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Kappa e altre storie
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Kappa e altre storie

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Con la sola, doverosa eccezione de «I kappa», spietata allegoria della società contemporanea di Akutagawa e oggi attuale più che mai, questo libro si concentra esclusivamente su racconti tradotti in italiano per la prima volta. Oltre a offrire materiale inedito al lettore, questo progetto è inteso ad approfondire ulteriormente l’analisi di una personalità geniale e combattuta. L’autobiografismo, tanto rifuggito nei primi anni, emerge prepotente, quasi come una necessità, e questa è solo una delle tante, apparenti contraddizioni che rendono la figura di Akutagawa un unicum così significativo e affascinante nella letteratura giapponese del XX secolo.
LanguageItaliano
Release dateJun 4, 2018
ISBN9788865642795
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    Kappa e altre storie - Akutagawa Ryūnosuke

    Tardito

    Akutagawa Ryūnosuke

    Kappa e altre storie

    Traduzione e postfazione di Alessandro Tardito

    © Atmosphere libri 2017

    Via Seneca 66

    00136 Roma, Italy

    Indice

    Storia di una testa caduta

    Sull’arte e il resto

    Un mazzo di porri

    La Vergine nera

    Un bizzarro rincontro

    Al mercato del pesce

    I tre tesori

    Ogin

    Cuccicuccicù

    La scimmia e il granchio

    In bello stile

    Un romanzo sentimentale

    Gelo

    Dopo la morte

    Un socialista

    Conchiglie

    I kappa

    Locomotive

    La dissoluzione di un mondo di Alessandro Tardito

    Note

    Glossario

    Sinossi:

    Con la sola, doverosa eccezione de «I kappa», spietata allegoria della società contemporanea di Akutagawa e oggi attuale più che mai, questo libro si concentra esclusivamente su racconti tradotti in italiano per la prima volta. Oltre a offrire materiale inedito al lettore, questo progetto è inteso ad approfondire ulteriormente l’analisi di una personalità geniale e combattuta. L’autobiografismo, tanto rifuggito nei primi anni, emerge prepotente, quasi come una necessità, e questa è solo una delle tante, apparenti contraddizioni che rendono la figura di Akutagawa un unicum così significativo e affascinante nella letteratura giapponese del XX secolo.

    Storia di una testa caduta

    首が落ちた語

    Kubi ga ochita hanashi

    1.

    He Xiao’Er1 lasciò cadere a terra la sua spada e si avvinghiò istintivamente al collo del cavallo.

    Mi hanno tagliato la testa doveva aver pensato. No, probabilmente lo aveva pensato dopo essersi avvinghiato al collo del cavallo.

    Sapeva solo che qualcosa lo aveva colpito al collo, con un suono secco. In quel momento si aggrappò al cavallo. Poi forse anche il cavallo venne ferito, dato che, non appena He Xiao’Er si piegò sopra la sella, nitrì a gran voce e, rivolgendo il muso al cielo, si fece strada in mezzo a un nugolo di alleati e nemici per poi correre con decisione in un campo di saggina che si stendeva a perdita d’occhio. Alle spalle di He Xiao’Er risuonarono ancora due o tre spari, ma alle sue orecchie sembravano i suoni che si sentono nei sogni.

    I rami di saggina, alti più di un uomo, andavano su e giù come delle onde, scossi dal galoppo scatenato del cavallo, e sfioravano da ambo i lati il codino cinese di He Xiao’Er, sbattendo sulla sua divisa militare e portandogli via il sangue nero che colava dalla sua testa mozzata. Ma non ne aveva comunque alcuna coscienza. Impressa nella sua mente, con dolorosa chiarezza, c’era solo una semplice realtà: Mi hanno tagliato la testa. Me l’hanno tagliata. Me l’hanno tagliata! Mentre nella sua mente continuava a ripetersi questo pensiero, i suoi talloni continuavano a percuotere meccanicamente i fianchi sudati del cavallo.

    - - - - - - - - - – - - - - -

    Solo dieci minuti prima, He Xiao’Er e i suoi commilitoni erano partiti in ricognizione dalla base alla volta di un piccolo villaggio al di là del fiume, quando nel campo di saggina ormai ingiallita, tutto d’un tratto, si erano imbattuti in una truppa di soldati giapponesi. Era stato così improvviso che né i compagni, né i nemici avevano fatto in tempo a sfoderare i fucili. Ma era stato solo un attimo. Non appena i soldati cinesi avevano visto le divise e i cappelli a strisce rosse, qualcuno aveva sguainato la spada e tutti si erano lanciati a testa bassa i loro cavalli verso il nemico. Ovviamente in quel frangente nessuno di loro pensava all’eventualità di finire ucciso. Nella loro testa c’era solo il nemico. Uccidere il nemico. Così, spronando i loro cavalli, ma comunque con i denti serrati come quelli di un cane, si erano gettati all’assalto dei soldati giapponesi. E probabilmente anche i nemici erano governati dal loro stesso impulso. Un istante dopo avevano cominciato ad apparire volti con denti digrignati a destra e a manca, come riflessi in uno specchio. E con essi il suono di innumerevoli spade che fendevano l’aria con foga.

    Poco dopo He Xiao’Er aveva perso ogni cognizione del tempo. Per qualche strano motivo le uniche cose che ricordava erano le alte spighe di saggina, che dondolavano come sballottate da una tempesta, e il sole che illuminava le loro punte, rosso come rame. Da quanto durava quel frastuono, cosa stesse succedendo e in quale ordine, quello invece non lo percepiva quasi per nulla. Ad ogni modo, He Xiao’Er aveva iniziato a far roteare la spada compulsivamente, gridando come un pazzo cose che lui stesso trovava senza senso. A un certo punto sembrava che la sua spada si fosse tinta di rosso, ma non gli era parso aver prodotto alcun effetto. A forza di rotearla, l’elsa si stava via via bagnando di sudore. Per questo ben presto gli si era seccata la gola. All’improvviso, davanti al suo cavallo era apparso urlante un soldato giapponese. Il suo viso era iniettato di sangue, e gli occhi spalancati parevano sul punto di schizzargli fuori dalle orbite. La sua testa, rasata di fresco, spuntava da sotto il cappello decorato a strisce rosse. Non appena lo aveva visto, He Xiao’Er aveva alzato la spada e vibrato con tutte le sue forze un fendente sopra quel cappello. Ciò che aveva colpito, però, non era stato né il cappello, né la testa che gli stava sotto, ma l’acciaio della spada del nemico, che stava vibrando un colpo dal basso verso l’alto. Il suono nitido e spaventoso dell’impatto si era sentito tutto attorno, dove infuriava la battaglia, e l’odore del freddo metallo gli si era insinuato tagliente nelle narici. La spada dalla lama larga del nemico, illuminata dal riflesso abbagliante del sole, si era abbattuta sulla sua testa disegnando un ampio cerchio. In quell’istante He Xiao’Er aveva avvertito un suono secco e qualcosa di indicibilmente freddo colpirgli la base del collo.

    - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -

    Il cavallo, con He Xiao’Er in sella che gemeva per il dolore della ferita, si gettò a capofitto nel campo di saggina. Non importa quanto il cavallo corresse, quella saggina lussureggiante sembrava non finire mai. Le voci del cavallo e del cavaliere, e i suoni delle spade che si incrociavano, erano svaniti in un istante. E la luce del sole d’autunno di Liaodong2 non era diversa da quella giapponese.

    He Xiao’Er urlava per il dolore della ferita, sballottato qua e là sulla groppa del cavallo. Ma quel refolo di voce che filtrava dai suoi denti serrati era più di un gemito di dolore. Aveva un significato più complesso. Non gemeva solamente per il dolore fisico, ma soprattutto per un dolore spirituale, per un vertiginoso alternarsi di emozioni dovuto alla paura di morire.

    Separarsi da questo mondo per sempre era insopportabilmente triste. Per questo si rammaricava di tutte le persone e gli eventi che pareva volessero separarlo da questo mondo. Ma ciò che lo faceva imbestialire di più era che a dover abbandonare il mondo fosse proprio lui. E poi lo assalì una moltitudine di emozioni, che presero a tormentarlo senza fine. Nel susseguirsi di queste emozioni si ritrovò a urlare «Sono morto, sono morto!», a mormorare i nomi di suo padre e sua madre e a maledire i soldati giapponesi. Ma era diventato così debole che sfortunatamente, quando le parole gli uscivano dalla bocca, diventavano gemiti rauchi senza alcun significato.

    «Sono l’uomo più infelice al mondo, a essere venuto così giovane a combattere fin qui e a venire ammazzato come un cane. Odio quel giapponese che mi ha tagliato in due. Odio l’ufficiale che ci ha mandati qui in ricognizione. E infine odio la Cina e il Giappone, che hanno iniziato una guerra del genere. No, ci sono ancora altre cose che odio. Chiunque abbia contribuito in qualche modo a fare di me un soldato è mio nemico. È grazie a quelle persone se ora devo separarmi da questo mondo in cui volevo ancora fare così tante cose. Oh, quanto sono stato stupido a permettere che mi facessero tutto questo...»

    Era questo che intendeva con i suoi gemiti di dolore, aggrappato al collo del cavallo, mentre questo sfrecciava per chissà dove nel campo di saggina. Per quello, quando a volte dal campo si alzavano in volo degli stormi di quaglie spaventate, il cavallo naturalmente non vi badava affatto, e continuava a correre con la schiuma alla bocca, senza preoccuparsi che il padrone che aveva in groppa fosse sul punto di ruzzolare giù.

    Se il destino gliene avesse dato possibilità He Xiao’Er avrebbe senza dubbio continuato a mugolare imprecando al cielo, in groppa al suo cavallo, per tutto il giorno, fino a quando quel sole color rame fosse tramontato nel cielo d’occidente. Ma quando la distesa di saggina iniziò via via a declinare verso il basso, apparve chiaro un torbido fiumiciattolo a sbarrare la strada, e il destino assunse la forma di una manciata di salici che si affacciavano maestosi sul fiume, con le loro chiome a cui già iniziavano a cadere le foglie. Non appena il cavallo provò a passare in mezzo ai fitti rami, He Xiao’Er finì gambe all’aria e rovinò sul morbido fango della riva.

    In quell’istante He Xiao’Er, chissà per quale associazione di idee, vide brillare in cielo delle fiamme gialle. Erano le stesse fiamme gialle che crepitavano nel forno della cucina della casa dove viveva da piccolo.

    Guarda che bel fuoco… pensò, giusto un istante prima di perdere conoscenza.

    2.

    Ma He Xiao’Er aveva davvero perso conoscenza dopo esser caduto da cavallo? Il dolore della ferita era quasi passato. Ricordava di aver alzato lo sguardo verso il cielo blu, sfiorato dalle foglie dei salici, mentre giaceva sdraiato sulla riva di quell’odioso fiume. Gli sembrava di non aver mai visto un cielo così blu. Si sentiva esattamente come guardasse dentro un enorme vaso indaco capovolto. E sul fondo di quel vaso delle nuvole spuntate da chissà dove come delle bollicine, che svanivano con calma chissà dove, come disperse dalle foglie dei salici costantemente in movimento.

    Che allora He Xiao’Er non fosse del tutto privo di conoscenza? Nel cielo che aveva davanti ai suoi occhi c’era un andirivieni di cose che, come ombre, in realtà non erano lì. La prima cosa che vide fu il grembiule un po’ sporco che era solita indossare sua madre. Quando era piccolo, non importa che fosse successo qualcosa di bello o di brutto, lui era sempre aggrappato a quel grembiule. Ma non appena provò d’istinto ad allungare le mani per afferrarlo quello gli scomparve davanti agli occhi. Lo vide assottigliarsi come fosse fatto di garza, e oltre a esso vide una massa di nuvole addensarsi come mica.

    Poi vide scorrergli davanti, come se scivolasse, l’immenso campo di sesamo che c’era dietro la sua casa natale. Era un campo di sesamo di mezza estate, con dei malinconici fiori che attendevano solo il crepuscolo per sbocciare. Era come se He Xiao’Er cercasse in mezzo al sesamo la sua figura e quella dei fratelli. Ma di persone in quel campo non c’era nemmeno l’ombra. C’erano invece i petali sfumati dei fiori, che se ne stavano silenziosi ad assaporare la luce di un pallido sole. Attraversò il cielo diagonalmente per poi svanire all’improvviso, come se fosse stato sollevato via.

    Poi in cielo apparve improvvisamente qualcosa. Era una di quelle enormi lanterne a forma di drago che vengono portate in giro per le città la notte della festa delle lanterne. Sarà stata lunga otto o dieci metri, e aveva la struttura di bambù sovrastata da una copertura di carta splendidamente decorata da ornamenti rossi e verdi. La forma non differiva di una virgola da quella dei draghi che si vedono nelle illustrazioni. Benché fosse pieno giorno, il drago si stagliava nitido nel cielo azzurro, e al suo interno brillavano quelle che parevano le fiamme di candele. Inoltre quel dragone di lanterne si comportava stranamente, come se fosse vivo, muovendo i suoi lunghi baffi a destra e a manca. Ma anch’esso pian piano iniziò ad allontanarsi dal campo visivo di He Xiao’Er, fino a scomparire del tutto in un attimo.

    Subito dopo nel cielo apparvero improvvisamente degli esili piedi di donna. Erano avvolti in fasciature, per cui saranno stati lunghi non più di tre sun3. Sulle estremità delle dita morbidamente piegate il bianco delle unghie risaltava sul colore della pelle. Nel cuore di He Xiao’Er emerse la lontana, vaga malinconia del ricordo di quando aveva visto quei piedi, come se fosse stato morsicato da una pulce mentre sognava.

    Ah, se solo avesse potuto sfiorarli ancora una volta… ma ovviamente non ci sarebbe mai stata un’altra volta. Il luogo dove aveva visto quei piedi era lontano centinaia di ri4. Mentre lo pensava, l’immagine dei piedi si fece via via sempre più trasparente, per poi venire assorbita improvvisamente dalle nuvole.

    Quando quei piedi svanirono, dal profondo del cuore di He Xiao’Er emerse una strana tristezza che mai aveva provato in vita sua. Sopra la sua testa si stendeva un cielo blu e senza rumori. Per quanto spiacevole, gli uomini dovevano continuare a vivere le loro patetiche vite sotto al cielo, sballottati dal vento che li aveva fatti precipitare da lassù. Era questo a renderlo triste. Ed era ancora più strano che questa tristezza non l’avesse mai provata prima. Istintivamente He Xiao’Er si lasciò andare a un lungo sospiro.

    In quel momento una truppa di soldati giapponesi, con in testa i loro cappelli dalle strisce rosse, si frappose tra i suoi occhi e il cielo, passandogli davanti a una velocità ben più elevata di tutto ciò che aveva visto fino a quel momento. E altrettanto velocemente si volatilizzò, diretta chissà dove. Chissà, forse anche quei soldati provavano la stessa tristezza che stava provando lui. Se non fossero stati dei fantasmi avrebbero potuto consolarsi reciprocamente, e magari, per un solo istante, He Xiao’Er si sarebbe dimenticato di quella sua tristezza. Ma era troppo tardi.

    Dagli occhi di He Xiao’Er iniziarono a sgorgare lacrime a dirotto. E quando volse i suoi occhi pieni di lacrime alla vita che aveva vissuto sino a quel giorno, è inutile dire che la vide piena di brutture. Avrebbe voluto perdonare e chiedere perdono a tutti.

    Se riuscissi a salvarmi oggi farei di tutto per riparare i torti del mio passato pensava dal profondo del cuore, continuando a piangere. Ma, come se fingesse di non sentirlo, il cielo, così infinitamente blu e profondo, cominciò a gravargli sulle spalle centimetro dopo centimetro, metro dopo metro. In quel blu senza limite, qua e là appariva il fioco scintillio di quelle che dovevano essere stelle visibili anche di giorno. Ora quelle visioni che parevano ombre non gli passavano più davanti agli occhi. He Xiao’Er sospirò nuovamente, poi le labbra presero di colpo a tremargli, e infine i suoi occhi si chiusero.

    3.

    Era una mattina di inizio primavera. Un anno era passato da quando Cina e Giappone avevano stipulato la pace. In una stanza dell’ambasciata giapponese a Pechino, il maggiore di legazione Kimura e il dottor Yamagawa, inviato in ispezione dall’entroterra del paese per conto del Ministero degli Affari Agricoli, stavano chiacchierando amabilmente seduti attorno a un tavolo, dimenticandosi dei loro affanni con una tazza di caffè e un sigaro. Benché fosse inizio primavera, nel grosso caminetto crepitava ancora il fuoco, e nella stanza faceva così caldo che si sudava. I fiori di pruno nel vaso sopra il tavolo spandevano sprazzi di profumo di Cina.

    Per un po’ avevano parlato dell’imperatrice vedova5, ma dopo poco, quando iniziarono a parlare dei loro ricordi della guerra sino-giapponese, il maggiore Kimura balzò in piedi di scatto, come se gli fosse venuto in mente qualcosa, prese un quotidiano cinese che teneva in un angolo della stanza e lo portò sul tavolo. Poi aprì una pagina davanti agli occhi del dottor Yamagawa, con uno sguardo che gli diceva leggi qua, indicandogli il punto esatto con il dito. Il dottore rimase sorpreso da quel gesto improvviso, ma sapeva da molto tempo che il maggiore aveva uno spirito arguto, così diverso da quello di un militare. Così, immaginando che si trattasse di qualche aneddoto curioso sulla guerra, gettò un occhio su quel pezzo di carta. L’articolo, con i suoi caratteri tutti squadrati, aveva il tono tipico dei quotidiani giapponesi, e riportava quanto segue:

    Il signor He Xiao’Er, proprietario di una bottega da parrucchiere nel quartiere X, si distinse per numerose imprese combattendo al fronte della guerra sino-giapponese. Ma dopo essere trionfalmente rientrato in patria, abbandonò la sua abituale condotta, lasciandosi andare a una vita dissoluta di alcol e donne. Ieri ha avuto un alterco con un compagno di bevute all’osteria Y e, al termine di quella che in breve tempo è degenerata in una rissa, è morto all’istante per una grave ferita alla nuca.

    La cosa misteriosa è che non c’era nessuna arma del delitto ad avergli inflitto quella ferita alla nuca. Si trattava infatti di una ferita subita durante la guerra sino-giapponese che si era riaperta. Stando al racconto di un testimone, durante la lotta la vittima è caduta trascinando con sé un tavolo. In quel momento la testa gli è rotolata sul pavimento in un mare di sangue, rimanendo attaccata solamente a un lembo di pelle della gola. Le autorità però nutrono seri dubbi sull’attendibilità di quanto riportato e ora sono alla ricerca del colpevole. Tuttavia anche nei Racconti straordinari dello studio Liao a un tale di Zhucheng era caduta la testa, quindi non è da escludere che sia capitata la stessa cosa anche al signor He Xiao’Er.

    «Ma è pazzesco!» disse con espressione meravigliata il dottor Yamagawa non appena finì di leggere. Il maggiore Kimura espirò una lunga boccata di fumo del suo sigaro, poi si lasciò andare a un sorriso generoso:

    «Interessante, vero? Una cosa del genere poteva capitare solo in Cina».

    «Già, ma sarebbe incredibile anche in qualsiasi altro luogo» ridacchiò il dottor Yamagawa, lasciando cadere nel posacenere un lungo pezzo di cenere.

    «E ti dirò di più…»

    Il maggiore Kimura smise di parlare per qualche istante, mentre la sua faccia si faceva seria.

    «Io quello He Xiao’Er lo conoscevo».

    «Lo conoscevi? Questa, poi! Non dirmi che un attaché come te ha iniziato a raccontare frottole di bassa lega come fanno i giornalisti!»

    «Io? Ma per chi mi hai preso? In quel periodo ero stato ferito durante la battaglia di omissis, e anche quel He Xiao’Er era stato ricoverato nel mio ospedale di campo.

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