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L'American Dream
L'American Dream
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L'American Dream

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About this ebook

Nell’indistinto e tumultuoso ventre di una New York di oggi si incrociano i destini di tre donne.

Sono approdate nella Grande Mela in tempi e in modi molto diversi e nulla hanno in comune se non l’essere portatrici ciascuna di un mistero.

Le verità che le riguardano emergono gradualmente dalla narrazione; i colpi di scena producono improvvise reazioni, mentre i molteplici e disparati tasselli della vicenda vanno componendo un quadro via va più unitario delle singole esperienze di vita.

Intanto le solitudini si stemperano nella benefica solidarietà dell’amicizia fra donne.

Ma la tensione del racconto continua ad intensificarsi e non si scioglie che nelle ultimissime pagine del romanzo.

Chiara Montanari vive in Liguria ed insegna storia e filosofia in un noto liceo della riviera. Ha già pubblicato nel 2014 il romanzo “Ho avuto solo un mito”
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateJul 20, 2018
ISBN9788827840337
L'American Dream

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    L'American Dream - Chiara Montanari

    Dream

    L’ AMERICAN DREAM

    di

    Chiara Montanari

    A Federico.

    Così, incapace di compiersi in solitudine, l’uomo, mettendosi in relazione coi propri simili, è in continuo pericolo; la sua vita è un’impresa impossibile, la cui riuscita non è mai sicura. Tuttavia, egli non ama le difficoltà; ha paura del pericolo.

    S.De Beauvoir

    Intro

    "È noto che tra gli opposti vi sia attrazione: si dice che c’entri con la chimica. Ma la vita dimostra che poi, alla lunga,  sono i simili quelli che durano nel tempo."

    Amanda Leroy si soffermò su un articolo di una rivista femminile e, con gli occhi smarriti rivolti al soffitto, il dito indice piantato nel mento, si chiese su cosa si basasse la sua relazione di coppia.

    Non sapeva dire se Corrado era un suo simile o un suo opposto: come poteva se non era nemmeno in grado di definire se stessa?

    A essere onesti aveva dei dubbi anche sull’attrazione che lui esercitava su di lei. E viceversa.

    Sarebbero durati nel tempo?

    In tutta onestà sperava di no.

    Di loro due insieme conosceva solo il presente perché la sua labile memoria compromessa da un incidente quasi letale non tratteneva niente.  Un setaccio con grandi buchi nel quale i ricordi entravano e colavano via senza fatica, così spiegava il suo stato di amnesia. Era come se la sua testa, spappolata dall’impatto dell’auto, ora si vendicasse con cattiveria, cancellando le reminiscenze – e le persone- che potevano dare un senso alla sua vita.

    Non aveva altri che lui, questo lo sapeva, eppure non afferrava il motivo che la teneva legata al marito da ormai quasi dieci anni.

    Lo considerava un fratello, ma senza tutto quell’affetto che si prova per un consanguineo.

    Era certamente una compagnia sicura, neanche troppo piacevole, però. Di quelle di cui si può fare a meno.

    A letto non consumavano più niente da secoli.

    Amanda aveva tentato di sedurlo chissà quante volte, invano.

    E più Corrado la rifiutava, più lei maturava l’idea di tradirlo, non tanto per un’indole infedele, che probabilmente non le apparteneva, piuttosto per mettere alla prova i suoi reali sentimenti, per dimostrare di cosa era capace.

    Era difficile ammetterlo, ma lei, quell’uomo, non lo voleva più.

    Non di rado provava fastidio per via della sua voce sguaiata e quasi ribrezzo alla vista del grasso che gli usciva dalla cintola dei pantaloni e della couperose che aveva sul viso. L’odore acre che emanava la sua pelle umidiccia la nauseava.

    Avrebbe voluto tradirlo- e non per una sola volta - con un uomo più degno di lui; un uomo che, almeno durante il sesso, la facesse sentire donna.

    Accanto a suo marito si sentiva degradata.

    Erano solo l’abitudine e la paura di restare sola a tenerla ancorata lì. Di ciò era vagamente consapevole.  Inoltre, mentre Amanda non aveva ricordi, lui sapeva tutto di lei, e ciò le offriva una parvenza di sicurezza, come se durante un naufragio, avesse trovato un tronco d’albero cui aggrapparsi.

    Signora Leroy, prego, tocca a lei. Come li facciamo i capelli oggi?

    Amanda ebbe un piccolo tremito e ritornò alla realtà che aveva tutte le sembianze di un beauty saloon.

    "Eccomi, scusami, ero sovrappensiero … le tue riviste sono sempre così intriganti!

    Facciamoli ondulati con i soliti colpi di sole, ma, mi raccomando, deve essere un colore omogeneo perché sembrino naturali."

    Si sedette davanti allo specchio e, mentre il parrucchiere le impiastricciava i capelli con un amalgama giallastro, sbirciò l’Iphone per vedere se aveva messaggi e poi si rituffò nei suoi pensieri.

    Ultimamente aveva frequentato un ragazzo, uno studentello universitario un po’ troppo giovane, forse. Non avevano combinato un granché: lui sembrava inibito, impacciato quando era davanti a lei; non riusciva a prendere l’iniziativa. Trovava il coraggio di invitarla fuori per un caffè, un tè, un aperitivo, ma poi si fermava lì. Amanda, già stufa di questa relazione inconcludente, aveva deciso di troncare non rispondendo più alle sue chiamate.

    Anche questa volta è andata così … gli uomini evidentemente non vogliono venire a letto con me. Devo prenderne atto. Meno male che ho Corrado! Pensò commiserandosi un poco.

    Corrado era come lo scrigno dei segreti che Amanda avrebbe voluto trafugare, se non fosse che lui lo salvaguardava con cura e, non appena lei tentava di investigare sul suo passato, subito diventava sfuggente: si ritraeva, inventava scuse e cambiava argomento.

    Ne avrò diritto, no? È la mia vita! ringhiava lei nei momenti di lite.

    Faceva la matta per un po’ fino a quando Corrado non arrivava con un bicchier d’acqua, una capsula viola e un sorriso finto che aveva la pretesa di rassicurarla.

    Prendi questa, starai meglio e ti aiuterà a calmarti. In effetti, bastavano pochi minuti per vedere Amanda accasciarsi su una poltrona, sedia o divano, a seconda di dove si trovava, e assopirsi leggermente.

    Non stava affatto meglio.

    Il senso di vuoto aumentava e la inghiottiva. In uno stato di catalessi, riusciva appena a guardarsi le punta delle dita, le unghie, poi la pelle del braccio; a fatica piegava un gomito, apriva e chiudeva una mano e si domandava: Esisto solo fuori o sono qualcosa anche dentro? Chi sono?

    Li asciughiamo col phon o con la piastra signora Leroy?

    Eh? Piastra? No, phon. Sì, piastra, piastra. Forse meglio col phon.

    L’eterna indecisa.

    New York, martedì 30 novembre

    Tra poche ore partirò per New York e per la prima volta non vorrei andare. Mi sento vuota e triste. Non voglio stare accanto a lui. Avrei soltanto bisogno di emozioni: il cuore che sbatte nel petto e il sangue caldo nelle vene. Vorrei sentirmi dire Ti amo e Sei tutto per me. Vorrei un uomo che ansima sul mio collo, che trema sfiorando i miei capelli, che mi supplica di non pronunciare il suo nome -oh, no, don’t say my name -, che si butta in ginocchio ai miei piedi -I’m on my knees for you- e che in risposta alla mia frase un po’ cinematografica Non innamorarti di me, mi risponda Troppo tardi! -it’s too late, baby-.

    Non ho niente di tutto questo. Sono sposata da quasi dieci anni con uno che non mi desidera, non mi ama, non mi conosce, non è interessato a me.

    Io, che non ricordo nulla di ciò che è il mio passato, accanto a lui vorrei sentirmi protetta nei miei momenti bui e sorretta nei miei crolli vertiginosi, invece ciò che sento sulla mia pelle è ghiaccio, indifferenza e solitudine.

    Non chiedo di essere né capita né ascoltata: forse sono troppo complessa e criptica. Forse dopo l’incidente sono impazzita. Vorrei solo essere desiderata e amata.

    Più desiderata che amata.

    Corrado nemmeno mi sfiora. Non mi guarda negli occhi: è come non esistessi.

    Non so più che sapore abbia un bacio: non ci baciamo mai.

    Il punto è che lui non è cambiato con il tempo, non è schiacciato dalla routine o stanco di avere accanto la stessa donna da anni: è sempre stato così. Almeno credo.

    E io gli sono stata fedele, mio malgrado.

    Ho avuto mille occasioni per tradirlo (un po’ le ho cercate, altre hanno cercato me) ma, al momento decisivo, ho avuto paura. Perché? Sono forse la sola?

    In questo mondo di perbenismo c’è pieno di coppie che stanno insieme per abitudine e fingono di essere felici; c’è anche chi non tradisce per vigliaccheria eppure non desidera altro dalla vita. La monogamia è un’utopia bella e buona: è stata la religione a indurci a credere che sia peccato avere più partners allo stesso tempo. Le donne, poi, spesso sono fedeli perché codarde: tradirebbero a tutte le ore e con chiunque, ma desistono perché temono di essere scoperte; paventano la rottura definitiva, la solitudine e- vogliamo dirlo?- lo svantaggio economico; forse sanno che proverebbero troppa vergogna ad avere un amante. No, non credo che per me sia questo. Sento la solitudine come una compagna fedele, sono ricca, e non abbasserei gli occhi davanti allo sguardo di mio marito tradito: se lo è meritato.

    Il mio unico timore (quanto mi costa ammetterlo!) è quello di non riuscire ad andare a letto con un uomo diverso da quello che ho. Di bloccarmi, insomma, e di fare una figuraccia. Non so neanche se sono capace di fare l’amore.

    Nel sexting però ero bravissima: intrattenevo lunghe chat eccitanti con più di un uomo alla volta. Non è vero che era tempo perso e che non servivano a nulla: a ogni rifiuto di Corrado, io mi voltavo dall’altro lato del letto e iniziavo a sognare ad occhi aperti un amore struggente: un mazzo di rose rosse, un biglietto d’amore, le mani che si sfiorano timide, sudate; le labbra che si cercano, che non vorrebbero, ma che nulla possono contro un’attrazione così forte. E poi il sesso, feroce, rapace, appagante. E così, con queste scene nella mente, descrivevo l’erotismo con maestria, come se fossi davvero coinvolta in un rapporto sessuale.  I miei interlocutori impazzivano. Mi avrebbero pagato pur di sentire la mia voce o di vedermi nuda usando Facetime! Ma niente, a me piaceva solo turbarli con le parole scritte. Mi eccitavo anch’io, lo confesso.

    Poi sono stata scoperta. Corrado mi ha preso il cellulare, ha aperto Whatsapp ed è sbiancato. Io lo guardavo fisso negli occhi per non perdermi nessun dettaglio di una sua reazione. Tutte le mie fantasie carnali erano lì, descritte nei minimi dettagli e ricevevano apprezzamenti eloquenti dai miei uomini virtuali. Lo sapevo che anche quello è da considerarsi tradimento - l’avevo letto su un giornale da donne - dunque mi aspettavo che Corrado mi chiedesse la separazione. Non so perché avevo lasciato il cellulare alla sua portata: forse volevo essere scoperta, forse desideravo umiliarlo. Eppure, anche davanti alla mia volontà così esplicita di tradirlo, non aveva reagito.  Mi aveva chiesto: Sei stata con qualcuno di questi uomini? ed io con fierezza avevo risposto: Sì!; poi lui aveva aggiunto: Realmente? ed io, a quel punto avevo dovuto specificare: Virtualmente. Ma che differenza fa?

    Non era abbastanza grave. Corrado era tornato a far finta di niente. Quella domanda però mi aveva portato a riflettere: dovevo essergli infedele nella realtà. Voleva i fatti e i fatti avrebbe avuto.

    Ora quello che so è che il mio unico scopo nella vita è diventato tradire mio marito e al più presto. Dopodiché potrò iniziare a vivere davvero.

    A.

    Da qualche tempo Amanda aveva imboccato la strada dell’autoanalisi, senza rendersi conto che trascrivere ogni suo pensiero più recondito non era per niente terapeutico: anziché curare le sue ossessioni, finiva con buttarle su carta, leggerle e rileggerle, ingigantendole e legittimandole ancora di più. Avrebbe avuto bisogno di uno specialista serio e onesto, ma ogni giorno si imbatteva nella sua laurea appesa in sala, chiusa in una cornice dorata.

    Amanda Leroy: Dottore in psicologia.

    (Sono io, no? E allora posso arrivarci da sola.)

    Questa Amanda Leroy era realmente esistita nel suo passato; aveva studiato tanto e a lungo. Allora doveva farcela. Non era possibile che continuasse a essere estranea a se stessa: i suoi studi l’avrebbero scandagliata da cima a fondo, anche se ricordava a malapena il nome di battesimo di Freud.

    La psicanalisi non l’avrebbe tradita: aveva deciso di rileggere ‘L’interpretazione dei sogni’, senza l’obbligo di arrivare alla fine, dopodiché avrebbe appuntato i sogni subito al risveglio mattutino e avrebbe confrontato le sue riflessioni con quelle di altri autori celebri, come Jung e Bettelheim.

    Impresa inutile: durante il sonno Amanda sprofondava in una sorta di catatonia che le bloccava la fase REM, perciò, quando si svegliava, mai prima di mezzogiorno, dopo dodici ore da quando era andata a letto, non aveva che stralci di racconti da trascrivere.

    Il suo taccuino era rimasto intonso per settimane, cosicché, senza farsi prendere dallo sconforto, seppure un po’ demoralizzata, aveva deciso di tenere un diario, una sorta di epistolario rivolto a se stessa.

    Corrado quasi ogni sera, assicurandosi che Amanda fosse crollata, leggeva le parole della moglie, tenendosi la testa fra le mani.

    E che lo faccia, allora! Che mi tradisca! Poi vedremo … si era detto dopo l’ennesima dichiarazione trovata sul diario, Forse è la volta che me ne libero sul serio e senza sensi di colpa.

    Lo sfondo

    Mancano sulla scena i fiori rossi dell’ibisco con il loro profumo inebriante a rammentare il tepore delle sere d’Africa e non si vedono né le noci di cocco che come frutti preistorici ciondolano pericolosamente dalle palme né le tartarughe giganti, esseri venuti da un’altra epoca che, lente, non conoscono i ritmi stressanti della modernità.

    Qui dove ci troviamo, il giorno non è scandito dal frinire regolare delle cicale che, nascoste fra le foglie di tè, si nutrono di rugiada e di ozio e, nella notte, è impossibile udire il lieve canto dei grilli.

    Non ci sono i lunghi viali coperti da fiori di tiglio e dalla bambagia del cotone che scende soffice come neve dalle piante; non si sente l’odore di un trito di aglio e prezzemolo, di un minestrone che bolle sul fuoco né quello del mosto nel periodo di vendemmia sui colli piemontesi.

    Non tira lo scirocco e la gente che fa colazione nei bar dei vicoli con un cappuccio e un pezzo di focaccia non è che un miraggio; i discorsi nel dialetto genovese sulle ultime notizie di calcio e poi via di corsa al lavoro in riva al mare sono solo un lontano ricordo.

    Non è l’Africa, non è il Piemonte, non è Genova.

    Welcome to New York!

    E dentro questo sogno a stelle e strisce c’è qualcuno che rimpiange i profumi e le tinte della propria terra natia.

    Qui s’inala dell’ottimo smog, fitto e denso; le narici s’impregnano di puzza di hot dogs, alette di pollo e patatine fritte. I colori, orfani di madre natura, sono sparati da miliardi di lampadine accecanti; suoni di sirene, clacson e allarmi rimbombano nelle orecchie forse per ricordare che la città pulsa di notte così come di giorno perché il sonno non è altro che una perdita di tempo.

    I tramonti poi visti da quaggiù sono schivi, sbiaditi e spezzati da un’accozzaglia di ferro e cemento, niente a che vedere con le larghe pennellate di rosso, rosa e arancio che verniciano i cieli plumbei di una Genova d’inverno, ventosa e turbolenta come solo lei sa essere.

    Se la New York metafisica non è un granché, quella fisica e fenomenica si presenta con le sembianze di un presepe metropolitano, chiassoso, zeppo di facce di ogni etnia, tempestato da una sproporzione di luminarie colorate e si concentra lì, in quella lunga lingua che è Manhattan, con un lato a bagno nell’East River e l’altro lambito dal fiume Hudson.

    La città guarda, superba e distaccata, gli strazi e le esultanze dei suoi abitanti, permanenti o nomadi che siano; si solleva verso il cielo, alta, imponente, con i suoi grattacieli in erezione e poi scende giù, giù in fondo, nel sottosuolo scavato fino alle porte degli inferi.

    Osserva, impassibile, l’ennesima coppia di innamorati a Central Park, la camminata di una giovane donna in carriera che, sicura di sé, attraversa Times Square e la fame boia di chi chiede l’elemosina davanti a Saint Patrick Cathedral.

    Segue, apatica, la velocità - il caos - lo stress di chi formicola per Wall Street; sbircia tra le persiane rotte le tragedie familiari che si consumano ad Harlem e accoglie, priva di fervore, le orde di immigrati che vanno a colonizzare China Town o Little Italy.

    Indulgente, lascia che gli elicotteri, come mosche, le girino sopra, intorno e di traverso, provocandole un solletico fastidioso.

    New York, esagerata e opulenta, con le sue infinite luci colorate inquina la vista. Niente balugina a New York; tutto abbacina.  

    Qui gli occhi si stancano di più che in ogni altro posto del mondo; le diottrie  tendono a calare. Anche dopo il tramonto occorrono gli occhiali da sole per proteggere la vista e scongiurare l’emicrania.

    Gli uccelli e altri animali hanno perso ormai i ritmi naturali: i piccioni volano di notte, i cani e i gatti non sanno più quando dormire; i pipistrelli vagano nelle ore diurne, incerti e confusi. A New York è sempre giorno e il riposo è un lusso che nessuno si può permettere.  E anche se, per una serie di circostanze fortuite o grazie a un buon sonnifero, qualcuno riuscisse ad addormentarsi, quel suo sonno lieve e precario sarebbe come un viaggio nell’Ade dove, in stato di semi veglia, continuerebbe a convivere con sirene, urla, risate, rumori di motori e musica rap.

    New York, la Babilonia contemporanea, il cuore pulsante del mondo, non patisce se un barbone muore di freddo per strada e se ne frega se in uno dei suoi palazzi più fatiscenti, di quelli che danno le spalle al ponte di Brooklyn senza la pretesa di scorgere le luci della Upper Manhattan, vi sono donne che amano, che piangono, che sperano, che gridano la loro disperazione dall’alto di una scala antincendio, guardando, con le vertigini alla testa, una falange taxi che, come vermi gialli, intasano le vie che affettano la città.

    Queste donne provengono da ogni dove, dopo un lungo viaggio carico di speranze che le ha condotte fin lì, suggestionate dall’idea dell’America ospitale e generosa che non rifiuta nessuno; cercano un’altra chance di rifarsi una vita, la possibilità di guarire - di trovare l’amore - di fare fortuna e poi magari tornare nel paese d’origine. Le povere ingenue non si sono accorte che New York non vuole essere lasciata: è il Primo Motore Immobile e, come l’amato fa ruotare intorno a sé gli amanti senza tuttavia muoversi, così lei intrappola, fagocita e risucchia le vite di chi la abita.

    È una gabbia per topi che girano su ruote artificiali.

    Così quell’agognato foglio verde fra le mani si trasforma in una corta catena ferrosa attorno alle caviglie.

    Sarà la maledizione di Colombo o forse solo uno scherzo della vita, ma chi arriva qua è destinato a trovare ben altro rispetto a ciò che sta cercando. Serendipità.

    The wonderful Amanda

    Non ha reazioni. È in stato d’incoscienza. Dobbiamo aspettare il riassorbimento dell’edema cerebrale. Forse sarà necessario amputare la gamba sinistra. Per ora le possibilità di vita sono ridotte al trenta, massimo quaranta percento.

    Corrado, su consiglio di suoi colleghi medici e amici, aveva accontentato Amanda con un resoconto più o meno dettagliato sull’incidente di cui era stata vittima.

    Lo aveva fatto per tenerla calma perché negli ultimi tempi la vedeva inquieta e determinata a indagare sul suo passato.

     Capisci che cosa mi sono sentito dire? Eri praticamente morta. Poi un miracolo, i progressi della medicina e le mani d’oro del nostro chirurgo ti hanno salvata. Disse Corrado cercando di ricreare sul volto un’angoscia adatta al momento di pathos che stava descrivendo.

    Tu perché eri lì? Eravamo già fidanzati io e te? chiese lei con gli occhi che sembravano più grandi del solito.

    Certamente …

    Perché io ho sempre la sensazione che tu mi stia nascondendo qualcosa? fece spazientita, in un repentino cambio d’umore.

    Ma che dici?  Sono cose difficili da rievocare anche per me, per questo ne trai l’impressione che io … che io, ma ora basta, non parliamone più. Ti agiteresti per niente. Godiamoci la serata! Siamo a New York!

    Corrado si era girato di scatto verso di lei e non aveva potuto non notarne la bellezza, mentre il taxi sul quale erano saliti tentava di superare le altre auto gialle in un crescendo di colpi di clacson.

    Tacevano entrambi, fra loro una distanza di sicurezza di qualche centimetro per evitare che i corpi o le mani si toccassero. Tutti e due, per non più di un secondo, avevano dato un’occhiata alla fede del proprio dito e poi a quella del coniuge.

    Amanda sapeva di essere una bella donna e nessuno avrebbe avuto da obiettare su questo.

    Stretto in un lungo abito da sera, il suo fisico asciutto e longilineo, arricchito dall’altezza superiore alla media, risaltava. Sciolti sulle spalle, i lunghi e setosi capelli castani sembravano aver catturato tutta la luce emessa dal sole estivo e i suoi occhi erano grandi e neri. Non era del tutto autentica: le ciglia folte e curve erano applicate artificialmente, così le unghie di un rosso luccicante senza scheggiature e, allo stesso modo, il seno piccolo, sodo, nascondeva all’interno due minuscole protesi di silicone che rendevano superfluo l’uso del reggiseno, ciò nonostante, l’insieme appariva naturale e armonioso.

    Aveva un incedere deciso, le movenze sinuose e femminili, eppure c’era in lei qualcosa che teneva a debita distanza gli uomini.  Non è che non piacesse; non era possibile non notarla dentro la sua nuvola di charme e di profumo francese, tuttavia il suo sguardo trasmetteva a chi lo incrociava una sensazione assolutamente negativa, così forte da fungere da deterrente per chiunque. Era uno sguardo evanescente, inespressivo, come se al centro del viso le avessero piantato due sfere di vetro nero.

    Parlava pochissimo Amanda. Non era di alcuna compagnia; non sapeva né cosa dire né quando farlo, quindi taceva. Si guardava le unghie, si controllava i collant, si lisciava i capelli, si rimirava in uno specchietto da borsa, si accarezzava con i polpastrelli le ciglia finte, ma non articolava parola. Certo, se le veniva posta una domanda, si mostrava felice di rispondere –non si poteva dire che fosse ineducata-, anche se la replica era poco inerente a ciò che le era stato chiesto.

    Era sempre fuori dal contesto.

    Corrado se la portava dietro come una bellissima statua di marmo, muta.

    La testa di Amanda però non era affatto vuota, anzi, era tutta un brulichio di paure più o meno razionali e di desideri spuntati fuori dal suo inconscio in ebollizione.

    Due grandi ossessioni la tenevano occupata: una, più antica, era la fobia dei piccioni; l’altra, sopraggiunta di recente, era il bisogno impellente di tradire suo marito. Non c’era nessun nesso logico fra le due cose, benché lei le percepisse strettamente legate. Aveva paura dei volatili e, contemporaneamente, di essere infedele; provava tanto ribrezzo per quelle piume quanto per se stessa quando desiderava un altro uomo, ma sentiva anche attrazione verso ciò che le faceva orrore. C’era del sublime in un piccione schiacciato da un’auto in mezzo a una strada: una macchia grigia insanguinata con due zampette rosse sull’asfalto, così il disgusto si mischiava al piacevole, e per Amanda diveniva impossibile distogliere lo sguardo se non solo dopo aver colto tutti i dettagli ed essersi appallottolata lo stomaco fino in gola.

    Lo stesso accadeva per gli uomini.  Gli altri, non il suo. L’immagine delle sue gambe avvinghiate a una schiena che non fosse quella pelosa di Corrado o, peggio, l’idea di toccare il sesso maschile le creavano ripugnanza e richiamo insieme.

    Si sentiva strana per queste sue idee. Si sentiva non- normale.

    Pensava di essere crudele e ninfomane. E mezza matta.

    I’m weird, diceva di sé.

    L’avversione per il volatile grigio e la tentazione verso gli uomini le davano le vertigini, aumentavano la sudorazione e le facevano sbattere il cuore nel suo stretto e fragile costato.

    Amanda era nata negli U.S.A. da padre americano e madre italiana, aveva vissuto lì nei primi dieci anni di vita e poi la famiglia si era trasferita in Italia, prima a Milano e poi a Genova. Parlava benissimo l’inglese e l’italiano, tanto da non rendersi conto di passare troppo spesso da una lingua all’altra senza badare alla nazionalità di chi aveva davanti.

    Aveva letto e studiato tanto: bambina prodigio dall’intelligenza vivace e memoria sterminata, si era dedicata alle lingue, alla letteratura classica, alla storia, alla filosofia, e, in età adulta, il suo interesse si era concentrato sulla psicologia. Laureata con lode a ventitré anni esatti. Peccato che ora che di anni ne aveva trentacinque, tutte quelle nozioni non erano che un mucchietto di polvere sepolto in un vano oscuro della sua mente.

    Corrado era stato il suo primo e unico uomo.

    Forse.

    Questo non poteva saperlo con certezza, ma era sicura di non farcela più ad andare avanti.

    Non erano una coppia. Può darsi che i primi tempi si fossero inseguiti nella giostra della seduzione, però purtroppo Amanda non era in grado di ricordarlo.

    Vedeva con la mente Corrado coinvolto in un appassionato corteggiamento in cui mostrava le sue piume più belle e immaginava se stessa, preda innocente e complice, che si ritraeva e gli sfuggiva senza fermezza. Poi il cedimento: un breve fidanzamento e subito le nozze.

    Solo le fotografie le rammentavano i dettagli della cerimonia - quanto era bella con quell’abito bianco- le bomboniere solidali per l’ospedale Gaslini e la torta a tre piani con in cima la statuetta Thun di due gatti innamorati. Alcune amiche di Corrado le ricordavano con una punta di sarcasmo che lei, Amanda Leroy, promettente psicologa italoamericana, aveva atteso una bella manciata di minuti prima di pronunciare il , seminando ansia e curiosità tra gli invitati. Ma poi tutto bene e evviva gli sposi.

    Risaliva a due mesi fa il loro ultimo soggiorno a New York; questa volta erano tornati nella città di cristallo per partecipare a una cerimonia del Rotary Club di cui Corrado era esimio membro.

    Prenotavano sempre al Crowne Plaza Hotel di Times Square, dove si sentivano a casa; lì sapevano di trovare due camere da letto comunicanti, senza doverne fare esplicita richiesta. D’altronde non aveva più senso dormire insieme; almeno su questo avevano trovato un punto d’accordo. Ma anche sul resto.

    Non si trattava di una coppia litigiosa, anzi, all’apparenza pareva affiatata e ben assortita con uguali interessi, passioni, punti di vista. In realtà dietro al velo di Maya si nascondeva il silenzio dell’indifferenza e la difficoltà di dirsi le cose chiare in faccia.

    Parlavano senza mai comunicare davvero. Farsi delle psicologie-così usava dire Amanda - non era da loro: c’era il timore di aprirsi e mostrarsi all’altro. Vigeva la regola del ‘non affrontare le cose e lasciar passare il tempo’.

    Nel caso del dormire insieme, avevano entrambi apportato motivazioni tanto convincenti quanto ipocrite per sentirsi liberi di non condividere più lo stesso talamo. Tu russi, aveva sbottato lei; Tu ti muovi troppo, aveva risposto immediatamente lui per non lasciarsi sfuggire all’occasione che lei gli aveva offerto.

    Agli occhi degli altri forse potevano apparire invidiabili, accomunati dagli stessi coinvolgimenti culturali, il medesimo temperamento, l’identica camminata svelta e nervosa: in realtà Amanda arrancava dietro a Corrado come un cagnolino al guinzaglio. Di notte, invece, tutto quell’affiatamento si sgonfiava e lasciava allo scoperto due estranei che solo in caso di malore avrebbero fatto uso della porta comunicante fra le stanze. O forse neppure in quella circostanza.

    La notte prima del ricevimento del Rotary, Amanda aveva fatto un incubo. Aveva sentito nel sonno un frullare d’ali che si faceva sempre più forte e più vicino; così vicino da spostarle leggermente i capelli sulla nuca e poi di colpo le zampette uncinate sulla spalla e un becco appuntito che, a intermittenza, scavava un cratere nel suo cuoio capelluto. Nel sogno aveva trovato la forza di girare la testa e i suoi occhi avevano guardato dentro quell’unico occhio, giallo, cerchiato, fisso, vuoto, atroce.

     Si era svegliata con violenza, le mani che schiaffeggiavano i capelli e uno strillo acuto che le proveniva dalle viscere. Il cuore le batteva nelle orecchie come dopo una corsa estenuante.

    Probabilmente si era trattato di un residuo diurno: nel pomeriggio, lei e Corrado avevano fatto visita al Moma, dove uno stravagante artista aveva esibito la sua opera d’arte cinematografica in cui veniva mostrata la lenta agonia di un pollo legato per le zampe e la testa penzolante all’ingiù. The dead bloody chicken.

    Amanda era rimasta sconvolta: più volte, terrorizzata e attratta, era entrata nella sala in cui veniva proiettato il video. Se ne stava all’ingresso, non riusciva a trovare il coraggio di prendere posto, ma non poteva nemmeno girarsi e uscire: i suo piedi erano incementati al suolo, le gambe come bloccate da ganasce, incapaci di muoversi, gli occhi sgranati per vedere meglio.

    Corrado aveva dovuto portala via di peso.

    "Stavolta è quella buona. Here we are!", si era detta Amanda, raggiunta la calma, guardandosi nello specchio del bagno, mentre l’acqua del lavabo scorreva densa.

    Troverò un uomo e con lui tradirò Corrado.

    Commettere adulterio era ormai diventato un pensiero assillante. Per anni aveva tentato, invano. Continue fumate nere: non arrivava mai quello giusto. Aveva gettato ami, atteso che i pesci abboccassero, ma sul più bello si era sempre tirata indietro. Tante le motivazioni, una per ogni uomo diverso. Quello perché poi non era così attraente, l’altro perché sarebbe stato un amante soffocante, l’altro perché aveva le tasche vuote e lei lo voleva ricco; uno perché troppo giovane, l’altro troppo vecchio.

    In realtà, come anche lei sapeva, aveva paura di ritrovarsi a tu per tu con un uomo che non fosse il suo prevedibile e innocuo Corrado.

    Sulle prime si sentiva tentata da chiunque appartenesse al sesso maschile, poi, al momento di concludere, ritornava gelida e razionale.

    Quella volta però, dopo l’incubo che l’aveva turbata, era sicura di arrivare al suo scopo: l’associazione piccione in sogno e incontro dell’uomo perfetto le era apparsa chiara ed evidente benché incongruente sul piano logico.

    Mr. Wall Street

    Era prestabilito, quindi, che durante la cena del Rotary club, si materializzasse davanti Jesse Jones con la sua aria da newyorkese che lavora a Wall Street. Faccia pulita da bravo ragazzo e gli occhi buttati lì apposta per sedurre. Età giusta e portafoglio pieno, considerato il contesto in cui si trovava.

    Qualche occhiata fra loro e, in un brevissimo lasso di tempo, si erano ritrovati nell’angolo del guardaroba per approfondire la conoscenza.

    Amanda era avvezza a quel tipo di sguardo che si sentiva appiccicata addosso: non era estranea al gioco della seduzione, anche se non era mai riuscita a cibarsi della sua preda; così, attraversando con la vista quella tavolata di rigidi

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