L'ultima missione dell'umanità
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L'ultima missione dell'umanità - Franco Quercioli
DELL’UMANITA’
Premessa
Siamo vicini al collasso della nostra civiltà?
I segni premonitori sono purtroppo sempre più evidenti:
- Sovrappopolazione
- Disuguaglianze estreme e crescenti
- Povertà in crescita
- Il lavoro manca sempre di più e, quando esiste, è precario e sottopagato
- L’equilibrio ecologico del pianeta è sempre più compromesso
- Il riscaldamento globale (figlio dell’inquinamento) provoca desertificazione e catastrofi climatiche sempre più frequenti
- Assistiamo a migrazioni epocali dal Sud del Mondo verso i paesi industrializzati
- I venti di guerra soffiano ovunque sempre più forti e minacciosi
- ……………….
Esistono soluzioni praticabili?
Prima di analizzare approfonditamente le cause e le possibili soluzioni di questo sbandamento della civiltà umana, voglio iniziare questo libro con un’affermazione che ci restituisca la speranza:
Si! Abbiamo tutta la conoscenza, la capacità e i mezzi per salvarci dall’attuale spirale autodistruttiva!
Il problema sta nella smisurata avidità di moltissimi uomini, che si oppongono con ogni mezzo a qualsiasi cambiamento di questa situazione. Sto parlando dell’uno per cento della popolazione mondiale, che dalle attuali scelte economiche ha tratto un indubbio vantaggio. Si tratta soprattutto dei grandi industriali e dei finanzieri, ma subito a ruota anche dei politici e degli amministratori pubblici; di chi ha incarichi di guida e di coordinamento; dei professionisti più capaci e innovativi; dei piccoli e medi industriali e dei commercianti che, oltre a spiccate capacità imprenditoriali, hanno anche il dono di saper fiutare dove si indirizza il mercato… A fianco di tali persone (per molti versi anche positive), prosperano anche truffatori, individui senza scrupoli e veri e propri criminali, per i quali una società torbida e spietata, come quella attuale, è un perfetto brodo di coltura dei loro interessi.
Tutto questo variegato mondo di personaggi, a vario titolo, arrivati
e vincenti
, costituisce poi una piramide di potere, organizzata in modo da garantire stabilità e sicurezza, soprattutto per chi ne occupa i gradini più alti. Per esemplificazione, possiamo immaginare che questa piramide abbia otto gradini: alla base sta l’uno per cento della popolazione, fedele e obbediente a tutti coloro che sono più in alto, per poter mantenere i vantaggi economici ottenuti in questi ultimi venti anni. Nel secondo gradino troviamo l’uno per mille; per proseguire poi verso la vetta della piramide, con denominatori multipli di dieci. Nell’ottavo gradino troviamo l’uno per miliardo: circa 7 o 8 persone che da soli possiedono tanta ricchezza quanto quella posseduta dalla metà più povera della popolazione mondiale (dato diffuso da Oxfam nel 2017).
I dati di Oxfam 2017 sono stati da varie parti contestati, ma resta il fatto che, se anche il numero di miliardari, che da soli possiedono la ricchezza di 3 miliardi e mezzo di persone, fosse di 61 (invece di 8) nel 2016, 42 nel 2017 (come poi corretto da Oxfam stessa nel rapporto 2018) ed infine 26 nel 2018, l’evidente disuguaglianza resterebbe ugualmente spaventosa e inammissibile. Molto probabilmente la correzione dei dati di Oxfam (basati sulle ricerche di Credit Suisse, a loro volta corrette nel 2018) è poi avvenuta a causa delle suddette pressioni e contestazioni; ma la progressiva rapidissima concentrazione di ricchezza nelle mani di 80, poi 61, poi 42 e poi 26 miliardari, nell’arco di soli 4 anni, ne indica comunque la sostanziale correttezza.
Può sembrare che opporsi a questa élite, che ha occupato gran parte dei vertici di comando e delle posizioni chiave dell’intero pianeta, sia quanto meno illusorio, se non addirittura impossibile. Ma se vogliamo evitare una catastrofe economica, sociale ed ecologica ormai imminente, non abbiamo altra scelta che rifondare drasticamente le basi economiche e sociali di tutta l’Umanità.
Nei due anni che mi sono stati necessari per scrivere questo libro, gli avvenimenti descritti in questa narrazione si sono succeduti ad un ritmo veramente incalzante, costringendomi a numerosi aggiornamenti e variazioni in corso d’opera. Nelle mie argomentazioni, fino al 2018, ho trattato soprattutto gli aspetti economici e sociali, ma dovevano essere tenute ben presenti anche le problematiche relative sia all’esaurimento delle risorse e delle materie prime, che all’inquinamento e al conseguente cambiamento climatico. Ed in effetti (dopo aver finito di stampare questo libro nel Luglio 2018) è apparso il fenomeno Greta Thunberg e il suo movimento Fridays for Future
. Poi, nei primi 7 mesi del 2019, oltre a numerosissimi eventi climatici estremi che hanno anche segnato nuovi record, lo scioglimento dei ghiacciai artici ed antartici ha subito una nuova drammatica accelerazione. Per cui l’aspetto del riscaldamento globale e del conseguente cambiamento climatico è divenuto improvvisamente di primaria importanza e mi ha costretto ad aggiornare il libro con le ultime notizie e considerazioni al riguardo. E siamo così giunti ad Agosto 2019,
I primi allarmi furono dati già nel 1972, pubblicati nel libro "I limiti dello sviluppo", da un club di scienziati, economisti, politici, personalità della cultura ed esperti di ogni genere (il Club di Roma). Previsioni poi pienamente confermate dagli stessi ricercatori, prima nel 1992, e poi nel 2004. Finché, il 13 novembre 2017, oltre 15.000 scienziati di 184 paesi, che hanno concluso nuovi approfonditi studi, hanno pubblicato i risultati e una dichiarazione congiunta con questa conclusione:
"Presto sarà troppo tardi per salvare il Pianeta".
Pochi giorni dopo, la cancelliera tedesca Angela Merkel ha dichiarato che "I cambiamenti climatici sono la questione cruciale per il destino dell’Umanità".
E, a ruota, il presidente francese Emmanuel Macron ha espresso una pessimistica constatazione: "Stiamo perdendo la guerra del clima".
Ed ora, nei primi sette mesi del 2019, abbiamo assistito ad una serie ininterrotta di fenomeni climatici estremi, mai registrati prima di tale intensità e frequenza (vedi il cap. 2 alle pagine 49 – 52). E l’accelerazione negli effetti disastrosi del riscaldamento globale è divenuta tale, da far temere che si possa già aver raggiunto il punto di non ritorno.
Ma la rifondazione economica e sociale che voglio proporre ha la potenzialità per risolvere anche la crisi ecologica e climatica, o quanto meno per attenuarne decisamente gli effetti . Dobbiamo solo volerla attuare, ma nei tempi più stretti possibile, perché altrimenti rischiamo seriamente di non poter più evitare la molto prossima catastrofe planetaria.
CAPITOLO 1
La crisi globale: analisi, soluzioni e proposte.
Negli anni 80 Piero Angela, con la sua trasmissione Quark
, ci spiegava che la tecnologia avrebbe donato a tutti gli uomini un grande benessere, riducendo al contempo anche gli orari di lavoro. E tutto questo probabilmente entro l’anno 2000 (data magica). Fino al 1992 quell’ottimistica predizione si dimostrò effettivamente possibile. Ma da allora abbiamo assistito ad un vero e proprio esponenziale capovolgimento della situazione.
Nel 1992 (in tutti i paesi industrializzati occidentali) avevamo ogni motivo per assaporare le maggiori aspettative di sempre riguardo al futuro nostro, dei nostri figli e di tutta la nostra società. Chi non era mai stato molto ambizioso, non sperava in niente di straordinario, ma la posizione economica delle famiglie era più che soddisfacente. Per i nostri figli si apriva un futuro di relativa ma marcata sicurezza. Il ricordo della situazione di povertà in cui avevano versato i nostri nonni e i nostri genitori (e anche molti di noi: almeno quelli nati fino ai primi anni cinquanta) era divenuto qualcosa di caratteristico da raccontare a veglia, con il piacere derivato dallo scampato pericolo. La stragrande maggioranza dei cittadini dei paesi occidentali più industrializzati, fra il 1944 e il 1992, ha goduto di un crescente benessere. E dal 1980 ad oggi ben tre generazioni sono potute arrivare con serenità ad affrontare il loro ultimo viaggio su questa Terra
. Tutti ormai credevano in un mondo, dove i figli sarebbero stati sempre e comunque meglio dei padri. Ma purtroppo, già alle prime avvisaglie dei mutamenti che sarebbero avvenuti con la rivoluzione industriale, la grande finanza e le grandi industrie multinazionali hanno intravisto invece un futuro con immense opportunità di guadagno e hanno iniziato a cercare ogni modo per realizzarle. Così sono state fatte principalmente scelte economiche, che hanno portato larghi benefici solo alle classi più elevate della società (in pratica solo all’uno per cento della popolazione mondiale, mentre il restante 99 si è sempre più impoverito). Il potere finanziario e industriale, con la classica leva della corruzione, ha in massima parte asservito il potere politico in ogni parte del mondo; e così i governi sono stati costretti
ad assecondare le suddette scelte economiche. Scelte che sono state poi ripetutamente avallate e spiegate dalla maggior parte degli economisti, che ce l’hanno presentate come ineluttabili e non sostituibili da alcun’altra teoria economica (e men che meno da considerazioni di giustizia sociale e di morale).
Oggi però le conseguenze, derivate dalla crescente abnorme disuguaglianza, stanno creando un diffuso ed esplosivo malcontento sociale. La crisi economica attuale ha molti punti di contatto con la crisi del 1929 ed ha anche alcuni fattori, che potrebbero far peggiorare la situazione al punto da far regredire l’intera umanità alla situazione sociale ed economica d’inizio 1900. Penso seriamente che stiamo rischiando un collasso mondiale senza precedenti, che poi potrebbe anche sfociare facilmente in una guerra devastante. E a questo dobbiamo aggiungere i prossimi, ormai certi, disastri ecologici, causati dal crescente inquinamento ambientale… i pericoli derivati dalle sempre più frequenti ed estese guerre… l’immane problema delle migrazioni di massa… Comunque tutti problemi derivati direttamente dalle attuali scelte di politica economica.
Partiamo anzitutto dal presupposto che l’Economia non è una scienza esatta. Vi sono molte scuole di pensiero e addirittura economisti premi Nobel che propagandano teorie molto diverse fra loro. E i risultati, che sono sotto gli occhi di tutti, evidenziano oltre ogni dubbio grossolani errori commessi dagli Stati nell’applicazione pratica di questa o quella teoria. L’attuale crisi recessiva è l’esempio più clamoroso del fallimento di tutte le moderne teorie. Vi sono molti problemi di fondo, che finora nessuna nazione ha avuto il coraggio, né la capacità di saper affrontare.
Probabilmente la soluzione potrebbe essere trovata solo con un radicale rinnovamento di tutte le teorie economiche e delle leggi internazionali che le regolano. Anche perché l’attuale sistema economico poggia le sue basi su due teoremi, non dichiarati pubblicamente, ma chiaramente applicati nella realtà attuale e, a mio parere, profondamente errati:
A) Che l’economia possa evitare il rispetto delle leggi fondamentali della Fisica (e che quindi, ad esempio, sia possibile una crescita infinita della produzione).
B) Che l’economia sia esentata dal rispetto delle leggi morali e delle regole che disciplinano la civiltà e i rapporti sociali (così che sia possibile, ad esempio, introdurre ed usare nuove forme di schiavismo).
Con tutto questo non voglio affermare che i multimiliardari, che stanno guidando (e affamando) il mondo, siano tutti degli schiavisti che godono al pensiero dell’attuale crescente disuguaglianza. Ma ormai i meccanismi infernali della globalizzazione e della ricerca del maggior profitto al minor costo, stanno imponendo le attuali scelte politiche, economiche, finanziarie e industriali anche a chi vorrebbe seguire principi più umanitari. Chi volesse pagare di più i propri dipendenti, o non delocalizzare la produzione, o non usare escamotage fiscali di vario genere… finirebbe stritolato dalla concorrenza delle altre aziende. Per fermare, o almeno rallentare, questo perverso ingranaggio servono nuove leggi e nuove regole internazionali, che pongano giusti limiti al capitalismo incontrollato e riportino le esigenze sociali nella giusta prospettiva.
Dalla comparsa degli uomini sulla terra e fino al 1870, l’economia ha sempre poggiato le sue basi e le sue regole sul semplice fatto che gli uomini avevano sempre avuto scarsissime capacità produttive, e sempre insufficienti per distribuire un minimo di benessere a tutti. Per poter solo sfamarsi, da sempre è stato necessario che la stragrande maggioranza delle persone attive e abili al lavoro prestassero la loro esclusiva opera nell’agricoltura, nella caccia e nella pesca. Restava quindi solo una percentuale minoritaria della popolazione che poteva dedicarsi ad altri lavori: artigiani, professionisti, commercianti, artisti, soldati, ……. Le analisi statistiche evidenziano che, ancora nel 1870, almeno il 70% di tutti gli individui in attività lavorativa, era impegnato in agricoltura, o nell’allevamento di animali, o nella caccia, o nella pesca. Quindi, una volta tolte le quote di ricchezza che si autoassegnavano i Re, i loro nobili e i dittatori vari di ogni genere, restava ben poco da poter utilizzare sia per migliorare le condizioni di vita di contadini, cacciatori e pescatori, sia per poter svolgere altre attività non strettamente produttive.
In pratica abbiamo sempre avuto economie povere, incapaci di fornire prodotti che eccedessero di molto gli stretti fabbisogni di sopravvivenza, in cui si rendeva indispensabile usare denaro e merci preziose come monete di scambio sufficientemente affidabili. E la moneta non poteva assolutamente essere superiore all’effettiva quantità di