Manuale di traduzione di Jurij Lotman
By Bruno Osimo
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Manuale di traduzione di Jurij Lotman - Bruno Osimo
cotti & mangiati
narrativa
© BLONK EDITORE
progetto grafico
Claudio Beretta
Roberta Cesani
www.blonk.it
Bruno Osimo
MANUALE DI TRADUZIONE
DI JURIJ LOTMAN
La possibilità di usare lingue diverse nei limiti di un'unità semiotica unica è la base di tutti i processi d’intelligenza (Lotman 1994:105).
Prefazione, di Peeter Torop
Sulla traducibilità di uno scienziato: il caso di Lotman
Nelle scienze umane tipicamente coesistono teorie e sistemi terminologici diversi, a volte anche contraddittori. Ne è un buon esempio la semiotica della cultura, al cui interno troviamo la semiologia di Barthes, la semiotica di Eco, il retaggio teorico di Lotman, Greimas, Winner, di molti studiosi contemporanei e anche, come fonti storiche, il retaggio del formalismo russo, il circolo di Bahtìn, il circolo linguistico di Praga, le scuole di semiotica della cultura francese, italiana, di Tartu-Mosca, polacca, slovacca, ungherese e così via. Per creare un quadro generale della semiotica della cultura contemporanea, è necessario salire al metalivello che garantisce la possibilità di capire la complementarità dei vari orientamenti e teorie. La complementarità sta alla base della sistematizzazione e della generalizzazione della conoscenza. Questo processo, che possiamo definire «traduzione metodologica», ha come risultato la coerenza disciplinare o metodologica della conoscenza o della comprensione delle regole per la gestione della conoscenza complementare (knowledge management). La traduzione metodologica può essere disciplinare, interdisciplinare o transdisciplinare a seconda della possibilità di definizione dell’oggetto d’indagine e della descrizione del campo terminologico. Secondo alcuni orientamenti per esprimere l’identità è importante dotarsi di dizionari terminologici, altri danno più importanza ai metodi di ricerca, e altri ancora si basano su princìpi ad hoc, in cui è lo specifico dell’oggetto d’indagine a dettare l’analizzabilità e giustifica l’uso di qualsiasi metodo e la commistione di terminologie.
La conoscenza umanistica si sviluppa principalmente dallo studio della cultura e delle sue varie sfere. Ma studiando la cultura in tutte le sue manifestazioni gli studiosi della cultura nel contempo la plasmano, creando nella cultura un metalivello specifico. Jakobson è stato uno dei primi a distinguere il livello del linguaggio oggetto dal livello del metalinguaggio: «A questi due livelli del linguaggio diversi è possibile usare lo stesso corpus verbale; così possiamo parlare in inglese (come metalinguaggio) dell’inglese (come linguaggio oggetto) e interpretare le parole e le frasi inglesi per mezzo di sinonimi e circonlocuzioni inglesi» (Metalanguage as a Linguistic Problem 1956). Per Jakobson il metalinguaggio è un problema linguistico e riguarda non solo l’indagine scientifica ma anche la vita di tutti i giorni dei bambini e degli adulti: «Il metalinguaggio è il fattore vitale di qualsiasi sviluppo verbale. L’interpretazione di un segno linguistico mediante altri segni per certi aspetti omogenei dello stesso linguaggio è un’operazione metalinguistica che svolge un ruolo essenziale nell’apprendimento infantile della lingua». Non solo il singolo bambino, ma anche la cultura in quanto intelletto collettivo ha bisogno di un metalinguaggio per svilupparsi. Questo metalinguaggio, o meglio sistema di metalinguaggi, è elaborato dagli studiosi delle scienze umane. Dato che gli studiosi di scienze umane e i loro metalinguaggi fanno parte anche loro della cultura, vanno pure analizzati.
Ûrij Lotman, il protagonista del «Manuale del traduttore di Ûrij Lotman», è uno dei fondatori della scuola semiotica di Tartu-Mosca. Questa scuola non ha un rigoroso sistema di metodi e termini, una dottrina metodologica. Ma se i numeri della prima rivista semiotica del mondo, «Trudy po znakovym sistemam/Sign Systems Studies», sono per tutta la scuola la fonte per ricostruire il programma metodologico e il campo terminologico, con questo non si esaurisce il retaggio individuale di Lotman. Per i traduttori, i testi di Lotman sono sempre stati un bel problema, poiché i cambiamenti semantici dei termini sono stati un tratto caratteristico della sua evoluzione. Linguaggio, testo, cultura, semiosfera, memoria della cultura, esplosione e altri concetti compaiono nei testi di Lotman con ampie variazioni di significato. Queste variazioni testimoniano lo sviluppo della semiotica lotmaniana e i cambiamenti concettuali nella concezione dei termini. Nel contempo, quando nella concezione dei termini ci sono differenze anche in opere scritte nello stesso periodo, la variabilità è dettata dal contesto.
Quando le opere di Lotman sono tradotte in una certa lingua da traduttori diversi, i problemi di comprensione diventano ancora più complessi. L’indefinitezza terminologica può trasformarsi in contraddittorietà. Per esempio, un mio rispettabile collega giapponese mi ha detto che in Giappone la ricezione di Lotman è complicata perché il Lotman giapponese
non ha un linguaggio proprio. La causa principale sta nel fatto che Lotman è stato tradotto in giapponese da traduttori diversi con conoscenze diverse della semiotica in generale e delle altre opere di Lotman in particolare. Di conseguenza queste diverse traduzioni non creano una rappresentazione coerente del pensiero scientifico di Lotman.
Anche in Italia ci sono molti traduttori di Lotman, come anche molti esperti della sua opera scientifica. Ma tuttavia nonostante l’abbondanza di interpretazioni diverse esiste una concezione unitaria del pensiero lotmaniano. Forse è proprio l’attivismo degli studiosi italiani nell’interpretare il retaggio di Lotman a dare l’impressione di una concezione comune. Lotman stesso ripeteva il concetto di Karl Popper secondo cui è possibile avere un pensiero preciso in un linguaggio impreciso. Si può sviluppare questo concetto e dire che è possibile pensare in modo comprensibile in un linguaggio impreciso. Uno dei misteri di Lotman è la sua capacità di essere comprensibile sia come autore di testi accademici sia come interlocutore degli studenti universitari o dei telespettatori. Se risulta comprensibile, deve esserci una coerenza inafferrabile che si esprime non solo negli articoli divulgativi, ma anche nei lavori scientifici seri. Nel caso di Lotman, invece di «coerenza terminologica» si può parlare di «coerenza categoriale» del suo pensiero.
Nel 1973 sono state pubblicate le Tesi per uno studio semiotico delle culture, collettanee, dove nel primissimo paragrafo, 1.0.0, si parla della collocazione disciplinare della semiotica della cultura come «scienza della correlabilità funzionale dei diversi sistemi semiotici». All’inizio degli anni Ottanta Lotman precisa il concetto di «semiotica della cultura»: «L’impostazione della semiotica della cultura – disciplina che prende in considerazione l’interazione tra sistemi semiotici eterostrutturati, l’irregolarità interna dello spazio semiotico, la necessità di poliglossia culturale e semiotica – ha spostato in gran parte le idee tradizionali della semiotica ». E dopo altri dieci anni Lotman scrive nel libro Cultura ed esplosione: «Lo spazio semiotico ci appare come l’intersezione multistrato di testi diversi, che insieme convergono in un certo strato, con complesse correlazioni interne, con vari gradi di traducibilità e spazi d’intraducibilità. Sotto questo strato è disposto lo strato della realtà
, quella realtà organizzata da linguaggi eterogenei e che si trova in correlazione gerarchica con loro. Entrambi questi strati creano insieme la semiotica della cultura. La realtà che si trova al di fuori dei confini del linguaggio sta fuori dai confini della semiotica della cultura». I lettori trovano queste ultime due citazioni nel presente libro.
Questo libro è stato per me a suo modo una rivelazione. Mi ha fatto venire in mente alcuni fatti poco noti della storia della scuola semiotica di Tartu-Mosca, e mi ha permesso anche di vedere in modo nuovo gli aspetti categoriali generali del pensiero scientifico di Lotman. Un fatto interessante è la partecipazione di Vygotskij alla fondazione della semiotica della cultura. Nel 1962 si è tenuto a Mosca un convegno di semiotica, nei cui atti compare un lungo brano tratto dal libro Psicologia dell’arte di Vygotskij, morto da tempo. Il brano era stato scelto da Ivanov, uno dei principali semiotici della scuola. Fu lui a cercare seriamente di ricollegare alla scuola di Tartu-Mosca un retaggio rimosso a forza, prima di tutto quello di Bahtìn e di Èjzenštejn. Questo fatto mi è venuto in mente alla prima lettura del manoscritto di questo libro.
Lotman di rado faceva riferimento in modo esplicito a Vygotskij, ma questo libro mostra che per una comprensione completa di Lotman occorre riflettere sul legame nascosto o poco evidente tra il pensiero di Lotman e il concetto di «pensiero» nelle opere di Vygotskij. La triade vygotskiana discorso-discorso egocentrico-discorso interno è profondamente integrata nel pensiero di Lotman. Il discorso come manifestazione del linguaggio, il discorso egocentrico come sistema esterno per struttura e il discorso interno come sistema complesso in cui si alternano codici verbali e visivi o, tradotto nel metalinguaggio lotmaniano, linguaggi discreti e continui (iconici). Lotman amava fare riferimento al parallelismo dell’intelletto umano e della cultura come intelletto collettivo.
Sullo sfondo di questo parallelismo è più comprensibile il rapporto particolare di Lotman con gli universali culturali e la tipologia delle culture. Secondo il semiotico la proprietà più universale di tutte le culture è la propensione all’autodescrizione e la capacità di farlo. Tutte le culture hanno i mezzi per autodescriversi, e più una cultura è ricca, più dispone di linguaggi descrittivi. Questi linguaggi sono appunto i linguaggi della cultura e a questi fanno riferimento i (meta)linguaggi in quanto fondati sul linguaggio naturale (linguaggi orali, narrazioni dei racconti infantili, linguaggio letterario, lingua della letteratura e della poesia, linguaggi della critica, linguaggi dell’analisi scientifica e altri linguaggi descrittivi), come anche quelli visivi (quadri, illustrazioni di libri), audiovisivi, mediali, performativi e anche i rituali di comportamento. Ogni atto di comunicazione nella cultura può essere interpretato a un livello più generale (metalivello) come autodescrizione della cultura. Tutto il sistema dei linguaggi autodescrittivi è paragonabile, a livello di singola persona, al discorso egocentrico.
Ma lo strato profondo della cultura è simile al discorso interno. Qui avviene un passaggio costante dal verbale al visivo e viceversa. Ma questo processo avviene nello spazio convenzionale della persona, del testo, della cultura, della semiosfera. È quello stadio dell’autocomunicazione che conduce alla concezione dell’identità, propria e altrui. Per questo motivo «interno» ed «esterno» diventano concetti categoriali fondamentali di tutto il sistema lotmaniano. E per questo «autodescrizione» e «autocomunicazione» in questo sistema non sempre sono sinonimi. Il primo Lotman definiva «testo» l’insieme nato nel punto d’intersezione dei legami extratestuali ed intratestuali. Una delle caratteristiche importanti dell’insieme (testo, cultura, semiosfera) è il confine. Nelle varie opere di Lotman troviamo anche la distinzione tra confine esterno e interno, e anche tra linguaggio interno ed esterno dell’insieme. Nell’àmbito della cultura si distinguono la poliglossia esterna e interna, la memoria esterna e interna. Si può aggiungere la singolarità o il binarismo nascosto nei concetti di monologo interno, traduzione interna, indeterminatezza interna e così via. E qui non si indicano tutti gli usi della dicotomia esterno-interno.
Nella visione lotmaniana la lingua è anche il sistema di modellizzazione primaria e sta alla base dei sistemi di modellizzazione secondaria, senza comprendere i quali non si può capire la cultura. La lingua in quanto mezzo di comunicazione è sempre in corso di cambiamento. La lingua si manifesta, le sue proprietà si dispiegano nell’uso. Lotman sottoscriverebbe il pensiero di Benveniste secondo cui «rien n’est dans la langue qui n’aura été d’abord dans le discours» [«nella lingua non c’è nulla che prima non sia stato nel discorso»]. La lingua funge da metalinguaggio come sistema di modellizzazione secondaria e il linguaggio naturale coesiste con gli altri sistemi di segni nella cultura (con i linguaggi della cultura). La quantità e i tipi di linguaggio della cultura determinano le possibilità d’autodescrizione della cultura. Ma alla base dei processi d’autodescrizione stanno i processi creativi cognitivi d’autoidentificazione. Perciò in profondità il sistema di Lotman si fonda sull’autocomunicazione, sull’espressione del proprio Io personale, del testo, della cultura, della semiosfera, della società, sulla ricerca del concetto di «Io» nell’insieme.
Questo libro di Bruno Osimo permette di percepire questo livello profondo del pensiero di Lotman dove si nascondono le radici della sua integrità, la sua strutturazione categoriale del mondo e della storia, la quale sta alla base della sua semiotica della cultura. Questo libro si può definire una traduzione ben fatta di Lotman, poiché trasmette non tanto le teorie lotmaniane, quanto il tipo di pensiero che lo ha condotto alle sue teorie. Per questo si tratta di un libro utile sia per gli esperti che possono farne una rilettura, sia per i neofiti che possono fare una prima conoscenza con il suo pensiero semiotico.
Peeter Torop
Dipartimento di semiotica, Tartu Ülikool
Guida alla pronuncia
In questo libro si è seguita la norma ISO/R 9:1995, l’aggiornamento più recente della norma internazionale sulla traslitterazione dei caratteri cirillici. Ecco alcune indicazioni pratiche per la pronuncia:
â si pronuncia come ia nella