La Mediazione Laterale: Come gestire e risolvere i conflitti con creatività
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Book preview
La Mediazione Laterale - Salvatore Primiceri
Bibliografia
Prefazione alla seconda edizione
L’esperienza maturata dalla prima stesura di questa opera mi ha indotto ad ampliarne e in parte rinnovarne i contenuti. In questi anni ho avuto modo di incrementare considerevolmente l’attività pratica nel campo della mediazione civile e familiare nonché le docenze in corsi di formazione a cui prendono parte sia operatori giuridici e commerciali, sia insegnanti e studenti.
L’obiettivo è sempre quello di diffondere nuovi modelli che possano aiutare le persone a risolvere i conflitti in tutti gli ambiti in cui essi si verificano.
Mi sono ulteriormente reso conto di quanto sia assente nella nostra società una cultura della conciliazione ma ho anche compreso che per conciliare occorre conoscere a fondo le dinamiche di un conflitto.
Occorre quindi spiegare e analizzare anche la cultura del conflitto, senza la quale non vi può essere un’adeguata ricerca delle soluzioni. Per risolvere i conflitti occorre preparazione sia tecnica che psicologica. La mente deve essere aperta. Gli schemi e i modelli rigidi su cui si basa la nostra società sono spesso nemici del progresso e del tanto propagandato cambiamento. Li utilizziamo senza accorgercene perché così siamo abituati e perché, essendo comunemente impiegati e accettati, li riteniamo a nostra volta giusti. Mettere in discussione un modello comune è un rischio per ogni individuo che vive in una società stereotipata che guarda con diffidenza e paura ai cambiamenti e che, spesso, li ostacola.
Di fronte ai miei discenti, in aula, propongo alcuni esercizi, dei rompicapo la cui soluzione apparentemente più ovvia non è però quella corretta. Sforzare la mente alla ricerca di altre soluzioni è un esercizio difficile soprattutto per chi adotta nella propria vita e mestiere un modello consolidato. Lo schema dominante viene riproposto continuamente dalla propria mente facendolo apparire come corretto e ragionevole. Ed è proprio la difficoltà a liberarsi dalla schematicità dettata dalla propria forma mentis che impedisce di credere possibili altre vie di soluzione a un problema.
La sorpresa nello scoprire l’esistenza di soluzioni inaspettate
non è tuttavia ancora sufficiente per sintonizzarsi completamente con una nuova modalità di pensiero. Spesso, di fronte all’evidenza di avere sbagliato, scatta la ricerca di quale diavoleria ingannevole abbia indotto in errore. L’uomo, pur di avere ragione o non ammettere di avere torto, riesce a trovare un’ampia gamma di giustificazioni, queste sì molto creative e divertenti da ascoltare. L’incapacità di ammettere che le proprie convinzioni e i propri modelli, a volte non sono sufficienti o utili a risolvere un conflitto e che, in casi più gravi, risultano addirittura di impedimento alla ricerca di soluzioni efficaci, fa parte del limite autoimposto dell’uomo per cui è meglio auto ingannarsi piuttosto che assumersi il rischio di pensare e proporre una nuova via d’uscita.
Accettare passivamente uno schema appreso a scuola, nella vita, sul lavoro permette forse di vivere senza troppi problemi
ma ci rende schiavi dei suoi stessi limiti.
E’ così che quando serve non sappiamo uscire da quel perimetro ed è così che un problema risolvibile può divenire causa di un vero e proprio corto circuito.
Uscire dagli schemi rende liberi e la libertà è la porta della felicità.
Vale quindi la pena provarci. La nostra mente è in grado di farlo, sta a noi esercitarla a questo compito senza auto imporci limiti, senza ingannarci che non sia possibile, senza aver paura dell’arroganza che caratterizza i modelli logici dominanti. L’uomo ha necessità di riprendere in mano la naturalezza del suo essere sociale mettendo in discussione convinzioni e stereotipi ossia modelli e schemi basati sull’abitudine e sul pregiudizio. Occorre mettere da parte la presunzione del sentirsi sempre dalla parte della ragione recuperando il dialogo con gli altri e comprendendo il valore delle parole e dei sentimenti altrui. Occorre porsi di fronte al prossimo con empatia e interesse perché ogni pensiero, critica o informazione che egli esprime può trasformarsi in occasione di incontro e non di scontro.
Litigare va bene e a volte fa anche bene purché serva a chiarirsi, a capirsi meglio gli uni con gli altri e a ripartire insieme.
Adam Smith nella sua " Teoria dei Sentimenti Morali" ammette che l’uomo è caratterizzato anche dall’egoismo. Ma è altrettanto vero, spiega Smith, che egli è naturalmente sociale e si nutre necessariamente della condivisione e della collaborazione con gli altri. L’uomo, conclude Smith, non può essere indifferente alla felicità degli altri. Coltivandola e aiutando il prossimo a realizzarla non farà altro che rendere felice anche sé stesso.
Collaborando, quindi, si vince. Ed è proprio questo il senso profondo della parola mediazione. Mediare è collaborare al fine di conciliarsi. E il risultato non può che essere univoco: la soddisfazione e la felicità di tutti.
Utilizzare la libertà della mente per prevenire e risolvere i conflitti è quindi alla portata di ognuno, basta capirlo ed esercitarsi continuamente come un atleta che si prepara per le olimpiadi. La mente richiede allenamento come il fisico di uno sportivo. Nelle pagine seguenti cercherò di offrirvi spunti, tecniche ed esperienze al fine di diventare dei bravi mediatori laterali
ovvero persone capaci di affrontare nella miglior maniera possibile i problemi e i conflitti che si verificano nel lavoro, in famiglia piuttosto che nella vita di tutti i giorni.
Buona lettura.
Salvatore Primiceri
Introduzione
Questo libro unisce tre elementi: il pensiero laterale, la mediazione e la giustizia. Lo scopo finale è quello di promuovere l’uso congiunto dei primi due elementi al fine di agevolare la creazione di soluzioni giuste. Una soluzione ad un problema è considerata giusta quando è accettata con soddisfazione dalle parti coinvolte, non reca danno a terzi e rispetta le norme imperative dell’ordinamento giuridico. La volontà delle parti è quindi al centro di un percorso di mediazione al fine di trovare una soluzione vincente per entrambe e giungere così alla conciliazione. Risolvere le controversie fuori dai tribunali è una strada possibile e auspicabile, soprattutto alla luce delle enormi inefficienze del sistema processuale civile (e non solo). I vantaggi della mediazione, rispetto al processo civile, sono molteplici e in questo testo cercherò di evidenziarli. Ma il valore aggiunto della mediazione è la lateralità. Cosa si intende per pensiero laterale in mediazione? Partirò dall’esame del pensiero laterale utilizzando come fonte principale gli studi di Edward De Bono e spiegherò i motivi per cui è necessario utilizzare tale metodo nella ricerca delle soluzioni alle liti in una procedura di mediazione. La funzione principale del pensiero laterale è quella di ristrutturare le situazioni che si presentano in modo da favorire la ricerca di soluzioni diverse, fuori dai modelli classici e stereotipati. Ragionare lateralmente significa prendere in esame tutte le possibilità, anche quelle che possono sembrare più assurde. In molti casi alcune di esse risulteranno inutili ma molte altre potrebbero risolvere felicemente una controversia che altrimenti vedrebbe la sua mortificazione in tribunale (e con essa la mortificazione delle parti stesse). È bene specificare che questo non è un testo contro la procedura civile. Lo schema processuale conserva indubbiamente la sua necessità e la sua utilità in molteplici situazioni. Così come il pensiero laterale non può essere sostitutivo del pensiero verticale (quello cioè caratterizzato dalla logica e dall’alta probabilità), la mediazione non sostituisce il processo civile. In entrambi i casi si parla di alternative. La mediazione costituisce un metodo alternativo di risoluzione delle controversie che, proprio per la sua indipendenza dal processo giudiziario, favorisce l’applicazione di metodi di ragionamento alternativi alla logicità dettata dagli schemi e dai modelli più affermati. Ma per capire meglio il tutto è necessario partire dalle nozioni fondamentali di ciò che andrò a spiegare nelle pagine seguenti. Partirò dalla distinzione tra pensiero verticale e pensiero laterale, poi affronterò le caratteristiche della mediazione in confronto con il processo ordinario. Infine esaminerò i possibili benefici a cui porta l’uso del pensiero laterale in mediazione. Con questo breve saggio spero di poter dare un contributo alla crescita della professione del mediatore o di chiunque nella vita si trovi a dover risolvere situazioni di conflitto. Il mediatore necessita di divenire un professionista ben definito e svincolato dall'associazione con altre professioni. Così anche il cittadino, il datore di lavoro, l’avvocato e altri professionisti, necessitano di comprendere che vi sono diversi modi di usare la mente al fine di risolvere le controversie, dalle più semplici della vita quotidiana a quelle più complesse. Spero, forse a causa della mia conclamata e inesauribile ambizione, che con questa mia opera si possa aggiungere un piccolo tassello alla ricerca e applicazione di una giustizia del buon senso
dove il bisogno finale delle parti sia pienamente soddisfatto.
Diritto e Giustizia oggi in Italia
Capitolo I
L’Unione Europea ci ha ammoniti e sanzionati in numerose occasioni: la giustizia italiana è lenta e inefficiente. L’inefficienza del sistema giudiziario si traduce, spesso e purtroppo, nel disattendere le aspettative del cittadino che attiva la richiesta di giustizia.
Non mettere nelle condizioni i cittadini di ottenere giustizia (e figuriamoci una giustizia giusta
) costituisce un grave problema di affidabilità e credibilità del sistema, anche agli occhi di investitori esteri. La lentezza dei processi civili e l’ingolfamento della macchina giudiziaria costituisce il problema tecnico più evidente agli occhi dell’osservatore ma le criticità sono anche altre. Vi sono problemi morali
determinati dalle modalità di funzionamento della macchina processuale che inducono ad azzerare l’aspetto umano nelle controversie. Le parti sono spesso impossibilitate a parlare con i giudici e l’esito del processo viene determinato in buona parte dal materiale scritto prodotto dai difensori. La decisione su chi ha torto e chi ha ragione si dovrebbe basare su tali documenti, sulle norme del codice civile e sul materiale legislativo a disposizione del giudice nella materia oggetto del contendere. La verità processuale, però, non sempre coincide con la verità reale e accade che le parti, dopo anni di udienze e rinvii, senza contare i costi sostenuti, si ritrovano a dover accogliere una decisione insoddisfacente. Persino il vincitore è spesso insoddisfatto.
È la meccanicità del processo che impedisce la ricerca di una soluzione giusta
? Qual è lo spazio creativo del diritto, ovvero quella forchetta
dove è possibile dare sfogo all’interpretazione e all’adattamento della norma al caso concreto soddisfacendo il desiderio di giustizia delle parti?
Le risposte possono essere diverse ma quella che più interessa alla nostra trattazione è certamente la seguente: gli attori della macchina giudiziaria italiana sono meri esecutori di uno schema o modello dominante che privilegia la procedura e non si cura dei reali bisogni della gente. È il classico metodo del pensiero verticale, metodo privo di buon senso e di spirito di adattamento. In questo modo, per esempio, l’avvocato verticale
risponderà alle accuse della controparte con altrettante accuse esasperando il conflitto mentre il giudice cercherà la norma del codice più adatta al caso e la applicherà senza scavare gli eventuali elementi sottesi
al conflitto, senza valutare gli effetti della sua decisione e se la richiesta di giustizia verrà pienamente soddisfatta o meno. La logica dominante è basata sullo scontro fra le parti. Tale logica è difficile da scardinare in quanto è ormai diffusa culturalmente nella società. Non è quindi solo un problema di schema processuale ma, soprattutto, culturale. Oggi per un qualsiasi problema, anche di