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Qunellis
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Qunellis

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Qunellis è un racconto di fantascienza così impropria da non essere solo fantascienza.
Qunellis è un serpente di stoffa, forse un giocattolo, incongruamente sopravvissuto a millenni di mutazioni che lo hanno trasformato in un essere vivente e senziente con facoltà e caratteristiche molto speciali. È lui il protagonista principale di questo breve romanzo ambientato in un tempo indefinibile e in un mondo brutale dominato, anzi martoriato, da una tecnologia deteriorata capace di autoriprodursi, la cui origine si perde in un passato remotissimo che di tutto è il solo colpevole e che forse altro non è che il nostro presente. Un mondo infernale e sospeso, in cui imperversa un’imprevedibile capacità di combinazione genetica che ne fa un luogo affollato di vite incompiute e incomplete, fragili e disperate ma al contempo tenaci nella ricerca, ognuna a modo suo, di una ragione d’essere. Ecco perché accanto a Qunellis si muovono anche altre creature, strane e straordinarie.
Mulinello. Il vortice alto come una montagna che vaga per il mondo e prende vita e coscienza grazie alle relazioni che s’instaurano fra gli oggetti e le entità che vanno a orbitare nelle sue spire.
Ombra Cangiante. Dalla bellezza feroce e opportunista dedita alla realizzazione di un sogno egoista, forse perché lei stessa è ciò che rimane di un egoistico sogno di grandezza.
Tibya. Di tutti l’unica che derivi direttamente e coscientemente da chi abitava quei luoghi millenni prima.
Il Pozzo: sensibile e solitario fino alle estreme conseguenze.
E infine Bomba, l’ordigno intelligente in cui si evolve qualcosa di simile a una coscienza.
Loro sono i protagonisti di una rapida vicenda che attraversa momenti di disperazione ma approda a un finale aperto, di speranza.
LanguageItaliano
Release dateMay 10, 2018
ISBN9788832921441
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    Qunellis - Ugo Mauthe

    Elena.

    1

    Qunellis

    Da tantissimo e tantissimo tempo la terra tutt’intorno veniva colpita più e più volte in un solo secondo, come rivoltata da un erpice esplosivo e seminata di schegge sterili, anche se alcune di loro erano certe che avrebbero emesso flebili segnali radioattivi per migliaia di anni e questo le rendeva di un’arroganza insopportabile per tutti gli altri segnali viventi disseminati intorno.

    Da tantissimo tempo interruttori on/off avevano dimenticato la seconda opzione, permettendo il lancio costante delle bombe ad autoriproduzione.

    A ogni colpo Qunellis si raggomitolava più che poteva.

    Qunellis è un serpente di stoffa bianca, di un bianco che non si sporca mai, ma questa non è la sua unica particolarità.

    Qunellis usa un’estremità come testa, è in grado di metterla a novanta gradi rispetto al corpo.

    A forza di immaginarsela è riuscito anche a darsi una faccia.

    La faccia di Qunellis è piatta, non parte da un collo come fanno le facce di solito ma fa tutt’uno con il corpo. Lui capisce che è una faccia perché ha immaginato di avere una bocca disegnata da una riga ricurva che gli dona un persistente sorriso da un lato all’altro.

    La riga la chiama bocca. Non la muove. Muoverla non gli serve.

    Però gli serve che ci sia. È uno dei primi cambiamenti che ha apportato a se stesso appena si è accorto di essere un se stesso, di avere un se stesso.

    A Qunellis piace molto l’idea di avere una faccia sempre sorridente, pensa che nel suo mondo faccia buona impressione…

    …Impressione è una nozione che ha recuperato da qualche luogo buio al proprio interno, non sa come lo sa ma lo sa.

    Gli piacerebbe che una faccia sorridente fosse contagiosa. Anche questo desiderio è un desiderio di recupero, da qualche luogo è emerso in un istante qualunque del tempo che non si misura.

    È emerso come fa una cosa che sa galleggiare quando emerge da un liquido dove non vuole restare, di slancio, sollevandosi al di sopra della superficie e ricadendo ma senza più affondare.

    Sì. Gli piacerebbe che una faccia sorridente fosse contagiosa.

    Evolvendosi ha generato anche due protuberanze laterali in funzione di orecchie. Fra le orecchie ci sono i due punti neri che ha stabilito che siano gli occhi, la distanza fra ogni occhio e ogni orecchio è uguale.

    Quando guarda i punti neri emettono due laser neri, non è esattamente luce anche se ha delle affinità con la sua struttura, è paragonabile a un’impalpabile fibra ottica che raccoglie dati e li trasferisce a una velocità e in una quantità che non sono misurabili – le iper IA in grado di reggere un flusso simile e di quantificarlo si sono estinte molto tempo prima che Qunellis scoprisse di essere un essere. Qunellis forse è un’inconsapevole iper IA mutante che sopravvive in solitudine. Forse.

    Non approfondisce. Non cerca la risposta. Non questa risposta.

    Per l’olfatto usa indifferentemente le due estremità. Avere la testa a una sola estremità è stata una sua scelta. Averne una per parte gli sembrava sconveniente. Un approfittarsene. Un’esagerazione. Comunque Qunellis sa che occorre avere naso occhi e orecchie per stare al mondo. Non sa come lo sa ma lo sa. Può essere che li ritenga meno importanti del sorriso. Può.

    Per scoprire la nozione di sorriso si era tuffato in se stesso, a una profondità soffocante, in un buio soffocante, preso da un bisogno soffocante: scoprire cosa sorriso fosse. Era sopravvissuto alla ricerca e riemerso da se stesso con l’idea di sorriso in un file bene in evidenza, quasi lo si poteva vedere lì, proprio sotto i due punti neri.

    Ha un’espressione minimale quasi astratta ma molto simmetrica e così ricorda quell’unità anatomica chiamata faccia. Gli piace molto la simmetria, deve essere una reazione al disordine che lo circonda da quando, non sa come né perché, ha scoperto di vivere.

    Prima del frullato biologico Qunellis era un giocattolo. O forse era un para spifferi. O tutte e due le cose. Qunellis non lo sa, non ha ancora esplorato quei continenti. A volte vorrebbe farlo, ma non si possono capire le sue intenzioni da quei due punti neri che non si aprono non si chiudono e non hanno palpebre né ciglia né sopracciglia né iridi né pupille e che pure guardano. Lui guarda tace e.

    E sorride.

    Dalla memoria tessile del suo corpo emerge a volte la sensazione di un vento gelido, lì dove tocca il terreno, ma la memoria tattile della sua imbottitura ricorda altre sensazioni, specialmente quando la luce si spegne e rimane solo il pulviscolo illuminato dalle pseudo aurore boreali. In quei momenti ricorda piccole pressioni qua e là, contatti umidi occasionali, sensazioni di calore. Giocattolo. Altro.

    È ora di andare, pensa Qunellis, tremante perché tutta la terra trema intorno a lui. Ascolta il brivido delle zolle, anche questo non sa come lo fa, ma lo fa.

    E sente che le zolle sono in preda a incubi di suoni e colori, materia sofferente che reagisce irritata all’arroganza dei minerali arricchiti.

    Arrotolato in un piccolo cratere sente il tormento della terra colpita dai pugni delle bombe che prima di esalare la loro esplosione affondano con ferocia le ogive aguzze. Un preludio al dolore, una tortura supplementare che ogni zolla riceve e accusa spruzzandosi tutt’intorno in un irrefrenabile riflesso nervoso di cui non ha il tempo di accorgersi perché istantaneamente dopo la penetrazione arriva l’esplosione che la sbriciola e la rivolta, mescolando per un istante grumi che non si erano mai incontrati, schegge, fantasmi e rifiuti che mai e poi mai si sarebbero trovati.

    Qunellis è un puro spettatore.

    Quando viene coperto dalla terra che ricade e gli scivola sopra, si ritrova subito libero, circondato da rigagnoli di terriccio che franano verso il fondo della buca senza sporcare la pelle immacolata, senza ostruire i pori della neostoffa.

    Si è scoperto così, di un tessuto bianco che nasce da formule che riassemblano natura e contro natura, natura e artificio, genialità frustrata e malvagità riciclata. La sua materia è refrattaria agli eventi esterni che ne sia cosciente o meno e lui la abita usandone in minima parte le infinite potenzialità che si agitano nelle nere profondità del suo interno come ipotesi narcotizzate che tentano di risvegliarsi.

    Ora Qunellis alza la testa. Si guarda intorno.

    Paesaggio bicolore.

    Marrone cupo e screziato della terra e grigio cupo e uniforme del cielo. L’orizzonte seghettato dalle creste dei crateri si modifica a ogni salva cancellando ogni speranza di punto fermo.

    Un orizzonte così mobile rende il viaggio più interessante.

    Esce dal cratere smuove terriccio infreddolito si lascia di nuovo scivolare nel fondo per ancora un istante di confortante ancestrale tepore.

    Sente la fatica del terriccio, la paura dei granuli di terra quasi frullata. È così ogni volta, non può farsene una colpa. La colpa lo immobilizzerebbe, lo schiaccerebbe. No, invece si erge in tutta la sua lunghezza con un movimento di contenuta potenza e si trasforma in sinuosa altezza e finalmente gira periscopicamente lento, per osservare tutt’intorno al di sopra del bordo del cratere.

    Cupo sotto cupo sopra e fontane di terra polverizzata eruttate a ogni colpo, singolarmente o in sequenze variamente ritmate o in serie che paiono infinite e che quasi non distinguono le singole deflagrazioni. Virtuosismi.

    Questo è il mondo. Il mondo di Qunellis.

    Lui non sa perché lo sa, ma lo sa e tanto gli serve e basta.

    I suoi laser neri scandagliano l’orizzonte. Sceglie una direzione si raccoglie con un aggraziato rifluire in se stesso si trasforma in una sfera immacolata che subito si mette in movimento sfruttando ogni impercettibile discesa per accelerare, immagazzinando fra le fibre tensioni che potrà rilasciare più tardi, di colpo o lentamente a seconda delle necessità.

    Una sfera ipersensibile a ogni vibrazione del terreno che sa trasformare in una spinta bene indirizzata avvantaggiandosi anche del più insignificante spasmo di elasticità.

    Qunellis sente con tutta la propria superficie la consistenza frantumata del terreno e se ne fa spingere con abilità genetica perché lo scivolare della polvere su se stessa provocato dalle vibrazioni delle bombe crea un flusso costante di micro spinte che lo fa muovere nella direzione che gli è bastato immaginare.

    Se il bombardamento cessasse Qunellis riuscirebbe a spostarsi ancora per molto tempo, cavalcando ogni singola vibrazione fino all’ultima eco.

    Ha un’abilità speciale, Qunellis, che ricorda quella degli antichi marinai capaci di sfruttare il più piccolo refolo di vento e di controvento. Si sposta con sicurezza, rotola, rimbalza, scivola, salta, sale, scende. Immagina dove vuole andare e ci va. Qunellis viaggia così, non sa come fa ma lo fa.

    2

    Sentire

    Ha raccolto al volo l’immagine a brandelli di un ricordo sbalzato in aria da un’esplosione, l’impronta di qualcuno che aveva respirato lì in un momento qualsiasi del passato, uno scarabeo o un soldato, una donna o un delfino o un fiore di colza, lui la vede questa impronta impressa nell’aria e se solo potesse glielo farebbe capire, le griderebbe ti vedo, ti riconosco so che ci sei che ci sei stata che ci sarai finché resisterai… lo farebbe perché Qunellis sa che per molti è terribilmente importante scoprire di non essere un vuoto nel vuoto!

    Qunellis vede e sente. Intuisce percepisce sfiora la comprensione delle cose e quando s’immerge nei suoi neri saloni cercando segni tasselli frammenti, la raggiunge, a volte.

    Vive in un universo di impronte, perché chiunque sia vissuto, chiunque abbia pensato, anche solo sognato di vivere, lascia una traccia.

    E a volte una traccia riappare emergendo dalla folla sospesa come un’anima in attesa e chiede riconoscimento, Qunellis sente cose che lo fanno fermare.

    Con la pioggia di pulviscolo di un deserto, che il bombardamento millenario aveva polverizzato fino a farne talco di molecole, era appena scesa una sensazione diversa, l’impronta di un’unione durata millenni, felice, senza scosse, che aveva attraversato i tempi indifferente all’incessante ritmo delle ere, dei millenni, dei secoli, degli anni, di ogni singolo secondo, di ogni interstizio fra un nano secondo e l’altro.

    Un’unione nata, come spesso accade, da quel passaggio cruciale e naturale che è il destino, il momento in cui una creatura di pochi centimetri aveva fermato il suo guizzante corpo dalle molte zampe spinto dai mille battiti di un cuore minuscolo sul placido calore di una pietra piatta esposta al sole.

    La pietra non sa come sia accaduto, nemmeno la creatura lo sa, ma si erano compenetrati l’una nell’altra e la pietra aveva cambiato perfino aspetto, integrando e conservando in sé le forme della creatura. Insieme avevano attraversato degli spazi che solo il tempo può riempire e congiungere, sfuggendo innumerevoli pericoli e approdando alla tranquilla consapevolezza di essere i testimoni rari e preziosi di un singolo respiro dell’universo.

    Così rari e preziosi che erano stati salvati con grande impegno e dispendio e messi sotto protezione, testimoni imperdibili perché all’inizio di tutto, quando le azioni erano ancora governate, o almeno sembravano governabili, in realtà già autonome e menzognere facendo credere di essere il risultato di una volontà.

    All’inizio testimonianze così straordinarie erano state messe al sicuro. I primi anni di bombe non erano riusciti a scalfirne la protezione ma con il millenario assedio la fiducia era crollata e la teca di cristallo corazzato, i muri al titanio, la cupola anti meteoriti, e più tardi le presuntuose arroganti bio leghe di iper neogenerazione e tutte le architetture mentali che erano state escogitate per creare immagini invulnerabili, tutto e tutti avevano ceduto. Delusi e disgustati dai propri artefici si erano lasciati trovare e distruggere fino a essere polvere diffusa nello spazio.

    E a migliaia di chilometri da Qunellis, ma forse dietro l’angolo, in fondo dove le cose accadano non ha importanza perché non c’è più un dove, ecco in quel luogo indefinito e indefinibile si auto celebrava il matrimonio di morte, l’unione di pietra e corpo aveva ripreso a viaggiare, infinitesimale agglomerato di particelle ognuna fermamente determinata a essere, a sentire, a vivere.

    Ecco come erano arrivati i sentimenti che Qunellis aveva percepito nell’aria. Una forma di amore e fedeltà che lo aveva lasciato sospeso e stupefatto. Qunellis ha qualche nozione sui sentimenti, la memoria emersa dalle profondità delle molecole che lo compongono ne ha registrato informazioni sparse.

    Si è fermato, quello che ha colto era un sentore, una traccia, niente di più, ma la particolarità che aleggiava in quelle sensazioni profughe era stata così potente e sorprendente da immobilizzarlo.

    Cercava nei suoi file organici un indizio qualsiasi che potesse ricondurlo alla fonte dello stupore. E la ricerca era così veloce e profonda da impedirgli qualsiasi altra azione, esplorare la propria memoria quasi lo uccideva quando gli accadeva così intensamente.

    Qunellis si era fermato con il lungo corpo bloccato in una serpentina come una breve catena di montagne

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