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Deanor
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Ebook344 pages5 hours

Deanor

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About this ebook

Due cavalieri, una missione, un viaggio per terre pericolose, una lotta tra inganni e nemici oscuri, dove nulla è come sembra, dove le loro certezze saranno messe in discussione dalle mortali sfide che dovranno affrontare.

Avventura, amore e guerra in una nuova picaresca ambientata in una terra fantastica sullo sfondo della storia europea a cavallo tra Medioevo e Rinascimento.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateAug 10, 2018
ISBN9788827843819
Deanor

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    Book preview

    Deanor - Cesare Bartoccioni

    Indice

    Prefazione

    Prologo

    Il Vepia

    Le due forche

    Eskilom

    Il picco del gallo

    Il traditore

    Il processo

    L’immane rovina

    Grainwall

    Navigazione

    Samikylä

    Attacco a Baronia

    La dozzina del fornaio

    Il racconto di Raúl

    Guerra civile

    Scontro finale

    Epilogo

    I luoghi di Deanor

    DEANOR

    Romanzo

    di

    Cesare Bartoccioni

    ISBN | 9788827843819

    Questo libro è stato realizzato con PAGE di Youcanprint

    Youcanprint.it

    T'ho scritto nei boschi

    Con prole a passeggio

    Pei giorni anche foschi

    Passar con dileggio

    T'ho scritto in quattr'anni

    Più mezzo d'avanzo

    Sì fosti fra tanti

    Il primo romanzo

    Qui dedico a te

    Ordunque te stesso

    Ma se mi son messo

    Lo devo a lor tre

    Che in sì tante miglia

    Son bella famiglia

    A loro va 'l cor

    Che fe' l'avventura

    Di gesta e fortuna

    Di questo Deanor

    Progetto grafico di copertina a cura dell’autore

    su scacchiera e pezzi di AI Factory Ltd, UK 

    terza edizione

    Prefazione

    Gli eventi e i personaggi qui presentati, pur avendo un riconoscibile riscontro con la realtà storica, sono stati manipolati nei tempi, nelle cause e negli effetti, per motivi narrativi.

    Le descrizioni (cibo, architettura, cavalcature, armi, abiti, abitudini e modi di vita) sono assolutamente storiche.

    Buona lettura.

    Cesare

    Prologo

    L'ultimo sole del tramonto proiettava le ombre dei due cavalieri lunghe oltre il bordo del sentiero, tanto che sembrava giungessero fin alle pendici della Catena delle Aquile, la quale si stagliava cupa e tenebrosa in lontananza, minacciosa come ciò che si trovava al di là di essa.

    Al passo, sul suo sauro andaluso, Ramiro sembrava assorto in contemplazione della propria ombra, con il capo leggermente volto a destra davanti a sé, verso le nere montagne della Catena. Il suo compagno ed amico d'infanzia, Raúl, spadaccino abile e fidato, sempre presente nei momenti importanti della vita di Ramiro, cavalcava il suo baio qualche metro indietro. Entrambi stanchi, provati dal lungo viaggio, entrambi in silenzio, entrambi preoccupati per la difficile missione che li attendeva. I lembi dei loro lunghi mantelli di lino grezzo cadevano esilmente sui fianchi delle loro montature. 

    La coccia dorata delle loro sciabole, con un rubino incastonato sul davanti, in modo da essere immediatamente visibile ad eventuali avversari, rivelava il loro rango: Conti di Baronia. La vista stessa del rubino bastava da sola a scoraggiare i possibili sfidanti, stante la legge del Grande Feudo che puniva severamente chiunque ne aggredisse i nobili, indipendentemente dalle motivazioni. Quella legge, però, la prima approvata dal nuovo Stato dopo la scissione dall'Impero, si fermava sulla riva del fiume Vepia, la fine del Feudo, l'inizio della Zona Neutrale.

    Un soldo per i tuoi pensieri, Ramiro.

    Il volto sorridente di Raúl suscitò subito in Ramiro un moto di allegria. Ne aveva bisogno, date le difficoltà e i pericoli che avrebbero dovuto affrontare.

    Raúl, amico mio! Direi di fermarci qui per la notte; meglio entrare nella Zona Neutrale in pieno giorno, domani.

    'Zona Neutrale'... bel nome le hanno dato. Terra di banditi, terra senza legge. Nessuno sa cosa succeda al suo interno. Pochi la attraversano vivi. Un capolavoro di alta politica!

    Già. Fece parte del trattato di pace tra i sette baroni e l'imperatore: una zona cuscinetto che nessuno avrebbe dovuto mai rivendicare. Nessuna armata può entrarvi, nessuno può governarla. Le nostre pattuglie e quelle imperiali possono solo controllare i rispettivi confini, mentre dentro...

    Anarchia! Avremmo dovuto prenderci anche quella terra! Mio padre raccontava che l'armata imperiale era in rotta, che la nostra rivolta era stata inarrestabile, la nostra cavalleria invincibile. Tuo padre ti avrà raccontato la stessa cosa, no?

    Sì, certo. Era capitano della cavalleria baronale, come tuo padre, ed erano sempre insieme.

    Come noi. Un'ombra di tristezza velò per un attimo lo sguardo di Raúl.

    Ramiro smontò, ed iniziò a legare un laccio intorno alle zampe posteriori del suo cavallo. Raúl fece lo stesso con il suo.

    Lasciamo le pastoie lunghe, stanotte, qui è ancora sicuro, è inutile far soffrire i cavalli. Ramiro era sempre attento alle sofferenze altrui, uomini o animali che fossero.

    Sì, sicuro, ma il Vepia non è molto lontano, io direi niente fuochi, che ne dici?

    Hai ragione. Abbiamo ancora un po' di carne essiccata, la mandiamo giù con questo. Ramiro mostrò a Raúl una fiasca che aveva staccato dalla sella.

    Ah, il buon rosso forte delle tue terre, eh?.

    Già. Godiamocelo stasera. Da domani meglio restare assolutamente sobri.

    I due si slacciarono i corsetti di cuoio, spessi abbastanza da fermare frecce e dardi scagliati da lontano o con una ridotta potenza, e si sedettero sulle coperte stese per terra. I cavalli si mossero di qualche metro, un po' impacciati dalle pastoie, e iniziarono a brucare la dolce erba primaverile.

    Il forte vino rilassò gli animi dei due cavalieri, mentre il crepuscolo avvolgeva di un soffice velo oscuro la pianura erbosa che declinava verso nord, verso il fiume.

    Raúl se ne stava disteso, appoggiato su un gomito, mentre sorseggiava il buon rosso dalla coppa che teneva con la mano sinistra. Mio padre diceva che fu la codardia dei sette baroni ad interrompere la nostra avanzata.

    Ramiro si era quasi assopito. Si tirò su girandosi verso Raúl. Sapeva che il padre di Raúl non aveva mai approvato il trattato di pace. Non so... passare il Vepia allora sarebbe stato un rischio, le nostre linee si sarebbero allungate oltre il fiume, e la Catena delle Aquile è sempre stata difficile da attraversare. Così l'offerta di tregua e poi il trattato proposto dall'Imperatore furono prontamente accettati. Noi ottenemmo l'indipendenza...

    Già... indipendenza feudale. Beviamo all'indipendenza! Raúl finse un brindisi, e bevve il fondo della coppa. Poi si avvolse nella coperta.

    Ramiro tornò a distendersi. Capiva la rabbia di Raúl. Suo padre si era opposto al trattato apertamente, minacciando di continuare la guerra con la cavalleria a lui fedele. I Baroni allora lo avevano accusato di sedizione, gli avevano tolto il comando, gli avevano confiscato le terre. Poco dopo il padre di Raúl morì, lasciando al figlio solo il titolo nobiliare. Raúl era stato quindi accolto dal padre di Ramiro, trattato come un figlio. I due ragazzi si somigliavano anche fisicamente, entrambi alti e mori, entrambi con occhi castano-verdi, Ramiro magro, con capelli mossi, volto allungato, Raúl con capelli lisci, volto rotondo, robusto ma non grasso; tante volte venivano presi per fratelli, e come tali vivevano. Quando anche il padre di Ramiro morì, Raúl aveva pianto. Era stata la prima e unica volta che Ramiro aveva visto Raúl piangere.

    Gli occhi fissi al cielo, guardando l'alternarsi di stelle e nubi, Ramiro si chiese per l'ennesima volta che senso aveva ciò che stavano facendo. Combattere per sette Baroni che si erano divisi le terre strappate all'Impero. Terre che governavano esattamente come aveva fatto l'Imperatore, con la differenza che al posto degli ufficiali e amministratori imperiali avevano piazzato i loro familiari e amici fidati, creando un sistema di reciproche convenienze, favori, ricatti, che legava il Barone ai suoi Conti, i quali avevano in gestione le contee di ogni baronia. I sette Baroni, poi, si riunivano a intervalli regolari per diramare le questioni tra di loro. Nessuno dei sette doveva prevalere sugli altri, nessuno doveva diventare troppo potente, nessuno poteva andare contro le decisioni del Grande Consiglio Baronale. Ramiro tuttavia godeva di uno status particolare, essendo ancora viva la fama di suo padre, l'eroe che aveva sbaragliato l'esercito Imperiale nella Grande Rivolta, cacciandolo oltre il Vepia. Ramiro poteva gestire la sua contea senza troppe pressioni o ingerenze da parte del suo Barone, il Barone Licata, il quale anzi non aveva mai visitato le terre di Ramiro, mai fino a due settimane prima. Ramiro tornò con la mente a quell'incontro, cercando di recuperare quella strana sensazione che aveva provato durante il colloquio; sensazione che non riusciva a definire, non riusciva a capire, ma che sentiva come importante.

    Il Barone si era fermato al limite della Contea, inviando un emissario per richiedere un incontro. La forma era già strana: di solito i Baroni inviavano emissari nelle contee per preannunciare il loro arrivo, in modo che potessero essere accolti con tutti gli onori. Ancora più strano fu per Ramiro, una volta giunto a cavallo al luogo stabilito, vedere il Barone accompagnato solo dal suo Scudiero e da una piccola scorta di cinque arcieri a cavallo, la ben addestrata guardia pretoria baronale.

    Il Barone era in piedi di fronte al suo cavallo, e quasi ne oscurava la vista con la sua corporatura massiccia ed imponente. Non portava copricapo, e la sua testa glabra formava un perfetto ovale con il resto del volto ben rasato. Un lungo mantello color porpora, allacciato poco sopra il petto con una fibbia d'oro, scendeva lungo le spalle fino alle caviglie, aperto su un corsetto di cordobán finemente lavorato.

    Ramiro era sceso da cavallo di fronte al Barone, e aveva iniziato ad inginocchiarsi per rendere omaggio, ma questi lo aveva fermato mettendogli le mani sulle spalle.

    Conte Ramiro, non occorre. Non sono qui in veste ufficiale, anzi. Mi scuso per la forma di questo incontro, ma ciò che sto per dire è della massima gravità, e necessita di assoluta segretezza.

    Il Barone aveva messo una mano sulla schiena di Ramiro, invitandolo a seguirlo poco distante, per poter parlare senza essere sentiti da nessuno.

    So di poter contare su di te, e sulla tua comprensione, oltre che sulla tua discrezione. Si tratta di mia figlia, Apollonia.

    Ramiro ricordava bene la figlia del Barone. Stupenda bellezza, alta, mora, grandi occhi scuri. Da far perdere il fiato a chiunque. Ramiro se ne era innamorato qualche tempo prima, ma aveva presto capito che era meglio non averci nulla a che fare.

    È successo qualcosa, Barone?

    Mia figlia è stata rapita, Ramiro.

    Cosa? Ramiro era rimasto incredulo. Rapire un familiare di un Barone era una sicura condanna alla morte, tra mille strazi, del colpevole e alla rovina per tutti i suoi familiari. Ma chi può aver osato tanto?

    Il Barone aveva volto gli occhi verso l'orizzonte, il viso triste, era rimasto in silenzio per qualche secondo, come a voler raccogliere i pensieri prima di proseguire.

    Sono stato sempre all'oscuro di tutto. Non ho mai saputo nulla fino a pochi giorni fa. Mia figlia aveva un amante segreto, con cui manteneva una fitta corrispondenza, aiutata nella segretezza dalla sua nutrice e da alcuni miei servi. Ma era tutta una trappola, un inganno ben ordito per rapirla e portarla...

    Ramiro era rimasto in silenzio, aspettando che il Barone proseguisse. Questi si era volto verso Ramiro, guardandolo fisso negli occhi. Portarla... nella Zona Neutrale.

    Ramiro aveva avuto un tuffo al cuore. Nella Zona Neutrale? La figlia di un Barone?

    Non capisco, Barone, come hanno fatto? Come è stato possibile?

    Questo amante, Conte, altri non è che il figlio del nostro più acerrimo nemico. Il figlio dell'Imperatore!

    A Ramiro era venuto meno il fiato.

    Ciò, mio Conte, sarebbe già grave. Immagina: la figlia di uno dei sette Baroni che si invaghisce del Principe imperiale... Basterebbe solo che si sapesse in giro, e la mia testa farebbe bella mostra di sé in cima al Palo della Legge nella piazza della nostra capitale. Ma è stata una trappola, organizzata dai banditi della Zona Neutrale.

    Volete dire, Barone, che il Principe è in combutta con quei banditi?

    No, Conte, no. Ma la corrispondenza tra mia figlia ed il Principe doveva per forza passare per la Zona Neutrale, e ho scoperto che uno dei miei servi era legato a quei farabutti, e li informava di tutto. L'ho fatto parlare sotto tortura e prima di passare all'altro mondo ha rivelato di aver falsificato una lettera del Principe, con cui si chiedeva a mia figlia di recarsi al confine per uno dei loro incontri. Ma al posto del Principe c'era una banda di quei dannati senza legge, i quali hanno trucidato tutto il seguito della mia Apollonia, l'hanno rapita e portata oltre il Vepia. Su uno dei corpi lasciati lì a marcire, infilzato con un pugnale, c'era questo.

    Il Barone aveva dato un pezzo di cuoio a Ramiro. Vergate d'un colore bruno, probabilmente il sangue stesso del servo sul cui corpo era stato rinvenuto il messaggio, le poche parole non lasciavano adito a dubbi: <>.

    Ora, Conte, ho bisogno di un uomo di assoluta fiducia che si rechi all'incontro, portando il riscatto ai banditi, e che mi riporti Apollonia sana e salva. L'unica persona di cui mi fidi pienamente se tu, mio Conte. Tutti gli altri... insomma... sai come vanno le cose qui da noi.

    Ramiro aveva capito. Il sistema di legami e di reciproci favori creato dai Baroni funzionava fintanto che tutti potessero averne un mutuo guadagno, ma solo fintanto che il profitto non fosse eccessivo. Ora, una cosa come questa avrebbe dato a chiunque un enorme potere di ricatto sul Barone Licata, tanto che sarebbe bastato denunciarlo a qualcuno degli altri Baroni per avere in cambio titoli, terre, denaro, privilegi. A Ramiro interessava solo poter gestire in pace la terra che era stata di suo padre e del padre di suo padre, il suo carattere era estraneo a ricatti e tradimenti. Questo si sapeva, lo sapevano tutti, lo sapeva il Barone. Inutile dire che te ne sarò eternamente riconoscente, Conte mio.

    Ramiro non poteva dir di no a richieste di aiuto, da qualsiasi parte provenissero. Anche questo lo sapevano tutti.

    Lo farò, Barone. Ramiro aveva riconsegnato il pezzo di cuoio al Barone. Il Principe è a conoscenza del rapimento?

    Non abbiamo modo di saperlo, Conte. Ritengo di no, dato il poco tempo passato. Ma è necessario che la missione sia svolta rapidamente, che Apollonia torni qui da me, poi penserò io a sistemare le cose.

    Ma gli altri manterranno il segreto?

    Questa cosa la sappiamo solo io e te. I miei servi coinvolti sono già passati a miglior vita, e la nutrice di mia figlia è chiusa in un convento di clausura in montagna, con la lingua mozzata e la certezza di morte immediata qualora tenti di comunicare con chicchessia. Le è andata ancora bene dato che è analfabeta, altrimenti l'avrei fatta anche accecare e le avrei fatto tagliare le mani!

    Ramiro aveva visto che il Barone stava trattenendo a stento la rabbia. Le punizioni di Baronia erano terribili, ed arrivavano all'improvviso.

    La strana sensazione tornò allora a farsi sentire, al ricordo della rabbia repressa dal Barone. In quel momento, senza sapere perché, Ramiro aveva sentito qualcosa che non quadrava, qualcosa di strano. Non poteva essere una semplice reazione alla brutalità del suo Signore, Ramiro non era il tipo da farsi intimorire. Ma aveva sentito come un campanello d'allarme, un ammonimento che in tutta quella faccenda c'era qualche anomalia. Anomalia che non riusciva tuttavia ad inquadrare, anomalia il cui senso gli sfuggiva.

    Il Barone si era allora slacciato un cilindro di cuoio dalla cintola, e lo aveva dato a Ramiro. Qui ci sono i mille pezzi chiesti dai banditi. E questo... il Barone aveva porto a Ramiro il suo Bastone Baronale ... questo è il tuo lasciapassare.

    Ramiro aveva preso il cilindro con la sinistra, e il bastone con la destra. Per un istante aveva riflettuto sul fatto di avere in mano un immenso potere ed una immensa ricchezza. Le due fondamenta del Gran Feudo. Il Barone evidentemente non solo era sicuro che Ramiro avrebbe accettato la missione, ma riponeva in Ramiro una fiducia enorme. Ramiro si era sentito per un momento esaltato da tanta stima, anche se in fondo sapeva che essa derivava proprio dal fatto che egli aveva sempre rifuggito ciò che suo padre chiamava 'le due serpi dell'anima'.

    Le monete contenute nel cilindro raramente si vedevano in giro. Ognuna era un disco di oro in una lega quasi pura, ogni disco poteva essere diviso fisicamente in venti parti, con ciascuna parte o pezzo avente valore legale. Un alto magistrato del Gran Feudo, ad esempio, una delle cariche pubbliche meglio retribuite, aveva un appannaggio di cento scudi annui. Per un pezzo d'oro ci volevano mille scudi. La gran parte dei sudditi del Feudo non riusciva neanche a vederne uno, di scudi, in tutta la vita; le normali transazioni tra il popolo si facevano in soldi, e uno scudo ne valeva mille, di soldi. Con le cinquanta monete contenute nel cilindro si potevano comprare dieci contee, intere città... un riscatto da Re... Ramiro non avrebbe mai pensato prima di allora che perfino un Barone potesse disporre di tale somma.

    Il Bastone Baronale che Ramiro teneva nella mano destra era la chiave che apriva tutte le porte del Gran Feudo. Un corto bastone di rovere, lungo trenta centimetri, sette centimetri di diametro. La testa del bastone era inglobata in un grosso smeraldo, la pietra simbolo del potere baronale. Il piede della verga era il sigillo d'oro del Barone Licata: rami d'olivo intrecciati a triangolo con al centro un ordito di rose spinose che riproducevano la 'L' della baronia. Intorno al bastone, per tutta la lunghezza, due spirali, una dorata, con la massima del Gran Feudo, che a Ramiro era sempre suonata ipocrita: 'Nemo regere potest, nisi qui et regi', e l'altra argentata, con il motto della Baronia di Licata: 'In hoc signo vinces'. Ogni Barone aveva il suo sigillo, di forma e disegno differenti a seconda del messaggio che si voleva trasmettere; ma ogni sigillo riportava la lettera della baronia del signore feudale. I rami di olivo di Licata indicavano la pace che il Barone voleva garantire nel suo dominio; la rosa e le spine erano un simbolo chiaro ed inquietante: generosità con chi obbediva, castigo totale per chi si ribellava. Tale sigillo era riportato anche sullo stendardo, sulle targhe dei palazzi baronali, su suppellettili, arazzi, quadri, oggetti di valore, ed infine sull'anello baronale, anch'esso d'oro, infilato sull'anulare destro del Barone. Da tale anello il Barone non era mai separato, vi era perfino sepolto, poiché il successore avrebbe deciso del proprio sigillo aspetto e foggia. Il successore, in base alla legge del Gran Feudo, sarebbe stato scelto dal Barone stesso. Tale evento non si era ancora mai verificato; i sette Baroni erano gli stessi della Grande Rivolta, erano quelli che da sudditi dell'Imperatore, da amministratori imperiali delle terre cisvepiadiche, avevano pensato, tramato, organizzato, portato a compimento l'insurrezione, sfruttando abilmente, di comandanti e notabili, la brama di potere e di ricchezze di alcuni e la sincera dedizione alla causa indipendentista di altri, di altri come il Duca Juan Marcos, il padre di Ramiro.

    Come dimostrazione del loro immenso potere, i Baroni non giravano armati, non ne avevano bisogno. Disponevano a piacimento di tutto e tutti nella loro baronia. Toccare un Barone o uno dei suoi familiari o protetti era impensabile per chiunque. Avevano solo il Bastone alla cintola, dove normalmente restava agganciato, tranne in casi eccezionali, quando veniva consegnato a uomini di estrema fiducia che dovevano compiere le più difficili missioni in nome e per conto del Barone. Come in questo caso. Il possesso del Bastone Baronale apriva tutte le porte, annullava tutte le leggi, dava carta bianca al suo possessore, il quale per tutto il tempo in cui ne aveva la detenzione assumeva il titolo di Apostolo Baronale, carica che lo poneva al di sopra di tutto e tutti, tranne del Barone stesso.

    Il cielo si era schiarito, e le costellazioni erano ora ben visibili sulla volta scura. Ramiro non dormiva ancora. Tanti pensieri turbinavano nella sua mente. Ramiro Francisco Burton De la Flor, Capitano di cavalleria, Conte ed ora perfino Apostolo di Baronia... Questo uso di termini religiosi era tipico dei Baroni. Come se volessero coprirsi di un'aura di purezza e grazia. Avrebbe dovuto essere grato al Barone per tale fiducia, per tale incarico, per tale privilegio. Ma sapeva che dai Baroni nulla veniva in modo gratuito, tutto si pagava, tutto aveva un prezzo, e tanto maggiore era il prezzo quanto più grande il privilegio. Ma ora basta pensare, basta rimuginare e rimescolare. Doveva dormire, doveva essere in forma per l'indomani, per l'appuntamento alle due forche, oltre il Vepia.

    Ramiro si addormentò, si addormentò con quella strana sensazione che tornava a farsi sentire. Un allarme. Un avvertimento. Il Barone... mille pezzi... rapita... Conte... nobile declassato... il Bastone Baronale... rubino e smeraldo... nel vortice che precede il sonno un lupo ululò in lontananza. Un allarme. Un avvertimento. Ramiro dormiva già.

    Il Vepia

    Ramiro aprì gli occhi; su in alto, sullo sfondo del cielo chiaro, il volto beffardo di Raúl illuminato dalla luce del mattino gli sorrideva divertito.

    Se fossi un bandito ora saresti già all'altro mondo, amico mio.

    Ramiro si tirò su mettendosi seduto. Sorrise di rimando a Raúl.

    So che con te vicino non mi può succedere nulla di male.

    Già, sono sempre stato il tuo angelo custode. Ho già preparato i cavalli. Meglio muoverci.

    Ramiro si alzò. Si passò sul volto e sul torso una pezza bagnata con l'acqua della sua fiasca. Dalla stessa fiasca bevve qualche sorso, con cui accompagnò un pezzo di pane duro e un boccone di carne secca.

    In silenzio, armò le due piccole balestre che teneva agganciate alla sella, ed inserì la sicura. Questa era stata una invenzione di Raúl: un piccolo gancio che manteneva immobile la chiave di scatto dell'arma sulla sua parte posteriore. Era sicuro e rapido da disinserire al bisogno. Le balestre che portavano potevano essere usate con una mano sola, e il gancio poteva essere disinnestato con il mignolo della mano, mentre con le altre dita si premeva la leva facendo partire il dardo. Nei tornei di Baronia Ramiro e Raúl erano famosi per la loro abilità nell'usare contemporaneamente le due balestre, con i cavalli al galoppo, centrando i bersagli. La sicura messa a punto da Raúl permetteva di portare le balestre agganciate sui due lati della sella, armate e pronte all'uso. La balestra era stata una concessione strappata dai Conti del nuovo Feudo ai Baroni, quando questi, dopo la vittoria sull'Impero, avevano proibito il porto delle armi da lancio, riservandolo solo alle loro guardie del corpo. Ora ogni Conte poteva detenere due balestre, con un massimo di dodici dardi. Ramiro e Raúl, però, in questa missione, di dardi ne avevano portati molti di più.

    Ramiro quindi estrasse la sciabola dal fodero, e passò sul filo la pietra affilante. Prima di rinfoderarla soffermò lo sguardo sulla costola dell'arma, sopra la scanalatura, sulla scritta incisavi da suo padre quando gliel'aveva regalata, tanti anni prima: no me saques sin razón, no me envaines sin honor. Ramiro era stato sempre fedele a tale monito. Agganciò anche la sciabola alla sella, si strinse al torso il corsetto di cuoio, quindi montò a cavallo.

    Al passo, i due compagni si diressero verso il guado del Vepia.

    In tarda mattinata, giunti in vista del posto di guardia a presidio del guado, Ramiro volse il cavallo verso est, e lo spronò al trotto. Raúl gli fu subito al fianco.

    Dove stai andando, Ramiro?

    Voglio controllare una cosa.

    I due seguirono al trotto oltre una piccola altura, scendendo poi in un avvallamento fino ad arrivare ad un folto bosco. Oltrepassate le prime file di alberi, entrarono in una piccola radura, con un minuscolo stagno al centro.

    Ramiro percorse al passo tutta la radura, lo sguardo fisso al suolo.

    Raúl era fermo al limitare dello spiazzo.

    Che c'è, amico mio? Stai cercando qualche gnomo?

    Non noti niente di strano, Raúl?

    No... è una radura come tante, non mi sembra ci sia nulla di particolare.

    Esatto. Un bel prato d'erba folta, belle piantine che spuntano da ogni parte, sembra che nessuno sia stato qui da anni, no?

    Eh, sì. Ma non conoscevo questa tua anima bucolica, Ramiro.

    Ramiro alzò lo sguardo verso Raúl.

    Questo è il posto indicatomi dal Barone come luogo del rapimento di Apollonia. Stranamente, non vi sono tracce di lotta, né orme di cavalli, né quelle della carrozza. Niente.

    Beh, forse la scorta di Apollonia è stata colta alla sprovvista.

    La scorta della figlia di un Barone? Scherzi? Anche se fosse stato così, avrebbero lottato fino all'ultimo sangue, perché la peggiore delle morti li avrebbe aspettati se fosse successo qualcosa alla loro protetta. Qui ci dovrebbero essere orme, impronte, rami spezzati, sassi divelti dalla riva dello stagno, tracce di sangue dei corpi lasciati qui a marcire... invece niente. Niente di niente.

    Può essere il posto sbagliato. Magari il Barone non conosce bene questa zona.

    No, 'il boschetto a est del posto di guardia sul Vepia', sono state le sue esatte parole. Questo è l'unico boschetto nel raggio di venti miglia.

    Mmmh... che ne pensi, quindi?

    Non so che pensare, Raúl. Proprio non lo so. Andiamo al posto di guardia, voglio parlare con il comandante prima di passare il fiume.

    Il presidio sul Vepia era una fortezza costituita da due torri di granito rosa poste sui due lati della strada, che dalle torri pendeva decisamente per circa cinquanta metri fino alla riva del fiume. Le due torri erano collegate da un arco a sesto ribassato, sopra il quale era stato ricavato un camminatoio, e sotto il quale una pesante grata di ferro, con un largo cancello al centro, bloccava il passo. La torre a ovest era alta dieci metri, un tronco di cono con un diametro alla sua base di venti metri; l'assenza di feritoie indicava che era plausibilmente usata come magazzino. Quella a est era molto più grande, con una base ottagonale enorme, ogni lato di circa cinquanta metri, l'altezza era almeno di venti metri, e la piattaforma circolare superiore aveva un diametro di sessanta metri. Grosse baliste spuntavano dai merletti della torre orientale, mentre balestrieri ed arcieri si vedevano sulle cime delle due torri, vigili e minacciosi, al di sopra delle caditoie da cui far piombare su eventuali attaccanti liquidi ustionanti o frecce. I balestrieri del posto di guardia erano dotati di balestroni e di balestre a molinello, potenti armi che richiedevano vari uomini per essere usate, ed il cui raggio di azione avrebbe scoraggiato chiunque avesse pensato di affacciarsi sul guado senza permesso.

    Le due torri difendevano l'unico punto guadabile di tutto il Vepia, e la guarnigione era sempre composta da almeno un centinaio di uomini.

    Avvicinandosi al presidio Ramiro osservò il recinto dei cavalli, dove splendidi esemplari si abbeveravano. Cavalli andalusi scelti tra i più veloci, destinati a portare rapidamente i messaggeri in caso di attacco.

    Sull'alto della torre orientale sventolava il vessillo verde e rosso del Gran Feudo, il verde smeraldo dei Baroni ed il rosso rubino dei Conti, bandiera a due bande orizzontali di eguali dimensioni, ma con il verde in alto ed il rosso in basso. Sotto il vessillo

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