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Non privarmi dei tuoi occhi
Non privarmi dei tuoi occhi
Non privarmi dei tuoi occhi
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Non privarmi dei tuoi occhi

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About this ebook

Alice è stata privata dei suoi affetti più cari ed è costretta a vivere la sua vita con la costante minaccia di individui spregevoli e vendicativi pronti a sottrarle quello che lei disperatamente cerca. Ma nella sua vita si farà spazio un ragazzo premuroso e passionale, purtroppo la conquista della felicità sarà lunga e minata da cattiverie che logoreranno Alice nel fisico e nel cuore. Riuscirà l'amore a salvarla dai pericoli che incombono su di lei?
LanguageItaliano
Release dateNov 30, 2015
ISBN9788893218344
Non privarmi dei tuoi occhi

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    Non privarmi dei tuoi occhi - Anna Pulinaro

    me…

    PROLOGO

    La camera mortuaria dell’ospedale era piena di gente; non conosceva tutti, eppure erano lì a onorare una persona che nemmeno avevano mai frequentato. Forse erano tutti parenti di Francesco, ma poco importava: Giulia ormai giaceva su un gelido lettino dove tutti andavano a darle l’ultimo saluto.

    Il via vai era incessante, volti nuovi e commenti diversi si manifestavano al capezzale, e dopo un abbraccio a Francesco e una carezza ad Alice, tutti si dileguavano in silenzio, tutti tranne loro, che da sei ore stavano piangendo la scomparsa di una donna meravigliosa.

    Il sole ormai era calato, non era rimasto quasi più nessuno, anche Francesco era tornato a casa, ma lei era ancora là che continuava a parlarle.

    «Mi hai lasciata… Ora come farò, chi mi vorrà mai bene come te, chi mi guiderà sulla strada giusta? Fa male, mamma… fa tanto male, non avrei mai immaginato di provare un simile dolore. Tu ti sei presa una parte del mio cuore, e io… non so se riuscirò a vivere senza di essa. So che non ti farebbe piacere sentirmelo dire, ma vorrei tanto morire e venire con te… qui non ho più niente e la cosa più bella che avevo mi è stata strappata via… Mamma, perché è successo questo proprio a noi?»

    Con gli occhi colmi di lacrime si stese su di lei abbracciandola per l’ultima volta; un uomo le si era avvicinato per avvisarla che era ora di chiudere. I cancelli dell’obitorio si serrarono e lei restò a fissarli per un po’; poi una mano amica la riportò alla realtà: era quella di Chiara, che si offriva di riaccompagnarla a casa.

    Non stava bene. Durante il tragitto in macchina il suo stomaco iniziò a darle fastidio; aveva mal di testa e gli occhi le facevano male. Arrivati, scorse un fiume di gente fuori dall’abitazione di Francesco.

    «Chi sono tutte queste persone… Io non voglio vedere più nessuno, voglio stare da sola.» Alice si accasciò tra le braccia di Chiara e, quando riprese conoscenza, si ritrovò nella stanza di sua madre.

    «Mamma… dove sei…» Chiuse gli occhi, non riusciva a tenerli aperti, poi si socchiuse la porta ed entrò una persona che le appoggiò un fazzoletto fresco sugli occhi.

    «Cerca di riposare, sei stanca.» Non riconobbe la voce, ma si sentì serena e stranamente si calmò. Nella stanza c’era un fresco profumo di giacinti, i fiori preferiti di Giulia.

    «Come va, cara?» Era sempre la stessa voce, dolce e delicata.

    «Ho tanto male agli occhi.»

    «Lo so, tesoro, ma vedrai che passerà, abbi fiducia in te.»

    «Non ci riesco, la mamma mi ha lasciata e ora non so che fare.» Le lacrime erano tornate ed erano più brucianti che mai.

    «Lei non ti ha lasciata, lei ti sarà sempre accanto. Quando l’amore che unisce due persone è molto forte, nessuno può dissolverlo, è un legame che non si spezzerà mai; anche se ora non è con te fisicamente, il suo spirito vivrà per sempre dentro di te, ma tu ci devi credere, e solo ascoltando il tuo cuore ciò potrà accadere.» Alice si sentì rabbrividire, d’improvviso ebbe la sensazione che la stanza si fosse gelata. Si tolse il fazzoletto dagli occhi, ma non vide nulla, era buio; si alzò lentamente e accese la luce. Gli occhi erano ancora molto doloranti e dovette proteggerli con una mano, poi bussarono alla porta.

    «Ali… sei sveglia?» Era la sua migliore amica.

    «Chiara, chi c’era qui con me poco fa?» le chiese confusa.

    «Veramente non c’era nessuno. Dopo che siamo rientrati, sei svenuta e ti abbiamo portata di qua, e quando ti sei ripresa, dopo un po’ ti sei addormentata, così ti ho lasciata riposare.» Era incredula, come era possibile? Eppure c’era qualcuno con lei! Si guardò intorno e vide le foto di sua madre ovunque, poi scosse la testa.

    «Io… sono ancora… sono stanca, ho bisogno di riposare.» Si infilò nel letto, si portò una foto di sua madre al petto e si addormentò. Quella voce così dolce e rilassante non tornò più, ma vegliò costantemente sulla sua vita, anche se lei non lo avrebbe mai saputo… o forse sì.

    CAPITOLO 1

    La pioggia batteva forte sui vetri della finestra, il rumore disturbava il sonno di Alice, che si girava e rigirava nel letto, nell'inutile tentativo di continuare a dormire. Era un

    sabato mattina di novembre; in strada la gente andava già di corsa per affrontare la propria giornata, anche se molti avrebbero preferito starsene a letto, visto il tempaccio che c'era. Proprio come lei, che purtroppo si ritrovò fuori dal letto e in piedi davanti alla finestra a osservare il via vai delle auto. Era assorta nei suoi pensieri, quando sentì bussare alla porta.

    «Sei sveglia?» chiese la sua coinquilina.

    Chiara era la sua migliore amica, si conoscevano dalle elementari, avevano condiviso tanto insieme, aveva un’allegria contagiosa ed era la dote che ammirava di più in lei.

    «Buongiorno, Chiara, entra pure, questa pioggia mi ha tirata fuori dal letto» disse infilandosi di nuovo sotto le coperte. Chiara fece un balzo e si mise accanto a lei.

    «Ma cosa fai!» gridò scoppiando a ridere mentre Chiara le faceva il solletico.

    «Ti prego, smettila o mi farai morire!»

    «Allora alzati, così ti accompagno al colloquio.»

    «Ma è ancora presto, voglio rimanere ancora un po’ a letto» brontolò tirandosi su le coperte.

    «No no, amica mia, avevi promesso che saremmo andate al centro commerciale, ricordi?»

    Come potrei, mi hai quasi obbligata, pensò.

    «Dobbiamo prendere un regalo per Andrea, stasera c'è l'inaugurazione del suo Wine bar.»

    «Uffa... va bene ma la doccia la faccio prima io.» Con uno scatto Alice scese dal letto e si chiuse in bagno, sorprendendo Chiara che non riuscì ad essere più veloce di lei.

    Le due ragazze si erano trasferite a Roma da due anni, per un master in lingue; per mantenersi agli studi e pagarsi l'affitto dell'appartamento che dividevano, avevano fatto svariati lavori. Chiara attualmente lavorava part-time presso una profumeria, mentre l’amica avrebbe sostenuto un colloquio di lavoro proprio quella mattina, presso una biblioteca.

    Alice uscì dal bagno e iniziò a prepararsi: indossò un paio di pantaloni neri, una camicetta bianca aderente con una piccola scollatura e una giacca nera abbinata ai pantaloni. Era molto bella ma semplice al tempo stesso. Aveva i capelli neri e morbidi come il velluto, all'altezza delle spalle, gli occhi castani e la pelle ambrata; non era molto alta ma aveva un fisico snello e minuto. Con un po’ di mascara, eyeliner e un tocco di lucidalabbra, era pronta per uscire.

    In quel momento Chiara entrò emettendo un fischio.

    «Ma sei bellissima» disse con un sorriso sincero.

    «Dai, smettila, lo sai che i complimenti mi imbarazzano» sbuffò timida.

    «Già, dimenticavo, tu sei un alieno, praticamente sei l’unica donna al mondo che non ama i complimenti» replicò l’altra con ironia.

    «Piantala. Andiamo?»

    Per loro fortuna aveva smesso di piovere. Si incamminarono verso la metro, confondendosi tra la folla dei passanti. Giunsero a piazza Sant'Agostino, dove era situata la biblioteca Angelica.

    Arrivarono all'entrata, ma Alice si fermò.

    «Cosa succede?» chiese Chiara.

    «E se non mi assumono?» rispose con ansia.

    «Ti prego, smettila di vedere il bicchiere sempre mezzo vuoto. Fa’ un bel respiro e vedrai che andrà bene, sento che oggi è il tuo giorno fortunato.»

    Speriamo che sia così, amica mia, pensò mentre superavano l’ingresso. La biblioteca era molto grande e dentro si respirava aria di antico; c'erano molti libri, alcuni contemporanei e altri meno recenti. Si recarono all'ufficio amministrativo, bussarono e poco dopo una voce le invitò ad entrare. In fondo alla stanza c'era una scrivania, dietro la quale sedeva una donna di mezza età; Alice non si mosse e aspettò un cenno della donna, che la stava osservando da sotto gli occhiali.

    «Si accomodi» esordì.

    «Buongiorno, sono Alice Ferreri.»

    «Salve, signorina Ferreri, io sono Elena Marconi, responsabile delle assunzioni.»

    Era tesa come una corda di violino, quella donna le metteva soggezione, aveva un’aria severa: indossava un vestito grigio e aveva un profumo che le ricordava la sua infanzia; era molto curata, i suoi capelli erano raccolti e di un colore miele ramato.

    «Dunque, signorina, è il suo primo lavoro?» chiese tenendo gli occhi bassi sui fogli che aveva davanti.

    «No, veramente ho avuto anche altre esperienze professionali, prima d’ora.»

    «E come mai è interessata a questo incarico?»

    «Vede… ho una grande passione per i libri, adoro leggere, sono una persona molto precisa, amo stare in luoghi tranquilli come questo e poi...» esitò un attimo, poi decise di giocarsi la carta della sincerità. «Poi ne ho bisogno, io vado all'università e devo pagarmi gli studi.»

    Elena la osservò molto attentamente e rivolse lo sguardo verso Chiara, che non si scompose proprio, infatti era molto serena, a dispetto di Alice che si sentiva sotto pressione. Ci fu ancora un minuto di silenzio, infine la donna continuò: «Bene, signorina. Per lei andrebbe bene lavorare dal lunedì al venerdì, nelle ore pomeridiane, oppure a seconda dei suoi orari all’università?»

    «Certo, sarebbe perfetto» rispose frettolosamente.

    «Quindi potrebbe anche iniziare lunedì?»

    D’un tratto si ammutolì, pensava di non aver sentito bene, così Chiara le diede un calcio da sotto il tavolo facendola trasalire.

    «Sì... sì, certamente» rispose smorzando la voce per il dolore allo stinco.

    «Bene, ora le do alcuni documenti da firmare, e poi le consegnerò il tesserino della biblioteca.»

    Dopo aver firmato i documenti e aver ricevuto le prime istruzioni sui compiti che avrebbe dovuto svolgere, le due amiche si recarono verso l'uscita e, quando finalmente furono fuori, la tensione sparì lasciando spazio alla gioia. Si abbracciarono felici e si avviarono finalmente al centro commerciale, dove trascorsero gran parte della mattinata tra i negozi. Mentre si trovavano in una profumeria, si divertirono molto a provare diverse fragranze, ridendo e scherzando su quelle meno proponibili. In quel momento, la mente diabolica di Chiara pensò di spruzzare un pessimo profumo su Alice, ma lei indietreggiò per sfuggire all'assalto dell'amica e urtò su qualcosa alle sue spalle. Con tutto l'imbarazzo si voltò, e vide che aveva travolto un ragazzo.

    Lui la stava osservando con curiosità, era molto più alto di lei, all'incirca un metro e ottanta, occhi azzurri e capelli neri, con uno sguardo non proprio divertito che la fece arrossire ancor di più.

    Alice abbassò gli occhi a terra. «Mi... mi scusi, non l'ho vista» disse con un filo di voce.

    «Figurati, sono cose che succedono» rispose con voce dura il ragazzo.

    «Mi scusi ancora.» Alice si voltò e con uno scatto prese Chiara sotto un braccio e la trascinò tra gli scaffali.

    «Oh mio Dio... hai visto quel tipo?» commentò con eccitazione.

    «Già, e tu hai visto che figuraccia ho fatto?»

    Chiara scoppiò in una risata fragorosa, che contagiò anche Alice, e ridendo si allontanarono verso le casse.

    Tornarono a casa nel pomeriggio, stanche ma felici. Chiara si mise a impacchettare il regalo di Andrea; alla fine, dopo tanti dubbi, gli avevano comprato una lampada a forma di botte per il vino con dei led colorati. Alice invece si accomodò sul divano a leggere.

    Mentre regnava il silenzio in casa, si udì lo squillo del telefono.

    «Pronto» rispose allegramente Alice.

    «Ciao sorellina. Sono Caterina» Il sorriso svanì dal suo volto e questo attirò l’attenzione di Chiara, che si avvicinò a lei con curiosità e preoccupazione.

    «Cosa vuoi» aggiunse con amarezza.

    «Perché ho l’impressione che tu sia sulla difensiva? Non posso nemmeno chiamare la mia sorellina?» replicò ironicamente Caterina.

    «Falla finita, tu non sei mia sorella e la tua telefonata non è di certo un piacere per me. Ora dimmi cosa vuoi.»

    «Abbassa i toni, carina, non ti permetto di parlarmi in questo modo, e comunque sappi che tra un paio di giorni arriverò a Roma.»

    Alice sbiancò. «E con questo? Cosa vuoi da me?»

    «Solo parlarti di una faccenda molto importante.»

    Non rispose, ma il suo volto divenne paonazzo. Chiara era sempre più preoccupata e le faceva dei gesti per cercare di capire cosa stesse succedendo.

    «Ma… ma verrai da sola?»

    «No sorellina, avrò il mio fido accompagnatore. Sai, Nicola è molto premuroso con me e non vuole che viaggi sola e poi…»

    Alice la interruppe: «Perché… perché mi fai questo? Cosa vuoi ancora da me!?»

    Riagganciò il telefono con forza, e si lasciò cadere a terra in un pianto disperato.

    «Cosa è successo? Ti prego, non piangere… Ma chi diavolo era al telefono!»

    Non riusciva a calmarsi, gli incubi del passato ritornavano più vivi che mai. L’amica provò a consolarla e, quando vide che si stava calmando, tentò di farle qualche domanda.

    «Vuoi provare a dirmi chi era e cosa è successo?»

    Ci fu ancora silenzio, poi Alice riprese a parlare.

    «Caterina.»

    «Quella strega!» imprecò Chiara. «Cosa diavolo vuole?»

    Tra i singhiozzi e la rabbia, Alice le spiegò la conversazione che aveva avuto.

    «Non preoccuparti, stavolta non sei sola, io ti sarò vicina, non le permetteremo di farti ancora soffrire.»

    Alice l’abbracciò forte, aggrappandosi a quelle parole, anche se lei non immaginava di quanta malvagità era dotata Caterina.

    «Asciugati le lacrime e non permetterle di rovinarti la serata.» Con un po’ di fatica si ricompose, non riuscendo ancora a capire come si fosse lasciata convincere a uscire; non ne aveva alcuna voglia, ma sapeva che lottare con Chiara non le sarebbe servito, visto che quando voleva qualcosa la otteneva sempre. Chiara era il suo opposto: il suo carattere era forte, deciso, era molto sicura di sé, aveva un gran senso dell’umorismo e riusciva a vedere sempre qualcosa di buono in quello che la vita le offriva. I suoi capelli ora erano biondi e lunghi, era sempre in cerca di un taglio e di un colore che la descrivessero realmente, ma il suo colore naturale era il castano che Alice adorava tanto; li aveva scalati sul viso e facevano risaltare i suoi bellissimi occhi verdi, assieme alla sua pelle candida come quella di una bambola. Alice spesso si era sentita imbarazzata dalla sua avvenenza; malgrado i continui complimenti che lei stessa le faceva, proprio non riusciva a vedersi bella. Quella sera le due amiche andarono in un pub, cercando di dimenticare quello che era accaduto; in parte ci riuscirono, ma Alice le aveva dato del filo da torcere fin da subito: scalpitava, non le andava di stare in mezzo a tanta gente, aveva esaurito tutta la sua autonomia, così, dopo tanti tentativi, riuscì a trascinare Chiara fuori dal pub. Il mattino seguente, dormirono più a lungo del solito. La prima ad alzarsi fu Alice e, come di consuetudine, si avvicinò alla finestra: con molto piacere vide che era bel tempo.

    Almeno non piove, pensò. Le giornate di sole le mettevano allegria. Così decise di preparare la colazione, e in seguito anche il pranzo; cucinare la gratificava molto, lo aveva imparato quando era ancora una bambina. Le ore trascorsero piacevolmente, poi verso sera iniziarono a prepararsi per l’inaugurazione del Wine bar.

    Andrea era un amico di Chiara, si erano conosciuti dopo il trasferimento a Roma, avevano avuto anche una storia breve ma intensa, ma erano rimasti buoni amici. Ovviamente Alice si sentiva un pesce fuor d’acqua tra gli amici di Chiara, ma come al solito non gliel’aveva data vinta quando aveva provato a rifiutare l’invito ad accompagnarla all’inaugurazione. Ora si trovava di fronte al suo armadio, in preda alla disperazione perché non sapeva proprio come vestirsi. Fu in quel momento che fece il suo ingresso Chiara, e rimase a bocca aperta: indossava un abito intero senza spalline, corto alle ginocchia, di un rosa tenue, con una fascia traforata di colore nero sotto il seno, arricchita da un sole ricamato all’altezza del décolleté, un paio di orecchini a goccia lunghi abbinati al pendente della collana, e a completare l’opera dei tacchi pazzeschi.

    «Ma sei semplicemente stupenda» esclamò con sincerità Alice. «Hai intenzione di far venire un infarto al povero Andrea?» disse con malizia.

    «Smettila… e tu? Sei ancora in vestaglia!» la ammonì.

    «Sono indecisa se mettere un paio di jeans oppure…»

    Chiara la interruppe inorridita.

    «Come jeans! Sei proprio incurabile, stasera le gambe vanno scoperte, quindi ora prendi il vestito più corto che hai e indossalo.»

    «Ma...» sibilò inutilmente.

    «Niente ma! Ora va’ e metti in mostra tutto il tuo charme.»

    Charme, magari ne avessi, pensò delusa.

    Non provò neanche a ribattere, così cercò qualcosa di appropriato. Infine, dopo tante indecisioni, indossò una gonna nera molto corta, con una casacca grigio perla avvitata che scendeva svasata sui fianchi, in vita una cintura sottile che si chiudeva sul davanti con un fiocco. La scollatura era moderata e aveva una serie di bottoncini neri sull’orlo, le maniche finivano a tre quarti, e infine con un po’ di riluttanza indossò un paio di décolleté nere. I capelli li lasciò sciolti e come al solito si fece un trucco molto essenziale.

    «Ora sì che mi piaci» esclamò Chiara entrando in camera.

    «Ne sei sicura?» domandò scettica.

    «Ma certo, ora andiamo, sento che questa sarà una bella serata.»

    Il locale si trovava poco distante dal loro appartamento, così andarono a piedi. Quando arrivarono c’era già tanta gente. Chiara, con la sua disinvoltura, iniziò a salutare alcune persone che Alice non conosceva, ed entrò subito in sintonia con la serata, mentre per l’amica risultò complicato; non era riuscita a farsi molti amici, forse un po’ per il suo carattere insicuro, era schiva, e all’apparenza si mostrava chiusa.

    La serata sembrava non terminare mai; Alice era seduta su uno sgabello a sorseggiare qualcosa di analcolico, quando il suo cellulare suonò.

    «Pronto?» Non ci fu risposta, insistette.

    «Pronto… chi è?» Avvertì un sospiro, poi una voce bassa mormorò: «Ciao Alice… sono Daniel»

    Sorpresa, rispose: « Daniel?... come mai questa telefonata?»

    «È da un po’ che ti penso, vorrei parlarti.»

    «Daniel, credevo che ormai ci fossimo chiariti.»

    «Alice, ti prego, voglio solo parlarti; non ti chiedo molto, non credi?»

    «Credo che non sia una buona idea, e poi ora sono con amici, non posso.»

    «Aspetta…» Daniel fece una pausa, poi con voce roca: «Stasera sei bellissima.»

    «Co… come!» Alice si interruppe, iniziò ad agitarsi e a guardarsi intorno, un senso di ansia cresceva in lei e, mentre si divincolava fra le persone in cerca di Chiara, inciampò. Stava per cadere ma si sentì afferrare per un braccio; in modo molto goffo si alzò e, con gran stupore, si ritrovò davanti lo stesso ragazzo con cui si era scontrata al centro commerciale. Rossa in viso, riuscì solo a dire: «Sc… scusami.» Si voltò e si diresse all’uscita. Il ragazzo provò a chiamarla, ma Alice si era dileguata fra la folla.

    «Chiara, ti prego, vieni fuori» disse chiamandola dal cellulare. L’amica si affrettò a uscire e Alice spiegò in fretta ciò che era successo, chiedendole ripetutamente scusa perché non se la sentiva di ritornare dentro.

    «Io torno a casa, se vuoi tu rimani.»

    «Sarei un’ingrata se ti lasciassi andare sola, non preoccuparti, Andrea capirà.» Così decisero di andarsene.

    «Non ci posso credere!» imprecò Chiara mentre entravano in casa.

    «Come è possibile che Daniel si faccia vivo dopo tutti questi mesi.»

    «Non lo so, ma di certo so che mi ha spaventata, sembrava che fosse vicino a me e che mi guardasse di nascosto, e poi, per concludere, su chi vado ad inciampare? Ancora quel ragazzo del centro commerciale.»

    «Non ci posso credere, ma sai che io non l’ho visto durante la serata? Com’è possibile che fosse lì? Chissà se è stato invitato da Andrea, lo devo scoprire.»

    «Ti prego, non cominciare con queste tue manie di investigazione.»

    «Ok, scusa, ho ricevuto il messaggio.»

    Chiara chiuse il discorso, ma la curiosità la logorava, sapeva che c’erano delle coincidenze e voleva assolutamente scoprire da cosa dipendessero, anche all’insaputa della sua amica, così per tranquillizzarla le fece un sorriso e andò a cambiarsi.

    Quella notte il sonno di Alice non fu per niente sereno, erano successe troppe cose, prima la telefonata di Caterina, poi Daniel e, come se non bastasse, il ragazzo del centro commerciale, che a dispetto di tutto il resto era la cosa più piacevole che le fosse capitata; ma considerate le circostanze, la sua situazione era risultata penosa da tutti i lati: decisamente una pessima giornata.

    CAPITOLO 2

    Il mattino seguente, Chiara e Alice si recarono all’università come di consueto.

    «Stamattina mi sento uno schifo» esclamò Alice con voce assonnata.

    «Infatti hai una pessima cera» confermò l’amica osservandola.

    «Non ho dormito bene» rispose guardandosi le mani.

    «Hai voglia di parlarne? Lo sai che puoi contare su di me» le chiese Chiara con aria preoccupata.

    «Grazie ma non è niente, è solo sonno. Guarda, c’è la nostra fermata.» Alice chiuse il discorso e Chiara la osservò con comprensione, senza pretendere altro, così si apprestarono a scendere dalla metro.

    La mattinata trascorse in fretta. Le due amiche, più tardi, si ritrovarono a casa, giusto il tempo di uno spuntino veloce. Chiara come di consueto doveva prepararsi per andare al lavoro, mentre per Alice era il primo giorno in biblioteca.

    «Allora ci vediamo stasera, e… in bocca al lupo.»

    «Crepi, ne avrò bisogno» rispose mentre si cambiava di corsa.

    Alice giunse in perfetto orario, con sua grande soddisfazione; Elena le diede subito disposizioni su quello che doveva fare e le piacque molto il suo incarico. In pratica aveva il compito di catalogare tutti i libri che entravano e uscivano dalla biblioteca, poi doveva riporli nella sezione adeguata e doveva aggiornare il registro giorno per giorno.

    Il primo pomeriggio di lavoro fu molto stimolante, e quando arrivò la sera non si rese neanche conto del tempo che era passato; si sentiva molto appagata e serena. Uscì dalla biblioteca e si incamminò verso la metro. Per strada c’era tanta gente; scrutava i visi delle persone, immaginando i loro pensieri. Decise di rilassarsi un po’, mentre aspettava in stazione, indossò le sue cuffiette e chiuse gli occhi.

    Ad un certo punto fu distratta da un forte odore di sigaretta, aprì gli occhi e si guardò intorno, ma non c’era nessuno che stesse fumando, così li richiuse, ma l’odore ora era più intenso. Riaprì gli occhi e si voltò rapidamente; cercava qualcuno che fosse colpevole fra le persone, ma inutilmente. Ad un tratto ebbe l’impressione di scorgere distintamente una figura tra le altre, ma la frenata della metro annunciò la sua fermata.

    Mentre si avviava verso casa, iniziò ad avere la sensazione di essere seguita, continuava a girarsi indietro, le venne un senso di panico e allungò il passo. Fu in quel momento che una voce la chiamò.

    «Alice.» Con uno scatto si voltò, e nella luce pallida di un lampione vide una sagoma alta e robusta. Con voce esitante chiese: «Chi sei?»

    Quella figura si avvicinò e si rese visibile ai suoi occhi.

    «Ciao, sono Daniel.» Quel nome la fece trasalire, indietreggiò di un passo, ma il ragazzo, che era lesto nei movimenti, la afferrò per un polso.

    «Dove vai?» esclamò, poi scorse il timore nei suoi occhi e allentò la presa.

    «Scusa se ti ho spaventata, ma devo parlarti.» Daniel era molto vicino ad Alice, tanto che lei poté sentire il suo odore, quell’odore che aveva già sentito: quello di sigaretta. Cercò di rimanere calma, si guardò intorno e si accorse che la strada era buia e solitaria; pensò che se avesse provato a scappare, Daniel l’avrebbe raggiunta in un attimo, visto che era molto atletico, così decise di assecondarlo.

    «Di cosa mi vuoi parlare?»

    «Di noi.»

    «NOI?» rispose Alice con un tono più alto. «Non c’è nessun noi.»

    «Voglio che tu mi dia un’altra possibilità.» Alice capì che quella conversazione di lì a poco sarebbe diventata sgradevole, quindi decise di prendere tempo, provando a spostarsi in un posto più affollato.

    «Perché non ci spostiamo, c’è un bar qui vicino, così parliamo più tranquillamente.»

    Daniel la scrutò, poi annuì, e si incamminarono, mentre lei pensava a come uscire da quella situazione.

    In passato avevano avuto una relazione di pochi mesi, si erano conosciuti all’università, lui veniva dalla California e si era trasferito a Roma per imparare l’italiano. Aveva un fisico statuario, muscoloso, con i capelli di media lunghezza, di un castano chiaro, occhi azzurri in perfetto stile californiano. Purtroppo Alice se ne innamorò, senza sapere che aveva una doppia personalità. In principio era molto premuroso, paziente e affettuoso, ma durò poco: con il passar del tempo le mostrò il suo lato peggiore, diventò possessivo e geloso, rendendo la sua vita un inferno, costringendola ad assecondarlo ogni volta per non scatenare la sua ira.

    Fino a che un giorno, mentre era all’università, intenta a parlare con un gruppo di laureandi, si sentì chiamare e voltandosi vide avvicinarsi Daniel, dal viso adirato; sapeva già che non avrebbe potuto aspettarsi nulla di buono. Prima che le fosse vicina, le urlò contro: «Dove diavolo sei stata?»

    Alice divenne rossa per la vergogna, si sentì ancora più piccola di fronte a quella montagna che sarebbe crollata da un momento all’altro.

    «Ma… che ti prende, Daniel!» esclamò cercando di calmarlo.

    «Il cellulare dove cazzo lo hai messo!»

    In quel momento la ragazza prese il cellulare dalla borsa a tracolla e vide le cinque chiamate sul display; sbiancò, si guardò attorno e si accorse che non c’erano più i suoi amici, purtroppo ognuno era impegnato a far finta di niente.

    «S... scusami ma ero a lezione e ho abbassato la suoneria, ho dimenticato di rimetterla a posto.»

    Le parole le uscirono strozzate, non sapeva come calmare Daniel. «Sei un’idiota!» le gridò lui tirandole uno schiaffo. Alice non realizzò subito cosa fosse successo, le girava la testa e aveva la guancia in fiamme; le lacrime iniziarono a rigarle il viso, tutti intorno si fermarono a guardarla. Si voltò verso Daniel con gran disprezzo, gli avrebbe voluto urlare quanto lo odiasse, ma dalla sua bocca non uscì una parola, allora si volse e senza dire nulla scappò via da lui. Daniel in seguito aveva continuato a darle il tormento, ma Alice si era negata senza dargli nessuna possibilità di rivedersi, fino a quel giorno.

    «Allora, Alice, come stai?» chiese Daniel con aria sicura e spavalda, mentre lei sedeva sullo sgabello di un bar.

    «Ascolta, Daniel, non comportarti come un mio amico, dimmi cosa vuoi e facciamola finita.»

    Daniel si rabbuiò, sul viso gli comparve un’espressione che Alice conosceva molto bene: era arrabbiato.

    «Non riesci proprio a perdonarmi.» Le si era avvicinato così tanto che riusciva a sentire il profumo di Alice, alzò la mano per poterle accarezzare il viso, ma lei ebbe uno scatto e scese dallo sgabello.

    «Ti prego, ora devo andare a casa.» Daniel le afferrò un polso stringendo forte.

    «LASCIAMI!» gridò senza riuscire a liberarsi.

    «Ma non capisci che io ti voglio, ho bisogno di te» disse a denti stretti.

    «Lasciami, mi stai facendo male.»

    «Vattene pure, piccola, ma ricorda che per me non è finita.» Daniel le lasciò il polso bruscamente e lei scappò via di corsa. Fece le scale di casa così in fretta che quando arrivò fuori dalla porta non aveva più fiato; cercò le chiavi in borsa e con mani tremanti aprì. Entrò in casa chiudendosi la porta alle spalle, si accasciò a terra e lasciò sfogare tutta la sua rabbia.

    CAPITOLO 3

    La chiave girò nella serratura, con uno scatto la porta si aprì, era buio. Chiara accese le luci e quello che vide le fece balzare il cuore nel petto. Alice era sdraiata sul pavimento immobile.

    «ALICE!» gridò avvicinandosi all’amica. «Cosa ti è successo?!»

    La ragazza aprì gli occhi molto lentamente, erano rossi e non riusciva a mettere bene a fuoco; poi si rese conto che era la sua amica, le buttò le braccia al collo e si abbandonò in un pianto disperato.

    «Oh mio Dio, ma chi ti ha ridotta così?»

    «Da… Daniel» esclamò tremando ancora.

    «COSA? Quando e dove lo hai incontrato!?» sbottò arrabbiata Chiara.

    «Sono uscita dalla biblioteca e… Non so come spiegarti, ma mi sentivo osservata, e anche quando mi trovavo nella metro quella sensazione non mi ha abbandonata, poi…» si fermò tra un singhiozzo e l’altro. «Poi fuori dalla metro mi sono sentita chiamare, e lui era lì… davanti a me.»

    Alice si coprì il viso con le mani.

    «Alice, ti prego, dimmi cosa ti ha fatto quel bastardo.»

    «Lui… lui vuole me» sussurrò con il viso ancora coperto dalle mani.

    «COSA!» esclamò furiosamente l’amica.

    «Ma come si permette di…» improvvisamente Chiara non parlò più, aveva notato il polso di Alice che era visibilmente violaceo.

    «Oh mio Dio, quel mostro ti ha toccata ancora, fammi vedere.» Solo allora Alice sentì il polso dolente, e si accorse del livido.

    «Non è niente» disse nascondendosi le mani nelle tasche della felpa.

    «Come puoi difenderlo, è un animale, tu non devi fare questo… non permettere che lo faccia ancora.»

    Alice si alzò di scatto. «E cosa vuoi che faccia? Mi sta perseguitando, lui è più forte di me e… e io sono stanca di combattere, non ce la faccio più, cosa posso fare!?» ringhiò Alice, si avvicinò alla finestra e inutilmente trattenne le lacrime.

    «Ti prego, non piangere, lui non merita le tue lacrime, lo devi denunciare.»

    «No, così posso peggiorare la situazione.»

    «Ma la situazione è già peggiorata, ti ha già chiamata al telefono, ora ti pedina al lavoro, come credi di difenderti da lui la prossima volta? Cosa aspetti, che ti mandi in ospedale?»

    «Smettila, ti prego, è già difficile per me» imprecò Alice.

    «No, io prego te perché tu mi dia ascolto, è per il tuo bene.»

    Le due amiche si guardarono contrariate, ma poi si abbracciarono.

    «Qualsiasi decisione tu voglia prendere io ti sarò vicina, nel frattempo spero tu faccia la cosa giusta.»

    «Grazie, ci penserò.» Quella sera Chiara e Alice rimasero in casa, ordinarono pizza a domicilio e guardarono vecchi film sul divano. A letto Alice si girò e rigirò combattendo con gli incubi della sua vita. Il mattino seguente tutto si svolse come al solito: università e lavoro. Le piaceva sempre più andare in biblioteca, lì trovava la serenità che le mancava. Passò così la settimana, e finalmente arrivò il week end.

    «Cosa facciamo stasera?» chiese Chiara con euforia.

    «Non lo so io non ho molta voglia di uscire», rispose Alice a voce bassa, temendo quasi la reazione dell’amica.

    «Dai, non puoi stare in casa, oggi è sabato, sai cosa significa?»

    «Cosa» rispose con molta pazienza Alice.

    «D I V E R T I M E N T O» disse scandendo bene la parola.

    «Ecco, è proprio per questo che voglio rimanere a casa, non voglio rovinarti il divertimento.»

    «Tu sei un caso clinico, amica mia» rispose Chiara in tono di resa.

    «Dai, non ti arrabbiare, ti prometto che il prossimo weekend faremo cose da pazzi.» Alice sperò di essere stata abbastanza convincente da far desistere l’amica.

    «Va bene, però non provare a tirarti indietro, ci conto» le diede un bacio sulla guancia e si arrese.

    «Tranquilla, è una promessa.»

    Quella sera Alice si mise comodamente in tuta; mentre sorseggiava una cioccolata calda, si avvicinò alla finestra e rimase a guardare le luci che filtravano dal parco che si trovava di fronte casa. Ad un tratto posò lo sguardo su una macchina parcheggiata; non riusciva a distinguere bene, ma le sembrò di vedere qualcuno che guardava nella sua direzione. Decise di spostarsi dalla finestra, si sentì improvvisamente a disagio; si stava per sedere sul divano, quando suonò il citofono. Alice trasalì e prima di rispondere attese che i battiti del cuore fossero rallentati.

    «Chi è?» rispose esitante.

    «Ciao sorellina.» All’udire quella voce ebbe quasi un conato di vomito e trattenne il fiato.

    «Allora hai deciso di farmi stare qui fuori al gelo?» Il tono di Caterina era come sempre arrogante e deciso. Suo malgrado, Alice aprì il portone, determinata a risolvere la questione una volta e per sempre. Quando il campanello suonò, attese ancora un po’ per riordinare i suoi pensieri; fece un gran respiro e aprì.

    Caterina era davanti a lei in tutto il suo splendore: alta, bella, capelli lunghi fino al sedere, di un castano intenso, abiti griffati e la solita spavalda sicurezza da grande snob. Caterina guardava Alice ostentando disprezzo; fece un passo in avanti e alle sue spalle spuntò Nicola. Alice distolse lo sguardo arrossendo e si concentrò sulla ragazza.

    «Cosa sei venuta a fare» Il tono di Alice era duro.

    «Non mi fai entrare? Hai per caso dimenticato le buone maniere?» ribatté Caterina sarcastica.

    Di certo avere una discussione sul pianerottolo di casa con la sorellastra era l’ultima cosa che voleva; aveva faticato tanto per trovare una casa in un condominio per bene, quindi anche se controvoglia la fece accomodare.

    Caterina entrò e Nicola la seguì come un segugio; avanzò lentamente per poter incrociare gli occhi di Alice, ma lei li teneva rivolti al pavimento e quando lui le passò accanto lei ebbe un brivido.

    «È qui che vivi?» domandò Caterina guardandosi intorno con disgusto.

    «Taglia corto, sappi che non sei la benvenuta, quindi dimmi cosa vuoi e… e poi sparisci.»

    La ragazza scoppiò a ridere e si avvicinò ad Alice.

    «Ma guarda che insolenza, non ti si addice proprio il ruolo della cattiva.»

    «Hai ragione, quello è un tuo primato.» Alice era furiosa e, come se non bastasse, si sentiva in imbarazzo, con gli occhi di Nicola puntati addosso.

    «Ma sentila, sei solo una povera ragazza dei borghi bassi, priva di buone maniere. Sei una nullità e non ti permetto di insultarmi.»

    «Adesso basta, brutta stronza! Come osi venire qui in casa mia con quest’aria arrogante?! Io ti…» Alice stava per mettere le mani addosso a Caterina, ma venne trattenuta da Nicola.

    «Ragazze, smettetela, state esagerando.» Si liberò dalla presa di Nicola e gli lanciò un’occhiata di fuoco.

    «Dimmi cosa vuoi e vattene subito» ordinò Alice.

    «Sei la solita perdente, ecco, questi sono dei documenti, firmali, ti do un paio di giorni, poi tornerò a riprenderli.» Caterina le passò davanti quasi urtandola, poi si diresse verso la porta e si voltò.

    «Ricorda che tra un paio di giorni ritornerò a prendere i documenti, esigo che siano firmati.» Uscì dall’appartamento lasciandola sbigottita, tanto che non si rese conto che Nicola era ancora lì.

    «Alice, stai bene?» La voce di Nicola risuonò come una campana nella stanza, stordendola.

    «Cosa… no.»

    «Alice, ascolta.»

    Lei lo interruppe prima che lui le si potesse avvicinare.

    «Nicola, ti prego, vattene via… va’ da lei.»

    Lui continuò a osservarla, senza dire niente; lei gli dava le spalle, avrebbe voluto abbracciarla, ma si controllò e decise di andarsene. Quando fu sulla soglia, si fermò e si rivolse ancora a lei: «Non lasciare che lei vinca ancora» disse con rammarico. Alice aveva gli occhi pieni di lacrime, si voltò… ma Nicola era già andato via.

    Il resto della serata lo passò sul divano, al buio, riflettendo su ciò che era accaduto. Continuava a pensare a Nicola, a quando erano felici, prima che lei arrivasse; non riusciva a spiegarsi come fosse potuta finire così, si rammaricava delle decisioni che aveva preso nella vita e credeva che se fosse stata più determinata e sicura, forse sarebbe stata una ragazza diversa. Infine decise di non aprire quei documenti; se lo avesse fatto, di sicuro avrebbe trascorso un’altra notte in bianco, si sentiva molto stanca e decise di andare a letto senza aspettare Chiara, non avrebbe retto ad un altro interrogatorio.

    Il mattino seguente si svegliò di buon’ora, fuori il sole era ancora incerto. Decise che sarebbe andata a correre al parco per scrollarsi di dosso un po’ di stress, indossò dei leggings con scarpe da ginnastica e lasciò un biglietto a Chiara che dormiva ancora. Una volta fuori, si sentì subito meglio; il contatto con la natura e quell’aria fresca del mattino la facevano stare bene. Indossò le cuffiette dell’ iPod e iniziò a correre. Il parco non era molto grande e quella mattina si presentò poco affollato, un cuore verde nel centro cittadino era un toccasana per i momenti di relax, aria pura e tranquillità era tutto ciò che serviva ad Alice, lì riusciva a tenere la mente sgombra dai pensieri. Si fermò per fare un po’ di respirazione e si accorse di avere una scarpa slacciata, così si accovacciò per sistemarla. Quando si alzò, lo fece così velocemente che non si accorse di chi le veniva contro, e lo prese in pieno. L’impatto fu così rapido e forte che la fece cadere all’indietro, ritrovandosi con il sedere a terra.

    Per la miseria, ma cosa mi ha travolta? pensò ancora con gli occhi chiusi per il dolore che avvertiva al fondoschiena.

    «Si è fatta male?»

    «Certo che sì! Che botta che ho preso» rispose aprendo gli occhi, e in quel momento vide una mano tesa verso di lei.

    Non ci credo, ancora tu? pensò alzandosi. Il fato aveva fatto che sì che si scontrasse con il ragazzo del centro commerciale per la terza volta, e ora le stava davanti in attesa di una sua reazione. Rimase immobile, con le labbra socchiuse, lo fissava; lui aveva un cappellino e una tuta che metteva in evidenza il suo fisico perfetto. I suoi occhi azzurri erano penetranti; era semplicemente sexy.

    «Lascia che ti aiuti» la voce del ragazzo interruppe i suoi pensieri.

    «Grazie… è tutto a posto» riprese cercando di ricomporsi.

    «Ma… ma noi ci conosciamo?»

    «Ehm… no… non credo» rispose evasiva, accennò un passo indietro per andarsene, ma lui la fermò.

    «Aspetta, tu sei la ragazza del centro commerciale, e ti trovavi anche da Andrea la sera dell’inaugurazione.»

    «Co… come, no, forse mi confondi» disse arrossendo.

    «Come potrei confonderti.» Alice abbassò gli occhi timidamente.

    «In ogni caso credo che sia di dovere presentarci visto le circostanze… Io sono Alex.»

    «Io sono… Alice.» Alex piegò la testa di lato e ammiccò un sorriso seducente.

    «Ma tu sei come Alice del romanzo di Lewis Carroll?» chiese quasi divertito.

    E chi diavolo è Lewis Carroll, pensò.

    «Come … scusa?»

    «Sei anche tu nel paese delle meraviglie?»

    Ma tu guarda questo prepotente.

    «Come sarebbe a dire?» rispose infastidita, cercando di non farlo vedere troppo.

    «Beh… ogni volta che ci siamo incontrati… anzi per meglio dire scontrati, mi hai sempre dato l’impressione di essere con la testa altrove.»

    Ma guarda che tipo dovevo incontrare.

    «Tu non mi conosci, e questo non ti dà il diritto di avere nessuna impressione su di me» rispose alterandosi più del dovuto.

    «Scusami tanto, non volevo essere invadente e tantomeno offenderti» riprese Alex cauto, e si rese conto di essere stata scortese. Ma che diavolo mi prende…

    «No, scusami tu, è che…» abbassò ancora lo sguardo.

    «Ehi, Alice, non è successo nulla» il tono di Alex era comprensivo, lei spostò il peso del corpo da una gamba all’altra, poi aggiunse: «Senti, io continuo la mia corsa, e scusa ancora per lo scontro.» Nel momento in cui si voltò per riprendere la corsa, lui la fermò prendendole una mano. Quel contatto la sorprese, si soffermò a guardare quella mano che la stringeva; quella presa le trasmise un calore che si irradiò per tutto il corpo. Erano così vicini che lei riusciva a sentire il suo profumo; con il viso arrossato alzò lo sguardo e incrociò i suoi occhi.

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