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L'indicibile storia di Lazzaro ovvero l'ipocrisia dei sinottici
L'indicibile storia di Lazzaro ovvero l'ipocrisia dei sinottici
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L'indicibile storia di Lazzaro ovvero l'ipocrisia dei sinottici

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Si propone questo libro a quei pochi spiriti eletti (happy few) che abbiano in animo la ricerca della verità, la stessa che ha mosso l'autore nell'approfondire questo spinoso argomento: la verità storica su Gesù. La ricerca, sin qui fatta da tutti gli studiosi dei testi biblici, si è focalizzata sulla cronologia, l'interpretazione delle scritture e il contesto storico; mai nessuno che abbia messo in dubbio la buona fede degli autori. Si è proprio sicuri che gli evangelisti siano stati gli onesti trascrittori della biografia di Cristo, o ci sia stato qualcuno che scientemente abbia alterato episodi cruciali di quella biografia? L'autore di questo libro ne è convinto e cerca di dimostrarlo usando le armi di un agguerrito detective, che partendo da alcuni indizi sparsi nei vangeli e negli scritti del Nuovo Testamento ha cercato il perché di alcuni silenzi, amnesie ed incongruenze di cui sono costellati questi scritti. Comunque, la figura di Cristo, liberato da tutto gli orpelli posticci che la Chiesa gli ha cucito addosso, si è rivelata di una grandezza assoluta, che non teme il confronto con alcuna delle grandi figure che l'umanità ha prodotto.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateMar 16, 2018
ISBN9788827820544
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    L'indicibile storia di Lazzaro ovvero l'ipocrisia dei sinottici - Didimo

    Eliot

    Prefazione

        La ricerca storica su Gesù, iniziata nel secolo dei Lumi, è ancora in fervida evoluzione in questo periodo storico. Molto si è scritto su di lui e le opinioni sono innumerevoli. Il risultato dei tanti studi ha portato a ricostruzioni ed ipotesi, per molti versi, divergenti. In conclusione, il personaggio risulta essere sfuggente, difficilmente circoscrivibile in uno schema plausibile. Molti studiosi, alcuni dai nomi altisonanti, si sono spesi in questa ricerca.  In senso stretto, io non sono del gruppo, in quanto questa mia ricerca esegetica sposta la sua analisi non tanto su ciò che vien scritto in alcun libri del Nuovo Testamento, ma si focalizza su dettagli e incongruenze inspiegabili a livello razionale.  Mi son chiesto il perché di alcune vistose dimenticanze ed omissioni. E qui siamo nel campo della psicologia. Proprio così; la mia indagine mette a fuoco proprio l'aspetto psicologico; il perché  abbia indotto gli scrittori dei Sacri Testi a darci quelle loro versioni, differenti e lacunose. In tal senso, molto ha contribuito il contesto sociale e le remore religiose degli evangelisti; uomini ossequiosi alle norme stringenti della Torah. Nessuno avrebbe speso un centesimo per strappare alla morte per lapidazione una donna accusata di adulterio. Infatti i tre evangelisti sinottici ignorano completamente l'episodio. Il quale episodio scomparve per un paio di secoli, prima di essere reinserito nel vangelo di Giovanni.

    Esaminando le incongruenze insite nei testi,  e sono moltissime,  alla stregua di un dilettante detective, ho analizzato gli scritti, dando spazio a personaggi che, come meteore, compaiono e si dileguano in un silenzio assoluto. Mi son chiesto il perché di questo deliberato ostracismo, cercando le motivazioni che hanno indotto gli evangelisti ad ignorarli. Per esempio, chi è quel giovanotto che corre nudo nell'orto degli ulivi? Con moltissima probabilità è lo stesso che ritroviamo nella tomba di Cristo risorto,  che annuncia alle pie donne l'avvenuta resurrezione. Perché Marco, tra le medesime pie donne fa il nome di Salome, la quale, inopinatamente,  scompare dal racconto degli altri evangelisti, che pure, pare abbiano copiato l'impostazione generale dal vangelo di Marco? Le conclusioni  che ne ho tratte non dovrebbero intaccare la fede di convinti credenti, ai quali, amichevolmente, non  consiglio la lettura di questo libro. Alcuni potrebbero subire sussulti ingovernabili, che io fraternamente non voglio accada ad esseri umani che anelano al gaudio del Paradiso.      A coloro che non credono affatto, o ai dubbiosi consiglio la lettura, perché scopriranno nella figura di Cristo un individuo per niente paludato dalle incrostazioni posticce che la Chiesa ha creato nel corso dei secoli. Il Gesù storico è di una grandezza assoluta.

    Introduzione

    L'idea di questo libro nasce per  caso, per pura curiosità. È frutto di una sollecitazione esistenziale, che probabilmente dormiva latente dentro di me da quando studiavo filosofia. Gli affanni del vivere quotidiano hanno preteso molta attenzione e tempo nel loro adempimento e le speculazioni filosofiche o teologiche hanno fatto nel mio intimo, sin qui, sonni tranquilli. Ora, avanti negli anni, in pensione, quando il sonno non è più quello della gioventù, la notte scorre lunga e si popola di fantasmi; ti passano in rassegna processioni di persone che non ci sono più, (e sono eserciti) e tu solitario alfiere a resistere alle avances sempre più pressanti di quei vecchi conoscenti, amici, parenti: un po' come in quei girotondi felliniani essi allungano le braccia per includerti in quel gioco innocente; il cuore galoppa ansimante e  ti scopri a pensare alla morte. L'idea comincia a frequentarti in modo subdolo, quando non hai il controllo del tuo subconscio, a volte ti insegue anche al risveglio, quando pensi di essere al sicuro, difeso dalla tua razionalità. È la paura della morte che, a mia consolazione, se così si può dire, condivido con l'intera umanità. Anche i grandi uomini non ne sono stati esenti. Ripenso a Michelangelo, a Tiziano, a Mozart: le loro ultime opere sono il segno di questa malcelata paura. La pietà Rondanini la vedo come un presente da dedicare esclusivamente a Dio. Ed è, per un uomo, un gran bel presente: più della pietà in san Pietro, è in assoluto, l'opera che prediligo; poverissima scarna, essenziale; ti colpisce nell'anima. Eppure, son sicuro che l'artista non l'avesse fatta per il pubblico: è una sorta di credenziale personalissima da presentare nell'aldilà.

    All'Accademia di Venezia c'è l'ultima pietà di Tiziano. Anche per quest'opera pittorica gli elementi costitutivi sono ridotti all'essenziale. È come se il pittore , novantenne, non avesse più la forza di operare con il pennello; forse non ci vedeva più tanto bene. Sta di fatto che questa è l'ultima opera del pittore, incompiuta; anche se, in seguito, Palma il Giovane pare avesse dato colore  a quelle figure abbozzate dall'artista di Pieve di Cadore. Ora sembra che abbiano ripulito la tela dal lavoro eseguito dall'allievo Palma. Per chi conosce qualche opera di Tiziano, questa pietà è sconvolgente, al paragone di altri lavori eseguiti dal maestro. Sembra essere più un quadro espressionista. Un po' di luce le deriva dal corpo di Cristo, per il resto, le  figure di contorno navigano in un buio assoluto. Buio come buia è la morte. La figura in verticale è assolutamente tragica: si notano due orbite vuote e una bocca aperta in un modo innaturale. Sembra che urli il suo dolore contro il cielo. È forse una invocazione o, piuttosto, un rimbrotto contro Dio? Insomma, il pittore, senza indulgere in fronzoli, consegna il suo testamento per l'aldilà, sperando che qualcuno si degni di guardarlo. Di Mozart dirò che lui l'incontro con la morte l'aveva già avuto nell'ultimo atto del Don Giovanni. Il protagonista si offre alla sfida con la morte in modo spavaldo: si poteva permettere di sbeffeggiala, tanto  sentiva l'onnipotenza della sua gagliarda gioventù. Quando la tisi stava consumando lo stesso Mozart, il tono della messa da requiem, la sua ultima opera, è spaventato, sbigottito: la morte stava per ghermirlo, e lui, povero Amadeus, era solo e spaurito: era la paura della morte, che attanaglia tutti, ma proprio tutti.

    Ahimè, anch'io, moderno, anonimo servo della gleba, ne sono contagiato; per di più, come la maggior parte degli esseri viventi, non ho alcuna credenziale da presentare al Padreterno. Allora mi tengo ben celata la mia paura, per timore che divampi lo spavento nel mio prossimo e vigliaccamente provo a cercare una via di fuga: accendo la televisione, ma è come nascondersi dietro un dito.  Infine cerco una pezza d'appoggio a tacitare le mie paure. Mi rivolgo alla religione perché è l'unica ad alleviare il mio disagio: è una consolazione sapere che anche dopo morto, vivrò una vita diversa, ma vivrò; non si esaurirà tutto in una manciata di cenere: quella cenere prenderà consistenza, si animerà ed io sarò di nuovo io.

    Sono stato sempre assiduo alle cose della chiesa; la domenica sempre a messa nella speranza che la mia fetta di Paradiso non mi fosse sottratta. Mi sono messo con un qualche impegno a studiare la Bibbia, cercando di non tralasciare alcun libro, dalla Genesi sino all'Apocalisse di san Giovanni, sempre alla ricerca di una risposta tangibile alla mia sete di eternità. Forse ho studiato troppo: la Bibbia non andava letta, meglio accontentarsi delle letture somministrate la domenica durante la messa e le parole convinte del prete durante l'omelia. Forse faceva bene la Chiesa a proibire ai fedeli la lettura della Bibbia: milioni di cattolici  sono  vissuti e sono morti confortati dalle parole suadenti del vangelo vagliate dal clero.

    I libri dell'Antico Testamento è risaputo che sono pieni di incongruenze dovute alla difficoltà di riferire alla lettera la volontà di Dio, non scritta, ma riportata sul filo della memoria per parecchie generazioni, e dunque manipolata dall'uomo per oggettive difficoltà nella trasmissione del verbo divino. Continua a lasciarmi perplesso l'ostinazione della Chiesa a ridire durante la messa, a chiosa della prima lettura, presa dall'Antico Testamento: parola di Dio. Ma si  è proprio sicuri che fu Dio a dire quelle parole? Il libro di Daniele ci fa vedere Dio che suggerisce al profeta, direttamente o tramite l'arcangelo Gabriele, quello che deve predire ai re, da Nabucodonosor a Ciro. Quello stesso Dio che suggerisce a Davide la strategia per sconfiggere e uccidere i Filistei, anch'essi creature di  Dio. Forse figli di un Dio Minore.

    È  comunque, dal Nuovo Testamento che sono venuti i problemi; su tutti mi ha fatto andare in crisi l'episodio del miracolo di Lazzaro. Le mie fragili certezze sono evaporate in men che si dica. La mia fede era piantata sulla roccia: Lazzaro era morto e il suo corpo cominciava a disfarsi, dunque era morto sicuramente; il suo ritorno in vita era la garanzia che la morte era stata sconfitta per sempre: Gesù era padrone anche della morte. Ho letto e riletto l'episodio nel vangelo di Giovanni profondamente rassicurato. Non contento, a maggior mia consolazione, sono andato alla ricerca del medesimo episodio negli altri vangeli, per qualche dettaglio più confortante. Sono rimasto esterrefatto: l'episodio viene riportato solo da Giovanni. Mi sono detto: È impossibile; l'episodio più importante di tutti e quattro i vangeli, il più inconfutabile dei miracoli viene ignorato da Matteo, Marco e Luca; eppure i discepoli erano tutti lì a Betania. C'è qualcosa che non quadra; anche perché, a differenza della resurrezione dello stesso Gesù, così come viene descritta da Marco, dove nessuna delle donne vede il Cristo risorto, qui, per Lazzaro, c'era l'intero villaggio a testimoniare per il prodigio. Allora, più che mai motivato, mi sono messo alla ricerca di una spiegazione per capire la ragione di questa incredibile amnesia. Ho impiegato più di tre anni: mi sono letto tra gli altri La vita di Gesù Cristo di Giuseppe Ricciotti, Gesù ebreo di Galilea di Giuseppe Barbaglio, i vangeli apocrifi, i libri  sull'argomento di Corrado Augias coadiuvato da Mauro Pesce o Vito Mancuso, I cristianesimi perduti di  Bart D. Ehrman, L'ambiente storico-culturale delle origini cristiane di Romano Penna, Perché non possiamo essere cristiani di Piergiorgio Odifreddi, The Historical Figure of Jesus di E.P.Sanders e alcuni altri di cui non ricordo i nomi e i titoli dei libri. Non ho trovato rassicurazioni circa l'eternità, e il Paradiso si è allontanato sempre di più dalla mia prospettiva: sono rimasto un po' orfano. Questa mia ricerca a trovare una risposta risolutiva ai miei tanti dubbi è naufragata miseramente quando ho constatato che illustri studiosi in età moderna, partendo da S. Reimarus, sino ai giorni nostri, sono in disaccordo su tutto, restando fermo il solo dato storico della morte in croce di Gesù. Lo hanno persino tacciato di magia e stregoneria. Non essendosi avverata la predizione evangelica della imminente venuta del regno di Dio, A. Schweitzer, il grande organista e amico dei diseredati, nella sua vita di Gesù, mette in conto che il contributo dato da Cristo al cambiamento dell'umanità è tutt'altro che trascurabile: egli ha modellato il sentire etico dell'uomo, al di là del condividerne la fede e la speranza nella venuta del regno.(1) Un pastore protestante, R. Bultmann, dando un calcio a tutte le spinte razionalistiche a risolvere gli intricati dilemmi che sorgono della lettura dei vangeli, ha gettato tutto alle ortiche, affermando che ai credenti, più che il Cristo predicatore, interessa il Cristo predicato; cioè, siccome la storia non ci sovviene a risolvere il problema biografico, allora ci diamo anima e corpo a quello che ci hanno propinato i vangeli e i Padri della Chiesa e, di riflesso, al sentire del popolo dei fedeli.(2) In tempi recenti, si è cercato di recuperare un minimo di razionalità, tornando a parlare della vicenda del Gesù terreno, colto nella sua vicenda storica; cioè, si è tornati a riconsiderare gli scritti evangelici, cercando di capire dove gli estensori di quegli scritti, uomini impregnati di sensibilità giudaiche-cristiane, abbiano ritoccato il materiale originale, avendolo trovato troppo audace e non in linea con la guardinga ortodossia ai canoni della legge mosaica. Dagli anni 80 una vasta corrente di pensiero ha reinterpretato il pensiero di Gesù, anche alla luce di alcuni scritti apocrifi, su tutti il vangelo di Tommaso. Nel 1985 un folto numero di studiosi si raccolsero al richiamo di R.W.Funk, di D.Crossan e di Borg, che organizzarono un seminario dal titolo Jesus Seminar. Agli occhi di un profano quel consesso avrebbe potuto far pensare ad una americanata, sia per il numero dei partecipanti, che per la metodologia usata. Quei biblisti, con delle matite colorate, sottolineavano, secondo il  loro sentire, le parole e le frasi che Gesù potrebbe aver pronunciato. Il risultato di quel lavoro veniva quantificato  percentualmente con  una metodologia che avrebbe fatto storcere il naso a teologi storici dalla logica stringente. L'enfasi e l'entusiasmo di quel gruppo di lavoro si può intravedere attraverso il proclama di D.Crossan che con fare stentoreo diceva: Abbasso la tirannia del Gesù sinottico!(3). In sintesi, questi  studiosi hanno messo in dubbio che Gesù abbia parlato di una realizzazione del regno di Dio, e che la predizione della imminente fine del mondo sia una creazione dei primi scrittori cristiani. Il ritratto di Gesù, che ne risulta, è quello di un uomo non convenzionale e addirittura sovversivo. Per affermare ciò si sono ispirati soprattutto al vangelo di Tommaso, nel quale traspare una spiritualità non più legata a riti e mortificazioni del corpo, ma piuttosto si da valore alla purezza dei sentimenti e alla consapevolezza che Dio è in mezzo noi. Devo dire, che l'idea che mi son fatta, per qualche verso, collima con quella esposta da questi ultimi pensatori, anche se sono arrivato a delle considerazioni, sin qui, non prese in esame. Per esplicitare questi miei pensieri mi sono messo a scrivere un libro per dare un ordine razionale ai miei tanti dubbi, sempre alla ricerca di una spiegazione quanto più vicina possibile alla verità, che sono conscio, irraggiungibile.

    Il titolo del libro non ha nulla di sensazionalistico; risponde ad un quesito ineludibile: Perché i tre autori dei sinottici hanno dimenticato il miracolo dei miracoli, quello di Lazzaro?.  I discepoli erano tutti lì presenti all'evento soprannaturale, era assurdo ignorarlo. Una motivazione dovrebbero averla avuta, a meno che non ci sia stato qualcosa di poco chiaro intorno all'intera vicenda. Anche il sottotitolo ha una sua motivazione: è  una sorta di risposta ad alcuni quesiti  che si sono affacciati durante la ricerca sull'origine dei vangeli. Comunque le considerazioni che ne derivano, avendo a protagonisti sia Lazzaro che  le pie donne, non sono frutto, sic et simpliciter, di pura invenzione, come si può riscontrare nei  molti libri che hanno per protagonista Maria Maddalena, la cui figura ha scatenato  la fantasia di schiere di scrittori sensazionalisti. Gli assunti si dipanano seguendo assolutamente le indicazioni che vengono esposte nei sinottici e in Giovanni; ci si è anche  avvalsi del vangelo di Tommaso, un apocrifo ritrovato recentemente; e comunque, si tratta di personaggi e  parole che un qualsiasi cristiano già conosce;  lo si consideri un aiuto a ricostruire i fatti evangelici, se mai, con dettagli  sfuggiti dopo una lettura sommaria. In più luoghi di questo libro ho messo in evidenza il protagonismo di alcune donne presenti nei vangeli; per me non sono  da considerare semplici elementi coreografici, anzi ho ipotizzato per una di esse un ruolo di primissimo piano che non ha riscontro in alcun testo esaminato. Sto parlando di Salome, una delle pie donne, la quale non suggerisce alcun richiamo particolare, e tanto meno, non sembrerebbe alimentare morbose curiosità. Tra l'altro è una figura così periferica nei vangeli canonici da scoraggiare qualsiasi creatore di storie. Se si esclude Marco che la cita due volte, in nessuna altra parte la si incontra. Si incontra sempre Maria di Magdala, una presenza fissa in prima linea. Su questa figura si sono sbizzarriti in molti. Si potrà immaginare  che fosse una donna giovane, molto probabilmente avvenente, si da capitalizzare l'attenzione del gruppo dei discepoli al seguito di Gesù. Senz'altro era in confidenza con Gesù, che con lei scambiava qualche opinione, e questa familiarità dovrà aver ingenerato delle gelosie tra i discepoli, se Pietro si fa promotore di una rimostranza con il maestro, circa il ruolo delle donne nel regno dei cieli.  Che ci fosse del tenero, non mi sento di escluderlo, anche se credo di no: gli evangelisti lo avrebbero messo in evidenza. E Matteo è esplicito, a tal proposito, per quel che riporta al 19,12 del suo vangelo: Ci sono eunuchi che così sono nati dal ventre della madre; ci sono eunuchi resi tali per mano umana; e ci sono eunuchi che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli. Sembra ovvio, che per Gesù, la scelta sia caduta sulla terza opzione; né posso pensare che abbia fatto come quello sconsiderato di Origene che, per silenziare le sue pulsioni, abbia deciso di tagliarsi gli attributi ed assicurarsi un posto in Paradiso; il quale, Origene, era uno dei migliori cervelli del primissimo pensiero cristiano; solo non si spiega perché abbia preso troppo sul serio il detto di Gesù:  Se la tua mano destra ti è occasione di scandalo, tagliala e gettala via da te: conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geenna(4). Ma in quel periodo, di frenetico entusiasmo per il verbo evangelico, sembra che, quella carica emotiva, abbia obnubilato le basi stesse del raziocinio, e Tertulliano ci illumina in questo, quando dice che la fede è superiore alla ragione.

    Comunque, tornando al vangelo di Giovanni, il verbo amare è usato senza parsimonia con Marta, Maria e Lazzaro. Maria di Magdala doveva, senza meno, essere stata sedotta dalla personalità esuberante di Gesù, ma da questo a farne l'amante ce ne corre. Piuttosto si tratterebbe di quelle interrelazioni che corrono tra il predicatore e la schiere delle pinzochere che sono al seguito, come sono ben descritte nel romanzo di Goffredo Parise Il prete bello. Sta di fatto che la Maddalena risulta essere una presenza rassicurante, se nessuno degli evangelisti ha pensato di escluderla dal racconto.

    Salome, al contrario, come persona fisica non doveva essere niente di eccezionale; certamente non appariscente, forse sposata, ma senza figli, oppure non sposata affatto.

    Propendo a pensare che fosse stata sposata, ma rimasta sola, avesse da gestire una rassicurante posizione economica, si da poter ospitare il gruppo girovagante di Gesù con i discepoli. Di sicuro non aveva peli sulla lingua, e quando doveva dire qualcosa lo faceva senza frapporre indugi. Può anche darsi che questa sua facilità ad esternare le abbia creato qualche risentimento tra i discepoli; non con Gesù, con il quale condivideva la mancanza di ipocrisia. Si può anche dedurre, dalla qualità delle risposte pervenuteci, nelle rare battute prese in esame, che avesse poca cultura, una intelligenza pratica, senza voli di fantasia. Questa mancanza di fantasia le avrà impedito di prevedere, che le implicazioni derivanti da un suo racconto delle opere del suo maestro, senza aggiustamenti, avrebbero potuto nuocere alla figura agiografica, che la futura cristologia stava per creare. Proprio la mancanza di ipocrisia, penso sia stata all'origine della sua alienazione da parte dei vangeli canonici. Se Marco non ha potuto fare a meno di citarla, gli altri si son ben guardati dal nominarla, sostituendola con altri nomi marginali. Eppure, non si può dire che fosse una presenza invisibile. Anzi, era tanto viva, che nessuna delle donne del vangelo ha avuto tanta parte nei pochi scritti pervenutici; per esempio quel brevissimo vangelo apocrifo degli Egiziani gira tutto intorno ad una sua conversazione con Gesù. Dialogo innocuo, che però, chiarisce che tipo di interrelazioni ci fossero tra Gesù e le donne. Nel protovangelo di Giacomo è lei a mettere il dito nella natura di Maria, madre di Cristo, per assicurarsi del concepimento verginale di Gesù. Perché proprio lei? Forse bisognava farla ricredere su qualcosa che aveva detto, che scompaginava la costruzione della nascente teologia su Gesù?  E quel vangelo apocrifo si distingue per l'ossessiva ricerca di aggiustamenti creati su misura per mitizzare la figura della madre di Dio, la quale, a  dire del suo autore, rimane vergine anche post partum, perché Giuseppe, che era vecchio, e con un codazzo di figli, cercava una moglie di facciata che facesse da balia per accudire la sua nutrita famiglia. Povera Maria, madre di Dio, nel fiore degli anni (rosa mystica), costretta ad una vita da sguattera! L'autore di quel protovangelo ha qualcosa in comune con Matteo: entrambi sono attenti ai dettagli teologici, anche se, a volte, sconfinano nel ridicolo. Non per niente, un razionale come Girolamo, un padre della chiesa del IV secolo, stigmatizza quelle invenzioni del protovangelo come deliramenta apocryphorum(5), cioè espressioni deliranti degli apocrifi.

    Gli evangelisti certamente sapevano di questa donna, Salome, ma la hanno deliberatamente ignorata,  una sorta di damnatio memoriae che ha sperimentato anche Lazzaro, perché persino un qualsiasi sprovveduto potrebbe chiedersi il motivo dell'oblio completo di questo personaggio nei tre vangeli sinottici. Eppure, con la resurrezione di Lazzaro, siamo in presenza del miracolo più incontestabile di tutti i vangeli.

    Proprio l'ostracismo verso questa donna mi ha indotto, come in una modesta trama di un giallo, a pensare che lei abbia potuto essere alla origine di alcune verità

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