Gli esploratori dell'infinito
By Yambo
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About this ebook
Gli esploratori dell’infinito (1906) è un romanzo dai toni irrazionali e scanzonati della favola ma ricco, nel testo e nelle illustrazioni, della raffinatezza e del gusto Liberty di inizio Novecento; un racconto fantastico che ha assegnato a Yambo un posto d’onore fra i padri fondatori della fantascienza italiana.
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Gli esploratori dell'infinito - Yambo
Fantastica
2
Gli esploratori dell’infinito
Racconto fantastico
Testo e disegni di Yambo
Introduzione di Gianfranco de Turris
Postfazione di Fabrizio Foni
Titolo: Gli esploratori dell’infinito (1906)
Autore: Yambo
Le illustrazioni di copertina della versione Classica in brossura
e Deluxe cartonata sono di Yambo.
Ebook designer: Cristina Barone
isbn: 9788899729158
Prima edizione: dicembre 2017
© 2017 Cliquot edizioni s.r.l.
via dei Ramni, 26 – 00185 Roma
P.Iva 14791841001
www.cliquot.it | cliquot@cliquot.it
Una fantascienza Liberty
La mattina del 30 giugno 1908 qualcosa precipitò sulla taiga nella Siberia centrale presso il fiume Tunguska: è quello che oggi si chiama ancora il mistero di Tunguska
. Un’immane esplosione a poca distanza dal suolo distrusse decine di migliaia di alberi, li carbonizzò, produsse un bagliore visibile a un migliaio di chilometri di distanza, un fortissimo sisma e una nube infuocata che fece il giro del globo. Un asteroide? Una cometa? Un mini buco nero? Addirittura un’astronave aliena? La recente scoperta di un particolare cratere con un lago nella zona ha fatto ipotizzare che esso sia stato formato da un frammento di appena cinque metri staccatosi dal corpo principale al momento dell’esplosione. Corpo principale, asteroide o cometa che sia, stimato di 500-800 metri di diametro.
Due anni prima, un geniale scrittore e illustratore molto popolare all’epoca, Yambo, nome d’arte di Enrico Novelli, figlio del grande attore drammatico Ermete, aveva scritto invece di un altro asteroide, o bolide, o pianetino, che giunto dalle profondità dello spazio invece di schiantarsi sulla Terra vi stazionava intorno, a dodicimila metri di altezza (quattro più dell’Everest). Una fortuna, dato che aveva un diametro di 15 chilometri e una circonferenza di 47! Rimane però una straordinaria coincidenza: infatti Cupido, questo il nome che gli viene imposto, giunge intorno alla Terra il 10 novembre 1908: due anni nel futuro rispetto a chi lo legge, ma nello stesso anno del bolide di Tunguska
!
Gli esploratori dell’infinito, considerato uno dei capolavori di Yambo, venne pubblicato dall’editore Scotti di Roma inizialmente a dispense (trenta fascicoli di otto pagine e con disegni a colori), che poi furono rilegate a libro, quindi nel 1930 uscì una seconda edizione per Vallardi dove Yambo aggiunse una sua nota in cui affermava di non aver cambiato nulla in quanto «il problema dell’universo», nell’arco di ventiquattro anni, non si era modificato. Lo scrittore fu incauto, ma anche… fortunato: la data di stampa del libro risulta il 27 gennaio 1930, e la dea Urania volle che appena venti giorni dopo, il 18 febbraio 1930, l’astronomo americano Clyde Tombaugh scoprisse il mitico pianeta transuranico sempre ipotizzato, al quale mise il nome di Plutone, il dio degli Inferi. Avesse effettuato prima la sua scoperta, il povero Yambo avrebbe dovuto allungare il viaggio dei suoi strampalati eroi sino ai nuovi confini del Sistema solare! Ma le opere di fantascienza, anche quella proto
, non diventano sorpassate e inutili solo perché la scienza avanza… La loro base non è, checché se ne pensi, la precisione o l’anticipazione scientifica a tutti i costi, ma quel senso del meraviglioso
che permea la narrazione e prende il lettore trasportandolo nell’Altrove. Caratteristica che viene da molto lontano e che traspare anche, e forse soprattutto, nelle opere avveniristiche delle origini come la presente, dove si fa volentieri aggio di ingenuità e improbabilità, di ragionamenti al limite della scienza e della logica, per lasciarsi prendere dal piacere della storia, immaginandoci magari come doveva essere percepita dai giovani lettori di tanto tempo fa che non avevano ancora affrontato la guerra contro la Turchia e il primo conflitto mondiale.
Sul frontespizio di entrambe le edizioni de Gli esploratori dell’infinito c’è scritto «racconto fantastico», però Yambo, come si leggerà più avanti, lo definisce «una bizzarria, un passatempo, un sogno illustrato a colori». Per noi è un romanzo di protofantascienza tout court nell’ambito della narrativa per ragazzi all’epoca diffusissima: è infatti contemporaneo al ragazzino terribile
Gian Burrasca, il cui famoso Giornalino uscì a puntate nel 1907-1908 sul Giornalino della domenica
(fondato dal suo autore, Vamba, Luigi Bertelli, anch’egli toscano come Enrico Novelli). Ma così come Salgari, Motta e altri imitatori scrivevano una avventura realistica e drammatica, a volte addirittura cruda, così Yambo scriveva una avventura più leggera (vi contribuivano anche i suoi disegni, che rappresentano il gusto Liberty del tempo), assai più fantasiosa; Yambo, a differenza degli altri, era ironico, satirico, ai limiti del grottesco e del paradosso e addirittura della logica (scientifica e no). Basti fare un confronto, per rimanere sul piano della protofantascienza, fra Gli esploratori dell’infinito e Le meraviglie del duemila di Salgari che uscì l’anno seguente, il 1907, o La principessa delle rose di Motta del 1912.
Yambo, che fu curioso sperimentatore nei vari mezzi di espressione (compresi fumetti, cinema, radio e teatro), sin da ragazzo scrisse storie di questo genere, influenzato dalle sue letture e dalle scoperte scientifiche verso le quali era molto attento. La sua caratteristica principale consiste nel fatto che era un autentico genio dell’illustrazione. Tutte le sue opere sono illustrate di suo pugno e questo, come ho scritto una volta, lo può far considerare il Robida italiano
, anche se non sempre, portato com’era dal suo estro, i disegni corrispondevano esattamente a quanto aveva scritto, come si può constatare dai 71 disegni che accompagnano Gli esploratori dell’infinito.
La sua passione per lo spazio si manifesta assai precocemente quando a dodici e tredici anni scrisse due romanzi ancora inediti, mentre il terzo in questa stessa vena con un disegno fu il suo primo a essere pubblicato: si intitolava Dalla Terra alle stelle (Salani, Firenze 1890) proprio come quello di un altro pioniere della fantascienza italiana, Ulisse Grifoni, apparso tre anni prima. Yambo, che era nato a Pisa il 5 giugno 1876, aveva dunque appena 14 anni! Una passione per le estrapolazioni scientifiche interplanetarie che non lo abbandonò mai, frequentando assiduamente con la fantasia non solo la narrativa, ma anche la saggistica (Viaggi e avventure a traverso il tempo e lo spazio, 1933; Si può andare nella Luna?, 1935), i fumetti (I pionieri dello spazio, su Topolino
del 1936) e addirittura il cinema (fu un pioniere anche in questo campo con Un matrimonio interplanetario del 1910, cortometraggio da lui stesso interpretato), vale a dire ambiti che gli scrittori italiani a lui contemporanei di solito disdegnavano.
All’epoca Poe, Wells e Verne erano ben tradotti e la loro influenza sull’ispirazione di Yambo è evidente, ma sempre rivista alla luce della sua vena scanzonata e ironica, anche nelle situazioni più drammatiche: Il manoscritto trovato in una bottiglia (1905) si rifà ovviamente al primo, La colonia lunare (1908) al secondo, e al terzo tutta la serie di romanzi avventurosi in giro per il mondo con i mezzi più disparati, nonché questo Gli esploratori dell’infinito che sembra essere quasi la parodia dell’Hector Servadac. Voyages et aventures à traverse le monde solaire uscito nel 1877 e tradotto in italiano lo stesso anno.
Che Yambo conoscesse questi autori e diversi altri e li apprezzasse risulta anche da vari accenni nel romanzo e da un dialogo tra i due protagonisti principali, a parte che il mezzo per raggiungere Cupido è un… aerostato, modernizzazione di quello che aveva portato sulla Luna un certo Hans Pfaall di cui parla Poe (e che Yambo cita a chiare lettere).
Ma nella sua nota di apertura l’autore avverte che oltre «il velo sottile» della sua «bizzarria» c’è un «significato», e che per trovare «quello vero» occorre sforzarsi non poco. A cosa alludeva Yambo? Il suo è a quanto pare un castigat ridendo mores attraverso le strambe vicissitudini del miliardario filantropo pacifista e vegetariano Harry Stharr, del giovane e cinico redattore del suo quotidiano Giorgio Halt, della banda di trenta «falsi monetari» capeggiati dal dottor Edward Harrigton e dal suo vice John Cough, che avevano occupato Cupido prima dei nostri due eroi per farne una fabbrica di denaro e monete false con un gruppo di operai, e con i quali sono costretti a convivere. E in questi incontri-scontri tra personaggi totalmente diversi per carattere, indole, morale e cultura, Yambo inserisce una sua critica per così dire sociale, a uso indiretto di grandi e piccini.
La figura di Harry Stharr, che approda su Cupido perché vuole vivere in solitudine lasciando un globo zeppo di ogni male, sembra quasi incarnare le fisime buoniste del mondo di 110 anni dopo, non essendo poi cambiato granché da allora su questo piano. Sir Harry è un puro utopista in caccia di proseliti, versato nei sermoni e nei predicozzi, tutti a fin di bene, ma di cui Yambo evidenzia le contraddizioni attraverso Giorgio, giovane pratico e alquanto egoista (segue Stharr su Cupido solo per la paga) che però, pensando più a sé che agli altri, riesce a risolvere diverse situazioni senza apparente via di uscita, anche se poi è colpa sua se il pianetino esce dall’orbita circumterrestre e s’inoltra in un viaggio che lo porta a visitare tutti i pianeti all’epoca conosciuti (non mancano le digressioni didattico-astronomiche per i giovani lettori, tutto sommato accettabili).
Quelli che invece sono irredimibili, al di là delle apparenze, sono i «banditi celesti» che il filantropo si illude di poter redimere
, il gruppo dei falsari ipocriti e mancatori di parola. E la figura del dottor
Harrigton consente a Yambo ampi sfottimenti sull’uso e l’abuso della qualifica ai suoi tempi (e anche ai nostri).
Di notevole interesse l’immagine del gruppetto dei «marziali», così li chiama lo scrittore, che giungono da Marte su Cupido con una curiosa astronave a forma di «scatola di metallo», anche rispetto a quella che aveva già presentato la narrativa di protofantascienza di allora. Sembrano quasi gli ometti verdi
della science fiction americana degli anni Cinquanta. Inizialmente considerati «mostri», alla fine diventano «bravi amici» e «degni amici» accomunati dallo stesso destino sul bolide errante. Dopo un first contact burrascoso, con essi si tenta di avviare un rapporto anche linguistico, molto originale considerati gli anni in cui Yambo scriveva. Forse il «significato» riposto cui l’autore alludeva è che nessuno è privo di difetti, men che meno gli utopisti, che la ragion pratica spesso e volentieri prevale sulle pure teorizzazioni, anche se il discorso finale del filantropo sul senso dell’avventura interplanetaria lo riscatta dai suoi pistolotti moralistici e, oltre a essere un bel pezzo di narrativa, dà da pensare a tutti noi, ieri come oggi.
Una fantascienza infiocchettata, arzigogolata, bizzarra ed elegante al contempo, simbolica negli scritti e nelle illustrazioni, insomma floreale e Liberty, quella di Enrico Novelli in arte Yambo. Che morì per un infarto durante un bombardamento aereo alleato su Firenze il 29 dicembre 1943. Aveva 67 anni e di certo avrebbe avuto ancora parecchio da dire e disegnare.
Gianfranco de Turris
nota di yambo all’edizione vallardi del 1930
Questo libro venne pubblicato nel 1906. Son trascorsi ventiquattro anni. Ma, rileggendolo, non ho creduto opportuno di cambiarvi un episodio o un particolare. Il problema dell’universo è rimasto oggi come era impostato in quel tempo; nessuna scoperta sostanziale è venuta a modificare gli elementi etici e fisici. La teoria della relatività aspetta ancora una conferma positiva. E perciò i miei allegri personaggi lanciati sopra un bolide a traverso gli spazi interplanetari possono ancora, come tanti anni or sono, continuare il loro viaggio straordinario, per far sorridere e far pensare i miei giovani amici del 1930.
nota dell’editore alla presente edizione
Il testo di questa edizione è stato stabilito in base a una comparazione fra la prima edizione (Scotti, 1906) e la seconda (Vallardi, 1930). Quest’ultima, a differenza di quanto afferma l’autore, include un intero brano in più rispetto alla prima edizione, che qui è riportato (pp. 167-168). Sono stati corretti alcuni lapsus di Yambo (un «31 aprile», la presenza di «cinque marziali» quando dovevano essere quattro, ecc.) e certi errori che o erano evidenti refusi (per esempio un «1901» invece di «1910»), o potevano apparire tali al lettore di oggi (come il nome «Jhon» anziché «John»). Non è stato in alcun modo smussato il linguaggio talvolta piacevolmente rétro o toscaneggiante di Yambo, o vocaboli come «cavoli fiori» o «orangotani». Dove l’editore si è preso un po’ di libertà è nella punteggiatura, oggi molto diversa nell’uso da quella di cent’anni fa, e nelle norme redazionali.
A tutti coloro che qualche volta
alzano il naso verso il cielo stellato
Questo libro non è un libro. È uno scherzo, una bizzarria, un passatempo, un sogno illustrato a colori. È una cosa indefinibile e assurda, che farà sbalordire la gente: è, infine, una sfida allo spazio, al tempo e… al buon senso. Ma l’arguto lettore vorrà vedere qualche cosa attraverso il velo sottile, tessuto di indifferenza e di gaiezza, che forma la trama del mio racconto: e scommetto che, a furia di aguzzare gli occhi, finirà per scorgervi un significato qualsiasi. Tanto meglio. Poiché un significato – in questa serie di stramberie – c’è. Soltanto, per trovare quello vero… ci vuol tempo: più tempo che non sia occorso ai miei eroi nel percorrere l’infinito, dalle regioni sfolgoranti del Sole ai confini tenebrosi dell’universo.
Merita il conto di perdere le ore in tale ricerca? Chi sa? Provatevi, cortesi amici d’Italia: ma se dopo qualche terribile sforzo intellettuale… non foste riusciti a nulla, non mandate al diavolo il vostro
un nuovo satellite della terra
i
la of the good young gazette
– le idee filantropiche di sir harry stharr – un lavoro gigantesco – all right!
Il giornale più noioso di New York era, senza dubbio, la Of the Good Young Gazette
, della quale io facevo indegnamente parte, come redattore capo e scrittore di cronache inutili.
La Of the Good Young Gazette
si pubblicava, ahimè!, ogni sera, in sedici pagine di grandissimo formato – m. 1.05 x 0.87 – con molte illustrazioni e qualche poesia morale del suo celebre direttore, Harry Stharr, un infelice afflitto dalla miseria di alcuni miliardi e dalla malinconia di voler migliorare le sorti della società umana.
Ogni giornale, venendo alla luce, ha quasi sempre uno scopo prefisso, e un programma da svolgere. Ebbene, io credo sinceramente che l’unico scopo della Of the Good Young Gazette
fosse quello di addormentare la gente.
Harry Stharr era un filantropo. Secondo lui, il mondo camminava sopra una falsa strada e, per tentare di ricondurlo in carreggiata, egli aveva fondato il suo giornale, del quale fortunatamente non si vendevano più di dieci o dodici esemplari. Ed erano ogni giorno lunghi, fitti, spaventosi articoli sull’utilità di portare le scarpe con il tacco basso e la punta larga, sull’opportunità della fratellanza universale, sui diritti dell’uomo paragonati ai doveri delle donne… che portano il busto troppo stretto; carichi a fondo per dimostrare ai bevitori e ai ghiottoni che l’acqua è migliore del vino e che i broccoli sono preferibili alle bistecche. Notizie o fatti di cronaca, pochi o punti: rari telegrammi di avvenimenti scientifici e molti riempitivi, che io sforbiciavo sapientemente dagli altri giornali.
La filantropia di Harry Stharr, peraltro, non si fermava agli articoli noiosi. Egli aveva fondato a proprie spese una quarantina di ospizi, di ricoveri, di sanatori, era presidente di almeno dodici società di temperanza, generalissimo dell’Esercito della salute, membro di tutti i comitati filantropici delle due Americhe, iniziatore del movimento rivoluzionario contro i mangiatori di salsicce, e altre cose che non ricordo. Egli avrebbe voluto, insomma, con i suoi ospizi, con i suoi comitati e con il suo giornale riformare il mondo, purificarlo, fabbricare un popolo nuovo, composto soltanto di sani e di felici. E si arrabbiava tremendamente di non riuscirvi. Spesso mi affliggeva con le sue prediche, ma io mi guardavo bene dal contraddirlo. Sarebbe stato inutile, e forse dannoso… ai miei interessi. In fin dei conti, le idee, i sentimenti di quell’uomo erano apprezzabilissimi. Egli era il più grande filantropo moderno, come io ero il più gran disperato del nuovo continente. Riguardo a ciò, non cadevano dubbi. In qualunque epoca dell’anno, in qualunque giorno