Il re è nudo!
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Book preview
Il re è nudo! - Enrico Maria Guidi
Bobbio.
BREVISSIMA INTRODUZIONE
È sempre un po’ pericoloso scrivere un’introduzione per un libello come questo. Si rischia di dire troppo, o di essere banali. Mi limiterò a dichiarare che non si tratta di un libro organico, di un vero e proprio saggio, piuttosto di una silloge di più o meno brevi articoli, non in senso giornalistico, su argomenti che di solito interessano la gente comune, o meglio, che dovrebbero premere e toccare la gente comune, farla riflettere, magari nel tentativo di tirarsi fuori o prendere coscienza dall’impasse in cui potrebbe trovarsi. Il genere di discorsi che può capitare di udire al bar, mi correggo, sui social, o almeno alcuni di essi, visto che al bar ci si va oramai solo per un caffè bollente e veloce o per farsi notare e ammirare a un happy hour, al limite per un improvvisato selfie con uno sconosciuto.
Forse all’origine di tutto sta la sensazione di vivere in un’epoca in qualche modo al tramonto, nel senso che qualcosa sta cambiando probabilmente in maniera radicale, ma della quale non si intravede e tanto meno capisce il fine, la meta.
Tanti sono i dubbi, le incertezze, le contraddizioni, ma quel che è peggio è il fatto che non ci si pensa, che tutto scorre sopra di noi, assorbito nel vortice dei mass media, del giornalismo spettacolare e della politica del protagonismo più o meno individuale. Insomma dove quasi nessuno, come nella famosa favola, sa dire: Il Re è nudo
.
Per questo forse gli argomenti affrontati non seguono un filo conduttore, ma sono svariati e spaziano dalla sociologia
, alla psicologia
, a un certo atteggiamento esistenziale
, a problemi etici
. Tutto tra virgolette perché non c’è nessuna pretesa o intenzione di fare dell’accademia o di essere scientifici, se mai lo si possa essere per questioni di questo tipo. Così anche il linguaggio non sarà settoriale, complicato, ma, appunto, quello il più comune possibile, per quanto i temi lo permettano.
In fine non vi è stata alcuna pretesa di fornire delle soluzioni, nemmeno di dare consigli, ma solamente quella, semmai, di smuovere, di fare riflettere e riattivare quella dimensione critica che sembra andare sparendo o essere sempre più affievolita, lontana dalla realtà nel senso primo del suo significato. Una realtà del vivere e del vissuto ormai soggetta a un motto al mio parere abbastanza triste che, scimmiottando quello di un vecchio
pensatore, recita: "Tutto ciò che è appare è reale, tutto ciò che è reale appare".
IL MORALISTA
Il virtuoso si accontenta di sognare quello che il peccatore realizza nella vita
.
Platone.
"La ferocia dei moralisti è superata soltanto dalla
loro profonda stupidità".
Filippo Turatti.
Sarà capitato a tutti e più di una volta nella vita di sentirsi irritati nei confronti di qualcuno che esprimeva giudizi sulla vostra condotta o il vostro modo di pensare pretendendo, magari, di imporre il proprio, ritenendolo l’unico corretto e civile.
Bene, o meglio, male. Vi siete trovati di fronte a un moralista. Una persona che vuole sempre o quasi, imporre il proprio sistema di vita, le proprie concezioni agli altri, sicuro che siano le uniche giuste e adatte al buon vivere.
È chiaro che ognuno di noi ha il diritto di criticare, di discutere su quali possano essere le regole etiche e non che governano la vita e ne scandiscono tempi e ritmi, ma sempre con un occhio di riguardo verso gli altri, non ritenendo cioè a priori che la propria visione e prospettiva siano le uniche giuste e che possa essere corretto, anzi essenziale, che tutti gli altri ci si adeguino.
Non si vuole chiaramente condannare o additare una morale o un moralismo in particolare, ognuno è libero di intendere e indirizzare la propria esistenza come più gli aggrada, a patto che ciò non leda i diritti degli altri, non ne limiti la libertà. Non ha importanza che tipo di morale si segua, se cristiana, kantiana, consecutivista o relativista, tutte hanno i loro pregi e i loro difetti e limiti, ma ciò che diventa grave, se non intollerabile, è pretendere che sia l’unica giusta e che tutti si conformino a essa. E, ancor peggiori, sono i metodi classici attraverso i quali il moralista o il gruppo di moralisti tentano ordinariamente di attuare e realizzare questi loro propositi. Mezzi che non possono essere tollerati da nessuna persona ragionevole e che ritenga che la propria libertà, finché non danneggia altri, sia un bene indiscutibile e che il ricorso all’imposizione, alla messa al bando sociale o al controllo legale politico o religioso, non siano altro che sistemi violenti di affermazione della volontà altrui.
Va da sé che il ricorso a forme coercitive per imporre la propria concezione morale del mondo e della vita fa nascere almeno il sospetto che vi sia all’origine un aspetto o una serie di atteggiamenti non propriamente corretti e, a volte, problematici.
Ma perché il moralista, più o meno consciamente, agisce in questo modo? Quali motivazioni possono spingere un individuo o un gruppo di persone a prodigarsi al fine di tentare di costringere gli altri ad accettare in maniera incondizionata le loro preferenze, a non capire che le esigenze degli individui possano essere differenti dalle loro e che il proprio punto di vista non sia in maniera definitiva l’unico accettabile?
Non persuadono neppure lontanamente le giustificazione che i moralisti adducono a tale atteggiamento, e cioè di un presunto tentativo di protezione nei confronti degli altri ritenuti a questo punto più deboli (aiuto tra l’altro non richiesto), o la convinzione che il mondo e la società troverebbero giovamento e sarebbero migliori seguendo quei principi che vorrebbero imporre agli altri anche con la violenza calpestando il diritto di ognuno di determinare il proprio destino e la propria condotta di vita nella piena libertà e senza ledere quella degli altri.
O forse hanno la pretesa di rappresentare la maggioranza dell’opinione pubblica con la quale, tra l’altro, spesso e volentieri, rifiutano di confrontarsi, alzando la voce, percuotendo i pugni sul tavolo, o andandosene via sdegnati, sbattendo la porta, nei migliori dei casi, asserendo, appunto, che comunque sono loro ad avere ragione e gli altri torto?
In realtà, si può supporre, che all’origine di tutto ciò ci sia solamente una cosa: la paura. Il timore per tutto ciò che è nuovo, diverso e, in qualche modo, più tollerante e permissivo di quanto a loro, vuoi da una educazione particolare, da non confondersi con quella chiamata educazione liberale, vuoi da superstizioni più o meno religiose o da interessi politici, è stato insegnato o meglio inculcato, poiché un simile atteggiamento presuppone anche la mancanza di un senso critico delle cose e della realtà. È soprattutto, in fine, il terrore di poter essere o diventare anche loro o i loro cari, che tra l’altro hanno il sacrosanto diritto di vivere come scelgono, soggetti a quei comportamenti o a quelle idee che loro abborriscono e che li spaventano, che si tratti di omosessualità, libertinismo o altro, cose che, come diceva Platone, essi inconsciamente desiderano e sognano, ma che al tempo stesso li terrifica.
Quando si parla di moralismo e di moralisti la mente va subito ad argomenti come il sesso, la buona condotta, l’aborto, l’uso di sostanze stupefacenti e cose del genere che sono in effetti campi prediletti da queste persone, ma il moralismo spesso tocca anche altre sfere della vita sociale e individuale, con effetti molto dannosi per tutti.
È quello accade nel caso del moralismo politico o etico o sociale o religioso. Quando cioè un determinato settore della società si radica in idee ormai superate e che rischiamo di immobilizzare il progresso sociale e intellettuale, oltre a quello morale, in nome di principi e canoni ai quali non si vuole rinunciare solamente per presa di posizione rigorosa, per paura o, nella maggior parte dei casi, per ignoranza o opportunismo, ma anche per il timore di vedere incrinato il proprio potere. E tutto ciò crea sovente danni irreparabili o quasi per la collettività oltre che per il singolo individuo.
Innumerevoli sono i casi che hanno caratterizzato il corso della storia umana nei quali il moralismo ha giocato un ruolo rilevante, il più delle volte deleterio, a cominciare dalle persecuzioni della chiesa verso gli eretici o coloro che non aderivano in toto ai suoi canoni, per altro in maniera ridicola come nel caso Galileo la cui rivalutazione recente fa solo sorridere, anche perché non è stato dichiarato chiaramente che il Papa allora ha sbagliato alla faccia dell’infallibilità, fino a situazioni più recenti i cui danni però non sono stati minori.
Si prenda ad esempio quanto accaduto nel 1906. Il 24 dicembre di quell’anno avvenne un fatto eccezionale. Per la prima volta nella storia dell’umanità grazie all’iniziativa di Reginald Fessender la musica e la voce di un uomo avvolsero il Globo. Fu la prima trasmissione radio di quel genere. Un’esperienza destinata a sconvolgere e rivoluzionare il percorso della vita umana.
L’evento rivestì un carattere talmente importante che, anche oggi che ne abbiamo poi saggiato le conseguenze, sembrerebbe inimmaginabile abbia trovato dei pareri contrari. Eppure ci furono, dei veri e propri oppositori che si scagliarono contro ogni novità di quel genere influenzando l’opinione pubblica e arrestando il progresso in nome di ormai superati principi morali.
Pio X si gettò contro l’innovazione e non era nuovo a questo tipo di atteggiamento, tanto che precedentemente aveva messo all’indice l’opera e il pensiero di Ernesto Bonaiuti e Antonio Fogazzaro che si erano schierati per il Modernismo e per le idee innovatrici di cui si faceva latore.
Si trovò tra l’altro in buona compagnia ottenendo l’appoggio di Benedetto Croce e Giovanni Gentile la cui statura intellettuale non fu evidentemente sufficiente a liberarli da determinati atteggiamenti retrogradi e moralistici. A giustificazione di tutto ciò il presupposto dell’inconciliabilità tra fede e scienza e il timore che le nuove idee potessero indebolire se non rendere vani i canoni e l’imposizione della chiesa, in altre parole il suo potere temporale, e naturalmente, specie in casi come questo, il moralismo è solo un metodo per mantenere il predominio sugli altri, come anche nel caso dei divieti alla sessualità (si ricordino gli studi di Michel Foucault), poiché se ben si ragiona non esiste un motivo logico o naturale per porre dei tabù.
Conseguenza di ciò fu un arretramento culturale e scientifico che compresse l’Italia in un oscuro provincialismo per oltre un quarantennio, relegandola a società in pratica di secondo ordine rispetto alle altre nazioni avanzate, un provincialismo che, purtroppo, ancora oggi