Touchdown - Gli Ostacoli del Cuore: A Bad Boy Sports Romance
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A Bad Boy Sports Romance
Il più grande touchdown della tua vita!
Alexa:
Lo odio, ma lo desidero…
Non sopportavo che mia madre continuasse a ricattarmi affinché sposassi Sebastian. Non era il mio tipo, ma se non lo avessi fatto, mia madre non mi avrebbe più rivolto la parola. Avevo un debole per il quarterback della squadra per cui facevo il tifo, anche se a volte lo odiavo. Comunque, non potevo negare ciò che il mio cuore e il mio corpo desideravano, ma dopo la laurea avremmo potuto non rivederci mai più. Che cosa dovevo fare?
Martin:
L’ho sempre amata, ma non sono alla sua altezza…
Ero la star del college, e giocare nel ruolo di quarterback per l’ultimo anno mi rattristava. Speravo di essere selezionato dalla NFL per ripagare la mia famiglia dopo tutto quello che aveva fatto per me, ma questo avrebbe significato stare lontano da Alexa.
Era la cheerleader che avevo sempre desiderato al mio fianco, ma diamine, a volte era davvero insopportabile! Le cose cambiarono quando i nostri amici ci chiusero in camera perché riuscissimo a risolvere i nostri problemi. Non avevo idea di quello che sarebbe successo dopo…
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Book preview
Touchdown - Gli Ostacoli del Cuore - Roxy Sinclaire
CAPITOLO UNO
Alexa
Era pazzesco pensare che per le persone sarei stata solo un ricordo dopo questa sera. Negli anni prima dell’inizio del liceo, ero conosciuta da tutti come La Ragazza Ricca
e lo odiavo. Poi, ero diventata La Cheerleader
.
Di certo non era grandioso essere ricordata solo per quello, ma almeno le persone mi riconoscevano per qualcosa in cui ero brava. Princeton divenne la mia casa lontano da casa, un posto dove poter essere me stessa senza che i miei genitori ficcassero il naso nei miei affari.
In realtà, era molto meglio di casa, perché quando i miei compagni sentivano il nome Alexa Hall, quasi nessuno lo collegava alla mia famiglia multimilionaria.
Crescendo, il mio amore per gli sport era diventato sempre più forte. Ero un tipo competitivo, ma mia madre pensava che gli sport per ragazze fossero per persone rozze
, cioè per i poveri e di aspetto poco gradevole
.
Ricordavo quella volta alle elementari in cui stavo giocando con alcuni ragazzini durante l’intervallo. Mi ero scontrata con un bambino più grande di me di due anni ed ero rimasta senza due denti. Erano solo denti da latte, quindi non era un vero problema. Tuttavia, mia madre diede di matto quando mi vide. Dopo aver smesso di urlarmi contro, scoppiò a piangere e non mi guardò per giorni.
Non mi fece partecipare alla sfilata della scuola quel fine settimana, informando gli insegnanti che non mi fosse permesso prendere parte a giochi pericolosi. Fui sollevata di non andare, ma guardare i miei compagni divertirsi a ricreazione mentre io stavo in disparte, fu una vera tortura.
Per questo motivo, mi sorprese che mia madre mi avesse permesso di diventare una cheerleader al liceo. Il coach disse che ero stata la prima matricola ad essere ammessa dopo un decennio.
Passai dallo stare in panchina al fare la cheerleader accanto alle panchine, ma facevo parte di qualcosa. Mi piaceva e avevo una scusa per partecipare agli eventi sportivi.
Mi piaceva la sensazione di saltare ai margini del campo per eseguire un perfetto salto mortale. Ero elettrizzata ogni volta che mi sollevavano in aria. Era fantastico avere gli occhi di tutti puntati addosso mentre ballavo al ritmo della musica della banda. Non c’era niente di meglio che incitare la squadra di football in una fredda notte d’autunno.
Si formò un nodo in gola quando mi resi conto che quella sarebbe stata l’ultima notte in cui avrei sentito la sensazione del tappeto erboso sotto i piedi. In segreto mi era sempre piaciuto guardare le partite, ma il football al college è un altro spettacolo. Feci i salti di gioia quando scoprii di essere stata ammessa nella squadra di Princeton.
Non importava quello che succedeva nella mia vita, perché aspettavo con ansia ogni sabato. Mi piaceva svegliarmi presto, trascorrere la giornata a prepararmi con le mie compagne, e sostenere la squadra di football. Mi piaceva anche trascorrere del tempo con i giocatori.
Erano divertenti, carini e organizzavano feste grandiose. Stare con loro era come essere una celebrità, almeno nel campus. Ero in confidenza con alcuni di loro... e avrei tanto voluto conoscerne altri ancora meglio.
«Alexa, dieci secondi alla fine del primo tempo. Andiamo!» urlò Sasha, risvegliandomi dal mio sogno a occhi aperti.
Durante l’intervallo, le cheerleader andavano nei loro spogliatoi speciali mentre la banda suonava. Era l’unico momento della giornata in cui non eravamo sotto i riflettori.
«Riesci a credere che sia quasi finita? Voglio dire, abbiamo ancora la stagione di basket, ma non riesco a immaginare di non trovarmi qui per il prossimo campionato,» disse Sasha quando applicò del rossetto rosso sulle labbra.
«Non mi va di parlarne,» singhiozzò Gia. «Non posso smettere di immaginare quanto sarà triste Sam questa sera. Soprattutto se perderanno la partita.»
«Oh, potrebbero ancora vincere. Non puoi saperlo,» risposi, cercando di essere ottimista, ma avevamo tutti il sospetto che non avrebbero vinto. La seconda parte del campionato era stata una continua spirale al ribasso.
«Già, hai ragione,» disse, asciugando gli angoli degli occhi come se il suo atteggiamento positivo potesse aiutare la squadra perdente del suo ragazzo.
«E immagina la festa di questa sera in caso di vittoria,» intervenne Sash. «Scommetto che un certo giocatore vorrà ringraziarti per tutto il sostegno dimostrato in questi quattro anni.»
«Non mi va di parlarne, Sasha,» rimproverai per finta la mia migliore amica. «Chi ha detto che ho intenzione di festeggiare questa sera? Forse tornerò a casa e finirò i compiti.»
«Sei una nerd,» scherzò Gia. «Se non ti conoscessi, non penserei mai che sei il capo delle cheerleader.»
Sorrisi. Mi impegnavo molto per ottenere buoni voti, ma questo non mi impediva di dedicarmi alla squadra. Non volevo che le altre ragazze credessero che fosse un bene andare al college ed essere considerate solo belle, ricche e popolari.
«Andiamo, signore,» il coach urlò dal corridoio. «Mancano cinque minuti all’inizio del secondo tempo.»
Afferrai i mie pon-pon prima di incamminarmi verso lo stadio. La folla era silenziosa. Non era facile osservare la propria squadra perdere placcaggi semplici o lasciarsi sfuggire dei passaggi. Era ancora più difficile fare il tifo quando il pubblico desiderava soltanto tornare a casa e bere per dimenticare un’altra sconfitta. Era ora di mettersi a lavoro.
«Forza Tigers, forza!» urlai, incitando la mia squadra. Eseguii alla perfezione i passaggi su cui avevo lavorato per tutta la stagione...una ruota, due rovesciate e una capriola indietro. Una volta in posizione d’arrivo, sorrisi e salutai la folla, catturando l’attenzione del corpo studentesco. Era bello ricevere attenzioni per delle abilità che avevo acquisito con impegno.
I giocatori tornarono in campo, segnalando che dovessimo iniziare a ballare. Commisi l’errore di guardarmi alle spalle durante la nostra routine. Distolsi subito lo sguardo dai giocatori. Martin mi scoccò un sorriso e, per una frazione di secondo, mi ritrovai perduta. Potevo sentire Sasha ridacchiare per il mio comportamento mentre un enorme sorriso da cheerleader le illuminava il viso.
«Che cosa ti è preso, Alexa?» Sasha rise al calcio di inizio.
«Scusa, mi sono distratta,» arrossii.
«Immagino che abbia notato Martin e il tuo cervello sia partito,» rispose.
«Credi sempre di essere divertente,» risposi con una risata artefatta, cercando di cambiare argomento.
«Ehi, Gia. Sembra che il tuo ragazzo sia pronto a uccidere qualcuno,» commentai.
«Già,» rispose. «Spero che gli avversari lo trovino spaventoso, perché per me è adorabile.»
«Ma perché non vi sposate a che ci siete?» sbuffò Sasha. «Siete troppo sdolcinati per me.»
«Touchdown!» esclamò il cronista. «Il numero 81, Donny Jackson!»
Le cheerleader cominciarono a saltare, e le nostre urla furono coperte dalla folla esultante. Donny corse verso la linea laterale e mi fece l’occhiolino non appena si tolse l’elmetto. Finsi di non averlo visto.
Dopo i punti extra, intonammo la canzone della scuola. Che emozione! A volte il mio sorriso era forzato, ma questo era sincero.
Mancavano soltanto cinque minuti alla fine della partita. La mia squadra era sotto di otto punti. Una vittoria sarebbe stata il modo perfetto per concludere la mia carriera tra le cheerleader. Non avevo mai esultato così in vita mia. Il pubblico era tutto in piedi.
«Difesa, difesa,» urlai, e l’intero stadio mi seguì. In quattro anni non avevo mai visto il pubblico così pieno di energie. Il rumore funzionò. La squadra avversaria non riuscì a sentire niente in mezzo a quel caso, i nostri giocatori presero il possesso della palla e corsero verso la linea dei cinquanta yard.
Mancavano tre minuti.
L’allenatore chiese il time-out, la nostra scusa per fare il tifo. La musica rimbombava e l’energia degli spettatori era contagiosa. Era arrivato il momento di esibirsi. Posai il piede sulle mani di due forti cheerleader che mi lanciarono verso il cielo.
Ero in aria e non mi andava di scendere, perché avrebbe significato tornare alla realtà. Feci un’impeccabile spaccata in volo e atterrai tra le braccia delle mie compagne. Erano una famiglia per me, e odiavo il pensiero di lasciarle ed essere rimpiazzata.
Mancava soltanto un minuto. La squadra aveva guadagnato qualche primo down nella linea da trenta yard. Poi un fallo li aveva spinti indietro di dieci yard. Avevano tempo a sufficienza per un ultimo punto.
Al primo down, fecero balzare la palla di tre yard.
Al secondo down, soltanto due yard.
Al terzo doveva attraversare tutto il campo.
Il pubblico restò in silenzio. La palla era in aria, mentre volava verso la fine del campo. Uno dei ricevitori allungò la mano e la afferrò. Lo stadio scoppiò. Erano sotto soltanto di un punto e restavano pochi secondi. Una conversione da due punti avrebbe segnato la vittoria.
Dovevo ancora incitare la mia squadra per un’ultima volta prima della battuta finale. Non appena mi voltai, vidi il kicker correre fuori dal campo. Il center lanciò la palla all’holder, che scattò per rilanciarla.
Era uno schema!
La palla volò sopra di noi in direzione del nostro ricevitore che si trovava a fondo campo. Restai con il fiato sospeso mentre la osservavo dirigersi verso le sue mani. Due giocatori la sollevarono in alto, e uno dei nostri la prese. Era finita. I Princeton Tigers avevano vinto la finale!
L’entusiasmo era contagioso. Le cheerleader corsero verso il campo per unirsi ai giocatori e agli studenti per festeggiare. Stavamo saltando e cantando l’inno della scuola.
Era assordante e c’era gente ovunque. A un certo punto, sentii una mano sfiorarmi la schiena. Mi voltai, ma non vidi niente. Forse ero solo troppo presa dalla vittoria.
«Andiamo, Alexa,» mi chiamò Sasha. «Cambiamoci e andiamo a bere qualcosa.»
Annuii. «Buona idea. Offro io.»
«Bene,» disse, mettendo un braccio sulla mia spalla. «Non avevo intenzione di farlo io.»
CAPITOLO DUE
Martin
Non ero mai stato così sotto pressione in tutta la mia vita. Era il mio ultimo anno di football al college e la posta in gioco era alta. In caso di sconfitta la colpa ricadeva sempre sul quarterback.
Potevo ottenere statistiche grandiose, ma se la mia linea di difesa non faceva il suo lavoro, ero io a doverne pagare le conseguenze. Dato che ero il capitano, i miei compagni mi ritenevano responsabile per ogni sconfitta. Non mi avevano mai detto niente, ma sentivo il modo in cui bisbigliavano negli spogliatoi quando credevano che non fossi lì.
La partita di questa sera avrebbe segnato il mio futuro. La nostra scuola non era famosa per il football, quindi era più difficile essere presi in considerazione dai reclutatori professionisti piuttosto che da una delle squadre della NFL.
Nel migliore dei casi, avrei potuto essere selezionato nei primi due tempi. Sarebbe stato fantastico se fossi tornato a casa e giocare a