Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

L'aeroplanino di carta
L'aeroplanino di carta
L'aeroplanino di carta
Ebook183 pages2 hours

L'aeroplanino di carta

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

Una giovane mamma con tutto quello di cui aveva bisogno per essere felice: una vita normalissima accanto a suo figlio, una casa, un lavoro, un compagno ad aspettarla. Tutto idilliaco fin quando non piombarono una serie di eventi a creare caos fuori e dentro di sé. L'improvvisa perdita del posto di lavoro, la rottura definitiva con il compagno, l'allontanamento da suo figlio di pochi mesi, la nostalgia e la malinconia che la pervadevano, distante da lui. L'aeroplanino di carta è una storia verosimile, carica di sentimenti genuini e di valori che una mamma sconsolata cerca di trasmettere al proprio figlio non potendo adempiere al suo ruolo di madre nella quotidianità. La penna è ciò che la salverà dal suo profondo senso di vuoto senza lui...
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateMay 16, 2018
ISBN9788827830840
L'aeroplanino di carta

Related to L'aeroplanino di carta

Related ebooks

General Fiction For You

View More

Related articles

Reviews for L'aeroplanino di carta

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    L'aeroplanino di carta - Serena Bastianoni

    Edoardo

    Prefazione

    Questa raccolta di storielle è, in realtà, il frutto di un’esigenza e di un istinto: quello di una madre che sente l’irrefrenabile necessità di raccontare al proprio figlio, di appena tre anni, la loro storia in chiave fantasiosa.

    Tutto è nato da un urlo. Dopo essermi sentita ripetutamente accusare di aver abbandonato mio figlio, la scrittura è stata la mia salvezza, l’unico strumento che avevo a disposizione per difendermi e tirare fuori le emozioni, i timori e le decisioni che mi hanno portato a lasciare il Bel Paese.

    A dire il vero non è un racconto fedele alla realtà: il lieto fine è frutto della mia immaginazione, è ciò che avrei voluto succedesse e che, di fatto, non successe.

    Di fronte alle infamie e alle malelingue di chi non sa cosa abbia patito in realtà, mi sono sentita in dovere di parlare a mio figlio attraverso la scrittura, perché né la vita e né le circostanze mi hanno lasciato spazio per poter dire la mia.

    Ecco che allora mi sono lasciata andare e, grazie a questi racconti, ho colto l’occasione per svelare i miei segreti, rivelare ciò che mi ha spinta a stravolgere la mia vita pur avendo mio figlio ancora in fasce. L’ho fatto convinta che fosse la cosa migliore per lui e per la mia famiglia.

    La partenza ha portato a una serie di complicazioni che, invece di risolversi con il dialogo, l’appoggio e la collaborazione, hanno provocato rabbia, rancore, malignità, vendetta.

    Mi sarebbe tanto piaciuto ci fosse un lieto fine, come quello che racconto in queste pagine, e invece mi sono ritrovata a vivere un finale tragico, perché, in fondo, anche se in questo momento sto ancora pagando le conseguenze delle mie scelte fatte a fin di bene, non voglio perdere la speranza di dirottare verso la felicità, la normalità e la tranquillità vissute con mio figlio, la mia ragione di vita.

    Partendo dal primo racconto, una sorta di biografia rivisitata, ho colto l’occasione per narrare altre storie per lo più banali, ma piene di senso e di valori.

    Scopo delle storie successive è quello di dare un’educazione, basata sui valori nobili e più puri quali la carità, il rispetto e l’amore per il prossimo, l’uguaglianza, la sensibilizzazione, la solidarietà e la tolleranza tra le genti. Tutti valori che forse oggigiorno si sono un po’ persi di vista e che un bambino dovrebbe apprendere da subito, per far sì che divengano le basi su cui costruire la propria vita.

    Con l’augurio che questo libricino centri l’obiettivo che mi ero prefissata inizialmente, mi auguro altresì che esso possa fungere da spunto per sensibilizzare anche i più grandi. Il mio non è solo un intento educativo per i più piccoli, ma anche un invito alla riflessione per i più cresciutelli, per poter collaborare tutti insieme a ricreare il mondo e riportarlo allo splendore che realmente sarebbe se ognuno di noi contribuisse nel suo piccolo a compiere buone azioni, a dare una mano al povero, ad accogliere il rifugiato, ad aiutare il disabile, a tollerare chi segue un credo diverso dal proprio.

    Perché non ci sei stata quando ero piccolo?    

    Era uno di quei pomeriggi noiosi, di quelli scanditi dal rumore della pioggia contro i vetri.

    Edoardo aveva appena terminato i compiti. Avrebbe voluto uscire con i suoi amichetti, ma il maltempo glielo impediva. Così prese Il piccolo principe di Antoine de Saint-Exupéry, che aveva appena ricevuto in dono dai suoi genitori, e cominciò a sfogliarlo. Prima di passare al racconto, si soffermò sulla biografia dello scrittore, quando a un tratto, dal nulla, quella voglia di sapere che ogni tanto affiorava nella sua mente si fece strada con insistenza, complice la malinconia.

    Si armò di coraggio e, guardando con insistenza i lunghi capelli ondulati e corvini della madre, improvvisò: Mamma, perché quando ero piccolo piccolo tu non c’eri?.

    La mamma, da poco tornata dal lavoro e già indaffarata nell’impastare gli ingredienti del dolce preferito da Edoardo, di colpo si fermò e si voltò a guardarlo.

    Lei soleva vezzeggiarlo con i nomignoli più buffi come Zuzzu (dall’altrettanto buffa parola zuzzurellone, che sin da piccolo lo faceva scoppiare in una gran risata), o Buddy (dall’inglese, amico), o Daddo (come lui stesso pronunciava il suo nome da piccino). A volte, invece, storpiava il suo nome chiamandolo Edgardo o Edward. Lui era un bambino vispo e vivace, insaziabilmente curioso e con una maturità al di sopra della media per un ometto di appena sette anni.

    Alla domanda del piccolo Daddo, la mamma rimase qualche secondo in silenzio, poi si sciacquò le mani sporche di farina e uova e andò a sedersi vicino al figlio. Gli rivolse un sorriso dolce, un sorriso che cercava di nascondere invano due occhi tristi. Era chiaro che avrebbe voluto dire tante cose ma non sapeva da dove cominciare. Soprattutto, come dare spiegazioni a suo figlio senza omettere dettagli importanti? Senza ombra di dubbio quel sorriso nascondeva migliaia di parole soffocate, di verità nascoste, forse qualcosa che la turbava da anni, un peso di cui si sarebbe voluta liberare da tempo, probabilmente un passato difficile e doloroso.

    Edoardo voleva capire, non gli bastava quel sorriso, voleva andare fino in fondo e far luce su quella che era stata la sua infanzia. Perché sua madre non era con lui nel fior fior della sua fanciullezza? Negli anni dei progressi e dei primati, dei primi dentini, delle gattonate, dei primi passi, delle paroline, dei discorsetti, della prima volta nel vasino, della prima recita di Natale?

    Perché non ci sei stata quando ero piccolo?, ripeté Edoardo con insistenza, incuriosito ancora di più dopo aver notato la reazione della sua mamma.

    Vieni qui vicino, adesso ti racconto una storia....

    Edoardo si avvicinò senza distogliere lo sguardo, la mamma sorrise ancora e, spostandogli i capelli da una parte, gli diede un bacio in fronte. Tirò un lungo sospiro per raccogliere i pensieri e iniziò a raccontare...

    In una tiepida mattina di ottobre, scaldata dalla ritrosia di un sole imbarazzato, un piccolo principe di poco più di tre chili, per la felicità della sua mamma e del suo papà che tanto lo avevano desiderato, decise che fosse giunto il momento di abbandonare le confortevolezze naturali materne per quelle vulnerabili di una culla.

    Lo chiamerò Edoardo, disse la mamma, mentre lo teneva in braccio contemplandolo, incredula di quello che, per lei, era un inspiegabile prodigio.

    Eccolo lì, sano, bello e per niente capriccioso.

    Come tutti i neonati trascorreva gran parte del tempo a dormire e mangiare, e i suoi genitori gioivano ogni giorno di fronte ai suoi grandi progressi.

    Come tutti i bambini piccoli, adorava giocare sul lettone in mezzo alla sua mamma e al suo papà, si addormentava con il ciuccio preferito, bagnava e sporcava i pannolini, sbavicchiava sui vestitini, giocava con la pappa, impastandola con le sue piccole manine paffute.

    Tutto meraviglioso finché un giorno, al compimento del nono mese, di colpo si ritrovarono soli, lui e il suo papà.

    Dentro di sé avrebbe voluto chiedere a suo padre: dove sono i sorrisi, gli abbracci, le carezze della mamma? Non sento più il suo profumo e la sua voce che mi chiama. Ma era troppo presto per capirlo, Edoardo non sapeva ancora parlare.

    Eppure, il giorno prima, Edoardo le aveva addirittura riservato una sorpresa pensando: Guardami mamma, guarda che dono sto per farti!. Di colpo, da seduto si mise a quattro zampe e, lentamente, tentando di coordinare gambe e braccia... cominciò a gattonare per la prima volta!

    Alla mamma non è piaciuto il mio sforzo!..., disse deluso fra sé e sé.

    Edoardo era confuso quella mattina; non capiva come mai quel lungo viaggio in macchina, perché la mamma trascinasse dietro di sé un’enorme borsa che non le aveva mai visto prima di allora, come mai lo guardasse con gli occhi lucidi, per quale motivo tutti quei baci e quegli abbracci stretti stretti, che quasi lo stritolavano.

    Edoardo stava studiando attentamente ogni movimento per cercare di trovare delle risposte. Cosa sta succedendo? Dove vai mamma? Perché papà mi tiene stretto tra le sue braccia standosene qui, fermo impalato, invece di seguirti? Papà, dai cammina, segui la mamma! Papà!!!.

    E dopo una manciata di secondi, a poco a poco, la mamma si allontanò fino a scomparire sotto i loro occhi.

    Perché non andiamo anche noi con la mamma? Dove va? Perché sta piangendo?.

    Edoardo sapeva soltanto che la mamma se ne era andata. Forse si era solo nascosta in mezzo alla folla, forse sarebbe tornata.

    Ma perché tutte queste persone hanno la stessa strana borsa a rotelle? Perché vanno tutte nella stessa direzione?.

    Con il passare del tempo, Edoardo cominciava a formulare le prime frasi ed esprimere i primi desideri, provava a camminare appoggiandosi alle pareti, aggrappandosi ai mobili, ma la mamma non poteva vederlo. Lei non c’era più.

    Dopo un po’ capì che non era scomparsa del tutto, spesso la vedeva attraverso una scatola nera e provava ad allungare le braccia per toccarla e attirarla a sé, ma non gli riusciva mai. Quella strana scatola teneva la sua mamma imprigionata e la rendeva inafferrabile.

    Edoardo, la mamma non è qui, ma vedrai che tornerà presto. Vuoi sapere dove si trova? Se guardi il cielo forse siamo abbastanza fortunati da vederla, gli sussurrò dolcemente suo padre una mattina d’estate.

    Lui allora alzò gli occhietti, scorgendo quel cielo limpido in attesa di vedere la sua mamma. Ma non vedeva che un infinito azzurro, neppure una nuvola in quell’immensità, quando a un tratto...

    Guarda Edo, c’è la mamma!.

    Edoardo spalancò gli occhi e si mise a fissare il punto indicato da suo padre… ma che delusione, non riusciva a vedere altro che uno strano puntino avanzare lentamente nel cielo, lasciandosi dietro una curiosa scia bianca.

    Amore, lo vedi quel puntino nero che si muove?. Edoardo annuì, allora il papà proseguì: Quello che stai vedendo è un aeroplano, lì dentro c’è la mamma che sta lavorando e di sicuro in questo momento ci sta guardando e ci starà salutando con la manina. Coraggio, salutala anche tu!.

    Pecché mamma è lattù?.

    Quello è il suo lavoro. Sai come si chiama?.

    No... come ti chiama?.

    Si chiama hostess, la mamma è una hostess.

    Ottett, ripeté il piccolo con quella vocina tenera tenera, nel suo buffo linguaggio.

    Ti piacciono gli aerei, Edoardo?.

    Ti, ti.

    Anche a me. Un giorno andremo a trovare la mamma mentre lavora. Ti va? e insieme si misero a salutare, con lo sguardo fisso su quell’aereo, finché scomparve all’orizzonte.

    Anche a Edoardo sarebbe piaciuto salire su un aereo, ora che sapeva cosa fosse. Ma soprattutto, da quel momento in avanti non era importante cosa stesse facendo: dopo quel pomeriggio, alla vista di ogni puntino che si muoveva nel cielo, all’improvviso smetteva di giocare e correre per fermarsi a osservare e salutare la mamma, convinto che fosse venuta a trovarlo.

    All’imbrunire, come ogni sera, Edoardo non mancava al suo appuntamento. Ora stava cominciando a capire che, attraverso quella scatola dal nome strano, non era possibile toccarla, né tanto meno farsi accogliere dalle sue braccia, ma poteva comunque vedere e chiacchierare un po’ con la sua mamma. Gli piaceva molto quello strano oggetto, il computer – così lo chiamavano i suoi genitori – perché gli permetteva non solo di raccontare alla mamma le sue giornate e di sapere cosa lei stesse facendo, ma anche di guardare i suoi cartoni animati preferiti, ascoltare filastrocche e canzoncine, ma soprattutto guardare una miriade di video sui trattori al lavoro, la sua vera passione... ops, forse è il caso di chiamarli tattoi, esattamente come Edoardo pronunciava quella parola.

    DXB-CDG

    Nella città dell’amore

    Vuoi sapere dove mi trovo oggi?, gli chiese la mamma con la sua solita dolcezza. Edoardo annuì e lei proseguì: Oggi sono a Parigi, la città dell’amore, della Tour Eiffel. Devi sapere che qui la gente parla una lingua strana, il francese. Se dovessi trovarti di fronte un bambino parigino della tua età, non riusciresti a capire ciò che dice e lui non capirebbe te. Per esempio, qui mamma" si dice maman e ogni parola è diversa dalla tua. Ma è una lingua affascinante, dolce, elegante e musicale. Io un pochino l’ho studiata a scuola e così riesco a parlare con gli abitanti di questo Paese. Sapevi che la Tour Eiffel è tra i monumenti candidati a diventare una delle sette meraviglie del mondo moderno? Vederla in fotografia non provoca le stesse reazioni che suscita il passarci davanti; ti assicuro che essere lì sotto e alzare la testa per ammirarne la sua imponenza è tutta un’altra storia. Se fossimo andati insieme, avrei scattato mille fotografie di te nell’intento di toccare la punta della torre, un gioco ottico che tutti i turisti

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1