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Non è la solita vecchia storia di fantasmi
Non è la solita vecchia storia di fantasmi
Non è la solita vecchia storia di fantasmi
Ebook71 pages53 minutes

Non è la solita vecchia storia di fantasmi

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About this ebook

Tommy è tornato a casa dalla città per far visita a suo padre per l’ultima volta. È deciso ad andare a fondo dei segreti che suo padre ha tenuto dietro una cortina di fumo di racconti e fascino.

Scoprirà che alcuni segreti è meglio restino tali.

NON È LA SOLITA VECCHIA STORIA DI FANTASMI è la storia tranquilla di un ritorno a casa e di fantasmi a cui non si può mai sfuggire e di un amore che non muore mai. È una storia che vi porterà al cuore della narrazione stessa.

"Se Harlan Ellison, Richard Matheson e Robert Bloch avessero una serata di sesso a tre in una vasca d’acqua calda, e poi un gruppo di scienziati entrasse e filtrasse l’acqua e mescolasse il DNA rimasto in una provetta, l’esperimento genetico risultante molto probabilmente crescerebbe per diventare Steve Vernon." – Bookgasm

"Steve Vernon è nato per scrivere. È un vero scrittore e siamo fortunati ad averlo." – Richard Chizmar, CEMETERY DANCE

"A questo genere serve sangue fresco, e Steve Vernon è una bella trasfusione." – Edward Lee, autore di THE GOON e HEADER

LanguageItaliano
PublisherBadPress
Release dateAug 16, 2018
ISBN9781547542659
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    Non è la solita vecchia storia di fantasmi - Steve Vernon

    NON È LA SOLITA VECCHIA STORIA DI FANTASMI

    UNA

    STORIA

    DEL

    MARE

    DI

    STEVE VERNON

    Ho sentito una quantità incredibile di racconti e ne ho perfino narrato qualcuno e quasi ogni racconto che io abbia mai sentito è nato da mio padre. Immagino che questo non sia diverso, e perché dovrebbe esserlo? Mio padre mi ha raccontato quasi tutto ciò che ho mai imparato e il doppio di quanto sarò mai in grado di dimenticare.

    E anche adesso ricordo tutto.

    Mi ha parlato dei serpenti delle nevi e delle trote del fango. Mi ha spiegato come i sogni non siano altro che storie in attesa di nascere. Mi ha detto che l’oceano è composto dalle lacrime di una donna che sta seduta sul fondo a singhiozzare e tremare così forte che le onde si agitano condividendo la sua pena. Mi ha detto che la mia provincia natia della Nuova Scozia un tempo ha funto da letto per Glooscap e che la Prince Edward Island è stato il cuscino per la sua testa.

    «Ma Cape Breton era la canoa del vecchio imbroglione, puoi scommetterci», mi diceva papà. «Che fosse caccia o pesca, quando Glooscap voleva andare in qualche posto interessante veniva dritto alla vecchia Cape Breton Island».

    Mio padre mi ha raccontato di come il corvo abbia rubato il sole dal cuore dell’inverno e barattato il suo canto per tenerlo. Mi ha detto di come i ghiaccioli non sono altro che lacrime di angeli di neve piante per tutti i fiocchi di neve che non sono mai arrivati a cadere sulla lingua protesa di un bambino. Diceva che la platessa è diventata un pesce così brutto dopo aver perso una malpensata gara di nuoto contro una veloce razza.

    «Quella vecchia platessa fece una smorfia di disgusto e le rimase in faccia», mi diceva Papà. «Credi a me, niente ti resta attaccato più del rimorso».

    E forse è così.

    Voglio dire, pensateci.

    Impariamo tutti a portare con noi tanti inutili rimorsi. Ce li trasciniamo dietro e ce li cuciamo nelle fodere delle nostre ombre. Penso che il nucleo di ogni storia di fantasmi mai raccontata sia dipinto dello sbiadito colore autunnale del puro, irreparabile rimorso.

    «Perché mi racconti così tante storie?» chiesi una volta a papà.

    «Un uomo non è nulla più delle storie che conosce», mi rispose lui. «E qui in Nuova Scozia facciamo crescere le nostre storie lunghe, girovaghe e profonde. La vita non è solo TV via cavo, cellulari e giornali. Ci sono i silenzi che sussurrano tra i mondi, quei segreti non condivisi che aleggiano a lungo dopo ogni storia mai raccontata. Credimi, signorino, c’è una storia da raccontare per ogni onda che si infrange sulle coste della Nuova Scozia».

    E questa, immagino, è una di quelle storie.

    Capitolo 1 – In cui mi danno un passaggio

    «Sali», disse il camionista, perciò salii.

    Ero stato in piedi sul ciglio della strada appena fuori dal limitare est della città di Toronto, col pollice puntato speranzosamente verso la curva opposta, diretta a ovest, augurandomi di trovare un passaggio, quando quel grande autoarticolato aveva accostato.

    Quando si era fermato sibilando ero stato perso in un sogno a occhi aperti, a vagare e a raccontarmi una sorta di calma storia senza pensieri, con lo sguardo puntato nel vuoto lungo l’autostrada, pensando a quanto fosse del tutto miracoloso che quell’unico tratto di strada potesse collegare un capo all’altro del paese e che per natura dovesse toccare quasi ogni altra strada del Nord America. Era come diceva sempre mio padre: flussi sanguigni e mattoni. A volte ci si chiede quanta parte del mondo non sia fatta di niente altro che tutto questo in grande.

    Perciò mi arrampicai sul camion prima che il camionista potesse pensare di cambiare idea.

    «Allacciati la cintura», mi disse. «Non rallenterò da adesso in avanti».

    Il camionista era robusto, perfino da seduto. Era tutto spalle e braccia e sembrava avere abbastanza forza da poter strappare il volante dal cruscotto e annodarlo attorno al mio esile collo. Sembrava fosse stato creato versando del cemento sul sedile del camion e lasciandolo indurire per un po’. Mi tese una mano e scosse la mia fino alle estremità dei piedi. Mi contai le dita quando lasciò che le riavessi.

    Sembravano per lo più intatte.

    «È da molto che eri là fuori?» mi chiese.

    «Abbastanza», risposi.

    Non fraintendetemi. Non ero neanche lontanamente terrorizzato dal camionista quanto lo ero da cosa avrebbe potuto attendermi a casa a Deeper Harbour. Tornare a casa può avere questo

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