Le problematiche dei rapporti tra religioni e istituzioni nel Commonwealth australiano
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Le problematiche dei rapporti tra religioni e istituzioni nel Commonwealth australiano - Francesco Bonicelli Verrina
Francesco Bonicelli Verrina
LE PROBLEMATICHE DEI RAPPORTI TRA RELIGIONI
E ISTITUZIONI NEL COMMONWEALTH AUSTRALIANO
Elison Publishing
Proprietà letteraria riservata
© 2018 Elison Publishing
www.elisonpublishing.com
Tutti i diritti sono riservati. È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche a uso interno o didattico.
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Elison Publishing
elisonpublishing@hotmail.com
ISBN 9788869631764
Indice
Introduzione
Retroterra storico-legale del Multiculturalismo australiano
Quadro Normativo dello stato multiconfessionale in Australia
Libero esercizio della Religione in Australia
Le leggi sulla discriminazione e la Religione in Australia
Lo stato attuale dell’Australia multiconfessionale
I tentativi di introdurre una Carta australiana dei Diritti dell’Uomo e l’interazione socio-legale delle religioni in Australia
Diritto corporativo e Religione in Australia
Il caso dei musulmani in Australia
La sharia in Australia
I governi Howard (1996-2007) e la Religione
La Religione e la scuola in Australia
Conclusioni
Introduzione
La popolazione australiana è raddoppiata dal 1900 al 1945, soprattutto grazie all’immigrazione scozzese, irlandese, scandinava e tedesca. È raddoppiata nuovamente nel periodo fra la fine della Seconda Guerra Mondiale e il 1981, grazie soprattutto all’apporto di italiani, greci, asiatici, polacchi, jugoslavi e ungheresi, aumentando ancora inesorabilmente da allora fino ad attestarsi ai 24 milioni odierni (2017){1}, per un territorio, per lo più desertico, dall’estensione vicina a quella del continente europeo.
Il 90% della popolazione totale risiede nella lussureggiante area meridionale orientale, l’area più diffusamente urbanizzata, salvo alcune notevoli eccezioni di grandi centri urbani dislocati nelle altre aree meno ospitali.
L’area più densamente popolata è ancora laddove i primi colonizzatori britannici, protestanti e non solo, talvolta detenuti deportati nelle colonie penali, altre volte cadetti di famiglie nobili inglesi, diseredati in cerca di fortuna o famiglie appartenenti a minoranze religiose (cattolici, presbiteriani, battisti, metodisti), si sono insediati a partire dal XIX secolo.
In Australia i britannici rappresentano oggi poco più di un quinto della popolazione, pur essendo il suo assetto statale ancora di fatto legato alla corona britannica.
Il monarca del Regno Unito è il capo di stato, malgrado alcuni falliti tentativi referendari in senso repubblicano (a fine anni ‘80 sono stati tagliati gli ultimi legami alle corti giudiziarie britanniche), mentre il premier australiano viene eletto solo per consuetudine, pur detenendo il potere esecutivo reale, con il suo governo, affiancato tradizionalmente dal governatore di nomina regia.
Ogni stato e territorio ha infine il proprio governatore di nomina regia, il proprio primo ministro, rispettivo governo e il proprio parlamento, autonomi dal parlamento e dal governo centrale del Commonwealth australiano.
I gruppi più numerosi, dopo i cittadini di ascendenza britannica sono gli italiani e i cinesi, ma essi costituiscono a loro volta solo una minima parte del crogiolo vero e proprio di popoli, provenienti da ogni continente, che a partire dal dopoguerra hanno continuato a popolare il nuovissimo continente, portando con sé cibi, costumi, culture e religioni diversissimi fra loro.
Nella loro totalità i non-britannici e i non-anglicani, rappresentano la grande maggioranza caleidoscopica di prima, seconda, al massimo terza generazione, che costituisce l’originalissima demografia australiana odierna, in particolar modo a partire dagli anni ‘70.
Un fatto sempre più importante da considerare nella società australiana di oggi è che, accanto a un anti-assimilazionismo costituzionale, in una costituzione secolare per definizione fin dalla nascita, anti-assimilazionista ormai da quasi mezzo secolo{2}, l’ateismo costituisca il gruppo religioso più importante percentualmente, almeno nelle aree urbane, più di un quinto della popolazione, secondo l’Australian Bureau of Statistics non ha religione.
Solo fino al 2006 cattolici e anglicani tenevano ancora testa, statisticamente.
Ciò risulta ancora più interessante se consideriamo che sempre secondo l’Australian Bureau of Statistics gli atei superano tutti gli altri gruppi religiosi nelle principali città, non nelle province. Sydney e Melbourne (le due città più popolose e cosmopolite) non risultano avere una maggioranza di atei, solo grazie all’alta percentuale dei cattolici (la percentuale degli atei incalza i cattolici subito dietro), ma Perth, Brisbane, Adelaide, Canberra (la capitale), Hobart (con il record di un terzo della popolazione senza religione) e Darwin sembrano essere decisamente a maggioranza grandi città atee.
È anche interessante osservare che il crescente fenomeno islamofobo{3}, cavalcato dal piccolo ma sempre più popolare partito razzista One Nation, di Pauline Hanson, apparsa al Senato di recente vestendo un burqa, si incrocia molto spesso, dalle statistiche, con le percentuali dei non-religiosi e circa il 25% degli australiani intervistati nel 2012, per il Mapping Social Cohesion, attestò in effetti di avere una concezione pregiudiziale tendenzialmente negativa degli islamici.
Gli islamici sono sotto il 2% della popolazione, con però un tasso di crescita doppio, rispetto al resto degli australiani{4}. Negli ultimi anni anche un migliaio di aborigeni ha aderito all’Islam.
One Nation è un partito piccolo, cui ha giovato l’onda lunga d’oltreoceano del trumpismo, che sa fare la voce grossa, nato accanto ad altri piccoli partiti come Family First, sostanzialmente contrario ai diritti delle coppie omosessuali, ma a differenza di quest’ultimo gli attivisti, sostenitori e simpatizzanti di One Nation sono dichiaratamente atei, non-religiosi o non praticanti.
Malgrado ciò, dopo cent’anni di secolarismo, essi riportano il tema della religione in politica, intesa come arma contro gli altri gruppi, con una buona dose di propaganda nazionalista e catastrofista, con successo, a quanto pare, tanto da aver portato il loro partito in parlamento, fatto assolutamente inedito nel panorama australiano, non trascurabile malgrado le dimensioni, date le idee veicolate, dato l’abbassamento generale e notevole della soglia di a-razzismo nell’opinione pubblica e anche presso i due partiti storici, i liberali e i laburisti, che hanno costruito l’Australia multiculturale, a-razzista e multiconfessionale, almeno fino alla metà degli anni ‘90.
Era un fatto che, fino a un certo momento storico, nessun politico australiano avrebbe potuto ritenere accettabile scendere a compromessi, anche solo a livello locale, con un dichiarato razzista, per principio, e che la religione avesse in termini negativi un accesso limitatissimo in politica, che l’opinione pubblica fosse a larghissima maggioranza a-religiosa, non religiosa ma neanche anti-religiosa, ovvero neanche pregiudizialmente contraria all’apporto positivo delle diverse religioni presenti e certo non anti-religiosa in maniera selettiva, poi c’è stato un punto di rottura, a partire dal governo Howard nella seconda metà degli anni Novanta.
I governi Howard, dal 1996, sostenuti dalla fazione più anti-multiculturalista del Partito Liberale e da forze extra-parlamentari, come il tycoon ultrareligioso e ultraconservatore Clive Palmer, ha fortemente ampliato l’indipendenza delle scuole private, soprattutto quelle religiose, a svantaggio dell’istruzione pubblica, dal 1975 costruita intorno all’ideologia del Multiculturalismo, coniugando anti-assimilazionismo e cultura dei diritti umani{5}.
Retroterra storico-legale del Multiculturalismo australiano
Fino agli anni ‘50 il maggiore sostenitore dell’Australia Bianca fu il Partito Laburista, ostile all’idea di competizione fra i lavoratori australiani e i lavoratori di importazione, ma anche notevolmente nazionalista fin dalla dichiarazione della Prima Guerra Mondiale, quando il premier laburista di allora Hughes, lanciò un’aspra campagna contro i non inglesi, tendenzialmente neutralisti e pacifisti (soprattutto per quanto riguardava i cattolici irlandesi e i cittadini di origine prussiana), inasprendone il trattamento, con anche pestaggi di popolo, uccisioni, incendi di case e negozi.
Solo nel 1945 venne creato un Dipartimento dell’Immigrazione per gestire il programma di immigrazione voluto dal governo liberale di Robert Menzies, già capo del governo nel primo anno di guerra, premier delle forgotten people, come fu ricordato grazie ad un suo celebre discorso, autore di altre importanti riforme sociali in campo scolastico e sanitario (personaggio anche controverso per la messa al bando dei comunisti e soprattutto per gli esperimenti nucleari del dopoguerra).
Primo ministro dell’Immigrazione fu Arthur Calwell, il laburista più esposto nel sostegno al programma di apertura all’immigrazione non bianca (soprattutto di studenti e lavoratori asiatici e in particolare dal sud-est asiatico, quelli per i quali i soldati australiani avevano combattuto contro l’aggressione giapponese).
Fu fondato un Consiglio per l’Immigrazione nel 1947, con il compito di occuparsi del collocamento, seguito da un Consiglio della Pianificazione dell’Immigrazione, nel 1949, che aveva a che fare con l’organizzazione e le politiche di immigrazione, dando per assodato il fatto che, per l’espansione post-bellica, l’Australia, come gli USA o l’Argentina, per rispondere alla domanda di beni dall’Europa, avesse bisogno di un ampliamento poderoso della propria forza lavoro.
Molti migranti dai Paesi annientati, chiedevano anche di potersi recare nelle Americhe e in Australia, ovvero nei Paesi meno colpiti dalla guerra, per potersi costruire una nuova vita.
Al più presto l’Australia liberale costruì, dopo la fine della guerra, campi di accoglienza per le masse di rifugiati richiedenti asilo (anche molti sopravvissuti ai lager e agli stalag europei, molti ebrei dall’Europa centrale e orientale sopravvissuti al Nazismo{6}).
Nel 1949 fu costruita una rete di solidarietà dal nome Consigli del Buon Vicinato, legando fra di loro i diversi enti di carità. Questa organizzazione rappresentò la base più importante di assistenza agli immigrati, pur sempre in un programma di assimilazione che dal 1950 venne testato annualmente dalla Convenzione per la Cittadinanza Australiana, una commissione che vegliava sul programma di assimilazione e ne verificava il successo{7}.
Sorreggevano il programma l’idea che l’immigrazione di massa fosse nell’interesse australiano di crescita economica e demografica, che assimilare gli immigrati fosse un dovere patriottico
e che quindi ogni migrante dal suo arrivo in poi, una volta passate le varie selezioni, fosse trattato come individuo assimilabile
che dovesse lasciarsi acculturare e trasformare in un individuo indistinguibile dalla popolazione ospitante.
Il Nationality and Citizenship Act 1948 stabiliva d’altronde il principio per cui dovesse considerarsi un privilegio la concessione della cittadinanza australiana. La conoscenza della lingua inglese era una pregiudiziale spesso insuperabile.
La benevolenza nei confronti degli immigrati appariva quindi più ancorata ad uno stadio paternalistico-caritatevole che ad una vera e propria apertura di orizzonti, pur condannando pubblicamente nelle sentenze i pregiudizi nazionalistici come frutto di ignoranza e irrazionalità{8}.
Negli anni ‘50 le prime e più importanti voci anti-assimilazioniste si fecero strada dalle chiese e da