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Una rilettura critica del femminile tra psicoanalisi e neuroscienze
Una rilettura critica del femminile tra psicoanalisi e neuroscienze
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Ebook157 pages1 hour

Una rilettura critica del femminile tra psicoanalisi e neuroscienze

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“Data l’intima connessione tra ciò che distinguiamo in fisico e psichico, dobbiamo ammettere che verrà un giorno in cui, alla conoscenza teorica e speriamo pure a un’attività terapeutica, si apriranno nuove vie conducenti dalla biologia somatica e dalla chimica fisiologica alla fenomenologia delle nevrosi”. 
S. Freud

Una rilettura critica del femminile tra psicoanalisi e neuroscienze può essere ridefinita a partire dal significato legato al termine corporeitas, derivato di corporeus, e indicante sia l’avere un corpo sia l’essere un corpo, tema cardine dell’indagine antropofenomenologica che, con Husserl e Merleau-Ponty, ha sottolineato la necessità dell’esperienza corporea.
La rottura psicosomatica, indagata dalla riflessione fenomenologica attraverso la basilare distinzione tra Körper (il corpo che ho) e Leib (il corpo che sono), pone, infatti, le condizioni per reintegrare la percezione e la rappresentazione del corpo come oggetto verso una consapevolezza della soggettività incorporata, che porta all’ incontro con sé e con l’Altro.

Altrettanto fondamentale è l’apporto delle neuroscienze, per quel che riguarda il funzionamento della mente biologica che si fa, inevitabilmente, esperienza vissuta come coscienza fenomenica. In quest’ottica, il tentativo di indagare “due aspetti diversi del medesimo fenomeno umano: il vissuto fenomenologico e il conosciuto oggettivo” fa da sfondo alla relazione tra corpo ed emozioni, nel sottolineare l’importanza del vissuto corporeo, rappresentata nella sofferenza femminile e testimoniata dalla clinica psicopatologica da oltre un secolo. Di ciò si discute ampiamente nei quattro capitoli di questo lavoro, a partire da una reinterpretazione delle origini archetipiche e mitologiche legate alla (e forse determinanti la) percezione dell’essere femminile come continente oscuro. Da qui prende avvio l’analisi di temi fondanti la pratica e la storia del pensiero psicoanalitico – ma dalle radici antichissime in termini di credenze collettive, o ethos – quali il dolore, la colpa, il desiderio, il corpo, la malattia, l’identità, la cura e la guarigione, transitati attraverso le varie forme storiche dei sistemi di sapere e di potere, veicolo dell’immaginario collettivo su quella che è stata considerata da sempre la malattia dell’universo femminile:

“La parola isteria dovrebbe essere conservata, anche se il suo significato originario è assai cambiato. Oggigiorno sarebbe molto difficile cambiare, e ha davvero una storia così interessante e meravigliosa che sarebbe un peccato abbandonarla”.
P. Janet

La diagnosi di isteria è stata ufficialmente abolita nel 1952.

Roberta Donato, laureata in filosofia e psicologia, è attualmente specializzanda in Psicoterapia della Gestalt.  Ha all'attivo diverse pubblicazioni in ambito scientifico. 
http://www.robertadonato.it/
LanguageItaliano
PublisherPasserino
Release dateAug 5, 2018
ISBN9788893454605
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    Una rilettura critica del femminile tra psicoanalisi e neuroscienze - Roberta Donato

    INDICE

    Credits

    Prefazione critica

    Guida al testo

    Nota dell'autore

    CAPITOLO I

    Il continente oscuro. Miti, simboli, archetipi

    1. Linguaggio, pensiero e coscienza

    2. Il trauma ontologico

    3. La vergogna a essere e la defezione dell’Eros

    CAPITOLO II

    Il corpo tra colpa e dolore

    1. Le catene invisibili della coscienza

    2. Fenomenologia dell’Eros femminile

    CAPITOLO III

    La cura e il mito

    1. Desacralizzazione della guarigione

    2. Fenomenologia dell’endometriosi

    APPENDICE

    Il disagio psicologico nell’endometriosi (V. Pontello)

    CAPITOLO IV

    Il sacro come dimensione bio-psico-fisica

    1. L’inconscio allo specchio

    2. La guarigione nei sogni. Frammenti di analisi

    BIBLIOGRAFIA

    Copertina

    Dipinto L'Origine di Matteo Arfanotti - 2011

    Prefazione critica 

    Guarigione: un percorso di Trasformazione al Femminile.

    Quando le donne camminano, con le loro gonne formano cerchi.

    Nel cerchio si concentrano tutte le energie in un perfetto continuo e infinito. E così noi.

    Un’immagine semplice ma ricca di significato che immediatamente conduce dritti al punto: il corpo.

    Perché il corpo delle donne è come un paesaggio immenso, dinamico, potente e misterioso. Come la Terra. 

    Profondo, rotondo e fertile come la Terra; che tra i suoi umori, porta in sé il simbolo sacro dell’esistenza. E’ il luogo della totalità e della ciclicità. 

    Secondo la tradizione della psicologia analitica junghiana, uno dei simboli caratteristici del femminile archetipico è il vaso, inteso come attributo dell’essenza femminile che mette in risalto la capacità del contenimento, dell’abbondanza e del nutrimento. Una capacità, dotata della caratteristica istintiva e naturale di sapere proteggere tutto quello che si sta trasformando, dentro il corpo e l’anima, con saggezza e sensibile attesa.

    E’ dal corpo, dunque, che inizia il viaggio di risoluzione. 

    Un viaggio in cui è necessario fare spazio a tutte le emozioni in un luogo e in un tempo sacro, dove poter accettare l’esistenza degli opposti - luce e buio, dentro e fuori - e lasciarli emergere senza vergogna, senza giudizio, ma soprattutto senza paura. Imparando a prendersi cura di sé.

    E quando le donne iniziano a prendersi cura, da sempre, condividono, stanno insieme, recuperano una dimensione altra che le riguarda molto da vicino. Si riuniscono, rispondendo spontaneamente ad un richiamo atavico, in un luogo che è lì solo per loro, per accogliere il loro canto, il loro pianto. Così, si ascoltano. E gradualmente, si riconoscono. Con un atto simbolico si tolgono le maschere dal viso e si guardano, autentiche. Dal luogo profondo dell’anima nel loro ventre pregano. Pieno e vuoto. Ognuna raccoglie i resti del proprio vecchio sé e tutte le volte li benedice senza guardare indietro, senza timore, attraverso una ritualità che affonda le proprie radici simboliche nei lontani culti misterici delle Aphrodisie, dove la via femminile alla conoscenza è corporea

    Nel graduale atto di riconoscimento, l’affermazione del proprio modo di essere, legata al corpo e all’istinto, è intuitiva e luminosa, ricca di dettagli, che per prendere forma, necessita soprattutto dell’oscurità. Un’oscurità in cui ci si nutre come in una dimensione creativa protetta. Perché conoscere la propria natura, consente sia di trasformare se stesse che avere il potere di gestire la propria esistenza con determinazione e delicatezza.

    Il cambiamento possiede strumenti potenti, produce effetti potenti.

    E man mano che ci si libera dai legàmi dei pregiudizi di una società che non comprende la profonda natura femminile, selvaggia e solidale, ci si riappropria non solo del proprio corpo di cui si riscopre la forza, nuda, ancestrale, inesauribile che viene dal cuore, ma anche di una innata potenzialità trasformativa e creativa. Il talento. 

    Quando le donne ritornano a questo stato, connesse alle loro radici, onorando le loro antenate e le loro memorie, riprendono a tessere i fili della grande Tela attraverso il loro potere creativo. Le donne sono madri dal momento che partoriscono loro stesse.  La conoscenza di sé può essere intesa come parto della psiche, il Sé Femminile come un luogo simbolico di unione e assemblamento, scomposizione e ricomposizioni cicliche, analogamente ad una gestazione.                                                                                                                                                 Durante questo parto, muore l’Ombra e nasce la Luce. Per superamento. Nel travaglio si manifesta la Trasformazione che celebra il ritorno alla Vita in una danza estatica, antica, ritmata dal tamburo e illuminata dalla saggezza dell’anima rimembrata, completa in ogni sua parte. Viva. 

    Le donne guariscono accovacciate sulla terra, con le braccia alte verso il cielo, con la testa all’indietro e la lingua di fuori.  Come la Dea. 

    E insieme alle donne, guarisce il mondo intero.

      Elisa Donato

    Guida critica al testo

    1.Isteria e Trauma Ontologico.

    In questo trattato, il tema del femminile viene riletto secondo la prospettiva del trauma ontologico che  ricolloca il male misterioso del continente oscuro – l’isteria e il femminile – come mancato riconoscimento della totalità corpo-spirito. Miti, simboli e archetipi  ampiamente rivisitati – in particolare l’archetipo della Grande Madre nella sua multiformità e complessità, con evidente richiamo a Erich Neumann – rappresentano il farsi di uno psichismo al femminile da cui derivano potenzialità fondamentali al raggiungimento dell’Integrazione, intesa come creatività o salute in senso ampio. Le figure mitologiche rievocate nel testo attraverso l’archetipo della Grande Madre rappresentano le diverse qualità che appartengono alla personalità femminile; se tali aspetti non vengono riconosciuti e assimilati nell’economia psichica verso un ulteriore percorso di trasformazione, ma difensivamente rimossi, la vitalità primordiale e istintiva dell’archetipo si frammenta a discapito della totalità dell’essere. Questo determina l’esistenza di una parte in ombra della  psiche con la conseguente adesività a un’identità coartata, non sciente di sé e parziale. Tale coartazione, secondo un’ottica fenomenologica, si inserisce all’interno del più ampio trauma ontologico della frammentazione dell’essere non più ricomposto come totalità mediante il principio di trasformabilità, o capacità trasformativa della psiche. Si intende qui delineare un percorso di progressione psichica circolare, e non lineare o riduttivamente ciclica, per  tentare di comprendere il profondo e misterioso nesso dialettico (piuttosto che il salto) tra la psiche e il corpo femminili. Se alterato, avviene una polarizzazione dell’esperienza condizionata dalla perdita del legame consapevole con l’archetipo della Grande Madre: vissuta come scissione, tale perdita porta sia all’estraniamento dal proprio corpo sia a una rimozione degli istinti; un’irriflessa adesione, invece, determina tanto lo sviluppo di tratti materni ossessivi quanto la perdita dell’elemento creativo-spirituale. Gli effetti di questa unilateralizzazione sono ravvisabili negli istinti i quali, reclusi nella loro derivazione organica, si manifestano al massimo grado come bisogni, nelle pulsioni contese tra psiche e soma che scotomizzano l’essere umano in animale sociale, e nell’affettività anestetizzata dal suo nucleo emozionale, dunque raziocinata, che non riesce a farsi desiderio. E difatti, tutta la clinica del corpo sofferto a partire dalla storica isteria di conversione fino alle forme attuali della psicosomatica si snoda lungo il percorso corpo-desiderio-sintomo: smarrito il nesso dialettico della totalità corpo-spirito, questa viene vissuta a livelli a sé stanti. Così il corpo si fa strumentale nella riduzione al Körper nell’accezione del corpo-peso; la donna risulta de-soggettivizzata poiché incompiuta, quindi inconsapevole di sé; in ultimo, si ha la compressione dell’Eros o principio vitale, di cui la sessualità è una tra le sue manifestazioni piuttosto che la manifestazione. Nello specifico l’isteria, storicamente vista come una patologia dell’istinto, follia o malattia uterina, può essere ridefinita fenomenologicamente proprio il dramma della defezione dell’Eros, o dissociazione energetica: Un eros rigidamente controllato, ammaestrato, educato e incivilito da un’etica maschile introiettata si vergogna a urlare, nelle parole di G. Roccatagliata. Allora, il misterioso salto dallo psichico al somatico nell’isteria di conversione, definita dalla psicopatologia classica come nevrosi caratterizzata dalla presenza di manifestazioni somatiche esprimenti conflitti psichici inconsci, trova il suo compiuto semmai in un collegamento che è stato spezzato da tempo remoto, ovvero il trauma psichico della mancata integrazione del Sé femminile come totalità psico-corporea (trauma altrettanto presente nello psichismo maschile che non ha integrato il lato femminile, ravvisabile nella angoscia di castrazione e misoginia). Nello specifico, le patologie dell’universo femminile rivelano un disinvestimento dell’espressività psicocorporea e quindi vissuta inconsapevolmente, senza relazione tra gli aspetti del sé: la frammentazione delle zone-simbolo della creatività vengono definite isterogene da un punto di vista androcentrico perché ne ignora la dinamica processuale trasformativa, e nell’ottica di un iperinvestimento d’organo a mediazione culturale queste parti del corpo vengono considerate come sedi di dolore spontaneo. Si fa evidente, qui, lo stretto legame tra  biologico e psicologico nell’ampio spettro del concetto di salute. La riduzione del Femminile alle sue parti corporee – seno, vulva, ovaie, bocca, utero e tutta la zona pelvico-genitale  – trova  un’eco lontana nelle prime forme di rappresentazione dell’archetipo femminile scisso nelle sue componenti funzionali generative/distruttive, o nelle caratteristiche forme proiettive terrificanti: Iside ed Ecate, Arpie e Gorgoni. Questa cesura, discussa all’interno delle concezioni psicologiche e riflessa nella dicotomia dei postulati freudiani della pulsione di vita e di morte, rivela, oltre al fatalismo di un essere umano diviso e conflittuale per definizione, la scomodità e il pericolo delle forze oscure che si agitano in senso ampio nella psiche umana, vissute come il perturbante piuttosto che come un potenziale da cui ricavare autenticità mediante un atto trasformativo della coscienza. Nell’isteria sono presenti tutti questi cardini concettuali proiettivamente densi di angosce non risolte: emerge il numinoso della possessione parossistica nell’apolidia dell’utero, l’Uστερον  vaso di oscuri mali, a rappresentanza del femminile per metonimia o della parte per il tutto (facendo transitare nell’apparente inversione quantitativa un aspetto qualitativo dovuto al pregiudizio); una natura ferale, istintuale e terrifica si fa presente, nell’immaginazione freudiana, come bestia nera; il corpo protagonista di un desiderio de-territorializzato emerge attraverso uno stato secondo, o dissociativo, a testimonianza dell’Ulteriore che lì soltanto trova il suo spazio simbolico. Questi aspetti

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