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Il Commissario Sartori. Passa il condor
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Il Commissario Sartori. Passa il condor

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About this ebook

Tra i pochi autori italiani inseriti nei “Gialli Mondadori”, Franco Enna è considerato uno dei maestri della letteratura di genere italiana. Sceneggiatore, drammaturgo e scrittore, Enna ha firmato alcune delle pagine più originali del dopoguerra, prime fra tutte quelle dedicate al Commissario Sartori, un poliziotto siciliano disincantato e sensuale che anticipa le vicende di Montalbano. Alberto Tedeschi, mitico direttore del “Giallo”, definì l’opera di Enna con il termine “giallo d’arte”. Un giallo d’arte personalissimo che ama e ricerca la contaminazione: hard boiled, racconto realistico, fiaba, l’intreccio indissolubile fra Eros e Thanatos, animano il mondo creativo di uno dei maggiori protagonisti del noir made in Italy. Uno strano e inquietante suicidio turba la caldissima e afosa estate romana. In Passa il condor, secondo volume dedicato al commissario, il corpo di un giovane viene trovato nel giardino di un palazzo signorile. Per Sartori, Gilly (questo è il nomignolo del giovane hippy) è stato barbaramente ucciso. L’unico indizio nelle mani degli investigatori è un ciondolo a forma di condor. Ma perché Gilly si trovava in quel palazzo? Chi frequentava? La cinquantenne Federica, ricca ereditiera affascinata da Sartori, conosce molti particolari scabrosi sulla vita di Gilly. E non solo: qualcuno del bel mondo romano che la donna frequenta pare curiosamente interessarsi alle sorti di questo ragazzo legato agli ambienti alternativi della capitale. Sartori, senza farsi condizionare da niente e nessuno, userà l’astuzia per restringere a poche persone la rosa dei possibili colpevoli. E l’assassino avrà il volto pulito ed educato di un insospettabile della Roma dei salotti.
LanguageItaliano
Release dateMay 30, 2018
ISBN9788893041270
Il Commissario Sartori. Passa il condor

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    Il Commissario Sartori. Passa il condor - Franco Enna

    2018

    PASSA IL CONDOR

    Capitolo I

    Dalla finestra della camera da letto poteva vedere la ragazza del palazzo di fronte, sdraiata sul balcone a prendere il sole in bikini. Erano le tre e mezzo del pomeriggio. Agosto bruciava l'asfalto delle strade di Roma, dove i ragazzi di Centocelle facevano la consueta gimkana infernale con le motorette. Nella penombra, la moglie si agitò sul letto umido di sudore mormorando: «Fefè, stringi quelle tapparelle! Tra la luce e quel fracasso non si può chiudere occhio...»

    «Ho finito», disse Sartori.

    Indossò una camicia pulita, scelse una cravatta azzurra, si diede un ultimo colpo di pettine ai capelli lunghi e brizzolati. Dopo avere ritirato la giacca dall'armadio, chiuse le tapparelle. Era già sulla porta, quando si ricordò della pistola, che andò a prendere dal cassetto della scrivania, dov'era solito metterla ogni volta che tornava a casa.

    «Fefè!»

    «Che vuoi?»

    «A che ora torni stasera?»

    «Se non succede niente al commissariato, per l'ora di cena.»

    Prima che lui potesse chiudere la porta, Teresina disse ancora:

    «Fefè... non mi dai un bacetto?»

    Sartori rientrò e si avvicinò al letto. La moglie, avvolta dal sonno e da una fetta di lenzuolo, gli sorrise.

    «Pensami, Fefè!»

    «Certo, cara.»

    Appena varcata la soglia del portone, fu investito come dalla vampata di un incendio. La Ford Capri GT era un forno. Non aveva nemmeno acceso il motore che era già intriso di sudore. Sulla via Prenestina, si trovò compresso nella fiumana che andava verso il centro.

    In via San Vitale affidò a un agente l'incarico di posteggiare l'automobile, poi si diresse verso il suo ufficio, dove il brigadiere Corona stava scrivendo stancamente a macchina.

    «Come va, dottore?»

    Le solite frasi, le solite facce, i soliti rumori nel cortile del commissariato e nei corridoi. Gli agenti si trascinavano stancamente da un ufficio all'altro e, appena potevano, scendevano al bar a bere birra.

    «Niente di nuovo?» s'informò Sartori, togliendosi la giacca.

    «Niente, dottore.»

    «Quanti ne abbiamo oggi?»

    «Otto.»

    Ancora due giorni, e Teresina sarebbe partita per la Sicilia. Non che Sartori si volesse liberare della moglie. ma un po' di libertà ogni tanto non guastava. I ragazzi. Tina e Carlo, l'avevano preceduta da quindici giorni e ora facevano i bagni a Catania, ospiti della zia Clotilde.

    Offrì una Kent al brigadiere, fumarono insieme per qualche minuto. Dopo aver dato un'occhiata alla corrispondenza, andò a lavarsi le mani, fece portare della birra per entrambi dal piantone.

    «Caldo, eh?»

    «Un caldo infame», confermò Sartori. «Se non c'è niente di urgente, quasi quasi farei una corsa a Ostia per un bagno.»

    «Mica male come idea.»

    Il maresciallo Fantin entrò con delle carte in mano. Parlottarono insieme per qualche minuto, poi tornò nel suo ufficio, rigido, impettito e fresco come una rosa, nonostante la giacca.

    Il telefono squillò. Rispose Corona. Niente di importante. L'afa trasudava da ogni lembo di terra e di cielo.

    «Un'altra birra?»

    «Perché no?» rispose il brigadiere. «Ma stavolta, se mi permette, offro io.»

    Bevvero ancora.

    Alle cinque meno un quarto, Sartori aveva deciso di partire per Ostia. In poco più di mezz'ora ci sarebbe arrivato, e alle sei sarebbe stato in acqua, nel momento migliore della giornata. Ma non avrebbe mai fatto quel bagno, perché proprio cinque minuti prima di avviarsi il cadavere di un giovane capellone veniva scoperto nel giardino di un palazzo della città.

    Capitolo II

    La donna che si era trovata il cadavere quasi tra le mani era ancora sotto choc. Il portiere dello stabile, che era accorso alle sue grida, l'aveva accompagnata nella guardiola, e ora stava tentando di farle bere un bicchierino di grappa. Era una donna minuta, sulla trentina, vestita con qualche pretesa di eleganza. Portava grandi occhiali dalle lenti viola e una camiciola scollata color carota. Quando arrivò la polizia, il portiere, che ogni tanto sbirciava nella scollatura, era riuscito a farle bere qualche goccia di liquore. Intanto, il commissario Sartori e i suoi uomini erano andati a vedere il cadavere, che si trovava in una aiuola sul retro del palazzo. Due agenti del commissariato dell'EUR lo stavano piantonando. A prima vista si stentava a capire se si trattava di un maschio o di una femmina. I lunghi capelli biondicci erano impiastricciati di fango e di sangue; la faccia non era più che una poltiglia sanguinolenta, dato che l'urto aveva schiantato ogni cosa, ossa pelle e muscoli, cancellando di colpo i lineamenti originari. Il torace era piatto e largo, e questo era il segno predominante del sesso al quale apparteneva il morto. Sandali sdruciti, vecchi blue jeans e una blusa bianca, che già doveva essere stata sporca prima della caduta, erano l'abbigliamento di quel corpo inerte, piombato nel bel mezzo di un roseto. Sul terreno c'era un tappeto di bianche foglie di rosa, che faceva pensare a un funereo omaggio. Era difficile stabilire l'età del morto, ma questo sarebbe stato compito del medico della polizia, che ora stava prendendo appunti e misure.

    Il palazzo era una enorme scatola a otto piani, dalla facciata di marmo color vino e dai vetri affumicati, secondo il gusto di una moda recente nelle dimore di lusso. Era separato da un giardino largo una ventina di metri da un edificio gemello, dietro le cui finestre si notavano facce curiose.

    «Da dove è caduto?» s'informò il commissario.

    «Non Io sappiamo», rispose uno dei due agenti del commissariato dell'EUR. Poi soggiunse: «Non può essersi gettato che dal terrazzo. Da questo lato tutte le finestre sono chiuse».

    Era vero.

    Sartori lasciò al lavoro l'équipe dei tecnici e, seguito dal brigadiere Corona, si trasferì nella guardiola del portiere. La donna aveva ripreso un po' di colore e stava chiacchierando nervosamente con due signore, ferme sulla soglia.

    Il brigadiere Corona chiese permesso e lasciò il passaggio libero al commissario. Il portiere si staccò dalla giovane donna e si fece avanti.

    «È lei che ha scoperto il morto», disse a mo' di saluto.

    «Lei è il portiere?» domandò Sartori.

    «Sì. Stavo lavando l'androne, quando ho sentito gridare...»

    «Un momento. Andiamo con ordine», lo interruppe Sartori. Avanzò verso la donna e prese posto su una seggiola vicina. «Lei ha scoperto il cadavere o ha visto quel tizio cadere?»

    «Non l'ho visto cadere», rispose la donna, che ora aveva nuovamente la voce incerta. «L'ho trovato lì, nell'aiuola... Avevo lasciato la macchina nel posteggio della casa e stavo attraversando il giardinetto per entrare dalla porta sul retro...»

    «Quella di servizio?»

    «Be', sì... Per fare più presto. O per comodità. Non so...»

    Sartori intuì che la donna era a disagio.

    «Lei abita qui?» domandò.

    «Veramente no... Ho degli amici.»

    Aveva risposto a occhi bassi, e anche il portiere aveva lo sguardo sfuggente, ora, mentre si dava da fare per accendere una sigaretta.

    «Va bene, vada avanti.»

    «Passando vicino all'aiuola, mi è venuto l'impulso di cogliere delle rose e ho superato il bordo di mattoni. Avevo già colto cinque o sei rose, quando...» Ebbe un brivido. Vuotò di colpo il bicchierino, quindi soggiunse: «Insomma, vidi delle gambe nel terreno. Sul momento, non ho pensato a un morto...»

    «A che cosa ha pensato?»

    La donna ebbe un risolino isterico.

    «Ho pensato a due che stessero facendo l'amore. Mi è venuta voglia di dirgliene quattro, e mi sono fatta avanti. Allora ho visto quel massacro. Dio, Dio...»

    «Sicché, se non avesse deciso di cogliere le rose, non si sarebbe accorta di lui.»

    «Proprio così», confermò la donna.

    «Qual è il suo nome?»

    La donna gettò un'occhiata verso la porta, attraverso la quale si notava un gruppetto di curiosi. A un cenno di Sartori, il brigadiere li scacciò e richiuse la porta.

    «Lei è il commissario?»

    «Commissario Sartori.»

    «Commissario, è proprio indispensabile che io... Insomma, io sono sposata e, quando posso, vengo a trovare un amico in questo palazzo... Si rende conto della mia posizione? Se la notizia cade nelle mani della stampa, mio marito lo verrà a sapere, e allora succederà una seconda tragedia... Diede un'occhiata al portiere e aggiunse: «Giacinto, il portiere, mi conosce bene...»

    «Non le prometto niente, signora. Posso dirle solo che la sua identità non è rilevante ai fini dell'inchiesta. Farò tutto il possibile per tenerla fuori. Parli pure con fiducia, quindi...»

    «Grazie, commissario. Mi chiamo Amalia Politi. Mio marito è pilota dell'Alitalia...»

    «Non ha idea di chi possa essere il morto?»

    «Neanche per sogno!» esclamò la donna.

    Sartori si rivolse al portiere, che si sforzava di farsi credere più alto del suo metro e sessantacinque, certo a beneficio della giovane donna.

    «E lei?»

    «Non mi sembra di averlo mai visto, commissario. Non abita qui di sicuro. Ha visto com'è vestito? Gli inquilini di questo palazzo sono tutte persone d'alto rango: medici, avvocati, industriali. C'è anche un giudice.»

    Sartori annuì, mentre accendeva una sigaretta.

    «Immagino che molti appartamenti siano vuoti», disse poi.

    «L'intero palazzo pressappoco. Sono tutti in vacanza. E rimasto in città il dottor Antonelli, che fa un corso di estetica alla televisione, e anche...»

    «Dia l'elenco al brigadiere.» Sartori si rivolse alla signora Politi. «Lei può andare, signora. Dia il suo indirizzo al brigadiere, prima.»

    «Grazie, commissario, grazie di cuore!»

    Corona prese una annotazione e la donna uscì in fretta.

    «Chi andava a trovare?» domandò Sartori, alludendo alla donna appena uscita.

    «Commissario, è proprio necessario?» rispose il portiere.

    «Lo ha detto lei stesso che...»

    «Non si preoccupi. Non andrò certo a sbandierarlo ai quattro venti...»

    «Il signor Guarino. Abita al terzo piano. È un industriale. Persona a posto sotto ogni punto di vista, mi creda. E separato dalla moglie.»

    «Ebbene. Noi ci vedremo più tardi. Ora vorrei dare un'occhiata agli appartamenti che danno sul giardino, a cominciare dai più alti.»

    «Tutti hanno delle camere che danno sul giardino. Sono appartamenti molto vasti, signorili.»

    «Cominciamo dalla terrazza, allora.»

    Salirono con l'ascensore. In alto soffiava una leggera brezza.

    Un jet stava solcando il cielo azzurro-acciaio.

    Il portiere attese che il commissario e il brigadiere uscissero, quindi richiuse la porta. Sulla terrazza c'erano i lavatoi coperti, forniti di lavatrici automatiche.

    Il commissario si diresse verso il parapetto, dal lato del giardino e guardò in basso. Il gruppetto dei tecnici della polizia era al lavoro. Si notavano anche dei camici bianchi, segno che era arrivata l'autoambulanza. Il cadavere si trovava ancora dove era stato rinvenuto. Sartori si spostò verso destra e si trovò esattamente a piombo sulla macabra aiuola.

    «Deve aver fatto un bel salto in avanti per cadere tra le rose», commentò Corona.

    «Già. Almeno trenta metri.»

    Il brigadiere rivolse un'occhiata al funzionario. Il portiere taceva, mentre seguiva i movimenti dei fotografi. Nel palazzo di fronte le facce erano aumentate. Qualcuno si era arrampicato sulla cancellata del giardino.

    Uno sfilaccio di canapa azzurro, preso tra due mattoni del parapetto, era in lotta con la brezza che tentava di staccarlo. Sartori lo raccolse e lo osservò attentamente. Era lungo sette o otto centimetri.

    «Che ne dice?» mormorò.

    «È dello stesso colore dei calzoni che indossa quello laggiù», rispose Corona.

    Sartori annuì e conservò con cura lo sfilaccio. Poi si guardò attorno, scrutò il pavimento ruvido della terrazza piegato in due. Si fermò su due macchioline color ruggine e chiamò con un cenno il sottufficiale, che accorse.

    «Che c'è, dottore?»

    «Guardi qui!»

    «Queste macchioline marrone?»

    Sartori annuì.

    Corona si piegò sulle ginocchia per osservare meglio.

    «Cribbio!» mormorò infine.

    «Mi chiami il chimico della squadra. lo intanto guardo se ce ne sono delle altre.»

    Corona uscì svelto sulle scale. Al portiere, che si era avvicinato, Sartori raccomandò di badare dove metteva i piedi.

    «Anzi, mi faccia un piacere», aggiunse. «Mi vada a comprare un pacchetto di Kent.»

    Gli diede il denaro. Meglio levarselo di torno. Rifece il cammino fino alla porta della terrazza. A due metri circa da questa scoprì un'altra macchiolina color ruggine.

    La porta si riaprì per lasciar passare il brigadiere Corona, seguito da un uomo alto e magro, dal collo di gallina.

    «Che te ne pare, Bignami?» chiese il commissario indicando le tre macchioline.

    «Sangue, direi», fu il verdetto, poco dopo.

    «Pare anche a me. Prendine un campione e sappimi dire se appartiene allo stesso gruppo di quello del morto. A proposito, avete potuto identificarlo?»

    «Macché! Non ha una cicca addosso.»

    «Quest'affare sarà uno spasso», disse a denti stretti il commissario. «Vediamo di trovare qualche traccia nelle scale, negli ascensori del palazzo e sui pianerottoli. Brigadiere, faccia salire tutti gli uomini disponibili per darci una mano.»

    Non fu possibile scoprire altre macchie di sangue. Solo più tardi, Sartori apprese che lo zelante portiere aveva lavato le scale e i corridoi proprio quella mattina.

    Capitolo III

    Fecero ritorno al commissariato piuttosto tardi. L'ora di cena era già passata e, quando la signora Sartori telefonò al marito, gli uffici della Squadra Omicidi erano in agitazione.

    «Fefè, la tavola è pronta da un pezzo!»

    «Che vuoi farci, Teresina. Forse debbo fermarmi tutta la notte.»

    «Madonna santa, avevo comprato le triglie...»

    Il maresciallo Fantin marciava metodicamente da una stanza all'altra, portando rapporti e fonogrammi. Corona stava battendo a macchina il primo verbale e in corridoio aspettava il portiere di viale della Letteratura, insieme con dei cronisti.

    «A che ora si potrà conoscere l'esito dell'autopsia?» s'informò il commissario.

    La risposta gli venne dopo un po' da Fantin: «Domattina verso le dieci, dottore!»

    «Nessuna traccia tra le persone scomparse?»

    «Per il momento niente.»

    Si trattava di un ragazzo, aveva detto il medico, tra i diciotto e i vent'anni, statura uno e settantacinque, occhi celesti, capelli biondi, peso sugli ottanta chili. Lo sfilaccio di canapa trovato nell'interstizio del parapetto apparteneva ai blue jeans del morto, e questo era il punto di partenza di un rebus che si prospettava piuttosto complicato.

    Attraverso la finestra spalancata entrava il soffio del «ponentino», il venticello che quasi regolarmente, dalle cinque in poi del pomeriggio, rinfresca Roma. Sartori aveva messo in azione un ventilatore girevole, che a tratti faceva svolazzare le carte sui tavoli. Fece portare dal bar birra e toast al prosciutto. I giornali della sera davano già la notizia della morte del giovane sconosciuto. Erano

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