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Tenere radici
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Tenere radici

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About this ebook

Avvenimenti della vita di Donatella affiorano nella sua mente.

Si accorge che nulla è avvenuto per caso.

La sua famiglia, gli amici hanno contribuito alla crescita della sua anima.

Cambia lei, cambia il mondo che la circonda.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateApr 4, 2018
ISBN9788827822357
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    Tenere radici - Donatella Cazzin

    radici

    Tenere Radici

    Donatella Cazzin

    Tenere Radici

    Capitolo I

    I miei genitori

    Mio padre nacque in una famiglia di contadini il primo giugno del

    1924. All'anagrafe lo certificarono come Massimiliano (nome che

    non usò mai nell'arco della sua vita).

    Tutti lo conoscevano come Romeo: allora si usava dare diversi

    appellativi o abbreviazioni che non comparivano nei documenti.

    Oltre a questo nome, aveva altri soprannomi, come Biagio o

    Pieretto Assaggiano, ma l'appellativo che si portò dietro per molto

    tempo era il figlio di N.N. (un’espressione latina da Nescio = non

    conosco, Nomen = nome. Un marchio per indicare i figli non

    riconosciuti dai padri).

    Mia nonna Maria da giovane s’innamorò di un uomo che abitava

    2 case più in là. Per lui invece, lei era una tra tante, perciò quando

    lei rimase incinta lui non volle riconoscere il bambino, avendo

    fatto sesso prima del matrimonio la reputava una donna poco

    seria. La famiglia di mia nonna cercò d’imporre che lui si

    prendesse le sue responsabilità ma lui giurò davanti ad un

    crocefisso che non era il padre. Antonio, il fratello di mia nonna,

    gli disse:

    "Visto che hai giurato il falso Dio punirà te e la tua discendenza

    per sette generazioni"

    Mia nonna decise di tenersi il bambino e assieme a suo fratello

    Antonio lo allevò.

    Antonio diceva di aver rinunciato a farsi una famiglia tutta sua

    per non lasciare mia nonna sola con il bambino. Secondo la

    versione di mia madre, da giovane, Antonio si era innamorato di

    una donna che però lo respinse, e con questa esperienza chiuse

    con le donne.

    9

    Mio padre fu un bambino gracile e malato di asma, non tanto utile

    nel lavoro dei campi, ma finite le scuole elementari Antonio

    decise di mandarlo a lavorare, perché non essendo figlio suo

    doveva cavarsela da solo. Intanto, 2 case più in là, suo padre

    biologico si era sposato e aveva altri figli che studiarono ed

    ebbero una vita diversa dalla sua.

    Figli illegittimi affetti della psicosi della guerra erano ovunque,

    quasi la regola anziché l’eccezione, ma il rammarico di essere un

    figlio di N.N. accompagnò mio padre per tutta la vita. Ricordo

    infatti, ogni tanto (nei suoi momenti di sconforto) lo sentivo

    maledire il padre.

    Mia madre Iolanda nacque l’11 giugno del 1929 in una famiglia

    numerosa: lei era la decima di 12 figli. Suo padre, che faceva il

    muratore, finito il lavoro gli piaceva andare al bar con gli amici a

    bere un bicchiere di vino; era anche uno cui piaceva spararle

    grosse.

    Mia nonna era una donna molto bella e aveva molti corteggiatori,

    e mio nonno per conquistarla si presentava sempre vestito bene:

    al dito portava un anello d'oro e al collo una collana d'oro; le

    aveva fatto credere di stare bene di famiglia, gli amici e il fratello

    lo avevano spalleggiato in questo; lui la voleva a tutti i costi,

    aveva paura che lei non lo accettasse per quello che era. Il giorno

    del loro matrimonio, quando tornarono a casa, gli amici gli

    chiesero di restituire tutto, nemmeno il vestito che indossava era

    suo, ma del fratello. Mia nonna presumeva di aver sposato un

    uomo benestante, ma si ritrovò e vivere in ristrettezze. Mia nonna

    raccontava che mio nonno quando si trovava con gli amici diceva

    che a casa avevano salami e soppresse, non mancava nulla. Un

    giorno, un nuovo amico gli disse:

    "Se hai quest’abbondanza, vai a prendere una soppressa che la

    mangiamo in compagnia"

    "Vai tu da mia moglie e dille che ti ho mandato io. Le dici:

    Ferdinando ha chiesto di darmi una soppressa da mangiare in

    compagnia"

    Quando mia nonna sentì bussare alla porta e venne a sapere la

    richiesta, prese la scopa e cominciò a gridare:

    10

    "Tu e tutta la combriccola volete la soppressa? Disgraziati, io ho

    11 figli da sfamare! Ve la do io la soppressa sulla testa!"

    Nel frattempo, al bar, mio nonno con gli amici che conoscevano

    mia nonna e sapevano come avrebbe reagito, se la ridevano a

    crepapelle. In realtà, avevano troppe bocche da sfamare e non

    avendo cibo da dare a tutti, mia nonna mandò mia madre a vivere

    con la nonna materna. Questa scelta, mia madre la visse come un

    abbandono. Finita la quarta elementare andò a lavorare in una

    famiglia benestante di Mirano come baby-sitter e cameriera, e

    quando il bambino divenne un po' grandicello e la famiglia non

    ebbe più bisogno di lei, trovò lavoro come serva, presso una

    famiglia veneziana.

    Romeo e Iolanda s’incontrarono in una balera del paese, dopo 3

    anni di fidanzamento si sposarono, andarono ad abitare con

    Antonio e Maria. Ben presto cominciarono i litigi, ad Antonio non

    piaceva il carattere di mia madre che era tenace e non si faceva

    sottomettere da lui, era abituato con mio padre che non si ribellava

    mai, inoltre mio padre doveva consegnare ogni mese lo stipendio

    in casa. Chi comandava in casa era Antonio. Nel 1954 nacque mia

    sorella Francesca, la primogenita, e a quel punto la convivenza

    divenne a dir poco burrascosa: a mia madre serviva denaro per la

    piccola, ma Antonio non voleva darglielo.

    D'accordo con mia madre, mio padre, decise di non dare lo

    stipendio in casa, quindi trovarono un casa con camera e cucina

    in affitto, poco distante da dove abitavano. Presero le poche cose

    che avevano e traslocarono. Dopo 18 mesi, nel 1956, nacque

    anche la seconda figlia, Elisabetta. Avevano 2 meravigliose

    bambine. La vita scorreva, mio padre voleva avere un figlio

    maschio per tramandare il cognome. Mia madre restò in stato

    interessante un'altra volta, ma con l'arrivo di un altro figlio la mia

    famiglia non poteva abitare in quella casa, che era vecchia, il tetto

    era rotto, pioveva dentro e c'era poco spazio.

    Una domenica del 1961, all'età di 32 anni, mia madre era pronta

    a concepire la vita della sua terza figlia. Nacqui io: 2 minuti dopo

    la mezzanotte, era il primo maggio. Mia madre chiese

    all'ostetrica, poiché erano passati solo 2 minuti la mezzanotte, se

    11

    poteva certificare che ero nata 2 minuti prima della mezzanotte,

    questo perché all'anagrafe ufficialmente sarei stata registrata nel

    mese di aprile, così, la mia famiglia avrebbe preso un mese in più

    di assegni familiari. Io possiedo 2 date di nascita: una reale e

    quella dove sono stata registrata all'anagrafe. Nella numerologia

    chi ha 2 date di nascita deve considerare la vera data come la

    propria natura più intrinseca e profonda, mentre quella tracciata

    nell'anagrafe come la personalità deve adeguarsi all'ambiente

    circostante. Decisero che mi sarei chiamata Donatella (è un nome

    di origine latina ed è un diminutivo di Donata, e in genere si da ai

    figli molto attesi). I miei genitori, Iolanda e Romeo, che

    desideravano ardentemente un maschietto, quando nacqui bella e

    sana furono comunque felici e mia madre disse a mio padre:

    "Ci fermiamo qui, non possiamo fare una squadra di calcio per

    avere il maschio"

    Ancora neonata venni battezzata diventando così una persona di

    religione cattolica. Il Battesimo significa essere liberato dal

    peccato originale e dal suo istigatore il diavolo. Il prete oltre a

    versare dell’acqua sul capo, unge con l’olio benedetto, in questo

    modo si è fortificati dalla forza di Cristo contro il male. Mi venne

    detto che se per disgrazia fossi morta prima del Battesimo, non

    avrei avuto le condizioni necessarie per andare in Paradiso. La

    mia anima sarebbe finita nel Limbo, il luogo dei bambini buoni.

    La mia nascita inevitabilmente portò le mie sorelle a essere

    gelose, le attenzioni -che fino a quel momento erano solo per loro-

    ora dovevano dividerle con me.

    Qualche settimana dopo, mio padre per festeggiare la mia nascita,

    regalò un vestito nuovo a mia madre. Era il primo regalo che

    riceveva.

    2 giorni dopo mia madre mi lasciò a casa con le mie sorelle:

    "Devo andare a prendere 2 cose al negozio, fate attenzione a

    vostra sorella, torno subito", disse.

    La bottega di alimentari si trovava di fronte casa nostra.

    La gelosia dei bambini è un sentimento troppo grande da gestire

    da soli e possono avere delle reazioni non razionali, infatti,

    appena mia madre uscì da casa le fecero un dispetto. Mentre

    12

    aspettava di essere servita vide che dalla porta di casa stava

    uscendo un fumo nero, presa dal panico corse a casa. Nella sua

    mente si era formata la paura che le mie sorelle mi avessero

    buttato nel fuoco della stufa. La prima cosa che fece fu quella di

    assicurarsi che stessimo bene, poi guardò le mie sorelle per capire

    cosa fosse successo. Francesca disse:

    E’ stata Elisabetta, ti ha bruciato il vestito nuovo!

    E’ vero, sono stata io rispose Elisabetta, "ma è lei che mi ha

    suggerito di farlo!"

    Perché lo avete fatto? urlò mia madre.

    Adesso non ci vuoi più bene, hai attenzioni solo per lei,

    risposero loro.

    Questa forma di gelosia sottile tra sorelle rimase per tutta la vita.

    Nel 1961 dopo 6 mesi dalla mia nascita ci trasferimmo tutti in

    un'altra casa vecchia, ma in condizioni migliori di quella

    precedente.

    La casa

    Fino all'età di sette anni abitai in una vecchia casa dotata di

    elettricità ma non di riscaldamento, era su 2 piani; al primo

    c'erano la cucina e una scala che portavano al piano superiore, un

    ampio sottotetto dove al centro c'era la stufa a carbone, un

    soggiorno e le stanze da letto. I mobili erano pochi, la stanza più

    arredata era la cucina. Mia sorella Francesca iniziò a lavorare da

    una magliaia a 12 anni e con i suoi primi stipendi aiutò mio padre

    a comprare la cucina, una credenza stile anni ‘60 bianca e azzurra

    laccata con un tavolo e 6 sedie. Al muro c'era un lavello di marmo

    per lavare i piatti con una tenda tutto attorno per nascondere il

    bidone dello scarico dell'acqua, una vecchia stufa economica

    bianca a legna e un piccolo fornello a gas con 2 fuochi e un

    frigorifero. In un angolo della stanza, sopra a un ripiano c'era una

    radio: una grande scatola quadrata impiallacciata di noce

    nazionale biondo che sul davanti aveva 3 tasti per sintonizzarsi

    sul canale preferito. Mia madre la accendeva mentre preparava il

    pranzo, prima ascoltava il giornale radio che comunicava le

    13

    notizie del giorno e poi ascoltavamo una specie di Hit-parade che

    allietava i nostri pranzi. Non mancava mai la canzone di Gigli

    Beniamino, Mamma son tanto felice perché ritornerò da te,

    cantata dall'idolo di mio padre Claudio Villa. Io ero felice quando

    sentivo la canzone di Nilla Pizzi, Papaveri e papere. Le camere

    erano 2, quella dei miei genitori, con il letto di legno e i

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