tramite un’oratoria puntante a sollecitare il patriottismo insito in ogni americano medio.

    Per questa ragione il sindaco Morton si sarebbe aspettato un applauso che invece non arrivò e, dall'espressione delusa che comparve sul suo viso, fu chiaro che quel clima poco conciliante non gli piacque affatto.

    Nemmeno il tempo di riprendersi che subito partì il fuoco incrociato delle domande dei cronisti presenti.

    Sig. Sindaco! Sono qui, sulla sua sinistra!.

    Urlò alzando il braccio per farsi individuare fra gli astanti una biondina minuta, corrispondente di una tv locale.

    Che cosa risponde ai suoi avversari politici che la accusano di essere stato assente dalla vita politica e amministrativa della città per tanto tempo e di uscire allo scoperto solo ora che si avvicinano le elezioni?.

    E' un'accusa ridicola! - tuonò Morton - Quello che loro chiamano l'essere stato lontano dalla vita della città" in realtà significa che io ho trascorso gli ultimi mesi chiuso nel mio studio a la.vo.ra.re - scandì bene la parola - per il bene di questa città! E' un male questo? Ditemelo voi!".

    Ma la biondina nient’affatto soddisfatta della risposta ricevuta lo incalzò.

    Ma allora perché a pochi giorni dal voto ha deciso di essere lei stesso a inaugurare questa palestra e perché non si è mai visto prima di oggi in occasione di altre simili manifestazioni? I suoi detrattori la accusano di un presenzialismo che puzza tanto di caccia al voto e di pubblicità elettorale! Lei cosa risponde?.

    Il sorriso finto che fino a quel momento era rimasto incollato sulla faccia di Morton lasciò il posto a un'espressione corrucciata.

    "Rispondo che sono stufo di ascoltare queste stupide accuse prive di fondamento... e che mi rifiuto di partecipare a questo gioco al massacro nel quale, invece di proporsi e mostrare ciò che hanno da dire, i miei avversari politici preferiscono pensare solo a distruggere!".

    Intervenni interrompendo quello che ritenni si stava trasformando in uno stucchevole duetto.

    Sindaco Morton! Che cosa ha da dire circa le voci che parlano di finanziamenti illeciti che giungerebbero alla sua parte politica volti al sostegno della campagna elettorale? C'è addirittura chi parla di utilizzo di soldi provenienti da ambienti legati alla malavita locale!.

    Il brusio dei presenti accompagnò la fine della mia domanda e tutti i microfoni si tesero maggiormente verso il viso del Sindaco come a sollecitare una sua risposta.

    Morton, invece di dar libero sfogo al sentimento di rabbia che l'espressione del suo viso non riusciva a dissimulare, decise di aspettare un attimo prima di rispondere.

    Dopo essersi grattato un sopracciglio e passato la mano fra i pochi capelli, mi guardò dritto negli occhi e con voce ferma tuonò.

    "Sig. Bloom, non so quali siano i suoi informatori e a quali voci lei faccia riferimento. Anzi, a dir la verità, leggendo la sua rubrica nel giornale per cui scrive, rimango stupito che improvvisamente, dopo essersi con tanta dedizione occupato di chiacchiericci e pettegolezzi, ora sia presente a una conferenza stampa politica... ma in ogni caso, visto il tenore delle sue domande, non ho alcun dubbio che questa sarà l'ultima a cui lei sarà inviato a partecipare.

    Penso di non sbagliare se prevedo un suo rapido ritorno a articolucci di cronaca mondana".

    Lo incalzai ignorando il suo tono offensivo e minaccioso.

    Mi scusi se insisto Signor Sindaco, ma non ha risposto alla mia domanda!.

    "No! Forse è lei a non aver capito! – sbottò alzando il tono e il timbro della voce in un crescendo che smascherò tutta la sua rabbia - Non ho alcuna intenzione di rispondere alla sua domanda! Il suo non è giornalismo Bloom, è immondizia! E' immondizia che lei cerca di gettarmi addosso, ma io non le permetterò di farlo ulteriormente! E' chiaro?".

    Un collaboratore del sindaco rivolse lo sguardo verso gli altri giornalisti presenti decidendo che fosse giunto il momento di tagliare corto con quelle polemiche assolutamente controproducenti per il suo datore di lavoro.

    Qualche altra domanda?.

    Fanculo! pensai. Spensi il registratore e mi allontanai voltandogli le spalle.

    Non potevo continuare così.

    Era un lavoro che iniziavo a odiare.

    Odiavo quel mondo, odiavo le persone da intervistare, odiavo le loro risposte preparate a domande preordinate.

    E forse avevo bisogno di ferie.

    Era tanto tempo che non prendevo un periodo di riposo per dedicarmi solo a me stesso.

    Era giunto il momento di farlo.

    In quella stramaledetta città non c'era nulla che attirasse la mia curiosità, la mia attenzione.  Iniziava veramente ad andarmi stretta.

    E forse quella sarebbe stata davvero la soluzione migliore.

    Sarei tornato in redazione avvisando che avrei usufruito di una quindicina di giorni di ferie.

    Non mi avrebbero fatto alcun problema, anzi. Solo due settimane prima ero stato sollecitato a consumare quelle che mi erano avanzate dall’anno precedente.

    Tornato a casa, avrei preparato la valigia e me ne sarei andato da qualche parte insieme a Lisa e Marta, in mezzo alla natura, io e loro.

    Lontano da tutte quelle facce ipocrite.

    Mi sarei concesso delle lunghe passeggiate nei boschi, mi sarei fermato a pescare lungo la riva di qualche torrente e mi sarei divertito a giocare con i miei cani.

    Può darsi che al mio ritorno avrei visto le cose con occhi diversi e sarei riuscito a ripartire con uno spirito nuovo.

    O perlomeno quella, al momento, era la mia speranza.

    Sentii vibrare il cellulare nel momento esatto in cui stavo risalendo in auto.

    Era arrivato un nuovo sms.

    Ancora di Sally.

    Come mai non mi rispondi Dan? E' successo qualcosa?.

    Sarà stato per l'umiliazione appena subita e per il desiderio che provai a gratificarmi, fatto sta che pensai in un istante che la decisione di dare una svolta alla mia vita poteva aspettare ancora un giorno.

    La chiamai.

    Sally? Ciao sono Dan. Scusa se non ti ho risposto subito, ma ero impegnato con il lavoro. Certo che mi va di vederti. Facciamo che ti passo a prendere verso le nove?.

    DUE

    Bill! Hai compilato la bolla d'accompagnamento per il carico in partenza domani mattina? Chiese Peter Logan a uno degli operai della sua azienda d’imbottigliamento d'acqua minerale, la Spring Water Limited.

    "Si Sig.Logan, l'ho già consegnata all'autista.

    Mi ha confermato che domani mattina alle sei sarà già in viaggio per esser sicuro di riuscire a effettuare tutte le consegne entro sera".

    Ok! Un'altra cosa importante, domani dovrò assentarmi per qualche ora. Vorrei che badassi tu alle cose qui, so di potermi fidare di te. Cerca di non deludermi.

    Stia tranquillo! Non se ne pentirà.

    Va bene, in ogni caso, per qualsiasi evenienza, sarò raggiungibile sul cellulare che terrò sempre acceso. Ci vediamo domani nel pomeriggio.

    Arrivederci Sig.Logan.

    Peter Logan lasciò lo stabilimento a bordo della propria autovettura per recarsi a casa.

    Quello era il momento della giornata che da qualche tempo odiava di più, per la precisione da quando le cose fra lui e Sandra non andavano più come una volta.

    Anzi, a dire il vero, la situazione concernente la loro unione matrimoniale era precipitata a tal punto che lei, durante una lite avuta all'incirca un mese prima, gli aveva presentato i documenti da firmare per ottenere il divorzio.

    Per quanto si fosse mostrato esterrefatto e incredulo di fronte ad una tale richiesta, lei fu assolutamente irremovibile nella sua decisione dimostrando, in quel modo, quanto tempo avesse trascorso a pensare a tale azione prima ancora di farlo partecipe.

    Da quel giorno avevano praticamente smesso di essere moglie e marito e non si parlavano quasi più.

    Abitavano ancora nella stessa casa ma dormivano in stanze separate.

    Svolgevano entrambi la propria vita in modo indipendente, cercando di non calpestarsi i piedi.

    Grazie ai differenti orari di lavoro s’incontravano di rado e per pochi minuti al giorno, e quando succedeva di restare in casa contemporaneamente per parecchie ore, spesso nei fine settimana o il venerdì sera, finiva che si chiudevano ognuno nella propria stanza per evitare ogni possibile contatto.

    Chiaramente non avevano più fatto l'amore, ma in fondo quella era un'attività che nel loro rapporto si era interrotta da molto tempo, così come le cene fuori, le uscite con gli amici, il teatro, il cinema, le gite domenicali.

    Insomma l'elettroencefalogramma del loro matrimonio mostrava da qualche tempo una linea inesorabilmente piatta.

    E ancora quella sera, come tutte le altre sere, mentre guidava tornando verso la propria abitazione, cercò di comprendere cosa fosse realmente accaduto fra loro.

    Quale fosse stato l'evento scatenante alla base di quella frattura insanabile.

    Quale fosse stato il momento di rottura, il punto di non ritorno.

    E quasi come ogni sera, percorrendo il grande viale trafficato di Walnut street, giunse alla conclusione che non c'era mai stato alcun evento e nessun momento in particolare alla base del loro distacco.

    Il rapporto si era semplicemente andato a spegnere con il trascorrere degli anni senza che, ne’ lui né lei, avessero mosso un dito per fermare quella decomposizione.

    Presi dal proprio lavoro e dai propri interessi, non si erano neppure accorti di quel lento processo degenerativo che aveva attaccato la loro unione.

    Quando poi finalmente avevano aperto gli occhi, era risultato essere troppo tardi.

    Non per lui, convinto di poter ritrovare la perduta armonia, quanto invece per lei, ormai rassegnata e addirittura incattivita da quella che lei stessa aveva definito la loro esasperante paralisi affettiva.

    Parcheggiò sul vialetto di casa il vecchio duetto Alfa Romeo che, tempo addietro, aveva fatto arrivare direttamente dall'Italia ed entrò nell'abitazione.

    In cucina e in salotto non vide nessuno, ma udì, lontana, la voce di Sandra che parlava al telefono dalla sua stanza al piano di sopra.

    Si avvicinò all'apparecchio telefonico posto vicino all'ingresso alzando lentamente il ricevitore, stando ben attento a non provocare alcun rumore.

    Si mise in ascolto.

    "... lo so che hai ragione Henry, ti chiedo solo di darmi ancora un po' di tempo.

    Credi che per me sia facile? Credi che io ... ".

    "Sandra sono settimane che mi ripeti le stesse parole - la interruppe l'uomo all'altro capo del filo - che stai facendo il possibile, che non dipende solo da te, che anche per te non è facile! Ed io cerco di venirti incontro per quanto possa!

    Ma l'idea che tu sia ancora in quella casa dove vive anche lui, che tu dorma nella stanza accanto alla sua, Beh, ecco, è' una cosa che non sopporto più!

    Che mi manda al manicomio!".

    "Henry non fare così! Ti prego! - lo supplicò lei - Sai come vorrei che lui andasse via oggi stesso, ma come faccio? Sai dirmelo? Dimmi cosa vuoi che io faccia e lo farò o perlomeno ci proverò!".

    Peter non resistette oltre e con la stessa attenzione con cui aveva alzato la cornetta la riabbassò e, allontanandosi dal telefono, entrò in cucina per versarsi un bicchiere di vino rosso.

    Sentiva il bisogno di bere, era sconvolto.

    Pur consapevole che il rapporto tra loro fosse ormai giunto al capolinea non avrebbe mai creduto che Sandra si potesse rimettere in gioco con un altro uomo così in fretta. Così presto.

    Troppo in fretta... troppo presto, pensò.

    Mille pensieri e mille dubbi affollavano la sua mente.

    Che in realtà non mi abbia mai amato?

    Da quanto durerà la storia con quest’uomo?

    E chi sarà mai questo Henry?

    Dove cazzo lo avrà trovato?

    Allora non ero io a non andare più bene, non era il lavoro che mi teneva lontano da casa a darle fastidio, maledetta puttana!

    E chissà da quanto tempo è che si scopa questo stronzo!

    Il crescendo dei suoi pensieri e del rancore provato fu interrotto dalla voce della moglie che, nel frattempo, era giunta alle sue spalle senza far rumore.

    Peter, se è possibile, vorrei parlarti. Con calma.

    Lui non si mosse.

    Rimase immobile a guardare fuori dalla finestra i ragazzi che giocavano sul prato davanti casa loro.

    Quello stesso prato in cui lui e sua moglie si erano rotolati anni prima, giocando e scherzando, amandosi dietro quelle siepi là in fondo, sulla destra, per poi giurarsi amore eterno.

    Quei momenti in cui il mondo sembra ai tuoi piedi, in cui il solo fatto di essere innamorato ti fa sentire invincibile.

    Che cazzata!

    Quanto tempo era passato da allora?

    E da quando lei era diventata una lurida troia? Ma soprattutto come aveva fatto lui a non accorgersene? Possibile che fosse stato così cieco?

    "Peter cerca di capire le mie esigenze - proseguì lei cercando di rompere il silenzio carico di tensione - esigenze che poi credo siano anche le tue.

    Non possiamo continuare a vivere sotto lo stesso tetto, nella stessa casa... lo sai anche tu, vero? Stiamo trascinando questa... questa - esitò per cercare la parola adatta - questa... questa cosa insomma! ".

    Vomitò queste ultime parole come a volersi liberare di un peso divenuto ormai insopportabile.

    Peter continuò a rimanere immobile con le spalle rigide e lo sguardo fisso fuori della finestra. Sentire chiamare cosa il loro matrimonio rappresentò per lui la goccia che fece traboccare il vaso.

    La mano destra strinse così forte il bicchiere che tutte le nocche divennero bianche.

    Le labbra si contrassero in un ghigno perfido e il tono di voce che uscì dalla sua bocca fu stridulo e fastidioso come il sibilo di un serpente.

    Le mie esigenze? E tu saresti preoccupata per le mie esigenze?.

    Si girò di scatto, le si avvicinò con fare minaccioso mettendole il dito indice sotto il naso al punto che lei, per evitare il contatto, dovette arretrare di un passo schiacciandosi contro lo stipite della porta.

    Le gridò in faccia.

    Io non mi muovo di qui! Se vuoi, vattene tu! E scordati il divorzio, io non firmerò mai nessun documento, hai capito? Hai capito bene stronza? E ora levati dai coglioni se non vuoi che faccia qualcosa di cui potrei pentirmi!.

    La spostò con un braccio violentemente, salì le scale e si chiuse nel suo studio.

    Sandra rimase immobile, terrorizzata accanto alla porta.

    Si accasciò su se stessa facendo scivolare il corpo sul pavimento con un unico pensiero in mente.

    Non può andare avanti così, devo fare qualcosa, devo fare qualcosa, DEVO!

    La notte trascorse dormendo davvero molto poco, la rabbia e mille domande senza risposta lo avevano tormentato impedendogli di rilassarsi.

    Il mattino dopo era ancora molto presto quando Peter uscì da casa.

    Il cielo era ancora in ombra e le strade erano silenziose, prive di quel rumore di auto e di quel vociare tipico del loro quartiere.

    Nessuna casalinga stava ancora portando a spasso il proprio cane per fare i bisogni, nessuna giovane ragazza stava già facendo la propria corsa mattutina con le cuffiette nelle orecchie, nessun bambino usciva da casa per recarsi a scuola e nessun uomo, a parte lui, era già in movimento per recarsi al lavoro.

    Venti minuti dopo aveva già imboccato la statale 72 in direzione sud-ovest verso Jacksonville, dove aveva appuntamento col Dott. Peter Scott, chirurgo e specialista di disturbi e malattie renali e del fegato al Saint Johns Hospital.

    Vista l’ora presto, il traffico era scorrevole e ciò gli permise di giungere puntuale sul luogo dell'appuntamento.

    Fermò la sua auto nel parcheggio

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