Dire Amnesia. L'oracolo mezzosangue
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Dire Amnesia. L'oracolo mezzosangue - Raffaella Grandi
madre
Prologo
30 Settembre 2003, Baratier
I sensi in allerta, percorsi l’ultimo scampolo di boscaglia al buio ambrato, prestando attenzione al terreno sconnesso. Misi a fuoco gli odori, i lievi sciabordii del fiume nelle vicinanze e i fruscii furtivi della fauna locale in fuga.
Mi rilassai un poco.
Essere percepiti come il Predatore per eccellenza aveva dei risvolti positivi, dopotutto.
Un lampo squarciò il cielo, inducendomi a sollevare di scatto il muso.
Accolsi il tuono come una bimba accoglie un buffetto sulla guancia: con gratitudine e rinnovata aspettativa.
La prima goccia di pioggia mi sfiorò il naso; chiusi gli occhi.
Complice una folata di vento, il mio mondo perse il già precario equilibrio, capovolgendosi.
Non avrei saputo descrivere altrimenti la sensazione che provai.
Qualcosa mi scosse nel profondo, aprendo una breccia sul vecchio, impolverato portale della memoria.
La seconda goccia cadde su una palpebra, la terza sul delicato strato protettivo dell’anima.
Fu in quell’inesplicabile stato di vulnerabilità che la avvertii. Fiutai nell’aria un’essenza familiare.
Mi ritrovai a sorridere, mio malgrado. Nonostante fossero passati tanti anni, evidentemente se ne ricordava ancora, e vegliava su di me in quel suo modo discreto e protettivo che mi commuoveva nel profondo.
Che enorme spreco non essermi innamorata di lui.
Sarebbe stato tutto infinitamente più semplice, e mi sarei risparmiata quel buco nero al centro del petto che si nutriva di quel poco rimasto di me.
Lasciare i bambini alle amorevoli cure di mia madre anche solo per pochi giorni all’anno non mi dispensava certo dai sensi di colpa, tuttavia per un istante provai a metterli a tacere.
Lo dovevo a te, ma soprattutto a noi.
A ciò che sarebbe potuto essere, ma non si era realizzato esclusivamente a causa mia.
La consapevolezza di averti perso per sempre per avere permesso al dubbio di insinuarsi fra di noi mi avrebbe accompagnata per il resto dei miei giorni, nonostante il tuo immediato perdono senza riserve. Sei sempre stato così maturo, così comprensivo… così dannatamente indulgente nei miei confronti, ed io come ti ho ripagato? Con il tradimento.
La pioggia prese a cadere copiosamente quando arrivai nel campo di soffioni. Mi frustava il viso, il corpo, l’animo in subbuglio. Rabbrividii. Nonostante il folto manto protettivo del pelo stavo gelando, ma doveva trattarsi di un freddo che veniva da dentro, più che da fuori.
Quando arrivai nel punto esatto in cui tutto aveva avuto inizio e si era concluso, chinai la testa e rimasi così, immobile, per un tempo che non seppi definire. Secondi, minuti, ore… Il tempo mi scivolava addosso come i mesi e gli anni passati senza di te. Senza poterti toccare. Senza il conforto del tuo odore sulla mia pelle. Senza poterti dire: ‘So che mi ami, perdonami, nostro figlio ha bisogno di te. Io ho bisogno di te’. Curiosa scelta di parole, non è vero? Non ‘Io ti amo’, ma ‘So che mi ami’. Già. Non ti è neppure stato concesso il tempo di dirmelo un’ultima volta, e so che ci tenevi a farlo.
Il mio cuore aveva cessato di battere il 30 settembre del 1993 in questo punto esatto. Ero morta da dieci anni, eppure provavo freddo. Strano come il corpo si adatti a vivere senza un cuore. Un lieve fruscio di foglie mi indusse a sollevare la testa di scatto. Qualcuno si stava avvicinando. Annusai l’aria umida, preoccupata di veder spuntare dai cespugli un cacciatore o qualche sventurato che si era smarrito nel bosco. Quando il vento mi restituì uno ad uno i volti familiari dei membri dei branchi, mi rilassai un poco. Ero stata così assorbita dal dolore che non avevo percepito la presenza di ben tre branchi, a esclusione di un loro alfa! Diciotto licantropi comparvero pochi istanti dopo in rigoroso ordine gerarchico, ciascun capobranco in testa e il rispettivo vice che chiudeva la coda, come se non si trovassero nella radura di un bosco, ma ad una parata ufficiale. Li osservai disporsi in cerchio al limitare del campo di soffioni, silenziosi e composti nel consueto, elegante incedere dei lupi. Se mi fosse rimasto anche solo un brandello di cuore, mi sarei commossa per quella visita inaspettata. Ma non mi era rimasto niente, quindi mi limitai a un breve cenno del capo in segno di saluto, un groppo in gola che rischiava di soffocarmi.
In dieci anni, era la prima volta che si radunavano per te.
No. Non ero commossa, ero solo… ‘Oddio, aiutami, ti prego!’.
Ciascuno di loro salutò chinando rispettosamente la testa al cospetto dell’Oracolo Mezzosangue, benché fossi certa di essere io, Elisa, la destinataria di quella silenziosa dimostrazione di affetto. Una folata di vento spazzò via le nuvole, rivelando lei, la Luna, in tutto il suo misterioso splendore. Il mio già fragile equilibrio vacillò, e mi spezzai sotto il peso del dolore, iniziando a tremare per lo sforzo di trattenere il grido che mi scaturiva dal petto.
Liberalo pure, sfogati. C’è una festa in paese, sono tutti là: non ti sentirà nessuno...
.
Il bisbiglio di Vieri deflagrò dentro di me come il potente boato di un tuono, dandomi il colpo di grazia.
Andai in frantumi, come era giusto che fosse. Alzai il muso puntandolo dritto verso la luna e rilasciai un lungo, disperato ululato. Cosa avrei dato per tornare indietro a quel maledetto giorno. Cosa non avrei fatto per riportarti da me! Avrei lottato con le unghie e con i denti, avrei venduto l’anima al diavolo stesso anche solo per prendere il tuo posto. Ma il destino non concedeva seconde possibilità, lo sapevo bene. Se c’era una cosa che la vita mi aveva insegnato era che ciò che doveva accadere accadeva, semplicemente, senza vie di scampo. Un altro ululato si sovrappose al mio, seguito da un altro, e da un altro ancora.
Un coro di ululati riecheggiò nel cuore del bosco di Baratier e il tempo parve cristallizzarsi, per poi ripiegarsi su di sé. Spalancai gli occhi, disorientata.
Elisa?
.
Capitolo 1
Qualcosa è cambiato
È spaventata a morte, papà, non lo vedi? Non posso lasciarla! Sai anche tu come ci si sente... Noi perlomeno potevamo contare sull’aiuto della famiglia e del branco. Lei, invece, al momento non ha nessuno che possa aiutarla...
.
Fu un attimo.
Il fuoco penetrò la carne, e le ossa si sciolsero sotto l’influsso di quel caldo rovente, diventando molli come gelatina; un senso di urgenza si impossessò di ogni singola fibra del mio essere, e fui presa da violente convulsioni finché, al culmine del dolore, esplosi in aria in milioni di minuscole particelle che caddero a terra come i petali di un fiore.
Qui dove? Chi c’è lì con te, Elisa? Ti prego, non permettere che accada... Resisti! Dimmi dove sei: vengo subito a prenderti!
.
Il pensiero di Stephen riecheggiò dentro di me con un timbro nuovo, più intenso e vibrante. In qualche modo, era cambiato.
Caddi di schiena e tentai d’istinto di aggrapparmi a Lexi, ma mi resi subito conto di non riuscire a piegare le falangi delle dita per afferrarlo; abbassai gli occhi per capire perché non fossi stata in grado di farlo e vidi con orrore due zampe nere che graffiavano insistentemente il tessuto della t-shirt di Lexi fino a lacerarlo.
Elisa, no! Calmati: va tutto bene! Concentrati su una sola parte del corpo alla volta... Aaahhh!
.
Lasciala andare, dannazione, o ti ucciderà!
.
Il grido angosciato del padre di Lexi ebbe su di me l’effetto di una scarica elettrica.
‘Ti ucciderà?’ Pensava davvero che sarei stata in grado di ucciderlo? Di uccidere un colosso tutto muscoli come Lexi?
Una macchia rosso scuro cominciò ad allargarsi a vista d’occhio sulla sua maglietta bianca; l’odore acre del sangue mi penetrò nelle narici, causandomi un forte senso di nausea e gettandomi nel panico più totale.
Quando compresi di non riuscire in nessun modo a controllare i movimenti delle zampe, che continuavano a solcare con nuovi terribili fendenti la sua carne, lottai come una furia per liberarmi il più in fretta possibile dalla sua stretta e impedirmi di fargli altro male, con il risultato che gli causai involontariamente ferite sempre più profonde.
Niente da fare: non mollava. Non voleva lasciarmi andare. Le sue grida da soffocate si fecero sempre più acute e strazianti; le mie unghie affilate lacerarono ancora più in profondità la sua carne. La presa delle sue braccia si fece sempre più debole.
Finalmente stava perdendo i sensi. Non avrei mai immaginato di arrivare a sperare una cosa del genere, eppure sapevo di volerlo esclusivamente per il suo bene.
A quel punto riuscii a sgusciare fuori dalla sua morsa protettiva, ad allontanarmi da lui, spaventata a morte e piena di orrore per ciò che avevo fatto.
Mi eressi sulle quattro zampe ancora malferme, gli occhi sbarrati, fissi sulla piccola pozza di sangue accanto al corpo inerte di Lexi.
Vidi suo padre chinarsi su di lui e dare ordini concitati all’altro ragazzo; una donna robusta sulla quarantina fece capolino dalla porta d’ingresso e si portò una mano alla bocca, scioccata. Non sentivo quello che dicevano: ero troppo chiusa nel dolore, alla spasmodica ricerca di una via d’uscita, seppur nel mio intimo fossi quasi certa che non esistesse.
Eppure mi ostinavo a cercare, da una parte annichilita per ciò che avevo fatto, e dall’altra terrorizzata da ciò che ancora avrei potuto fare. Forse sarei diventata un’assassina, e poco importava che non ne avessi avuto l’intenzione, o che avessi ferito a morte sotto un’altra forma: quel mostro che ero diventata ero pur sempre io!
Un grido di dolore mi salì dal petto ed esplose in un lungo, straziante ululato.
Avrei voluto metterlo a tacere, ma mi resi conto di non riuscirci, così come non riuscivo a controllare nessuno dei miei istinti: ero in grado di pensare e ragionare, ma di fatto era al puro e semplice istinto che obbedivo.
Ero diventata un animale. Un lupo, dentro e fuori.
Elisa! Sei tu?
.
Lo sconcerto nel suo tono. La paura di una mia conferma. L’ansia di sapere cosa fossi diventata. Interpretai una per una tutte le domande inespresse, poiché erano le stesse che mi ponevo anch’io. Cos’ero diventata?
Cosa ti succede, ragazzina? Hai sentito molto dolore, lo so bene. Adesso, però, ti prego di dirmi dove sei, e ti aiuterò a tornare come prima. Devi cercare di smettere di ululare: c’è il rischio che gli abitanti di Savin Le Lac ti sentano! Concentrati sulla tua voce. Sentila dentro, nel centro del petto, e poi, quando ritieni di conoscerla abbastanza bene da riuscire a distinguerla da qualsiasi altra, cerca di spegnerla. So che puoi farcela: provaci!
.
Riecco il tono fermo che non ammetteva repliche. Quel suo chiamarmi ‘ragazzina’ per prendere le distanze o, forse, per spronarmi a reagire.
Di fatto mi stava richiamando all’ordine, lo sapevo bene, così come ero conscia delle sue motivazioni e del fatto che le trovassi sensate. Aveva ragione su tutto, fuorché su un punto: niente e nessuno avrebbe più potuto aiutarmi a tornare come prima. Non sarei mai più tornata ad essere la vecchia Elisa. Non in seguito a quell’esperienza che mi aveva irreversibilmente cambiata fuori, ma soprattutto dentro, e non dopo aver scavato nella carne di un uomo, costretta mio malgrado ad assistere a quell’atto orribile compiuto da una parte oscura di me stessa. Feci quello che mi aveva chiesto di fare. Gli occhi chiusi e la punta del naso alzata al cielo, mi concentrai sul suono della mia voce o, per meglio dire, del mio ululato.
Si trattava di un lamento cupo, gutturale, straziante... Non mi ci volle molto a capire perché mi avesse riconosciuta subito: era una specie di versione allo stato grezzo della mia voce, solo un po' più rauca e amplificata da suoni monocordi e prolungati.
Impossibile non distinguerla, anche fra un coro di altre mille voci. Lasciai che mi entrasse dentro vibrando a ritroso dalla gola al centro del petto e, nell’attimo in cui fui assolutamente certa che mi appartenesse e che non lo avrei mai e poi mai potuto confondere con nessun altro, mi imposi affinché si piegasse al mio volere.
Non fu per niente difficile come pensavo. Una volta capito che era mio, fu come staccare una presa della corrente: cessò all’improvviso, così come era cominciato.
Tornai a guardare il piccolo gruppo di persone davanti a me, per scoprire il padre di Lexi e il suo amico intenti a trasportarlo all’interno della casa. La signora che li seguiva mi lanciava continue occhiate terrorizzate e, come furono tutti dentro, si affrettò a chiudermi la porta in faccia.
Perdonami, Lexi. Perdonami!
.
Non mi resi conto di stare pensando ad alta voce fino a quando la sua voce perplessa non mi riportò alla realtà.
Chi è Lexi? E per quale motivo dovrebbe perdonarti?
Per averlo ucciso
.
Mi concentrai sulle zampe e invocai una preghiera silenziosa affinché mi portassero lontano, in qualche landa desolata inaccessibile al resto del mondo, in un luogo in cui mi potessi sentirmi al sicuro e non avessi modo di fare del male a qualcun altro.
Obbedirono all’istante, coordinandosi perfettamente dai primi passi incerti, quasi non fosse la prima volta che adempievano a quell’ordine.
Presi velocità con una tale naturale agilità e una sicurezza che mi riempirono di sconcerto; cercai di girare al largo dalle rare abitazioni facendo attenzione ad espormi il meno possibile alla luce lunare, appiattendomi di quando in quando nelle zone d’ombra e nascondendomi nell’erba alta finché non ebbi raggiunto il delimitare di un bosco.
Mi addentrai al suo interno senza esitazioni, priva di paura, sentendomi nel mio elemento e in perfetta armonia con flora e fauna.
Hai ucciso un essere umano?
, chiese in tono allarmato.
Un capobranco licantropo che stava cercando di aiutarmi. Non sono riuscita a impedire alle mie zampe di scavargli nel petto... Non riuscivo a fermarmi, capisci? L’ho ucciso!
.
Percepii il tono isterico del mio pensiero filtrandolo attraverso il sibilo dello spostamento d’aria alle orecchie; schivai all’ultimo secondo uno scoiattolo spaventato che stava tentando di raggiungere il tronco di un albero e finii a folle velocità in una piccola radura creata dal diradare della vegetazione, piombando a sorpresa in un torrentello di acqua gelida.
Ne sei proprio sicura? Non è poi così facile uccidere un licantropo, potresti averlo solo ferito. Comunque troveremo il modo di scoprirlo, non ti devi preoccupare di questo, adesso. Dimmi dove sei!
.
Avevo perso il conto delle volte che me l’aveva chiesto, ad ogni modo non ne avevo la minima idea
Bagnata fradicia in un torrente del bosco vicino alle case in periferia di Savin le Lac...
.
‘Oddio, che freddo!’.
Presi a tremare mentre mi affrettavo a uscire dal ruscello e a scrollarmi di dosso l’acqua dalla punta delle orecchie a quella della coda in un modo che avevo visto fare più volte dai cani. Mai avrei pensato che un giorno mi sarei ritrovata a fare una cosa del genere!
Sei al torrente che attraversa il bosco! Basta che tu ne segua il corso in salita per tre o quattro chilometri, per arrivare vicino alla radura in cui abbiamo fatto il pic-nic ieri... Per caso avverti il Suo odore nel punto in cui ti trovi?
.
‘Se lo sentissi me la darei a gambe, fidati!’, pensai con velata ironia.
No. Solo un leggero odore di licantropo, ma è quasi impercettibile: dev’essere passato di qua qualcuno del branco di Lexi, ma più di un’ora fa...
, valutai in tono sicuro affrettandomi a risalire il corso del fiume costeggiandolo, facendo bene attenzione a non mettere un piede in fallo e caderci dentro di nuovo.
Un’esclamazione sorpresa precedette di poco il suo commento colmo di orgoglio:
Caspita, stai imparando in fretta! Presta attenzione all’intensità di quell’odore e al Suo e, se le tracce diventano più fresche, cambia direzione, senza però perdere di vista il corso del torrente. Io torno a casa a recuperare una coperta e quant’altro ci servirà per la trasformazione
.
Eh, già. Dovevo ritrasformarmi. Chissà se ci sarei riuscita e se sarebbe stato doloroso come prima.
Meglio non pensarci.
Proseguii spedita, rallentando di tanto in tanto per fiutare meglio il terreno.
Il fatto di sapere che da lì a breve avrei rivisto Stephen mi metteva le ali ai piedi, eppure una parte di me temeva la sua reazione nel vedermi.
Che Cosa ero diventata? Un licantropo? Un Dire Wolf? E se fossi diventata un licantropo e gli avessi fatto ribrezzo? Se il mio odore lo avesse disgustato? Gli ultimi pensieri cedettero nuovamente il passo alla ancor più cupa preoccupazione per la salute di Lexi, rinfocolando i miei sensi di colpa.
Decisi che, appena fossi tornata in sembianze umane, avrei cercato di risalire al suo numero di telefono per informarmi sulle sue condizioni e per scusarmi, sempre che esistessero scuse valide per ciò che avevo fatto.
Sebbene con la ragione mi rendessi conto del fatto che l’errore fosse stato anche suo — perché avrebbe dovuto lasciarmi libera di andare, invece di cercare di trattenermi, sapendo quanto fossi spaventata e imprevedibile — era pur vero che stava solo cercando di aiutarmi, di non lasciarmi da sola ad affrontare quell’esperienza che sapeva avrebbe scritto definitivamente la parola ‘fine’ alla mia vita da ragazza normale.
Dalla gola mi sfuggì un lieve gorgoglio che parve una sorta di autocommiserazione, una presa in giro nei confronti di me stessa.
Quando mai mi si sarebbe potuta definire normale?
Certo, Lexi non poteva in nessun modo sapere di avere a che fare con una squilibrata visionaria senza il minimo istinto di autoconservazione.
Cercai per un istante di mettermi nei panni del padre, costretto ad assistere impotente all’aggressione del figlio, e arrivai alla conclusione che non mi avrebbe mai perdonata.
Un giorno forse sarebbe arrivato a capire, ma non a perdonare. Come perdonare chi prova a uccidere tuo figlio davanti ai tuoi occhi, seppur non in maniera intenzionale?
Immersa fino al collo nel bagno acido dei rimorsi, mi accorsi appena del fatto che la fitta boscaglia che mi circondava andava diradandosi, cedendo spazio a scampoli di terreno via via sempre più estesi ricoperti da erba incolta. Fu un soffione mezzo spelacchiato sull’argine irregolare del torrente a riportarmi alla realtà e a indurmi a rallentare di colpo l’andatura.
Lasciai vagare lo sguardo