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Mondo nero
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Ebook174 pages2 hours

Mondo nero

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About this ebook

Steven Hopson, un giovane studente che vive nella città di Cardiff, scopre, per caso, di essere stato adottato. La notizia sconvolge la sua vita fino a quando, una mattina, inaspettatamente, si risveglia su un altro pianeta: Serak, un "mondo nero". Un mondo abitato prevalentemente da un popolo di razza nera che tenta di osteggiare l’egocentrismo e la smania di potere della minoranza bianca. Steven, suo malgrado, verrà coinvolto nell’aspra lotta tra i due popoli. L’incontro con Kima’al, la figlia del sovrano del popolo nero Isaierd, lo porterà a confrontarsi con se stesso e con tutto quello in cui aveva creduto fino a quel momento. Il giovane, poi, incontrerà Konos, il sovrano della razza bianca, dal quale conoscerà i segreti della sua
origine. Steven sarà obbligato a schierarsi, a fare una scelta. Di chi potrà fidarsi?
LanguageItaliano
Publishereditrice GDS
Release dateJun 13, 2018
ISBN9788867828203
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    Mondo nero - Roberto Iemmolo

    Roberto Iemmolo

    Mondo Nero

    Roberto Iemmolo

    Mondo nero

    Editrice GDS

    Via Pozzo 34

    20069 Vaprio d’Adda-MI

    Tel 02.90970439

    www.gdsedizioni.it

    Ogni riferimento descritto in questo romanzo a cose, luoghi persone o altro sono da ritenersi del tutto casuale

    A Roberta H.

    per credere in me e, come me,

    in un mondo migliore.

    1

    Immerso nei pensieri della sua mente, in ricordi che susseguivano altri ricordi, Steven non si era reso conto di trovarsi nel bel mezzo di un temporale.

    Le gocce ricoprivano il suo corpo, frantumandosi al contatto con il viso; gocce gelide, provenienti da un inverno particolarmente freddo. Il vento non cessava di scuotere gli alberi e aumentava la sua furia come un toro davanti alla muleta. Il gelo aveva raggiunto il suo umore, sino a venire a contatto con il suo cuore, mentre l’anima era ben protetta da una mente razionale che cercava di salvare ciò che era rimasto della sua identità, talvolta invano. Camminare sotto la pioggia non era certo la condizione migliore per riflettere sui propri errori né per guardarsi dentro, in cerca di qualcosa di ancora indefinito.

    Steven cominciava davvero ad avere freddo. Allungò il passo mentre era quasi giunto sulla strada di casa. Il buio avvolgeva sempre più gli ultimi sprazzi di vitalità che erano rimasti di quel giorno, triste e tenebroso. Le case sembravano avere ormai un'unica tinta; ma Steven non aveva bisogno di punti di riferimento per tornare a casa poiché il tragitto era diventato per lui un’abitudine. Tuttavia, se lui avesse potuto scrutare ogni singolo particolare, avrebbe ancora intravisto la bellezza di quel viale che tanto lo aveva colpito sin da bambino: Milestone Close. In tutti quegli anni nulla era cambiato - le foglie continuavano a cadere in autunno quasi fossero schiave delle stagioni e i fiori sbocciavano in primavera, riprendendosi la vivacità che gli era stata tolta - ma lui era cresciuto, un po’ più grande e un po’ più saggio.

    Le case lungo la via erano separate da steccati in legno che delimitavano i giardini ben curati del vicinato e l’atmosfera che si respirava era quella di un quartiere residenziale in cui tutti si conoscevano, come in un piccolo villaggio.

    Percorrendo i primi metri di quell’imponente viale, oramai grondante di pioggia che continuava incessantemente a cadere dalle nuvole nere di rabbia, si cominciavano a sentire odori e profumi inebrianti: respiro di benessere nell’inquinata città di Cardiff.

    Lungo il viale, la prima casa che si incontrava sulla sinistra era quella dei Wason. Margarite Wason era una donna taciturna e introversa, ma con un vero pollice verde. Amava coltivare piante di tutti i generi e le sue preferite erano i gigli. Il profumo che emanava il giardino di casa Wason inondava il viale e ubriacava i passanti, i quali si perdevano tra la fragranza del gelsomino che si abbinava all’odore dei suoi adorati gigli, delle azalee e della gaggia.

    Quei profumi e quei colori facevano sì che il rientro a casa, per gli abitanti del piccolo villaggio di Milestone, diventasse un piacere dopo una lunga giornata lavorativa.

    La casa di fronte a quella della signora Wason, da cui giungevano fragranze di diversa natura, le quali si adattavano seppur stranamente all’odore che aleggiava nell’aria, era abitata da Sam Bosnioceck. Sam si era trasferito a Cardiff, molti anni prima; lui non amava occuparsi del suo giardino, bensì della sua cucina. Chef di prim’ordine al Morisette’, ristorante tra i più rinomati di Cardiff, sbalordiva i suoi clienti con spettacolari portate: turismo culinario tra le bontà Bosnioceck di ottima fattura".

    La sua bravura, che in poco tempo era divenuta fama, gli permetteva di non dar troppo peso ai condimenti né agli ingredienti dei suoi piatti. Tutte le pietanze, per mano sua, diventavano pura magia in terra, qualcosa di unico: ossigeno per chiunque avesse bisogno di un pasto fuori dalla normale mondana concezione di cucina. Si può dire che, attraverso l’odore delle sue creazioni, era riuscito a guadagnarsi un nome nel settore. Scelta decisamente invidiabile e corretta quella culinaria.

    Non male come ingresso in paradiso si ripeteva un tempo Steven, tornando a casa, anche se, ormai, il ragazzo era talmente abituato a tali fragranze da non percepirne più la meraviglia. Nonostante ciò, più Steven iniziava ad assaporare il profumo di quel paradiso aromatico, più si avvicinava all’inferno di casa sua: un inferno senza vie d’uscita, due inquisitori e un solo imputato, pensava.

    Malgrado il suo innato pessimismo, bisognava ammettere che casa Hopson non era poi così male, eccetto uno sgraziato lato oscuro della casa: la sua posizione. Infatti, non confinava con casa Wason o casa Bosnioceck, ma era immersa tra due abitazioni ben differenti: alla sua sinistra vi era una vecchia casa da ristrutturare, coperta dal buio di un lampione spento e in vendita da una vita, da quanto rammentasse Steven. Dal lato opposto sorgeva la casa dell’anziana signora Cupwell, che nonostante i suoi sforzi, da molto tempo non riusciva più a far sembrare presentabile il suo giardino.

    A memoria di Steven, Elizabeth Cupwell doveva avere circa una settantina d’anni. Si era trasferita giovane, appena ventitreenne, e aveva fatto molti sacrifici con l’intento di sposarsi con il suo grande amore, Matthew Cupwell, disgraziatamente morto anzitempo.

    ll signor Cupwell, nel viale, aveva la fama di essere un grand’uomo: estremamente socievole e sincero, tanto da riuscire a instaurare un’atmosfera che facilitasse i rapporti, rendendoli cortesi e amichevoli tra vicini. Dopo la sua scomparsa, tutto era diventato un po’ più difficile. Si vociferava che al suo funerale, a cui Steven non aveva personalmente assistito poiché non ancora nato, avessero partecipato centinaia di persone per commemorare il grand’uomo che il signor Cupwell era stato. Ma, da quello stesso giorno, Elizabeth non fu più quella radiosa e tenace donna di un tempo.

    Si racconta, infatti, che nonostante tutti gli sforzi di amici e parenti, per farla sentire nuovamente serena in quella grande casa, lei non tornò più ad essere la stessa.

    La scomparsa di una persona cara segnerebbe chiunque e Steven poteva solo immaginare il dolore della povera vedova Cupwell, che a stento riusciva a sopravvivere in quella gelida casa, tormentata da brividi e ricordi, così come lo era Steven quella sera.

    Era ormai zuppo e un raffreddore il mattino seguente sarebbe stato il minimo. Non aveva alcuna intenzione di ammalarsi; nonostante ciò, continuava a camminare lentamente, incurante della pioggia, assaporando gli odori, leggermente smorzati a causa della tempesta che ancora provenivano dal viale e dalla stessa erba bagnata.

    Immerso nei pensieri e nei ricordi, Steven non si era accorto di essere già arrivato dinanzi a casa sua. Sospirò. La casa era da sempre appartenuta alla famiglia Hopson e quando Moris e Claude Hopson, i genitori di suo padre John, disgraziatamente morirono in un incidente d’auto, la proprietà era stata ereditata dal figlio, già allora fidanzato con Susan, la madre di Steven. John e Susan avevano deciso di restare in quella casa, poiché era piena di ricordi ed emozioni per il giovane Hopson che metteva su famiglia. Tempi diversi quelli, tempi migliori. Steven guardò la casa senza notare alcun cambiamento.

    «Vorrei poter dire casa dolce casa.» mormorò.

    Steven aprì il piccolo cancello in legno e arrivò davanti la porta. Sospirò un’altra volta.

    Il ragazzo pensò ai suoi genitori; suo padre aveva avuto una lunga e variegata istruzione, conosceva un po’ di tutto e un po’ di niente, ma alla fine era riuscito a laurearsi in giurisprudenza, diventando avvocato in una delle compagnie più importanti della città: la Roy’s, società che consentiva ai clienti di essere difesi e tutelati con parcelle moderate. John aveva preso parte ad alcuni dei più grandi processi degli ultimi anni, considerata la sua rinomata bravura nel pianificare e risolvere situazioni alquanto sgradevoli.

    Come i suoi genitori, anche John prediligeva la cosiddetta destra parlamentare, al contrario di sua moglie Susan, con cui litigava continuamente, accapigliandosi spesso senza alcun risultato, poiché entrambi restavano sulle loro posizioni.

    L’unica certezza di John era quella di appartenere al partito conservatore, nel bene e nel male.

    Susan era riuscita a sopportare gli orientamenti del marito solo grazie all’amore che provava per lui; in gioventù, la signora Hopson aveva militato in organizzazioni di orientamento opposto, considerate quasi estremiste. Tuttavia, era stata educata e preparata a ciò che sarebbe diventata: sposa diligente, madre premurosa e abile amministratrice del focolare Hopson.

    Steven era giunto davanti casa. Non restava altro che suonare il campanello. Sebbene fosse riparato sotto il porticato, tremava dal freddo come un cane abbandonato per strada nella notte e non aveva più tempo per lasciarsi andare al flusso dei suoi pensieri.

    Eppure, nonostante le sue condizioni e l’implacabile tempesta, avrebbe preferito rimanere fuori casa piuttosto che entrarvi. Non fece neanche in tempo a pensarlo, che la porta si aprì.

    «Ti stavamo aspettando, entra, sei in ritardo.» disse suo padre

    con tono rude «Potevi anche telefonare visto il temporale là fuori, sarei potuto venire a prenderti.»

    «Non sono che due gocce.» rispose Steven.

    «Intanto sei tutto bagnato. Saluta tua madre e cambiati, tra poco si cena.»

    Steven non lo guardò neanche. I suoi occhi erano rivolti verso la scala che lo proiettava già verso la sua stanza, il suo nascondiglio in quella casa infernale. Si tolse il cappotto.

    Suo padre aveva ragione: era bagnato fradicio, ragion per cui decise di asciugarsi prima di salutare sua madre; le fece un cenno con la mano, al quale lei rispose con un sorriso, poi salì le scale.

    Le gocce sembravano scandire i suoi passi, scivolando, una dopo l’altra, dai suoi capelli completamente fradici, evidenziando il suo passaggio. Ogni gradino di quella vecchia scala in legno lo faceva sentire più al sicuro, più lontano dai suoi genitori. Aprì la porta della sua stanza.

    Non si era mai reso conto del colore opaco dei muri e, quella sera, la sua camera gli sembrò diversa dal solito. Probabilmente era colpa dell’ennesimo temporale inglese che oscurava la stanza, rispecchiando perfettamente l’atmosfera di casa Hopson in quegli ultimi giorni.

    Steven si guardò intorno, si sfilò la felpa e la maglietta gettandola con forza per terra, prese una maglia pulita. Non riusciva a pensare a qualcosa di concreto, i pensieri, uno dopo l’altro, sfuggivano alla mente.

    La pioggia non cessava e Steven si fermò ad ascoltarne il rumore, assaporando quel momento di calma con un profondo sospiro, cercando di fissarlo nella sua testa per non rimuginare su altro. Raccolse gli abiti e li mise nella cesta dei panni sporchi; scese di sotto, gradino dopo grandino, con un leggero e irregolare ritmo sincopato.

    La pioggia ora faceva da orchestra, mentre l’orologio sillabava secondi. Era già di fronte la cucina quando sua madre lo vide.

    «Tesoro.»

    «Mamma.» rispose lui, non guardò neanche lei negli occhi.

    «Ti sei bagnato tutto là fuori? Hai messo nella cesta gli abiti bagnati?»

    «Sì, mamma.» continuava a sviare lo sguardo, ma era sempre più difficile.

    «Va bene, non importa, stiamo per sederci a tavola.»

    Steven si diresse verso il salotto.

    Casa Hopson era abbastanza lineare, alcuna imperfezione stilistica o disuguaglianza di tonalità: la disposizione dei mobili e l’arredamento sembravano essere nati con la casa stessa: un disegno perfetto di casa ideale.

    Ma, nonostante gli spazi, da qualche giorno le mura di quella casa diventavano, man mano, sempre più strette per Steven e sembravano soffocarlo.

    Cominciò ad aggirarsi per le stanze, come se non fosse successo nulla, in attesa della cena, per poi tornare finalmente a rinchiudersi nella sua camera e lasciare che la notte si prendesse cura di lui.

    Doveva resistere ancora qualche ora. Eppure, ogni pensiero continuava a svanire, sfumato dal rumore della pioggia, come se fosse diventato dipendente da quella sinfonia naturale senza incongruenze: avrebbe voluto essere pioggia lui stesso.

    Passò dinanzi alla porta dello studio, suo padre lo fulminò con uno sguardo, ma non disse nulla.

    La pioggia era diventata ghiaccio, così come i rapporti tra Steven e i suoi genitori da una settimana. Non gli importava, non meritavano giustificazioni.

    Avrebbe voluto accendersi una sigaretta, se solo ne avesse avuto la possibilità, rilassare i nervi e poi disperdersi come fumo al vento, tra le serrature delle molteplici porte piene di possibilità che gli si prospettavano davanti, e, tra quelle possibilità, fuggire gli sembrava l’unica plausibile.

    Forse, era decisamente fin troppo stanco per meditarci su. Aveva avuto una giornata difficile e ancora gli toccava mettersi sui libri, subito dopo cena.

    Steven frequentava un corso di laurea in Storia e si stava preparando per i faticosi esami di storia moderna e di storia contemporanea che avrebbe dovuto sostenere di lì a breve; prove estremamente complicate per la quantità di informazioni contenute nelle voluminose dispense consigliategli dai professori. Steven non se ne preoccupava, poiché era attratto dall’argomento. Lo appassionavano, infatti, le reazioni mondiali di fronte agli eventi catastrofici che, negli anni, avevano portato alla costruzione della società odierna; eventi sciagurati,

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