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L'universo e Fritz Leiber
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Ebook295 pages4 hours

L'universo e Fritz Leiber

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Saggio critico che ripercorre la carriera letteraria di Leiber dai racconti di gioventù sulle mitiche riviste pulp come Weird Tales e Astounding Science Fiction, alle ultime storie cupe e introspettive degli anni Ottanta, passando in rassegna tutte le fasi più significative del suo percorso evolutivo nei generi della fantascienza e dell’horror.
Una corposa ricerca (che ha riguardato anche l’analisi dei manoscritti e dei dattiloscritti originali conservati nelle università americane) che si concentra sull’esame di una selezione di testi rappresentativi, e mette in evidenza caratteristiche salienti dell’opera di Leiber mai studiate prima, come l’approccio postmoderno della produzione più tarda.
Il più completo, ricco ed esaustivo studio dell’opera di Leiber dai tempi del classico *Witches of the Mind* di Bruce Byfield (1991).
LanguageItaliano
PublisherCliquot
Release dateJun 11, 2018
ISBN9788899729103
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    L'universo e Fritz Leiber - Federico Cenci

    Federico Cenci

    L’universo

    e Fritz Leiber

    Viaggio critico nella carriera letteraria di un maestro del fantastico

    Titolo: L’universo e Fritz Leiber. Viaggio critico nella carriera letteraria di un maestro del fantastico

    Autore: Federico Cenci

    Progetto grafico di Cristina Barone

    Immagine di copertina: Thomas Wright, Ouroboros, An Original Theory or New Hypothesis of the Universe, 1750

    isbn: 9788899729103

    © 2018 Cliquot edizioni s.r.l.

    via dei Ramni, 26 – 00185 Roma

    p.iva 14791841001

    www.cliquot.it

    cliquot@cliquot.it

    In memoria dei miei nonni

    Aramis, Beppe, Caterina e Nunzia

    Prefazione

    L’ultima volta che ho visto Fritz è stato in una stanza d’albergo a Chicago. Margo, la donna con cui si era da poco sposato, era in preda all’agitazione. Gli accompagnatori della coppia camminavano su e giù inquieti, mentre io e il mio ex marito stavamo pensando a un modo per trasportare Fritz all’ospedale e riaccompagnare Margo a casa, a San Francisco. In mezzo a tutta l’ansia che aleggiava in quella stanza d’albergo, tre persone erano completamente a loro agio: mio figlio più grande Joseph, di quattro anni, il nuovo nato Eastman, di due settimane, e Fritz. Eastman e Fritz si stavano incontrando per la prima volta e Joseph stava insegnando al nonno i migliori scherzetti per far sorridere il fratellino. Il trio si stava divertendo un sacco e ricordo che notai con quanta meraviglia e curiosità Fritz giocherellasse con Eastman, facesse il solletico a Joseph e si lasciasse torturare dal nipotino più grande che continuava a ignorare i miei rimbrotti per un po’ più di rispetto per il nonno, perdinci!

    Fritz certo sapeva cosa fossero la meraviglia, la curiosità, la fascinazione, l’incanto. Quello che non sopportava erano le rigide norme formali, l’aderenza all’esteriorità, la convenzione. Era mosso dalla gioia e dal desiderio di stupirsi come Eastman e Joseph. Era aperto al mondo. Come ha sempre lasciato trasparire nei suoi racconti, nei suoi romanzi e nella sua vita.

    E chi può capire Fritz Leiber meglio del mio amico Federico Cenci? Avido lettore di horror e fantascienza, studioso di letteratura e cultura popolare, scacchista appassionato, Federico ha molto in comune con Fritz. E, come Fritz, riesce ad essere scrittore e studioso senza voler recitare a tutti i costi la parte del dotto professore. Credo che, se avessero avuto la fortuna di incontrarsi, sarebbero stati due grandi amici, due alleati, magari rivali alla scacchiera ma compagni inseparabili davanti al tavolo del pranzo. Mi immagino proprio, mentre tutto attorno si affanna e si agita, Federico e Fritz che se ne stanno tranquilli a fare il solletico ai bambini e a discutere, incantati, del magico mondo che li circonda.

    Ringrazio tanto Federico per aver catturato così bene l’intima essenza degli scritti di Fritz. Lo considero davvero uno dei miei amici più cari.

    Arlynn Leiber Presser

    12 febbraio 2012

    Introduzione

    È prassi consolidata, oramai, che qualsiasi saggio o articolo su Fritz Reuter Leiber Jr (1910-1992) sia preceduto da un preambolo nel quale il commentatore di turno lamenta l’esiguità del corpus di studi critici di livello accademico esistenti sull’opera dell’autore. Una carenza in evidente contrasto con i riconoscimenti e i successi che Leiber ha ottenuto durante tutto l’arco della sua carriera (documentati dalla gran quantità di premi letterari a lui assegnati¹), e soprattutto con il ruolo che Leiber ha svolto per lo sviluppo della narrativa fantastica in tutte le sue forme tipiche del Novecento, dalla fantascienza, alla fantasy, all’horror.

    Molto inchiostro è stato versato dagli anni Cinquanta a oggi per elogiare con considerazioni più o meno circostanziate l’enorme contributo dello scrittore in questi generi, ma molto pochi sono stati coloro che hanno fatto seguire alle opinioni delle concrete valutazioni basate su un’analisi letteraria degli scritti. Per quanto riguarda i racconti dell’orrore, Leiber è di solito ricordato per il suo ruolo di traghettatore del romanzo gotico dal XIX al XX secolo, per aver inserito nel nuovo contesto contemporaneo della metropoli i vecchi mostri della tradizione (il vampiro, il licantropo e il fantasma) e per averli rigenerati dall’esaurimento del secolo precedente². Nella fantasy, ha dato vita alle avventure di Fafhrd e del Gray Mouser, una coppia di lestofanti che ricalcano nelle fattezze e nel modo di fare Leiber stesso e il suo amico Harry Otto Fischer. Con i due eroi ha inventato un nuovo modo di concepire l’avventura fantasy aggiornando le lezioni di R.E. Howard, James Cabell e E.R. Eddison, e di fatto ha sviluppato il sottogenere della sword & sorcery (termine coniato dallo stesso Leiber). Infine, nella fantascienza, egli è stato uno dei maggiori protagonisti di tutte le fasi del genere, dalla cosidetta Età dell’Oro fino alla New Wave e oltre, ed è stato pubblicato da tutti i maggiori editori di ciascuno di questi periodi.

    Nonostante ciò, per decenni i suoi lavori hanno fatto fatica a suscitare l’interesse accademico, e soltanto da alcuni anni a questa parte si sta assistendo a un graduale aumento dell’attenzione da parte di un ancora modesto numero di critici. I primi volumi interamente dedicati al lavoro di Fritz Leiber sono apparsi negli anni Ottanta, dopo due decenni di articoli o interviste spesso di scarsa sostanza contenuti prevalentemente nelle stesse riviste che ospitavano i suoi racconti. Il libro di Jeff Frane Fritz Leiber: A Reader’s Guide (1980)³ è poco più di un volumetto, e tolto lo spazio della bibliografia rimangono poche pagine di analisi effettiva, puntuale ma piuttosto generica. Fritz Leiber di Tom Staicar (1983) ha un numero di pagine maggiore, ma i contenuti sono ancora più modesti.

    Bisogna aspettare il 1991 per trovare il primo studio importante. Il libro Witches of the Mind A Critical Study of Fritz Leiber di Bruce Byfield è una estesa analisi sul simbolismo, sull’uso degli archetipi junghiani (in particolare l’Anima), e più in generale sulla componente psicanalitica presente in Leiber. L’autore si concentra molto anche sulle influenze letterarie e filosofiche che hanno plasmato la sua prosa, tanto che la suddivisione dei capitoli, di carattere cronologico, si basa questo criterio: Lovecraftian Period (1936-49), Gravesian Period (1949-58), Early Jungian Period (1958-72), Late Jungian Period (1973-present)".

    Negli anni Novanta, dopo Byfield, sono comparse solo alcune tesi di laurea che si sono concentrate su aspetti molto limitati del lavoro di Leiber senza arricchire in maniera significativa il quadro complessivo della ricerca. Nel 2004 è invece stato stampato un altro lavoro importante, il volume Fantasy Commentator #57-58, una doppia uscita interamente dedicata a Leiber che conteneva un’ottima selezione di articoli curata da Benjamin Szumskyj e Arthur Langley Searles, alcuni inediti, altri già pubblicati in precedenza, come Fritz Leiber and Eyes (1979) di Justin Leiber (figlio di Fritz, filosofo e anche lui scrittore di fantascienza). Del 2008, infine, è un’altra eccellente selezione di saggi brevi sempre curata da Szumskyj intitolata Fritz Leiber Critical Essays, con i contributi inediti, tra gli altri, di S.T. Joshi, Robert H. Waugh e Justin Leiber. Per il resto, i manuali, le guide e le antologie di carattere più generale si ricordano a malapena di Leiber e lo citano di tanto in tanto senza troppa partecipazione.

    Per quanto riguarda gli studi in lingua italiana la situazione è persino peggiore. Solo Davide Mana si è interessato a Leiber. Ha messo a disposizione gratuitamente online un saggio divulgativo sulla vita e le opere nel 2005 e, nella rivista Studi lovecraftiani #12 (Dagon Press, 2010), ha scritto un breve lavoro su una rara poesia e ha curato la traduzione dell’articolo Passing The Torch di S.T. Joshi (di Mana, inoltre, è anche un saggio in inglese nel Critical Essays, uno studio sui gatti nell’opera di Leiber). Oltre a ciò, sono di un certo interesse, per quanto molto generiche, alcune introduzioni di Giuseppe Lippi e Sandro Pergameno alle traduzioni italiane dei libri di Leiber⁴.

    Oltre a essere scarso, il materiale critico esistente presenta anche delle caratteristiche nel complesso insoddisfacienti. Se vogliamo dividere la storia della critica di Leiber in due fasi, il libro di Byfield rappresenta certamente il punto di svolta e segna il confine tra una prima fase di indifferenza generale e una seconda fase di lento risveglio dell’interesse da parte del mondo accademico. I benefici del lavoro di Byfield sono dunque duplici, perché riguardano sia il merito della sua eccellente trattazione sia gli effetti secondari che essa ha messo in moto. Tuttavia, tra gli effetti secondari ci sono anche alcuni strascichi negativi, non certo causati da Byfield ma dal modo in cui il suo studio è stato a volte recepito, collegati a una oggettiva difficoltà di affrontare criticamente l’opera di Fritz Leiber.

    Witches of the Mind è diventato l’autorità della critica leiberiana, e il suo contenuto è oramai da molti dato come acquisito. Come prima conseguenza, nella critica successiva è stata a volte concessa forse troppa importanza all’aspetto psicanalitico. È evidente infatti che, immersi come siamo nella cultura e nel pensiero psicanalitico e vista l’importanza stessa che la disciplina ha avuto nel secolo scorso, c’è sempre stata negli ultimi decenni la tendenza a utilizzarla caparbiamente per l’interpretazione degli scritti letterari (come di tutto il resto), in particolar modo quando si tratta di narrativa fantastica. Se poi uno scrittore come Leiber cita direttamente e si affida spesso a Jung, non c’è dubbio che lo studio psicanalitico dei testi assuma ancora più consistenza e possa produrre risultati rilevanti. Tuttavia, la lettura psicanalitica è soltanto una delle tante chiavi possibili, e racchiude al suo interno una così ampia gamma di concetti e di idee che è facile scadere nell’ovvietà o in svolgimenti ormai logori (per esempio, le interpretazioni psicanalitiche del mostro nel racconto dell’orrore). E soprattutto, non è certo l’unico campo di indagine in cui valga la pena esplorare gli scritti di Fritz Leiber.

    Un problema certamente preesistente a Witches of the Mind ma aggravato dalla sua influenza è stato anche l’eccessivo interesse rivolto dai critici alla biografia dell’autore. Tutta l’opera di Fritz Leiber, in special modo quella della seconda metà della sua carriera, è fortemente autobiografica e molto spesso non è possibile fare a meno di considerare quanta parte hanno avuto le sue esperienze di vita all’interno delle storie raccontate. Figlio di attori shakespeariani, le opere di Shakespeare entrarono a far parte del suo bagaglio culturale fin da piccolissimo, ed egli recitò persino per un paio di anni nella compagnia del padre (Fritz Leiber Senior era una vera celebrità prima che Hollywood offuscasse i divi del teatro). Queste esperienze si tramutarono tutte, ovviamente, in materiale narrativo, e da esse Leiber trasse non solo ricchezza espressiva, ma anche un certo modo di rappresentare lo spazio narrativo. La sua scarsa attitudine a trattare col gentil sesso, confessata nel saggio autobiografico Not much Disorder and not so Early Sex (1984), è spesso utilizzata come chiave di lettura per diversi racconti. Molti dei suoi interessi personali, come gli scacchi e i gatti, sono diventati spunto per un buon numero di storie. Infine, gli eterni problemi con l’alcol, la morte della moglie e la solitudine del periodo successivo sono alla base di tutta la sua tarda produzione. È impossibile prescindere dalla biografia di Leiber nell’analisi testuale, ma spesso è stato fatto il grave errore di limitare l’interpretazione del testo alle sue vicende personali, senza voler scavare più a fondo per far emergere nuove e certamente più interessanti letture. Quando mira a uno scopo definito, come l’esame delle implicazioni psicanalitiche che ha fatto Byfield, l’analisi della vita assume rilevanza. In tal caso, è ovvio, il nucleo della questione è proprio il rapporto tra Leiber e le sue opere (non a caso il sottotitolo dello studio è A Critical Study of Fritz Leiber, cioè dell’uomo prima che dei suoi scritti). In altri casi, però, i riferimenti non hanno aggiunto nulla di significativo all’interpretazione dei testi. Non va nemmeno dimenticato che la forte componente autobiografica è stata dannosa allo sviluppo della critica perché Leiber, instradando la sua poetica verso sentieri molto personali, si è spesso allontanato dalle strade più battute condannandosi a essere relegato alle parentesi o alle note a piè di pagina nei saggi di più ampio respiro.

    Anche la questione delle influenze nell’evoluzione letteraria e umana dello scrittore è una grossa spina nel fianco della critica leiberiana. Il lavoro di Byfield è eccellente nel portarle tutte all’attenzione del lettore: Shakespeare, H.P. Lovecraft, Charles Fort, Robert Graves, Joseph Campbell e Carl Gustav Jung sono solo alcuni dei principali ispiratori di Leiber ed egli, del resto, non ne ha mai fatto segreto nei racconti, nelle interviste o nei saggi autobiografici. Ma uno dei passatempi preferiti di vari critici è stato quello di sviscerarle nel dettaglio. Tali approcci sono naturalmente utili e interessanti, a patto però che non diventino il metodo di indagine dominante (come se l’importanza dello scrittore dipendesse dalla quantità di rimandi o citazioni illustri che è possibile individuare). I rischi sono due: il primo è che, nell’ansia famelica di cercare corrispondenze, si facciano accostamenti a sproposito, molto dubbi o palesemente errati. Il secondo rischio è quello di sapere tutto quello che c’è di Lovecraft in Leiber, o di Jung in Leiber, o di M.R. James in Leiber, ma molto poco di quello che c’è di Leiber in Leiber.

    Una critica che è possibile rivolgere direttamente a Witches of the Mind, e agli articoli successivi che ne hanno seguito l’esempio è la carenza di riferimenti testuali espliciti a sostegno delle tesi che si vogliono dimostrare. Quello di Byfield è l’unico lavoro che copre l’intera carriera di Leiber e che prende come riferimento la sua produzione migliore in ogni genere narrativo. Tra semplici citazioni e analisi più approfondite Byfield chiama in causa (ci vorrebbe la pazienza di contarle) non meno di 100 o 150 fra racconti e romanzi, vale a dire circa la metà, se non i due terzi, della fiction complessiva prodotta dall’autore. È evidente che molte affermazioni e commenti su certi racconti non trovano, per forza di cose, la dimostrazione che invece necessiterebbero. Ma se questo è un peccato veniale in un lavoro di tale portata, non lo è in certi articoli di poche pagine che, anche quando contengono ragionamenti corretti, non possono essere considerati analiticamente esaustivi.

    Infine, un problema oggettivo con cui la critica ha dovuto sempre fare i conti è proprio il fatto che Leiber si è mosso con grande disinvoltura in ogni campo del fantastico, dall’horror alla fantascienza alla fantasy. Di conseguenza, risulta difficile identificare dei percorsi narrativi che possano inglobare tutti i generi e fornire delle chiavi di interpretazione uniche. Byfield ci è riuscito perché ha scelto come modello unificante la persona di Leiber, ma trovarne altri validi all’interno del testo è un’impresa ovviamente più difficile. Di conseguenza, i commentatori si sono sempre accontentati di affrontare argomenti circoscritti o tematici, evitando discussioni di tipo cronologico o complessivo che includessero lavori eterogenei.

    Quando ho concepito l’idea di questo saggio, avevo un obiettivo in mente: fare uno studio sull’opera di Fritz Leiber che affrontasse argomenti mai trattati in precedenza o trattati in maniera molto superficiale, nell’intento di risvegliare sempre di più l’interesse critico verso uno scrittore che, nell’ambito della letteratura fantastica e più in generale di tutta la letteratura anglo-americana, certamente merita molto di più di quanto non gli sia stato fin qui riservato. Uno studio che si tenesse il più possibile distante dagli errori finora commessi dalla critica meno attenta, affrontasse in maniera consapevole le difficoltà oggettive che richiede l’esame delle opere di un autore come Leiber, e puntasse prima di tutto a un esame testuale degli scritti. Nello specifico, volevo mostrare un’evoluzione della prosa di Leiber nel suo insieme, che iniziasse con i suoi primi racconti e si concludesse con quelli dei suoi ultimi anni di vita, per offrire per la prima volta un quadro globale della sua poetica che avesse il testo come elemento fondante della discussione.

    Nella realizzazione, ho cercato di non fare a mia volta tutto ciò che ho criticato in precedenza. Quando nel mio lavoro ho citato Jung e la psicanalisi, è stato per mostrare come il testo di Leiber si trasformasse lentamente da racconto fantastico ad allegoria. Quando ho fatto i molti, inevitabili riferimenti alla vita personale dell’autore, l’ho fatto nell’ottica di inserire in un quadro più generale un discorso specifico che riguardava il testo. Quando ho chiamato in causa Lovecraft o altri scrittori, ho cercato di verificare che al centro dell’indagine ci fosse il testo di Leiber e non altro, nel tentativo di dimostrare che le idee proposte avevano il loro diretto referente in esso.

    Per seguire questo criterio, ho dovuto rinunciare ad altro. In particolare, a un’analisi estesa di un gran numero di racconti e romanzi. Ho preferito orientarmi verso una selezione di opere che risultasse esemplificativa ed emblematica dei percorsi che intendevo mostrare, per potermi soffermare più a lungo sui concetti. Del resto, quando parlo di selezione emblematica intendo dire che sarebbe stato possibile di volta in volta analizzare altri lavori coevi e rilevanti e arrivare alle stesse conclusioni. Con ciò voglio aggiungere che la selezione non comprende, purtroppo, tutti i lavori migliori dell’autore, ma soltanto una parte di essi. Per esempio, nel parlare della primissima fase della carriera di Leiber ho scelto alcuni racconti, tra cui il notissimo Smoke Ghost (1941), anziché i due eccellenti romanzi Conjure Wife (1943) e Gather, Darkness! (1943), ma la scelta non altera significativamente la discussione sul profilo dei contenuti. Ho evitato di utilizzare testi dal forte contenuto satirico, per non inquinare la trattazione con questioni non direttamente rilevanti. Allo stesso modo, ho deciso di tralasciare tutte le storie fantasy di Fafhrd e del Gray Mouser più per una questione di fluidità dell’esposizione che per altri motivi, ma il percorso intrapreso è comunque applicabile a esse.

    Lo studio è suddiviso in quattro capitoli, due dei quali seguono un percorso cronologico, mentre gli altri contengono un approfondimento critico di un’opera specifica. Nel dettaglio, i capitoli sono stati suddivisi come segue: il Cap.1 è un’analisi del racconto Smoke Ghost (1941) che serve a inquadrare il contesto dell’inizio della carriera di Leiber, a mostrare le sue aspirazioni giovanili di scrittore e le sue idee nei confronti delle possibilità della storia dell’orrore. Nell’ambito di una visione completa del lavoro, il Cap.1 serve anche a mostrare come le storie siano inizialmente piuttosto monodimensionali e indirizzate all’efficacia emozionale del racconto, mentre con il passare degli anni i significati siano sempre più profondi, al punto che la lettura del testo come storia dell’orrore o di fantascienza sia soltanto la codifica più semplice e basilare fra tutte quelle possibili.

    Il Cap.2 affronta i primi venticinque anni di carriera, dal 1939 al 1964, quello che io chiamo il periodo moderno di Leiber, periodo caratterizzato dalla ricerca umana dell’autore, dall’ammirazione dei misteri dell’universo alla ricerca di un significato dell’esistenza. L’analisi si concentra sulle caratteristiche che rendono il testo fantastico e soprattutto sulla dimensione spaziale dei racconti, che si arricchisce via via di contenuti sempre più compiuti.

    Il Cap.3 è un esame approfondito del romanzo The Wanderer (1964), che rappresenta la fase culminante del periodo moderno di Leiber, nel quale vengono ripresi i temi del capitolo precedente, ma l’interesse è rivolto agli aspetti più intrinsecamente testuali del libro, e l’analisi è di tipo narratologico.

    Il Cap.4, infine, affronta tutta la tarda produzione di Leiber, dal 1965 al 1992, anno della sua morte. L’ho chiamato il periodo postmoderno. Dopo aver mostrato come la prosa scivoli lentamente da un contenuto moderno a uno postmoderno, mi sono concentrato sul periodo più fertile di questa fase creativa (1977-82), esaminando il celebre romanzo Our Lady of Darkness (1977) e altri racconti. Ho orientato l’analisi verso il rapporto tra realtà e testo e ho esaminato la dimensione spaziale, proseguendo e portando così a compimento il discorso avviato nei capitoli precedenti.

    Per concludere, vorrei porre l’attenzione sulle mie scelte stilistiche per quel che riguarda la stesura. Ho cercato di inserire le analisi testuali, che puntano a essere quanto più scientifiche nella forma e nella sostanza, all’interno di una costruzione di carattere divulgativo e meno ostentatamente rigoroso. Spero, in tal modo, di essere riuscito nell’intento di trasformare l’analisi anche in racconto, così da rendere più lineare ed evidente l’evoluzione della narrativa di Leiber.

    Nota al testo

    Le citazioni dalle opere di Fritz Leiber selezionate per il presente studio sono state riprese, in genere, dalle pubblicazioni statunitensi o inglesi più comunemente reperibili. Mi sono concentrato sui testi canonici in lingua originale senza dare particolare peso alle varianti riscontrabili nei manoscritti e nei dattiloscritti originali, e senza prendere in considerazione le più antiche redazioni dei pulp magazine degli anni Quaranta e Cinquanta. La mia ricerca non aveva intenti filologici. Inoltre, volevo permettere al lettore di rintracciare con facilità i testi discussi: opportunità che sarebbe stata negata a molti se avessi preferito citare certi rari volumi stampati in poche centinaia di copie, i documenti autografi o le primissime edizioni in rivista, ormai privilegio di una manciata di fortunati collezionisti.

    Tuttavia,

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