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Venuti dal mare
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Venuti dal mare

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About this ebook

Trapani, inizi del Novecento.
Giuseppe Nicosia è il primo flautista dell’orchestra del Conservatorio. Per lui, la musica è tutto. Durante un temporale, viene aggredito da una bizzarra creatura, proprio nel cuore della sua città. Convinto di aver sognato, Giuseppe prova a cacciare dalla mente il pensiero di quell’essere, ma nuove apparizioni lo convincono che la minaccia è reale. Con l’aiuto di un cacciatore e di un pescatore, Giuseppe indaga per scoprire il mistero che circonda le creature venute dal mare, prima che la tempesta da loro scatenata travolga Trapani e la Sicilia intera.

«Tutto ebbe inizio all’alba dei tempi. Dei e titani si contendevano il dominio della Terra, fino a quando Zeus non cacciò i titani diventando il re degli dei. Ebbene, esiste una terza razza di esseri, immortali come gli dei e pericolosa come i titani, una razza talmente potente e malvagia da avere il potere di uccidere persino un dio. Sto parlando di creature puramente malvagie, meschine, il male puro. Esseri dal sangue nero come la pece e impossibili da sconfiggere con le armi umane».
LanguageItaliano
PublisherNPS Edizioni
Release dateMay 22, 2018
ISBN9788831910019
Venuti dal mare

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    Venuti dal mare - Gianluca Malato

    casuale.

    Capitolo 1

    Un oggetto molto importante

    Quella sera del 1910 a Trapani pioveva come non aveva mai piovuto prima. Nessuno aveva memoria di un tempo brutto come quello; il mare era in tempesta, le onde si infrangevano sui frangiflutti davanti al porto, la pioggia scrosciava impetuosa dal monte Erice come un fiume in piena, le nuvole nere coprivano le stelle mentre le isole Egadi sembravano essere state inghiottite dall’oscurità. Con quel diluvio, pochi si azzardavano a uscire per le strade e nessuno osava navigare in mare aperto.

    Giuseppe aveva programmato di andare alla bottega del signor Aleci per ritirare un oggetto molto importante, ma la tempesta lo aveva costretto in casa.

    Si affacciò alla finestra e, appoggiato al davanzale, meditò se fosse meglio uscire e affrontare il temporale oppure restare in casa al calore della stufa, quando sua moglie entrò nella stanza.

    «Non pensarci neanche a uscire con questo tempaccio» disse Claudia, indovinando i suoi pensieri.

    Giuseppe la guardò per un attimo, poi volse di nuovo lo sguardo fuori dalla finestra senza dire nulla.

    «Ritirerai il flauto quando la tempesta sarà passata. Aspetta un po’, non casca mica il mondo!» disse Claudia, cingendogli i fianchi con un braccio.

    Ma Giuseppe continuava a tacere osservando l’impeto della tempesta.

    Un tuono lontano fece vibrare i vetri delle finestre.

    «Hai sentito?» disse Claudia. «Non è tempo per cristiani, questo. Aspetterai che scampi».

    Giuseppe si girò verso di lei e la guardò negli occhi, quei bellissimi occhi marroni incorniciati da sopracciglia bionde come i suoi capelli. Gli occhi azzurri di Giuseppe fissarono quelli della moglie con sicurezza e determinazione, ma tradirono anche la necessità di una sua approvazione.

    Claudia tentò di tenere testa a quello sguardo, ma sapeva di non riuscire a resistere per più di qualche attimo. Dopotutto, era lo stesso sguardo che l’aveva fatta innamorare di lui.

    «Almeno portati un ombrello» sospirò infine.

    Appena udite quelle parole, l’espressione di Giuseppe si tramutò di colpo in un sorriso e quegli occhi che prima sembravano impenetrabili divennero dolci come quelli di un bambino. La baciò, prese il soprabito e l’ombrello e si diresse verso la porta.

    «Torno presto, tesoro. Non stare in pensiero per me».

    «Spero proprio di non pentirmene» rispose lei con un sorriso rassegnato.

    Poi Giuseppe uscì e si precipitò giù per le scale.

    Claudia abbassò lo sguardo, vagamente intristita. Non era nuova a quel tipo di ostinazione del marito, primo flautista dell’orchestra del Conservatorio.

    Era un uomo buono e pieno di premure, ma quando si trattava della musica, non sentiva ragione.

    Si erano conosciuti cinque anni prima, all’età di venticinque anni, quando Giuseppe era già un musicista professionista.

    Claudia Guerra a quel tempo era un’insegnante di italiano in una scuola elementare e si era innamorata subito di lui per la sua dolcezza e sensibilità da artista. Era fiera del lavoro che svolgeva anche se, in certe circostanze, Giuseppe si ritirava in studio per diverse ore, alienandosi da tutto ciò che lo circondava e lasciandola sola.

    Claudia soffriva in silenzio quella solitudine, ma quando il marito finiva di studiare la baciava intensamente come per farsi perdonare, e lei capiva che la persona che aveva sposato era quella giusta.

    Quella sera sapeva che non sarebbe riuscita a fermarlo, così come non ci sarebbe di certo riuscita la pioggia. Quando si trattava del suo flauto, non lo impensierivano neanche le trombe marine.

    Si accostò alla finestra e lo vide camminare in strada con passo svelto, unico ombrello in una città resa spettrale dalla pioggia.

    Prima di vederlo scomparire nell’oscurità, gli soffiò un tenero bacio, poi andò a preparare una zuppa calda.

    Uno strano presentimento le diceva che Giuseppe ne avrebbe avuto bisogno al suo ritorno.

    Capitolo 2

    La bottega del signor Aleci

    Il signor Aleci era un liutaio che riparava e costruiva strumenti musicali da quarant’anni, in una bottega in via Torrearsa. Sebbene l’artrite gli impedisse di lavorare bene come quando era più giovane, i suoi clienti erano soddisfatti del suo lavoro.

    Giuseppe gli aveva commissionato la riparazione del suo flauto, un bellissimo flauto traverso fatto interamente d’argento, dal valore commerciale elevatissimo, ma mai minimamente paragonabile al valore affettivo che aveva per lui.

    Giuseppe Nicosia lo aveva ricevuto in dono dal nonno, che a sua volta lo aveva ricevuto da sua madre. Ella sperava di avviare il figlio alla carriera di musicista, ma i tentativi di studio del nonno di Giuseppe si erano rivelati un fallimento, così il flauto non aveva emesso una nota per moltissimi anni.

    Da quando il nonno gliel’aveva regalato, Giuseppe non si era più separato dal suo strumento, continuando ad amarlo come il primo giorno. Per questo si preoccupava moltissimo della sua manutenzione e pulizia.

    Qualche giorno prima, una delle chiavi si era deformata durante un esercizio e Giuseppe aveva portato il flauto dal signor Aleci per farlo riparare.

    Quella sera, camminava spedito verso il centro di Trapani, sotto un vento freddo che gli scagliava la pioggia in faccia e sembrava volergli congelare le ossa a ogni folata. Per le strade non c’era nessuno; tutti erano rintanati nei negozi o nelle loro case con le stufe accese, aspettando che la tempesta cessasse.

    Giuseppe raggiunse il palazzo della famiglia D’Alì, un edificio terminato pochi anni prima che, sebbene non fosse molto alto, sembrava interpretare il ruolo di guardiano d’ingresso al centro storico. La pioggia ruscellava sugli archi dell’ordine più alto e gocciolava senza tregua sul bugnato liscio dell’ordine più basso.

    Lo superò e si avviò lungo via Garibaldi a passo spedito. La strada era lunga e l’oscurità impediva di vederne la fine. Ai lati, i portoni dei palazzi delle famiglie Staiti e Milo erano decorati con raffinati batacchi in ottone brunito. Quello era il mondo dell’aristocrazia trapanese e nessuno si curava di un musicista che percorreva quelle vie inzuppandosi come un pulcino.

    A volte il vento soffiava così forte da spingerlo indietro, specialmente in corrispondenza delle traverse, quando folate violente mettevano a dura prova la robustezza del suo ombrello. Ma Giuseppe non aveva intenzione di demordere: procedeva risoluto, incurante del temporale.

    Arrivato all’incrocio con via Torrearsa, girò a sinistra e costeggiò le botteghe di artigiani, riparatori di reti, falegnami e farmacisti, tutte rigorosamente chiuse.

    Dopo poche decine di passi giunse finalmente a destinazione. Posò l’ombrello e si pulì i piedi sullo zerbino. Solo allora si accorse di avere le scarpe inzuppate e i pantaloni fradici fino alle ginocchia.

    Non se ne curò ed entrò nel negozio.

    Un paio di candele all’ingresso accoglievano i clienti, ma a parte quelle flebili fiammelle, l’intero negozio era immerso nella quasi completa oscurità.

    Ciò che saltava subito all’occhio era però il caos più totale. Strumenti musicali e casse per trasportarli erano sparsi ovunque, sulle mensole di legno alle pareti, su alcuni tavolini posti qua e là, perfino per terra.

    C’erano soprattutto

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