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Ebook153 pages1 hour

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About this ebook

Un amore finito male, la fatica di rimettersi in gioco e un sogno: quell'America così lontana, ma così dannatamente sua. Mia è un ragazza così: ostinata nel farsi domande e cercare risposte, ostinata nel voler tenere tutto sotto controllo, ostinata nel non perdere le persone che ama. Questa è la storia di una vita piena, un vita viva, un vita in cui Mia non si accontenta di camminare a sbagliare. Lei corre. Corre alla continua ricerca della perfetta felicità. A volte all'indietro, a volte troppo avanti, rifiutando sempre quel "tutto passa" così banale. Perché niente va via se non sei tu a liberartene.
LanguageItaliano
Release dateAug 10, 2018
ISBN9788897546672
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    Passi - Claudia Venuti

    pelle.

    12/2/1988

    "È una bambina abilissima a tirare i capelli, graffiare e morsicare.

    È ancora piccola e il carattere può cambiare.

    È una bambina con un temperamento forte, indipendente e deciso.

    Le piace stare nella confusione e trovarsi con tanti bambini intorno.

    Spero sia sempre sicura e fiduciosa di sé. Fino ad ora ha dimostrato dai suoi comportamenti che quando vuole una cosa cerca in tutti i modi di averla, senza chiedere l’aiuto di nessuno e senza piangere.

    Io spero che continui ad essere così anche da grande, in questo modo forse la vita le sarà più facile."

    (Dal diario di mia madre)

    1

    MIA

    In un giorno d’estate, una bellissima donna mise al mondo una bimba di quattro kg e mezzo, lunga 55 centimetri, occhi marroni e lineamenti decisi.

    Quella bimba ero io.

    Oggi i centimetri sono circa 180, un rifiuto categorico ad indossare tacchi, sia perché mi sento un tantino una giocatrice di basket, sia perché non credo di avere la grazia e il portamento necessari per camminarci.

    Diciamo che mi sento più a mio agio con quelle sportive e vado direttamente nel reparto maschile, dato che di donne con un 42/42.5 ce ne son poche.

    Ovviamente ci sono anche quelle rare occasioni, dove l’eleganza è d’obbligo e devo mettere da parte tuta e felpa.

    Nel mio armadio, ci sono più magliette che camicie, quelle le uso esclusivamente per lavorare.

    Non sono mai stata neanche una di quelle fissata con la perfezione. Anzi, spesso mi trascuro. Non sono mai stata una che, prima di uscire di casa, ha bisogno di un’ora di tempo per prepararsi. Dieci minuti e sono pronta. Faccio sempre tutto di fretta.

    Non mi piacciono le attese.

    Qualunque cosa io debba fare, tendo a farla superficialmente, proprio per l’ansia di finire. Anche se non è sempre così.

    Ecco, l’ansia è davvero un tutt’uno con me. Siamo proprio cresciute insieme, come due amiche inseparabili.

    E poi c’è il controllo. Quello, devo averlo su tutto, senza trascurare nulla, nessun dettaglio. E ho la memoria di un elefante. Ricordo tutto e per molto tempo. Quindi, chi mi racconta stronzate, deve avere come minimo, una memoria buona, tanto quanto la mia.

    Caotica e disordinata dai tempi dell’asilo.

    L’unica cosa che tenevo in ordine erano i quaderni, per il resto, non mi sono mai curata di niente e nessuno.

    Ero una piccola peste.

    Tutti i miei amici, hanno in mente qualche episodio di me da piccola, il che può sembrare una cosa bella, se non fosse che per la maggior parte delle storie che si raccontano, c’è di mezzo una bimba che rigava macchine, faceva a botte con quelli più grandi di lei, lanciava zaini dalle finestre, teneva incontri di pugilato in casa e soprattutto, una spiccata indole per i litigi. Se c’era una discussione, io ero sempre in mezzo.

    Mia.

    L’unica cosa che non cambierei mai di me, è il mio nome.

    Non so perché, mia madre, circa ventisette anni fa decise che tra tanti, questo, era quello più adatto a me.

    A differenza dei miei fratelli, non si ispirò né a parenti, né a consigli. Solo al suo istinto.

    Mia madre è una di quelle donne con la D maiuscola, una di quelle che per i propri figli si è spesso costretta ad una vita di sacrifici, una di quelle che non sa cosa significhi lamentarsi, piangersi addosso e una di quelle che quando c’è da rimboccarsi le maniche lo fa, e lo fa con uno spirito che molte volte ho invidiato e invidio tutt’ora.

    Mia madre ha una forza innata. Se potessi scegliere come diventare un domani, vorrei diventare esattamente come lei.

    Vorrei avere la sua calma, la sua dolcezza, la sua forza d’animo e tutto ciò che ai miei occhi, la rende unica. Per la maggior parte del tempo, abbiamo avuto un rapporto conflittuale, forse solo crescendo abbiamo imparato a trovare dei punti d’incontro.

    In realtà, è molto facile entrare in conflitto con me, quindi mi assumo le mie colpe. Con il mio brutto vizio di alzare la voce e di reagire in maniera esagerata anche davanti alle piccolezze.

    Con gli anni ho limato quest’aspetto, ma non abbastanza da correggerlo davvero. Lei non alza mai i toni, tranne in casi estremi. Ha una pazienza infinita. Avrebbe potuto darne un po’ a me. Almeno un po’.

    Ho i suoi stessi colori scuri e la sua stessa sensibilità. Ci somigliamo, soprattutto nelle espressioni del viso. Ma per il resto…io sono tutta un’altra storia.

    Sin da bambina, era evidente che la calma non rientrava neanche in minima parte nella mia personalità. Gli unici aggettivi che mi hanno sempre contraddistinta, hanno tutti a che vedere con l’irrequietezza, un perenne stato di agitazione, rabbia repressa ed esternata e chissà quanto altro!

    La tranquillità non mi ha mai dominata.

    Mettiamola così.

    Più che una bambina appassionata alle bambole e ai fiocchetti rosa, ero un perfetto maschiaccio.

    Infatti, sin da piccola, ho sempre preferito scegliermi amici del sesso opposto al mio, quelli con cui fare a botte, quelli che non avevano paura di sporcarsi, di cadere in bici e di fare casino.

    Non mi sentivo affatto una femminuccia con il cerchietto nei capelli e la gonnellina della domenica.

    Non ricordo di aver dormito con orsacchiotti di peluche, ma ricordo perfettamente la fine che facevano le barbie che mi ritrovavo sotto l’albero di Natale: tutte improvvisamente avevano qualche arto in meno o i capelli tagliati. Ancora oggi, i miei migliori amici sono maschi. E quelli con cui sono cresciuta, conservano un posto speciale.

    Gli uomini non perdono tempo a spettegolare, invidiare, criticare o giudicare. O Dio, esistono anche quelli, ma per la stragrande maggioranza vale la regola della strafottenza.

    A loro non importa niente, non badano neanche a tante cose.

    Le donne invece, son sempre quelle più maligne e criticone, soprattutto tra di loro.

    Quelle così le ho sempre evitate.

    Le amiche vere, le ho sempre scelte accuratamente ed è un bene che io me le ritrovi accanto ancora adesso. Vuol dire che ho scelto bene!

    Poi si sa, nell’arco della vita capita anche che qualcuno, così, senza neanche avvisare, prende e se ne va. Un attimo e si sparisce. Dopo aver condiviso anni, gioie, dolori, viaggi, sogni, paure.

    Ecco, ho un paio di esperienze anche in questo.

    Nicolò ad esempio. La nostra amicizia nacque in uno dei periodi più belli della mia vita ed è rimasta tale fino a pochi anni fa. Due teste calde, ma non ricordo molte litigate, forse giusto un paio. Chi ci vedeva da fuori pensava fossimo molto più che amici, in realtà non c’è mai stato nulla se non una perfetta complicità.

    Ho tanti ricordi. Il nostro viaggio a Berlino penso sia stato il coronamento di quell’amicizia e ci siamo sempre trovati su tutto.

    Era uno a cui piaceva stupire, magari non parlava quanto me, ma trovava sempre il modo per dimostrarmi quanto fossi importante.

    Si è allontanato nel giro di poco tempo, pochissimo, e i motivi li ho solo immaginati, mai saputi con certezza.

    Ha trovato l’amore, e via. Si annulla tutto il resto, quasi in automatico. Ma non credo funzioni così. Non per me. Ovvio che il rapporto si modifica un po’, ma non cambiare del tutto.

    Fidanzarsi non comporta automaticamente dover rinunciare alle amicizie. È che a certe persone non interessa più nulla.

    E poi succede che si torna indietro quando la storia va a finir male, oppure in caso contrario, non si torna proprio più. Quindi restano parentesi. Aperte e chiuse come scatolette e in seguito buttate nell’indifferenziata.

    Nicolò ha fatto una vigliaccata di questo genere, ma va bene così.

    Mi è rimasto un tatuaggio. Una scritta all’interno del braccio sinistro: I wish this never ends.

    Una frase presa da una canzone, dalla nostra canzone.

    E davvero mi auguravo che non avesse mai fine. Ma purtroppo, le cose finiscono anche quando non vuoi. È stata dura da accettare. Ma come al solito, quando si tratta di dover accettare qualcosa, significa che non abbiamo delle alternative.

    Un giorno una mia amica mi disse: Tu sei incline all’abbandono. E come darle torto!

    Ma ormai sono grande abbastanza e posso dire di aver imparato una cosa: le persone non cambiano, ciò che cambia sono i sentimenti, cambia quello che provano per noi e così è molto più semplice dimenticare.

    Per gran parte della mia vita, ho vissuto in un piccolissimo paese di provincia, in quel sud di questa terra, che amo tanto e che verso i quattordici anni ho dovuto sostituire con una grande città.

    Con la parola sostituire non ho un bel rapporto. Non sono capace di sostituire nulla, né luoghi, né persone. Ogni cosa ha il proprio valore per me e il mio paese ha un valore unico, ed è per questo che nonostante gli anni, amo ritornarci e ritrovare tutto quello che ho lasciato: pezzi di cuore, pezzi di vita.

    Sono tutte lì, le basi della mia vita.

    Per me rappresenterà sempre un rifugio, uno di quei posti che tutti dovremmo avere, dove poter tornare tutte le volte che si ha bisogno di pace.

    Quello fu il mio primo, reale cambiamento.

    Lasciavo tutto. La mia stanzetta piena di poster e foto, la mia casa, i miei amici, con i quali sono nata e cresciuta, i miei nonni, colonna portante della mia vita e il mio primo amore che ero anche convinta fosse l’uomo che prima o poi avrei sposato.

    Si dice che il primo amore non si scorda mai, noi invece ci siamo dimenticati entrambi.

    È il secondo amore che mi ha fatto penare. In parte,

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