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Otello nel laboratorio di Stanislavskij. Introduzione al metodo delle «azioni fisiche»
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Ebook333 pages1 hour

Otello nel laboratorio di Stanislavskij. Introduzione al metodo delle «azioni fisiche»

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L’avvento del «Metodo» teorizzato ed applicato Stanislavskij, padre della regia e maestro russo, nel mondo dello spettacolo contemporaneo, nel teatro e nel cinema, ha portato una radicale l’evoluzione culturale che si estende ben oltre i confini della recitazione in senso stretto.
Il «metodo» è un fenomeno assolutamente recente, risalente all’inizio del Novecento, quando Kostantin S. Stanislavskij comincia a pensare al teatro come una forma precipua di mimesi della realtà: sulle assi del palcoscenico l’attore deve interpretare la parte inseguendo la verità. Una verità così personale da essere definita sincera: una vera e propria rivoluzione culturale. Sin dall’antichità, la messinscena nella via pratica era curata direttamente da poeti e drammaturghi ma, a partire dalle intuizioni di Stanislavskij, l’idea di teatro e di pièce, di concerto ai grandi mutamenti del Novecento, sono rimesse in discussione: il metodo prima, e il sistema delle «azioni fisiche» poi, hanno segnato la cortina d'incominciamento dell’opera d’arte teatrale odierna.
Ampi margini di applicazione sono stati riscontrati nel particolare della seconda edizione dello spettacolo Otello (1930-33). Il protagonista, invero, solo adesso è considerato alla stregua di un modello sposo novello che può servirsi, oltre che della vita anteriore - o sottotesto - della bentrovata fisicità. Resta fermo sempre il convincimento che «la vita fisica del personaggio non sia scindibile da quella spirituale».
Nell'analisi delle azioni fisiche come strumento di comunicazione, attraverso le impostazioni innovative novecentesche, da Mejerchol'd a M. Čechov, passando per Strasberg, Grotowski e il brindisino Barba, «l'attore creativo» potrà essere sempre collocato artisticamente, in ogni luogo, al tempo presente e, allo stesso modo, fuori dal tempo.
 
LanguageItaliano
Release dateAug 2, 2018
ISBN9788899735692
Otello nel laboratorio di Stanislavskij. Introduzione al metodo delle «azioni fisiche»

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    Otello nel laboratorio di Stanislavskij. Introduzione al metodo delle «azioni fisiche» - Francesco Sinigaglia

    Francesco Sinigaglia

    Otello nel laboratorio di Stanislavskij

    Introduzione al metodo delle «azioni fisiche»

    Argot edizioni

    © Argot edizioni

    Andrea Giannasi editore

    Proprietà letteraria riservata

    © 2018 Argot edizioni

    ISBN 9788899735692

    PREFAZIONE

    Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa. [...]

    Ora conosco in modo imperfetto,

    ma allora conoscerò perfettamente,

    come anche io sono conosciuto.

    Lettera ai Corinzi, 13, 12

    Il teatro: lo sforzo di vedere come appropriarsi della realtà, che si manifesta come non appartenerci totalmente.

    Si rincorrono le scene e gli attori in uno sforzo conoscitivo che è intimo codice di appartenenza dell’uomo a se stesso; corpo, azione scenica e parola intimamente uniti perché la meraviglia dell’essere e dell’esistere possa essere evidente alla persona come in un intero – globale - unitario che ci appartiene e che solo ci soddisfa.

    In questo desiderio di conoscenza viva, credo, Stanislavskij si inserisca col suo metodo a dirci che corpo e parola sono servi l’uno dell’altro, e viceversa, in un crescendo che svela l’uomo all’uomo, quasi un’allegoria-ripresentazione della scintilla di Dio di cui siamo fatti e che si risolve nella ricerca di un volto, del Volto di Cristo, attraverso i volti degli attori e della scena.

    Più che mai, la disposizione scenica e le «azioni fisiche» si richiamano perché insieme possano svolgere la complessità semplice della vita sulla ribalta, perché quello studio sulla carne viva, l’impatto col personaggio, l’analisi e la creazione delle «circostanze esteriori» e «interiori», come metodo, scompaiano per cedere il posto alla realtà che Stanislavskij non dà mai per già conosciuta.

    Alla stessa stregua, il movimento conoscitivo, che è un tutt’uno con il nostro essere nel mondo, tende a rendere trasparente e soddisfacente la realtà vissuta come coinvolgimento consapevole dell’essere qui e ora.

    E come non riferirsi alla chiave interpretativa della realtà che passa dal volto di quell’Uno, che è Cristo, che rivelandoci il suo volto spiega e rivela l’uomo all’uomo in un circolo virtuoso che, nel suo stesso porsi, dà alla conoscenza il carattere di insaziabile ricerca in un movimento continuo verso un incontro definitivo e mai completamente compiuto?

    Grazie Francesco, per questo tuo lavoro che si inserisce e tenta di fare sue, portandole avanti, alla maniera tua, sulla scia di grandi drammaturghi, le tensioni ideali e reali di uno svelamento del reale di cui il cuore umano è in ricerca continua.

    Abbas. Can. Paolo Bassi

    INTRODUZIONE

    Dal conscio al controllo dell’inconscio

    K. S. Stanislavskij

    L’avvento del «metodo» teorizzato e applicato da Stanislavskij, padre della regia e maestro russo, nel mondo dello spettacolo contemporaneo, nel teatro e nel cinema, ha portato una radicale evoluzione culturale che si estende ben oltre i confini della recitazione in senso stretto: si consideri, dapprima, il fatto che il «metodo» è un fenomeno assolutamente recente, risalente all’inizio del Novecento, quando Kostantin S. Stanislavskij comincia a pensare al teatro come una forma precipua di mimesi della realtà. Sulle assi del palcoscenico l’attore deve interpretare la parte inseguendo la verità.

    Si tratta di una vera e propria rivoluzione culturale: portare la sincerità nel luogo della menzogna, dove, parafrasando una celebre espressione del maggiore comico italiano vivente, Gigi Proietti, «tutto è finto ma niente è falso».

    Sin dall’antichità, la messinscena nella vita pratica era curata direttamente da poeti e drammaturghi ma, a partire dalla rivoluzione di Stanislavskij, l’idea di teatro e di pièce, di concerto ai grandi cambiamenti del XXI secolo, è rimessa in discussione. Il metodo Stanislavskij prima, e il modello delle «azioni fisiche» poi, hanno segnato la cortina dell’opera d’arte teatrale moderna.

    Il «metodo Stanislavskij» ha origine, dunque, nella fase subito successiva ai Meininger e Antoine - in qualche maniera apripista alla regia - dal problema su cui il maestro russo riflette, ovvero quello di evitare che l’attore, replicando la propria parte infinite volte, scada in iterazione meccanica di stampi esteriori, di clichés¹.

    L’altra base d’analisi stanislavskijana muove dal riferimento al periodo illuminista, quando Denis Diderot (1713-1784), nell’opera Il paradosso sull’attore, aveva sferrato un duro attacco agli attori emotivi, ineguali ad ogni replica, dediti alla ricerca dell’ispirazione². Stanislavskij, discreto attore, formidabile regista e grande fautore del coinvolgimento emotivo della platea nel dramma, invece, spinge la ricerca verso una particolare attenzione affettiva dell’attore. Quest’ultimo, infatti, intimamente commosso e immedesimato nel personaggio, dovrà essere in grado di vivere veramente i sentimenti proposti da taluna situazione scenica, a partire da quelle situazioni che il regista russo definisce «circostanze date».

    Su questi presupposti il «metodo» si fa carne e rappresenta l’insieme delle proposte, dei suggerimenti, delle tecniche di allestimento proposte da Stanislavskij per il suo teatro – sempre segnato da successivi ripensamenti e variazioni – per condurre l’interprete in un profondo stato di grazia.

    Il principio per lo studio sulla recitazione, secondo il regista russo, consiste nel rappresentare un personaggio sul palcoscenico attingendo ad ogni elemento contenuto dall’attore nel proprio bagaglio di vissuto: esperienze, emozioni reali o immaginifiche, sentimenti e pensieri. In tal maniera, il perno centrale del metodo sarà la «reviviscenza»:

    «Si può prendere in affitto un abito ma non un sentimento»³.

    Il nuovo attore, infatti, non può recitare un personaggio che non ha dentro di sé, che non sente. Il metodo, così, fino alle teorie odierne, diviene un fondamentale sigillo per la storia della recitazione, della regia e dell’attore.

    È interessante sottolineare che il «Sistema», a detta del suo creatore, non presenta alcuna pretesa di sistematicità: non si tratta di una guida meccanica ma di una valida modalità di approccio alla scena senza schemi preordinati.

    Il mio libro non ha pretese scientifiche. Il mio scopo è esclusivamente pratico. Voglio insegnare agli attori principianti un corretto approccio all’arte [...]. La terminologia da me adottata in questo libro non è inventata da me, bensì presa dalla pratica, dal linguaggio degli allievi e principianti. [...] È vero utilizziamo anche termini scientifici (inconscio, intuizione) ma li utilizziamo nel senso più semplice, corrente⁵.

    La regia⁶ prende forma: essa, servendosi di attori dilettanti, dovrà confrontarsi con il testo drammaturgico nei termini dell’interpretazione. La regia, per Stanislavskij, osservando una certa fedeltà al testo, si potrà arroccare dietro l’ombra solenne del drammaturgo al fine di legittimare il suo imporsi sull’attore. L’attore, a sua volta, sarà servitore del regista in una immaginaria scala gerarchica per la quale il creatore della messinscena⁷, almeno in teoria, lavora per l’autore, e solo dopo per l’attore⁸.

    Il focus circa l’impegno degli attori sui ragionamenti in merito ai significati del dramma, nel particolare stanislvaskijano, è simboleggiato da Il gabbiano di A. Čechov. Gli interpreti, infatti, al cospetto dell’autore, sono attenti e partecipi all’ascolto della lettura «a tavolino» del dramma. Stanislavskij si inserisce felicemente in tale procedimento, ritenuto fruttuoso agli sviluppi del nuovo teatro: egli, invero e come si vedrà, curerà le note di regia che hanno reso indelebile il successo dell’attore, dapprima in un senso fisico, poi, dal Novecento ai giorni nostri, per una via spirituale.

    È bene precisare che al tempo del debutto de Il gabbiano (1898) inscenato sugli appunti di Stanislavskij, il metodo non presenta ancora la forma completa, assunta, invece, durante i laboratori creativi del Primo Studio (1912) e l’incontro con Suler¹⁰. La rappresentazione del 1898, in qualche maniera, anticipa il Sistema, in un confronto continuo con il particolare clima culturale segnato dal Naturalismo francese, ora importato in Russia, nel solco del binomio Zola-Antoine¹¹.

    Stanislavskij, sebbene aderisca progressivamente al progetto estetico naturalista, sarà successivamente colpito dalle nuove istanze artistiche provenienti da un’Europa creativa, proponendo un cauto congedo dal realismo ed avvicinandosi alla corrente del Simbolismo. Mediante la riproduzione simbolica di un oggetto artistico, l’allestimento di matrice simbolista indaga gli aspetti nascosti della realtà, senza limitarsi alla riproduzione delle sue espressioni epidermiche, come avvenuto per il Naturalismo¹².

    Il contesto culturale nel quale Stanislavskij è collocato, in aggiunta, risulta determinante per le riflessioni circa il lavoro sull’attore: per ricreare emozioni autentiche, in un primo tempo, il maestro russo aderisce, permeato – ma non troppo - dal pensiero freudiano, all’importanza dei meccanismi psicologici con la «reviviscenza» affiancata, però, dall’influenza della filosofia orientale, di Suler e dell’esercizio dello yoga. Questi strumenti erano adoperati con l’obiettivo di raggiungere una comunicazione intima e profonda fra attori e pubblico. In un secondo tempo, fra il 1928 e il 1938, però, Stanislavskij nota le carenze che la memoria emotiva espone: varia, dunque, gli esercizi classici, ribaltando il metodo ed assegnando il ruolo di protagonista al movimento, alle «azioni fisiche». Esse, per mezzo di una speciale analisi del personaggio sul testo e con l’ausilio di un lavoro di story-telling e story-inventing, scolpiscono maggiormente rispetto al passato, il corpo, la voce e l’anima del personaggio: questo affinché l’adoperarsi instancabile dell'attore non sia solo letteratura in costume e personaggio in manichino ma vita che scorre.

    È sempre operante l’intreccio che ha segnato il sistema Stanislavskij, sin dalle sue origini, tra le componenti dello spirito e quelle del corpo, ovvero il fondamento alla base di ogni scoperta del regista russo nell’ottica registica per la quale si comprenda che il passaggio dal sentimento alla dimensione mimico–gestuale sia costituito da un movimento complesso. In ogni situazione, infatti, è arduo fissare i sentimenti, che nella loro spinosa natura sono da considerarsi instabili e capricciosi: questa sarà la battaglia più dura da affrontare circa la «reviviscenza».

    Per Stanislavskij è più agevole stabilire delle «azioni fisiche». Per questa via, al principio delle prove non sarà necessario che gli interpreti recitino a memoria le battute ma che conoscano adeguatamente l’intreccio – scena per scena – al fine di creare, improvvisando, una serie composita di movimenti fisici. Quando la sequenza delle azioni fisiche sarà «fissata», come sostenuto da Stanislavskij ne Il lavoro dell’attore sul personaggio, gli attori sostituiranno la pratica dell’improvvisazione con le parole della drammaturgia.

    In riferimento a questo, l’analisi, nella sua applicazione, sarà incentrata sullo straordinario capolavoro

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