L'allegoria del male nel Signore delle Mosche di William Golding
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L'allegoria del male nel Signore delle Mosche di William Golding - Rosaria Antinoro
PREFAZIONE
William Golding è uno dei più importanti romanzieri della generazione del dopoguerra. Fin dai primi anni della sua vita ha affrontato le atrocità della guerra. Ha preso parte al secondo conflitto mondiale unendosi alla marina militare britannica.
La guerra ha profondamente cambiato la sua visione della vita e della natura umana impedendogli di credere nell’innocenza dell’uomo: quando un essere vivente è costretto ad affrontare una situazione difficile, un bisogno di sopravvivenza, rivelerà il suo vero aspetto, la sua natura oscura e malvagia.
Golding ha scritto numerosi romanzi che mostrano chiaramente la sua pessimistica visione della natura umana che non risparmia neanche i bambini. Il suo capolavoro è considerato il suo primo libro, Lord of the Flies, un grande romanzo simbolico.
Il romanzo, pubblicato nel 1954 dopo essere stato rifiutato da diverse case editrici, non ricevette all’inizio nessuna attenzione da parte della critica. Fu solo negli anni 60, quando iniziò a catturare l’interesse degli studenti delle scuole superiori, che i critici iniziarono a riconoscere il talento dello scrittore.
Nel 1983 Golding ha ricevuto il premio Nobel per la letteratura per i suoi romanzi che, con una perspicuità di un’arte narrativa realistica e una diversità e universalità del mito, descrivono la condizione umana nel mondo di oggi.
Lord of the Flies (l’espressione è la traduzione ebraica del nome di Beelzebub, simbolo del male) racconta la storia di un gruppo di scolari inglesi evacuati per via aerea in un luogo di sicurezza per sfuggire ad una guerra nucleare. Il loro aereo si schianta e finiscono bloccati su un’isola tropicale deserta. Il loro primo istinto è quello di formare un’organizzazione democratica rappresentata dal fuoco e dai rifugi che riescono a costruire ma il peccato originale prende il sopravvento e i ragazzi iniziano a sentire una presenza malefica sull’isola e si trasformano in una terribile tribù di selvaggi sanguinari dai macabri riti.
La Bestia
che essi temono trova rappresentazione oggettiva in una testa di maiale mozzata brulicante di mosche, il signore delle mosche (epiteto fenicio del dio Belzebù).
L’obiettivo principale di questa analisi critica è quello di evidenziare l’allegoria del male nell’opera di Golding. Lontana dai nobili ideali dei romanzi di avventura come Coral Island e Robinson Crusoe, l’isola non è un paesaggio tradizionale di pace e tranquillità ma diventa teatro dell’istintiva di brutalità e malvagità umana.
Lord of the Flies rappresenta il male che l’umanità sceglie di non accettare come parte necessaria della condizione umana. Il pessimismo di Golding sullo stato naturale degli esseri umani, sulla loro colpevolezza e peccaminosità e il suo cinismo sulla vita, inevitabilmente influenzano lo stile e il tono della sua scrittura.
CAPITOLO 1
Contesto letterario e genesi di Lord of the Flies
1.1 Il romanzo inglese del secondo dopoguerra
I drammatici avvenimenti politici internazionali e le rapide trasformazioni sociali verificatesi nell’immediato secondo dopoguerra sono stati alla base di un diffuso e acuto senso di sgomento e di angoscia nei confronti del futuro, che veniva avvertito da molti artisti e intellettuali come incerto e pieno di pericoli.
Eventi quali l’impiego di armi futuristiche allo scopo di distruggere fisicamente e moralmente l’uomo, il genocidio messo in atto dal freddo mostro nazista, la situazione di conflitto politico e diplomatico tra i due blocchi
, quello sovietico e quello americano, definita guerra fredda
, il lento declino della vecchia civiltà rurale e la nascita di grossi agglomerati urbani, provocarono non solo la trasformazione della mentalità collettiva e della concezione della vita, ma anche un’alterazione dei valori correnti così massiccia da determinare una grande incertezza di fronte ai concetti di Bene e Male.
La cultura occidentale non era più in grado di giustificare i massacri e gli orrori coltivando il mito di una palingenesi sanguinosa, così come era accaduto in occasione del primo conflitto mondiale.
La letteratura inglese appariva incapace di fornire appropriati linguaggi e forme espressive di fronte al rapido evolversi degli eventi che stavano trasformando la faccia della terra.¹¹
In generale non ci fu una rottura voluta e consapevole con il passato, anche se ormai appariva superato dai tempi sia lo sperimentalismo modernista e il tono brillante e disinvolto della comedy of manners, che la visione cosmopolita offerta durante gli anni Trenta da scrittori come Christopher Isherwood, trasferitosi negli Stati Uniti nel 1939.²²
Nel 1941 scompaiono sia James Joyce che Virginia Woolf. Ancora più significativa è la vicenda di Pelham Grenville Wodehouse, apprezzato intrattenitore della middle class con l’umorismo dei suoi romanzi comici, il quale, oppresso da un’opinione pubblica sempre più ostile che lo accusava di collaborazionismo con i tedeschi, è costretto ad emigrare negli Stati Uniti (durante un periodo di internamento in Germania, egli aveva parlato disinvoltamente alla radio nazista di Berlino mentre Londra veniva bombardata dai tedeschi).³³
Ovviamente esiste una letteratura di guerra di forte impronta documentaria,⁴⁴ e continua la produzione di romanzieri che avevano esordito prima del conflitto: è il caso, ad esempio, di Anthony Powell, Henry Green, Elizabeth Bowen, Evelyn Waught, Graham Greene e Aldous Huxley. Ma anche in questo caso l’inevitabile evolversi dell’arte e del pensiero era diventato più veloce e marcato, sospinto sia da fattori materiali, sociali, politici ed economici, sia anche dall’influsso di vari autori stranieri, quali Kafka, Sartre, Camus, Ionesco e Brecht, la cui presenza si faceva sempre più significativa nel panorama letterario europeo.
Si acuisce così la necessità di relazionarsi con le drammatiche conseguenze di un’epoca pregna di distruzione e desolazione, di cogliere almeno i vaghi contorni di un ambiente etico e politico diventato ostico e inquietante, in cui il senso del continuum è perduto per sempre, ed affiora un pericoloso schieramento di forze barbariche proveniente da un passato lontano o protese verso un futuro catastrofico e disumanizzato.
Si afferma allora una tendenza già presente verso la fine degli anni Trenta: il recupero dell’antiutopia, del gotico, del fantastico e dell’allegoria evidenzia il proposito di servirsi di strategie libere dalla tradizione del realismo e da quella dell’indagine psicologica, cercando di coinvolgere un pubblico di lettori sempre più vasto e spesso emarginato dalla sottigliezza verbale dei modernisti. Allegorie politiche, favole scientifiche, storie di creature abominevoli occupano abbondantemente il terreno brulicante della cultura inglese.⁵⁵
La presenza ancestrale ma attualissima del Male, in quanto principio negativo interno all’essere stesso, si manifesta abbondantemente nei romanzi scritti intorno agli anni Quaranta.
Vi furono nel secondo dopoguerra un certo numero di scrittori che, seppur diversi sotto tutti gli altri aspetti, hanno in comune il loro ansioso e spasmodico interesse per il problema del Bene e del Male, e per il conflitto tra l’uno e l’altro nel mondo moderno.⁶⁶
Perfino la regina del giallo
, Agatha Christie, apre uno dei suoi romanzi polizieschi, Evil Under the Sun (1941), con una disquisizione sul significato e la potenza del Male.
Nello stesso decennio, deduzioni simili si ritrovano sia nell’opera narrativa di Evelyn Waugh sia in The Heart of the Matter (1948) di Graham Greene, ove è evidente un’ineluttabile vocazione alla colpa e al disordine morale. Il demonio sta nel mondo e lo spirito è in lotta con lui in un mondo di orrore nero.
Anche l’ultimo romanzo di Charles Walter Stansby William, All Hallows Eve (1945), è una specie di gara di lotta tra i poteri del Bene e quelli del Male
⁷⁷, mentre Clive Staples Lewis, che ha preferito negli ultimi anni