Amnesia
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Book preview
Amnesia - Patricia Walter
Colophon
Titolo originale
Kalte Erinnerung
© 2016 by Bastei Lübbe AG, Köln
© Edizioni le Assassine, 2018
Tutti i diritti riservati
Traduzione dal tedesco di Elsa Ninni
Progetto grafico copertina e interni: studioquasar
ISBN della versione e-book 978-88-94979-06-0
www.edizionileassassine.it
info@edizionileassassine.it
Patricia Walter
Amnesia
Traduzione di Elsa Ninni
Edizioni le Assassine
Milano
1
Il suo grido agghiacciante risuonò nell’oscurità, mentre precipitava nell’abisso. Il sangue le ronzava nelle orecchie e un vento gelido le soffiava sul viso. Impotente, agitava le braccia come se stesse remando per fermare la caduta inarrestabile, il tempo aveva perso di significato e i secondi si dilatavano all’infinito.
Era così buio che non riusciva a riconoscere niente intorno a sé, come se non ci fosse terreno e stesse precipitando sempre di più nelle viscere dell’inferno. Il sibilo del vento era cresciuto fino a diventare un ululato. Gli occhi le si erano riempiti di lacrime e un freddo pungente le avvolgeva il corpo e si mescolava a una paura mai conosciuta.
Zoe continuava la sua vertiginosa discesa verso il basso. Tutta sudata e senza respiro si mise a sedere sul letto, mentre le ultime immagini del suo incubo lentamente svanivano. Ancora tremante indugiava in quello stato che sta tra il sogno e la veglia, lo sguardo perso nel vuoto. Nella stanza regnava il buio, solo la luce fioca di un lampione nella strada filtrava attraverso le imposte. Zoe era ancora addormentata e non aveva ripreso il senso dell’orientamento, tuttavia avvertiva ancora la sensazione terrificante di cadere nel vuoto e il vento e il freddo sulla sua pelle.
Stai tranquilla, si disse. È stato solo un brutto sogno.
Restò seduta per un momento finché non si riprese, poi si abbandonò esausta sul letto; la camicia da notte si era incollata in modo sgradevole alla pelle.
Era da tempo che non le capitava un incubo così tremendo: dopo la morte improvvisa dei genitori, tredici anni prima, era stata perseguitata notte dopo notte da sogni cupi, e solo quando David era entrato nella sua vita aveva ritrovato un po’ di pace ed era riuscita di nuovo a passare una notte senza sonni agitati. Con lui aveva scoperto la felicità: ormai erano sposati da otto anni ed erano alla ricerca di un figlio.
Sorrise e si sfiorò con la mano il ventre come a sottolineare quel suo desiderio.
Sospirò e allungò la mano verso la sveglia: le cifre in rosso indicavano le sette e un quarto.
Che strano, di solito era già in piedi da una mezz’ora. Forse non aveva sentito la sveglia o la sera prima si era dimenticata di puntarla? Perché David non l’aveva svegliata? Anche lui aveva dormito più del solito?
Allungò la mano per cercarlo, ma l’altra metà del letto era vuota. Accese la lampada sul comodino e socchiuse gli occhi, odiava alzarsi quando fuori era ancora buio. Fortunatamente nel giro di due settimane sarebbe stato Natale e le giornate si sarebbero poi allungate.
Sbadigliò. Il terrore che le aveva provocato l’incubo le paralizzava ancora le membra, ma quando si stiracchiò un dolore acuto le trafisse la spalla sinistra. Gemette.
Magnifico! Non bastava l’incubo. Ci mancava anche che mi svegliassi tutta atrofizzata.
Incurvò la schiena e mosse la testa per allentare la tensione dei muscoli, ma così il dolore si fece più forte, e dal tronco si diffuse all’anca e giù fino alle gambe. Ginocchia e gomiti pulsavano e anche respirare le faceva male. Irritata si guardò il gomito destro.
Ma che cavolo…
Incredula si esaminò le braccia: erano interamente ricoperte di lividi blu e di graffi, davanti e dietro. Un misto di stupore e di incredulità s’impossessò di lei. Cautamente si passò un dito su una delle ferite e al solo tocco ebbe un sussulto. Con uno scatto allontanò la coperta e constatò che anche le sue gambe avevano lo stesso aspetto: un taglio profondo le attraversava la coscia destra.
Di colpo fu completamente sveglia. Ma come aveva fatto a ferirsi in quel modo?
Saltò giù dal letto in maniera così brusca che tutto il suo corpo urlò per il dolore. Zoppicando raggiunse il bagno e accese i faretti: alla luce del neon le ferite erano ancora più evidenti. Andò al lavandino e si guardò allo specchio.
I capelli neri, lunghi fino alle spalle, erano arruffati e le ricadevano a ciocche scomposte sul viso. In un primo momento non si riconobbe neppure: sulla fronte aveva una profonda ferita e il sangue rappreso si era incollato alla guancia destra, che era gonfia; sul mento aveva un brutto ematoma bluastro.
Zoe socchiuse gli occhi e si chinò verso lo specchio per guardarsi meglio. Quasi in trance, si toccò la ferita e fece una smorfia. Con attenzione si sfilò la camicia da notte; il petto era segnato da ferite e graffi, come il resto del corpo. Sembrava che qualcuno l’avesse picchiata.
Sotto shock, guardò la sua immagine riflessa nello specchio. Ma era davvero lei? Il suo respiro accelerò, le gambe minacciarono di cederle, tanto che dovette appoggiarsi al lavandino.
Ma che cosa mi è successo? Chi mi ha conciato in questo modo?
Le ferite sembravano fresche e dovevano tutt’al più risalire a un paio d’ore prima. Ripensò al giorno precedente, all’ora in cui era andata a letto, ma per quanto si sforzasse non riusciva a ricordare niente. Nella sua testa regnava il vuoto assoluto.
Che cosa…
Fu assalita da un senso di soffocamento che aumentò fino a diventare una paura opprimente che le serrava il petto, rendendo ogni respiro un tormento.
Disperata, cercò di ricordare quel che era successo il giorno prima, pensò a quando si era alzata e a come aveva passato la giornata, ma per quanto si concentrasse non ci riusciva: era come se quel giorno non fosse mai esistito.
La paura crebbe fino a diventare panico.
Si sforzò allora di ricostruire ciò che aveva fatto due giorni prima e, inorridita, si rese conto che non ricordava neanche quello. Entrambi i giorni si erano completamente cancellati dalla sua memoria.
Un brivido lungo la schiena la raggelò.
Non si perde così la memoria e non ci si sveglia pieni di graffi e di lividi. Ma che giorno è?
Guardò l’orologio della stanza da bagno.
Mercoledì.
Si strofinò gli occhi e guardò di nuovo il display per accertarsi di non aver letto male.
L’ultima cosa che riusciva a ricordare era una visita con David alle terme di Erding. Doveva essere successo di domenica; le mancavano due giorni interi!
Non poteva essere vero. Zoe saltellò fino alla camera da letto e accese il televisore che si trovava in un angolo, cercò il notiziario sintonizzandosi sul televideo. Proprio in cima riportava mercoledì. Deglutì e, incapace anche di avere un solo pensiero chiaro, se ne stette lì impalata: il vuoto che aveva nella testa la faceva quasi impazzire.
Le costò uno sforzo enorme uscire da quella paralisi. Tornata in bagno, aprì il rubinetto e si spruzzò in faccia dell’acqua fredda che ebbe l’effetto di uno shock. Respirava affannosamente, mentre si lavava via il sangue dalla fronte e dalla guancia.
Ma se ieri era arrivata in un stato simile a casa, perché David non aveva detto niente? Avrebbe dovuto portarla al più vicino ospedale.
Zoe chiuse il rubinetto.
Suo marito usciva di solito poco prima di lei, tuttavia facevano sempre colazione insieme; ciò significava allora che lui era ancora in casa. Chinò la testa e rimase ad ascoltare, ma nell’appartamento non si sentiva nessun rumore.
David!
gridò, senza ricevere risposta.
In fretta si asciugò il viso e s’infilò l’accappatoio.
David?
A piedi nudi scese la scala a chiocciola che portava al soggiorno della villetta bifamiliare. Lo spazio, che David definiva scherzosamente giungla
per via delle numerose piante, era vuoto, proprio come il piccolo studio adiacente e la cucina.
Se ne stette lì per un momento indecisa sul da farsi, poi risalì in camera da letto e anche lì si fermò come impietrita.
Nel primo momento di spavento non si era minimamente resa conto che il lato del letto di David era intonso e la coperta ben ripiegata, ciò voleva dire che non aveva passato lì la notte.
Dov’era allora?
Cercò ancora una volta di ricordare, tuttavia senza successo.
Forse era partito per un viaggio di lavoro?
Ripensò alla domenica, l’ultimo ricordo prima di quel misterioso blackout. Vedeva ancora David davanti a sé, mentre se ne stava con aria rilassata nella vasca idromassaggio. Di che cosa avevano parlato? Dei loro programmi per Natale. Se restare da soli a casa nei giorni di festa oppure andare dai genitori di David ad Amburgo. Ma lui non le aveva annunciato che sarebbe partito per lavoro.
E allora dov’era?
Allungò la mano verso l’iPhone posato sul comodino e lo accese. Ci volle qualche secondo lungo e penoso prima che fosse connesso alla rete mobile; Zoe pigiò il tasto di selezione rapida per il numero del marito, ma appena ci fu il collegamento partì la segreteria telefonica: Salve, questa è la segreteria telefonica di David Drexler. Se volete lasciare un messaggio, fatelo dopo il segnale acustico
.
Ci fu un suono lungo e Zoe riagganciò, senza lasciare messaggi.
Strano. David teneva sempre acceso il cellulare quando era in giro, in caso ci fossero comunicazioni urgenti.
Come adesso.
Provò di nuovo, ma subito ripartì la segreteria.
David, sono io. Per favore, richiamami appena puoi. Io…
Si bloccò e pensò a che cosa doveva dirgli.
Mi sono svegliata piena di ematomi e di ferite e non so come me li sono procurati. Per caso ne hai idea?
Si rendeva conto di quanto fosse folle un simile discorso e dopo un paio di secondi di silenzio riattaccò.
Se David non c’era la sera prima, allora probabilmente non poteva sapere che lei era ritornata a casa conciata in quel modo.
Persa nei suoi pensieri, guardò se sul cellulare ci fosse un sms. Quasi certamente lui gliene aveva mandato uno.
Con delusione constatò che l’ultimo messaggio ricevuto dal marito risaliva a quattro giorni prima; era un breve sms: Ti amo.
Ti amo
ripeté soprappensiero Zoe e sospirò. Erano questi piccoli gesti che le piacevano di lui e che contribuivano a farli sentire ancora innamorati come il primo giorno. A volte lui le portava dei fiori, oppure le mandava una cartolina con una poesia d’amore o la stupiva con un romantico picnic al lago.
Osservò la foto che stava sul comodino e che mostrava David nella loro ultima vacanza estiva in Grecia. Abbronzato e allegro, rideva rivolto verso la macchina fotografica. Accanto alla bocca si delineavano le due fossette che lei trovava così affascinanti; i capelli, corti e neri, erano già brizzolati in alcuni punti. Sebbene si avvicinasse ai quaranta, i suoi occhi sprizzavano l’allegria e l’esuberanza di un ragazzino.
Scese di nuovo al piano inferiore e si guardò in giro un’altra volta. Ci doveva pur essere una qualche traccia del suo passaggio ma non ne trovò, né nel soggiorno né nello studio.
Zoe passò in cucina e anche lì non sembrava che ci fosse stato di recente qualcuno. Tutto era sistemato in ordine negli armadietti e nell’aria non vi era l’aroma del caffè appena fatto, di cui al mattino David aveva così urgentemente bisogno. C’era soltanto un profumo natalizio, diffuso da una composizione di rami d’abete intrecciati sul tavolo, in mezzo ai quali era sistemata una candela rossa, consumata per metà.
Dov’era David?
E che cos’era successo il giorno prima?
2
Immersa nei suoi pensieri, Zoe se ne stette per un po’ seduta in cucina, poi si alzò, andò alla finestra e guardò fuori. Un vapore acqueo aleggiava nell’aria, e la terra era ricoperta da una spessa coltre di neve; doveva aver nevicato di nuovo. Sulla siepe di fronte alla finestra troneggiava una corona bianca, dagli alberi che costeggiavano la strada pendevano stalattiti di ghiaccio.
Rabbrividì soltanto a vederli.
Lei e il marito abitavano alla periferia nord di Monaco in un complesso di villette a schiera. Mentre i piani superiori avevano ampi terrazzi sotto il tetto, gli appartamenti del pianterreno disponevano di un giardino.
Stava di nuovo per girarsi, quando un movimento al portone d’ingresso attirò la sua attenzione. La sua vicina, una graziosa donna di trent’anni, era appena uscita e stava camminando a testa bassa lungo il vialetto. I lunghi capelli biondi le ricadevano ondeggiando sulle spalle, e contornavano il viso dai grandi occhi di cerbiatta.
Magari lei sa qualcosa.
Zoe aprì la finestra.
Jasmin
le gridò. Ehi, Jasmin, aspetta!
La donna trasalì e si fermò di colpo. Si guardò attorno con aria interrogativa finché non la vide sporgersi dalla finestra.
Zoe coprì alla meglio con la mano la ferita al viso: aveva lisciato i capelli sul taglio ben visibile sulla fronte.
Scusami se ti ho spaventata!
Accidenti, Zoe! Sono già in ritardo.
Mi dispiace, ma solo due parole: per caso hai sentito quando sono ritornata a casa?
La donna scosse la testa: No. Perché me lo chiedi?
.
Perché ho ferite in tutto il corpo, un blackout nella testa e gli ultimi due giorni si sono completamente cancellati dalla mia mente.
Zoe si sforzò di avere un tono di voce noncurante, anche se la paura si era impadronita di lei. Ah, oggi non so perché ma sono un po’ sottosopra e non riesco a ricordarmi come e quando sono ritornata a casa.
Hai straviziato a qualche festa?
Bella domanda. Era stato quello?
Non ne ho idea, ma non penso.
Fece un gesto di diniego. Non ha importanza, pensavo solo che forse avessi sentito qualcosa. Non ti trattengo di più. Allora ciao
e così dicendo chiuse la finestra.
Era possibile che in effetti avesse bevuto troppo e che quindi avesse un vuoto di memoria? Rigettò quel pensiero. Non si sentiva per niente reduce da una sbronza, e comunque questo non spiegava le ferite.
Si guardò di nuovo le braccia finché non avvertì il freddo che dalle mattonelle del pavimento le risaliva su per le gambe. Indecisa, andò verso il soggiorno, si lasciò cadere sul divano e mise sul tavolino di vetro il cellulare.
Un momento dopo qualcosa le sfiorò la gamba e Zoe ebbe un sussulto. Guardò verso il basso e incontrò gli occhi luccicanti del suo gatto.
Plinky!
esclamò con il cuore che le batteva forte. Ma devi proprio avvicinarti così di soppiatto?
Il gatto le si strusciò con aria sorniona contro le gambe.
Su, dai, salta su
disse battendosi sul grembo. Plinky fece un balzo e si mise comodo sulle sue cosce. Zoe dovette stringere i denti per non urlare dal dolore, ma lo lasciò fare e accarezzò il pelo rossiccio e setoso del