Io sono Jophiel (Collana Starlight)
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About this ebook
Un’anima in pena incompresa da tutti. Ecco come si sente Jophiel, ridotta ormai al limite.
Si trascina avanti, circondata da gente che sa solo dare i consigli sbagliati e da una famiglia incapace di affrontare il problema che da mesi la assilla. Ogni maledetto giorno si sforza di mandare giù un po’ di cibo, ma è inutile: il suo corpo non vuole più saperne e la sua mente è afflitta da pensieri sempre più cupi.
Finché, inaspettata, arriva la notizia del viaggio studi a Parigi. Sei mesi in cui Jophiel può provare a cambiare la sua vita, spronata dall’entusiasmo di Alexis, l’unica amica a rimanerle accanto nei momenti del bisogno. E proprio quando si sta organizzando per partire, un ragazzo irrompe nella sua vita: Alan, con un taglio degli occhi che le ricorda quello di un lupo.
Alan sa molte cose. Le parla di Spiriti Guida, esseri protettori che la maggior parte della gente non è in grado di vedere né sentire, che si manifestano nei sogni e attraverso dei segni. Proprio loro la aiutano a entrare nel labirinto della sua mente e a coglierne la parte più oscura e profonda, popolata da pericoli e ombre da scacciare.
L’odio e la fuga sono davvero la soluzione?
È meglio combatterle queste paure o... comprenderle?
«Cosa sei se non un nemico?»
La donna fece un leggero inchino regale prendendo i lembi della gonna.
«Mi presento… Io sono Aleister. E non sono altro che la personificazione delle tue paure, il tuo lato oscuro».
Un fantasy spiritualistico che si dipana tra le vie di Parigi lasciando tanti piccoli messaggi che possono aiutare ad affrontare la vita e le insidie di tutti i giorni. Perché il pericolo è sempre dietro l’angolo ma, a volte, è dentro di noi.
Copertina a cura di Romance Cover Graphics
Altri titoli della Collana Starlight:
“Die Party” di Silvia Castellano
“La fine del Tempo, la fine del Mondo” di Alessandra Leonardi
“Aurora d’Inverno” di Alessandro Del Gaudio
“Cuore di tenebra – Hope in the darkness” di Mariarosaria Guarino
“Darklight Souls. La Vista dell’Anima” di Melissa J. Kat
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Book preview
Io sono Jophiel (Collana Starlight) - Jessica Verzeletti
fittizio.
PROLOGO
"Vi saluto con tutta la luce che ho in corpo. Mi presento: io sono Jophiel, alcuni di voi mi conosceranno, altri no…
Questa è la storia di una ragazza che porta il mio stesso nome, e io sarò sempre al suo fianco per tutto il tempo, ma lei non potrà vedermi né sentirmi. Nessuno può realmente farlo, ma in qualche modo, se chiudete gli occhi e respirate profondamente, calando in un silenzio di pace, potreste riuscire a percepire la nostra presenza. Siamo molto timidi, e ci facciamo sentire solo con piccoli segni: profumi, simboli che a voi possono sembrare scontati, come un cartellone pubblicitario che riporta una frase che vi colpisce profondamente; sembrano coincidenze banali, ma non lo sono.
Io aiuto con piacere a rivolgere l’attenzione all’aspetto positivo delle cose. Anche nel dolore più grande, infatti, è nascosto un dono che vi aiuterò a scoprire quando sarete pronti. Avete la possibilità di scegliere anche quando reputiate non sia così. La scelta dipende da Voi.
La mia missione è quella di aiutarvi ad aprire gli occhi alla bellezza delle cose, alla consapevolezza. Ogniqualvolta vi capita di essere sul punto di cadere, fermatevi e prendete coscienza delle cose belle attorno a voi e nella vostra vita.
Io sono questo.
Ma ora basta parlare di me, in questo momento ho l’incarico di seguire Jophiel in un tratto della sua vita assai duro. Il suo cammino sarà molto arduo, ma… prevedo prospettive future meravigliose. I misteri della vita, come saprete, sono illimitati e non tutti hanno l’occasione di vivere certe esperienze spirituali, specialmente in questo mondo pieno di schemi imposti pronti a oscurare le menti…
Beh, Jophiel è proprio una persona particolare, e chissà che un giorno non possa vedermi.
Ora devo lasciarvi ma tranquilli, quando dico lasciarvi
non è mai nel vero senso della parola, perché Noi non vi lasciamo mai. Vi mando tanta luce e amore, e che questa vi avvolga in una calda energia.
Io sono Jophiel e il mio nome significa: Bellezza di Dio".
CAPITOLO 1
Jophiel correva a perdifiato, era notte fonda e la luce della luna illuminava come un lampione la strada davanti a lei.
Non v’era anima viva.
Sentiva che gli ululati si facevano sempre più vicini e sapeva che se l’avessero raggiunta sarebbe stata divorata con atroce agonia. Corse, ancora e ancora, terrorizzata dalle loro ombre che s’infrangevano contro le pareti. Urlava e nessuno la sentiva.
All’improvviso, cadde a terra e uno di loro si avventò su di lei.
In sottofondo, una risata maligna sembrò bearsi della sua paura.
Jophiel spalancò gli occhi sentendo il suono della sveglia. Allungò la mano e la spense facendo interrompere quel trillo fastidioso, poi le diede le spalle rannicchiandosi sotto le lenzuola.
Anche quella mattina non se n’era andata una volta per tutte.
L’orologio aveva interrotto uno dei suoi soliti incubi, dominato da lupi. Rimase raggomitolata tenendosi le mani sullo stomaco: ormai quella nausea e quel dolore l’accompagnavano da parecchio tempo, e per quanto potesse essere orribile, la sera andava a dormire pregando di non ridestarsi più.
Ormai era stanca, troppo stanca.
Ogni giorno era sempre più debole e senza forze, e anche la voglia di vivere scivolava via pian piano, silenziosa.
Non sapeva come fosse finita in quella situazione, a dir la verità non si era nemmeno accorta di esserci entrata. La sua vita era diventata così misera da averci fatto l’abitudine e non si era resa conto dei cambiamenti che stavano accadendo al suo fisico. Da mesi non mangiava più nulla, poggiando le mani sullo stomaco poteva sentire le costole che si vedevano da sotto la pelle; adesso era consapevole di non essere in una bella situazione, ma non sapeva più cosa fare né come uscirne.
La ragazza si alzò dal letto lentamente e con enorme fatica. Si trascinò verso il bagno e si sciacquò il viso. Osservò per pochi istanti il suo riflesso allo specchio: ormai non sopportava nemmeno il suo viso, non sopportava niente di se stessa. Quei capelli corvini mossi che scendevano a boccoli, dio quanto li odiava! Erano una delle cause del suo inferno negli ambienti scolastici, un inferno alle elementari, alle medie e persino nel periodo delle scuole superiori. Erano sempre stati motivo di scherno, dimostrandole quanto potessero essere crudeli i coetanei. Quando era piccola i suoi capelli erano molto ricci e crespi perché non era ancora in grado di prendersene cura, era come se avesse un piccolo cespuglietto in testa. Infatti la chiamavano così alcuni compagnetti di classe, cespuglio
.
Erano passati quasi dieci anni da allora, i suoi capelli erano cresciuti molto e aveva imparato a tenerli in ordine, facendoli cadere con una dolce onda e con boccoli ben definiti, ma quella sensazione di derisione non se n’era mai andata. Ogni volta che si guardava allo specchio rivedeva tutti i momenti peggiori della sua vita, e si rendeva conto di quanto fosse sempre stata presa in giro e non si fosse mai sentita gratificata da nessuno. Si toccò i capelli. Nel corso degli anni si erano diradati e avevano perso volume: per lei non era un problema, visto che li aveva sempre considerati troppi e gonfi. L’anno prima le erano caduti a ciocche, tanto da far terrorizzare sua madre, che pensava avesse preso qualche malattia, ma non si trattava di questo. Era solo un altro esaurimento che segnava la sua vita, l’ennesimo che stava attraversando.
Osservò l’osso che segnava la clavicola accarezzandolo con una mano: era molto pronunciato, segno che era troppo magra. Le costole ormai si vedevano a occhio nudo, motivo per cui sua madre, il mese prima, era rimasta scioccata scorgendola per caso uscire dalla vasca da bagno. Vedendola nuda aveva capito in che condizioni si stava riducendo, così l’aveva portata subito dal medico. E cosa disse il medico? Da dietro ai soliti occhiali sentenziò: «Mia cara, devi mangiare, sforzati. Sei in anoressia nervosa, cerca di rilassarti».
Oh, facile per qualcuno che non sa nemmeno un pizzico della vita altrui, della sua e di ciò che le è sempre passato per la testa! Non sa cosa vuol dire sentirsi sbagliata e fuori posto. Perché, forse, si è venuti al mondo nel posto sbagliato al momento sbagliato... questo era il suo pensiero arrabbiato verso quella gente che non la capiva.
La portarono a fare analisi ed esami vari, ovviamente lo scarso apporto calorico le aveva provocato una carenza vitaminica. Le infilarono flebo e siringhe nelle braccia, iniettandole ogni sorta d’integratore, suggerendo poi una cura psichiatrica, farmaci o in caso la situazione fosse peggiorata, il ricovero in una struttura specializzata.
Jophiel aveva rifiutato tutto ciò.
A cosa può servirmi?
Questo le diceva la sua testa. Non voglio curarmi, non sono malata!
Il suo male di vivere era colpa di chi le stava intorno e aveva sempre cercato di distruggerla e schiacciarla come un parassita. Continuava la voce nella sua testa: Non andrò mai in una di quelle cliniche a farmi riempire di farmaci! Per cosa poi? Per farmi dire da gente estranea in camice bianco com’è bella la vita e farmi passare per una cretina?
Quanto si sbagliava la sua testa!
Se solo avesse saputo quante persone sono state salvate dalla morte, e che chiedere aiuto non sarà mai una vergogna...
La ragazza prima non aveva mai avuto amici. Amici veri, s’intende! Entrando in università si era legata a una ragazza in particolare, l’unica che la faceva ridere anche quando stava male, condividevano tanto insieme, le era rimasta accanto durante i soliti malori dovuti ai cali di pressione. Non mangiando nulla era un miracolo che stesse in piedi. Alexis si chiamava, ed era sempre lei che l’accompagnava in infermeria in quei momenti difficili. Inizialmente Jophiel aveva deciso di tacere sulla sua condizione, ma ormai era evidente. Udiva i compagni di corso vociferare e dopo l’ennesimo malore sentì una ragazza dire: «Per forza non sta in piedi! Non mangia niente».
Da allora comprese che ormai era come un libro aperto e il suo aspetto faceva captare tutto.
Guardò il suo viso che si stava scavando sempre di più. Era sempre pallida, quella che prima era una terza di seno era sparita riducendosi a una prima. Si odiava. Odiava il suo corpo e voleva uscirne, ma le sembrava di essere in un baratro senza fondo in cui continuava a cadere sempre più giù. Nessuno la capiva, nessuno voleva aiutarla e salvarla, l’unica cosa che continuavano a ripeterle ossessivamente era quella dannata frase:
«Mangia! Devi Mangiare!»
Mangiare per lei era diventato un incubo, nessuno sapeva quanto fosse orribile essere nella condizione di odiare pure il cibo. Mettere in bocca una caramella o un pezzo di pane era difficile, perché ogni volta aveva un conato di vomito, come se il suo corpo non volesse permetterle di mangiare. Sì, il corpo era suo. Le dicevano che doveva essere in grado di controllarlo, ma era come se avesse preso il sopravvento sulla ragione e lei non potesse più comandarlo. Per gli altri era facile parlare, non avevano quel tipo di problema. Tutti perbenisti, davanti a sprecare belle parole e poi dietro le spalle a schernirti!
Jophiel uscì dal bagno, aprì l’armadio e tirò fuori un paio di jeans, che doveva associare a una cintura e stringere al massimo, perché ormai tutti i pantaloni che aveva erano diventati grandi il doppio di lei, se non il triplo; a questi vi abbinò una maglietta scura. Si guardò allo specchio della camera da letto e nella mente si materializzò il solito pensiero che continuava a ossessionarla ogni giorno e ogni notte prima di andare a letto: Voglio sparire
.
Pochi lo sanno, ma la parola chiave per l’anoressia è proprio questa: io sparisco.
Quella mattina aveva un corso all’università, studiava Lingue insieme ad Alexis, ed entrambe lavoravano per pagarsi gli studi. Jophiel in un negozio d’acconciature e Alexis in un bar. Vivevano a casa dei propri genitori, ma stavano progettando di andarsene e di provare una convivenza insieme in modo da essere agevolate, dividendosi le spese d’affitto; tuttavia, stavano ancora cercando una buona offerta che facesse al caso loro e lei continuava a rimandare, non era del tutto convinta.
La ragazza scese in cucina. Anche se con malavoglia, cercò di sforzarsi quella mattina: mise due dita di latte in un bicchiere e due cucchiaini di un composto al cacao con vitamine e minerali che le aveva dato il medico per cercare di riprendere un po’ d’energia. Con uno sforzo immane riuscì a berne giusto un dito, ma era meglio di nulla. Prese le sue cose, borsa, libri e salì in macchina. Per fortuna l’università distava giusto dieci minuti.
Appena arrivò al parcheggio, notò Alexis all’entrata. Riconobbe i suoi capelli castani decorati con delle mèches azzurre, che le davano un aspetto allegro e sbarazzino; come sempre l’amica la salutò con un sorriso raggiante, ma quella mattina scorse qualcosa dietro a quegli occhi nocciola sempre carichi di luce, come se anche loro nascondessero delle frustrazioni. Ormai Jophiel aveva un accurato sesto senso nei confronti dell’amica.
«Ciao, allora? Come stai stamattina?», chiese Alexis.
«Mi fai sempre la stessa domanda ogni mattina», affermò Jophiel.
«E continuerò a fartela finché non ti sentirò dire: "Bene, Alexis, mai stata meglio, ho una voglia di vivere che mi sprizza