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Il Vagabondo
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Il Vagabondo

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About this ebook

La vita da produttore di successo di Avril è finita. Il tumore che le hanno diagnosticato non ha mai lasciato nessuno in vita. Si prepara a dire addio ad amici e parenti quando un incontro fortuito con Donte, un enigmatico vegliardo, la costringe a fare una profonda introspezione ed a prendersi la responsabilità della sua malattia.
Dopo essersi imbarcata con Donte in un’avventura spirituale, Avril viene guidata a confrontarsi con la bambina che è in lei. Ricordarsi I segreti del suo passato e sperimentare di persona la sua stessa morte sono le chiavi della sua sopravvivenza.
LanguageItaliano
Release dateJul 12, 2018
ISBN9788828355946
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    Il Vagabondo - Pompeo Graniglia

    IL VAGABONDO

    Il Bambino interiore

    By

    Pompeo Graniglia

    Copyright 2018 By Pompeo Graniglia©

    Tutti i diritti sono riservati

    Indice

    Il Vagabondo

    Prefazione

    Ringraziamenti

    Capitolo 1

    Capitolo 2

    Capitolo 3

    Capitolo 4

    Capitolo 5

    Capitolo 6

    Capitolo 7

    Capitolo 8

    Capitolo 9

    Capitolo 10

    Capitolo 11

    Capitolo 12

    Capitolo 13

    Capitolo 14

    Capitolo 15

    Nelle notti più scure

    Puoi vedere le stelle meno luminose

    Se solo alzi gli occhi al cielo

    Nei giorni più cupi

    Puoi trovare la pace

    Se solo guardi dentro di te

    Se sei di fronte alla morte

    Puoi cominciare a vivere

    Se solo scopri il bambino interiore

    Questo libro è dedicato a coloro la cui sete di conoscenza non può essere placata solo dalle risposte fornite dalla scienza e dalla religione.

    Il messaggio riportato tra le sue pagine è comunque destinato ad una sola persona; se quella persona sei tu, hai la responsabilità di condividere le tue scoperte con chiunque incontri sul tuo cammino. Tu non hai bisogno di una nuova religione, di una nuova filosofia o di un nuovo guru; non hai bisogno di imparare niente, perché tutta la conoscenza è contenuta nella ragnatela dell’universo, il Godnet. Hai solo bisogno di ricordarti di quel bambino interiore che osserva tutto senza giudicare. Questo è il vero miracolo di ogni giorno, questa è la strada che porta al regno dei cieli, dove pace e amore regnano supremi.

    Prefazione

    C’è una parola tra queste pagine che è fraintesae abusata in quasi tutte le lingue del mondo, con pochissimeeccezioni.

    Questa parola è ‘responsabilità’.La parola ‘responsabilità’ deriva dallatino e significa letteralmente avere la capacità dirispondere ad una qualunque situazione. Tale capacità ètua fin dalla nascita e non è qualcosa che hai bisogno diimparare. La facoltà di reagire istintivamente alle sfide cheaffronti ogni giorno la dimostri tantissime volte durante la tuavita; ecco perché sarebbe più corretto dire ‘Iorivendico’ la responsabilità di quello che succede(il che mi conferisce il potere di scegliere la mia reazione),piuttosto che ‘Io sono’ responsabile, oppure‘Io ho’ la responsabilità di quello chesuccede (il che mi rende schiavo della paura e del senso dicolpa).

    Rivendicare la propria responsabilità nell’affrontarele sfide della vita, che siano fisiche, psicologiche o finanziarie,comporta il massimo livello di fede nella potenzialità che hal’uomo di guarire. Ricordare il bambino interiore èquindi il primo passo da fare sulla scala che porta alla meta checi proponiamo di raggiungere, qualunque essa sia.

    Ringraziamenti

    Voglio ringraziare di cuore tutte le persone che hannocontribuito con il loro supporto al compimento diquest’opera: Lee-Ann Skomski, la mia ex-moglie e miglioreamica, il cui coraggio nell’affrontare una malattiaincurabile è stato l’ispirazione per il carattereprincipale di questa storia; i miei tre figli, Tess, Andre' e Luca,che mi hanno insegnato rispettivamente amore, passione edeterminazione; mio fratello Riccardo, la personificazione dellacompassione e dell’altruismo; Patrizia Guida, un sostegnoindispensabile alla traduzione dei testi; Alison Taft, che ha datovivacità ad un dialogo che sarebbe altrimenti stato unamonotona predica; alla Cornerstone Literary Agency, la cuirelazione editoriale mi ha aperto gli occhi ad una nuovaprospettiva. Infine, un grazie particolare va a tutti coloro che sisono trattenuti dal farsi sonore risate quando ho dichiarato diaver cominciato a scrivere un romanzo.

    Capitolo Primo: La pietra filosofale

    Fai quello che vuoi fare

    Ma sii quello che devi essere

    I miei giorni si staccano dal calendario come petali da una rosa appassita. Faccio il conto alla rovescia a partire da tre, prima di aprire la porta che dà nell’ufficio principale. Una mezza dozzina di persone, nasi incollati agli schermi, sono apparentemente assorbiti nel loro lavoro. Ingoio saliva per schiarirmi la gola. Qualcuno mi faccia un caffè prima che io esploda.

    L'orologio incorniciato d’argento sopra la scrivania di Jen ostenta le dieci passate, e così ho sprecato tutta la giornata a spegnere fuochi a destra e a sinistra. Sono sicura che questo sarà uno di quei giorni che non finisce mai. Tutti gli obiettivi che mi ero prefissa nei miei cinque minuti di riunione di questa mattina sono ancora sulla mia lista di cose da fare. Se avessi più energia, potrei essere più produttiva e meno reattiva. Questa è la battaglia che affronto ogni giorno; anche se non segno i punti, ho l’impressione di essere vicina a una sconfitta.

    I difetti del designer mi hanno obbligata ad attraversare tutta l’area di produzione, dal lato opposto dell'edificio, per poi raggiungere il mio posto. Avevo la stessa sensazione che provavo da ragazza, quando passavo davanti a un edificio in costruzione. Tutti gli occhi degli operai puntati su di me, e io che mi irrigidivo per la marea di fischi che stavano per assalirmi. La nuova assistente di produzione - ho dimenticato il suo nome - che ha l’aspetto di una dodicenne, si affretta in direzione della cucina.

    Quasi ci sono, ma appena fuori dal mio rifugio, Julie si materializza dal nulla, come fa sempre, stringendo i suoi appunti sul petto come se fosse la coperta di Linus. Timida ma insistente come un calabrone – di quelli che sembrano troppo grossi per poter volare. Si sa che stanno producendo del miele e che bisognerebbe apprezzarli per questo, ma in realtà gli si vorrebbe proprio dare un bel colpo di scacciamosche. Sì?.

    Ciao, Avril. Com’è....

    Alzo la mano come farebbe un vigile. Qual è la cosa peggiore che mi devi dire?.

    Jarrod ha chiamato. È confermato. Vuole che tu vada subito da lui. Hanno accettato la trattativa.

    Appena varco la soglia della mia tana noto che la pila di manoscritti, che formano dentellature agli angoli della mia scrivania, sembra una fortezza - un bunker di carta. Come sarebbe subito?. Sradico il mucchietto di appunti dalla mano di Julie, metto la mia borsa nel suo cassetto abituale e mi siedo davanti al portatile.

    Il primo volo disponibile.

    Ah, davvero?.

    Almeno così ha detto. Le sue nocche splendono bianche ai bordi del suo portablocchi. Si siede di fronte a me.

    Cosa c’è all'ordine del giorno?. Accartoccio una pallina con la metà degli appunti e la lancio verso il cestino alla mia destra, poi attacco il resto ai lati del monitor. Sembrano petali colorati intorno ai bordi dello schermo.

    Hai una riunione esecutiva tra mezz’ora....

    Dì a Mike di andarci. E digli anche che voglio la sua relazione prima dell’una.

    Julie scarabocchia sui suoi appunti, mentre io accendo il laptop.

    Hai Margot, domani e....

    Apro la mia casella di posta in arrivo. Porca miseria, ma è mai possibile che nessuno fa più niente senza mandare prima una email? Rimanda alla prossima settimana.

    La mia attenzione si sposta su un messaggio di Mike. Digito la mia risposta e poi mi accorgo che Julie è ancora davanti a me, imbambolata. Mi acciglio.

    Lei si schiarisce la gola. Ho detto che il dottor Adams....

    La scaccio con un gesto della mia mano destra. Cancella.

    Julie mi guarda con occhi spalancati. La sfido a dire un’altra parola. Il suo collo si fa rosso. Vuoi che prenda un altro appuntamento?.

    lo farò quando torno. A che ora c’è l’aereo?.

    I suoi occhi si alzano sull'orologio dietro di me. Fra tre ore e quarantacinque minuti.

    Dì a Rich di portare la limousine qui davanti per l’una e mezza. Oh, e preparami la valigia per favore.

    Io odio volare. Non perché penso ‘Dio mio e se precipitiamo?’. C‘è maggiore probabilità di morire attraversando la strada, soprattutto a Los Angeles, e poi un incidente aereo è il miglior modo di morire. È finita in pochi secondi, non c’è tempo per ambiguità o rimpianti. Le luci si spengono e il gioco è finito.

    No, io odio volare perché nonostante ciò prometta pace e tranquillità, non la si ottiene mai. Una volta ho prenotato un volo giusto per ritrovarmi nello spazio per un po', per aprire un libro dimenticato e magari anche guardare un film o due. Ed ecco che questo ragazzino dietro di me ha iniziato a piangere e piangere. Non ha mai smesso per tutta la durata del volo.

    Durante il volo leggo una dozzina di sceneggiature, nessuna delle quali cattura la mia attenzione. Ci sono così tanti sognatori là fuori - persone che pensano di avere la stoffa. Non so proprio da dove arrivi il loro ottimismo. Forse sono tutti ragazzi portati su da genitori traboccanti di lodi per i loro favolosi scarabocchi. Sovraccarichi di fiducia, eccessivamente ambiziosi, tutto stile e nessun contenuto. Guardo qualche filmato sul mio Ipad, le ultime riprese che mi ha mandato Mike prima che io partissi. Quando arriviamo al JKF, sono già agitata e scontrosa.

    Ricordo la prima volta che arrivai a New York. Camminavo per le strade mezza frastornata, come fossi rinchiusa in una grossa sfera di dejà vu. Ogni volta che giri l’angolo c'è una scena iconica di fronte a te, come nei posti dove sei cresciuto.

    Ho vissuto negli Stati Uniti per più di venti anni e non è più il brivido di una volta. La folla di turisti vaganti intorno all’aeroporto di New York ti fanno desiderare di startene a casa tua. Accendo il mio cellulare appena esco dall’aereo, ma lo lascio nella tasca della giacca. Comincia ad emettere il suo bip-bip prima ancora ch’io raggiunga il tunnel dell’aeroporto.

    Lo tiro fuori e controllo lo schermo. Lampeggia come un set di lucine su un albero di Natale troppo adornato. I messaggini - Cristo - Erano le 2 del pomeriggio quando ho lasciato Los Angeles. Ma non la smette mai nessuno di lavorare? Sorvolo sui messaggi che si succedono l’uno all’altro. I miei compagni di volo mi guardano mentre sfilo sul corridoio che porta agli arrivi. Non li biasimo. Sto emettendo un segnale acustico quasi ogni due secondi. Passo alla modalità silenziosa mentre il terrore si insinua nelle mie vene. Qualcosa è andato storto e scommetto che ha a che fare con Clara. Non mi dispiace affrontare il registro delle celebrità di prima classe. Loro hanno guadagnato il diritto di essere esigenti e nevrotici. Ma quello di seconda classe che si maschera da prima mi manda in tilt. Premo il pulsante che mi connette con Julie. Lei risponde solo al quinto trillo, il che mi dà il tempo di fare il calcolo. Sono le 7 di sera a Los Angeles.

    Mi dispiace davvero darti fastidio, sono le sue prime parole e la sua voce è ansimante, come se avesse appena finito una corsa. Piuttosto strano.

    Cos‘è successo?.

    Ho provato a chiamarti.

    Ero sul volo che mi hai prenotato tu, ricordi?. Devo proprio trovarmi un’altra assistente. Abbasso la voce. Non è possibile rispondere sull’aereo....

    Ho parlato con il dottor Adams.

    Questa è la prima volta nella sua carriera di segretaria personale che Julie mi interrompe. Sono così presa alla sprovvista che dico Chi?.

    Dottor Adams.

    Questo è tutto? Nessun dramma con Clara? E dove sono le note che Mike doveva mandarmi? Non ho....

    Avril. La sua voce è diversa - più forte. Ha bisogno di vederti.

    E io ti ho già detto che lo vedrò quando torno.

    Però ha detto… ha bisogno di vederti subito.

    Ma se sono a New York.

    Ha detto… che devi tornare immediatamente.

    Mi accorgo che non mi muovo più. Intorno a me la vita continua, la gente mi passa davanti e di tanto in tanto mi sbattono contro, ma nel mezzo di tutto questo movimento e questa frenesia il tempo si distorce, si piega e poi si ferma.

    Torno fra cinque giorni. C’è uno strano suono dall’altra parte della linea telefonica. Julie?.

    Mi dispiace.

    Cristo.

    È solo che....

    Che ti prende?.

    Non c’è risposta. La sento che inspira. I miei occhi sono ancora irritati dall’aria condizionata che ha trasformato la mia cornea in carta vetrata. Quando Julie riprende a parlare, mi ricorda una madre che parla al suo bambino, la sua voce lenta e morbida. Devi tornare subito a casa.

    Col cavolo. Sono appena arrivata. Non ho mica l’aereo privato io.

    Ho prenotato il biglietto.

    Hai prenotato un biglietto? Ma sei pazza? Ho una riunione dietro l’altra....

    Le ho già cancellate tutte.

    Hai cancellato le mie riunioni?. Vorrei proprio smetterla di ripetere come un pappagallo tutto ciò che sento. La gente comincia a guardarmi strano. Abbasso la voce. Tutte?.

    Devi ritornare subito.

    Non puoi permetterti di dirmi quello che devo fare.

    Il dottor Adams vuole vederti.

    Anche Jarrod vuole vedermi.

    Jarrod lo sa, dice Julie. Mi ha detto di dirti che ti ordina di tornare a casa.

    Hai parlato con Jarrod?. Jarrod è l’unica persona al mondo cui devo obbedire. Ha in mano i cordoni che chiudono la borsa e non ha paura di tirarli. Ha detto proprio ’ti ordino’?.

    Rich verrà a prenderti. Non appena arrivi ti porterà dal dottor Adams. Lui ti aspetta.

    Lui mi aspetta?.

    Si’.

    Attraverso la sala degli arrivi per poi dirigermi verso il check-in senza pensare. La biglietteria è esattamente dove Julie mi ha detto che sarebbe stata. Passo una mano tra i capelli e sento il mio cuoio capelluto formicolare. Come sarebbe pieno? Non è possibile, ci sarà almeno qualcosa in prima classe.

    È già una fortuna che ha trovato il posto, dice l’attendente con occhi di vetro. I bottoni sulla sua deplorevole camicetta royal blue sono sotto sforzo dalla pressione dei suoi seni.

    Sarò schiacciata addosso a qualche maleodorante individuo sovrappeso che non finirà mai di annoiarmi e tu la chiami fortuna?. Cerco le compresse per l’emicrania nella mia borsa da viaggio.

    Posso esserle utile in qualcos’altro?. La receptionist mi presenta la carta d'imbarco, con una faccia di pietra. Gliela strappo di mano e mi dirigo verso i sedili nell'area di attesa. Ovviamente c’è solo un posto vuoto. Un sedile di plastica blu sagomato come un secchio. Mi siedo e continuo a rovistare nella borsa. Le pillole non ci sono. Maledico Julie a denti stretti.

    Mi scusi, dice una voce. Alzo lo sguardo e mi trovo davanti un uomo alto e snello, con capelli argento ed una barba dello stesso colore che gli tocca il petto. Sembra che abbia 70, forse 80 anni e indossa una felpa bianca. I pantaloni poi sono di una tuta verde sbiadito, legati alla vita con quello che sembra essere un cordone.

    Io sospiro. Lasciami in pace. Ho l’emicrania!.

    Volevo solo sapere se questo posto è libero. Aggrotto le ciglia, poi guardo il posto al mio fianco. Mi sorprende scoprire che è libero - non m’ero accorta che era stato abbandonato.

    Faccio spallucce e poso la mia valigetta sul grembo. Apro la zip per guardarci dentro. Il vestito di Saint Laurent che ho indossato all’ultimo British Academy Awards è ordinatamente sistemato su tutto. Palpeggio intorno ai bordi finché la mia mano tocca il borsellino dei farmaci. È psicosomatico, lo so. Io odio i medici. Sto sviluppando sintomi al solo pensiero di quell’appuntamento. Mi chiedo perché Julie fosse in lacrime. Immagino che il dottor Adams stia per andare in vacanza e voglia chiudere la pratica prima di andarci. Va a finire che passerò l’intera giornata tra le nuvole senza alcun motivo.

    Tiro fuori il borsellino stando attenta a non sgualcire niente. Lo smilzo legato col cordone sta guardando nella mia valigia. Io la chiudo di botto e gli lancio un’occhiataccia. Lui mi fa l’occhiolino e a questo punto mi chiedo se non sia scappato da un istituto psichiatrico. Mi guardo intorno per vedere se c’è qualcuno che lo cerca, ma non vedo nessuno in giro che assomigli a un infermiere. Estraggo due Tylenol dalla loro carta argentata e una Dramamina dalla bottiglietta e le ingoio tutte e tre. Sono soggetta ai mal di testa perché ho il lavoro più stressante del mondo, è ovvio. Metto giù la valigetta e mi alzo.

    Il pazzoide si alza dopo di me e mi fissa la testa. Che guardi?, gli chiedo. Lui non risponde. Invece mi si piazza davanti e mi guarda fisso negli occhi. Ci stiamo quasi toccando. Io resisto alla tentazione di schiaffeggiarlo. Ma che vuoi?.

    Ho qualcosa per te, dice. Io mi acciglio. Non riesco

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