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Maluentu (Vento Cattivo)
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Maluentu (Vento Cattivo)
Ebook178 pages2 hours

Maluentu (Vento Cattivo)

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About this ebook

Il 2 marzo del 1994, un elicottero della Guardia di Finanza si alzò in volo dall'aereoporto militare di Elmas. Un'ora dopo lo stesso elicottero si inabissò nei pressi di Capo Carbonara sparendo per sempre dai radar civili e militari. I corpi e la carcassa del velivolo non furono mai ritrovati. La stampa nazionale ignorò la vicenda. Quella locale dopo poche settimane e alcuni articoli di un coraggioso giornalista, che paventò la presenza di una misteriosa nave nel punto della disgrazia, si trincerò in un silenzio assordante. Venne apposto irregolarmente il segreto di stato. Le indagini della magistratura civile e della procura militare lasciarono non pochi dubbi. Numerose interrogazioni parlamentari non ebbero risposte. Poi calò il silenzio.
Matteo e Alessandro, sono nel pieno della loro indecisione e confusione, quando un loro amico avvocato fa ascoltare ai due, la registrazione delle ultime parole pronunciate dai due piloti prima che l'elicottero cadesse nel mare. Matteo comincia a raccogliere e catalogare informazioni. E si accorge subito che molte cose non tornano. C'è qualcosa di strano e inquietante intorno a quella vicenda. Alessandro non vuole assecondare le teorie dell'amico. Continua la sua vita tra locali, feste alcool, e l'unica decisione che prende è quella di fuggire dalla noia facendo un biglietto di sola andata per l’isola di Capoverde. Non lo fermerà aver conosciuto Kelly, una bella e simpatica ragazza italo-americana di cui si invaghisce, e che successivamente avrà un ruolo fondamentale nella storia. Kelly è infatti la figlia di un colonnello della Nato in servizio presso la base di Salto di Quirra, non lontano dal punto dove si verificò “l’incidente” dell’elicottero.
Ma la scoperta che un personaggio della loro infanzia, è implicato in qualche modo nella vicenda, e sopratutto la sua morte misteriosa, convincono anche
LanguageItaliano
PublisherVento
Release dateAug 23, 2018
ISBN9788869094538
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    Maluentu (Vento Cattivo) - bruno alessandro carboni

    emerga.

    MALUENTU

    (VentoCattivo)

    Resta così

    Che ne dici mi fermo qui?-

    -Mi sembra ottimo. Scendiamo e fumiamoci una paglia davanti al mare-

    Il maestrale che si era alzato con puntualità incredibile come quasi ogni pomeriggio, raffreddava una giornata invernale comunque soleggiata e splendida.

    Parcheggiammo la macchina proprio davanti all’ultimo lembo di costa sotto al quale cominciava la spiaggia, diventata una sottile lingua di alghe nere e sabbia biancastra a causa delle mareggiate degli ultimi giorni.

    Avremmo potuto gustarci la sigaretta seduti in macchina e guardare le onde incresparsi godendoci un pò di buona musica. Ma avevamo bisogno di sfamare le narici con l’odore del nostro mare, che da troppi mesi non assaporavamo.

    - Per me è come una droga. Una sorta di brodo primordiale.- Stavo per lanciarmi in un mio tipico discorso infarcito di ricordi, melanconie, e strascichi di patetismo, ma Matteo ormai un paio di metri avanti a me non poteva più sentirmi.

    I miei melensi flashback privi dei suoi commenti dissacratori e iperrealistici non avevano alcun senso.

    Accesi la sigaretta in silenzio.

    Aspirai avidamente e sorrisi nel vedere il mio amico contrito nella sua tipica postura. Bavero del cappotto nero rigorosamente alzato, mano sinistra a tenerne le due estremità sulla gola per evitare che un solo spiffero di vento potesse entrarvi, sguardo serio, quasi severo. Era teatrale e impostato e mi affascinava osservarlo e aspettare come avrebbe rotto il silenzio.

    -Oh Ale…che pensi? Alle tue vecchie trombate in quella specie di grotta.. eh vecchio maiale?-

    Annuii con ampi cenni del capo e pensai che forse era proprio lui il più melanconico tra i due. Poi con due balzi cominciai a scendere sulla sabbia.

    L’odore macilento delle alghe era intensissimo. Avevano quasi completamente invaso questa spiaggia che d’estate era invece un incanto. Riuscii comunque a saltare sopra una roccia e bagnarmi il viso e i capelli.

    -Com’è?- da dove sei passato? urlò Matteo

    -Da qui…dai taccagno, le ricompro io le scarpe se le bagni-

    -Ma piantala! Certo che tu non hai problemi, sei sempre vestito come dieci anni fa…Johnny Depp dei poveri.. Giubbotto in pelle, maglia, occhiali da motociclista..ma smettila e cresci razza di venditore di fumo-

    Rideva come un bambino mentre mi sputava in faccia il suo sarcasmo e il suo finto disprezzo. Stavo per ribattere ma scoppiai in una risata irrefrenabile quando un pezzo di roccia argillosa crollò sotto il suo peso, facendolo cadere come un salame sopra un letto di alghe puzzolenti.

    -Non muoverti.. resta cosi-

    Tirai fuori velocemente la macchina fotografica dalla custodia e fermai quell’immagine.

    -Questa foto te la brucio… maledetto paparazzo…-

    Ci saremmo presi per il culo anche in punto di morte.

    IN PUNTO DI MORTE

    Mi crogiolavo nei miei pensieri osservando vecchie fotografie dei miei amici, frammenti di vita, pellicole stinte e ingiallite portatrici sane di ricordi per me sempre vivi. Adoravo lasciarmi accarezzare dal tepore del passato. Restare assorto e riviverlo. Tenere premuto il tasto " pause" per dilatare e sospendere. Diluire. Assumere lentamente una droga fatta di situazioni vissute. Una droga gratuita di cui ero il mio unico e personalissimo pusher di fiducia.

    La canna del ritorno dall’ufficio, ovattava il mio silenzioso onanismo emozionale.

    -Ale…….Ale……Ehi Ale, il tuo telefono suona da 5 minuti. rispondi!-

    La voce decisa di Silvia, mi catapulta improvvisamente via dai miei ricordi, e come fin ora era sempre stato da quando è entrata nella mia vita, mi riporta alla realtà molto velocemente.

    -Ora rispondo rilassati-

    Numero privato.

    Esito qualche secondo.

    -Pronto-

    -Sono Matteo-

    -Caspita Teo! Che sorpresa! Ho tra le mani una nostra foto di dieci anni fa. Ti ricordi quando…-

    -Ale dobbiamo vederci-mi interrompe subito con voce scura.

    -Ma che hai..che è successo?..ehi-

    -Prendi il primo aereo domani, ti aspetto in Sardegna ti chiamerò per dirti dove-

    Matteo parla piano e non lascia spazio a repliche.

    - Non chiedermi altro. Non chiamare Sara, lei non sa nulla.

    -Ma perché? che succede Matteo? Matteo..oh?

    tu-tu-tu-tu-tu-tu-tu-tu-tu-tu-tu-tu-tu-tu-tu-tu tu tu tu tu……….

    Rimango immobile con il telefonino in mano, occhi sbarrati e un senso di vuoto.

    -Ehi tesoro eri con Dio al telefonino? Me lo passi che devo dirgli qualcosa pure io?. Ale ci sei?... Cos’hai?-

    Silvia mi ruba lo spinello, fa un tiro e lo accartoccia nel posacenere di vetro sul tavolino del soggiorno.

    Mi sfila la cravatta, ascoltandone il fruscio mentre abbandona il colletto della camicia. Mi guarda curiosa.

    -Niente…è tutto ok.-

    -Mah…Dai muoviti che è pronto-

    -Arrivo.-

    Scappo in bagno. Conosco il mio amico da 24 anni. E’ successo qualcosa di veramente strano.

    Qualcosa di grave… Non ho idea di cosa possa essere.

    Non è vero un’idea c’è l’ho. Qualcosa sta ritornando dal passato.

    Sono bianco in volto.

    Il tono di voce di Matteo era stato molto più chiaro delle sue parole prive di motivazioni, per il viaggio che domani farò.

    Mi do una lavata al viso.

    Devo cercare di non preoccupare Silvia, ricordo le regole e da oggi più che mai andranno rispettate. Prendo un gran respiro, chiudo il rubinetto apro la porta e sono quello di prima.

    O quasi.

    -Dai Ale che si fredda. Danno The Doors alla tele. Il tuo film preferito giusto?-

    -Ah bene… Passami il sale per favore-

    Consumo la cena in fretta, fingo interesse e partecipazione per quello che realmente è un film che adoro, e che proprio per questo ho già visto quarantacinque volte.

    L’entusiasmo e l’allegria di Silvia, che insieme al suo sedere a mandolino mi avevano fatto innamorare 2 mesi fa, ora mi irritano e mi rendono nervoso.

    Poca fame. Poche parole. Molti pensieri.

    … .This is the end..my only friend the end…....The blue bus is calling us..

    Silvia canticchia rapita e felice sfiorandomi le mani.

    Si caro Jim qualcuno ci sta chiamando. Non è un blue bus psichedelico. Non siamo nel deserto. Vorrei un peyote ora Jim .

    -Come siamo seri…hai visto che culotte fantastiche mi son comprata?-sussurra lei sfiorandomi il lobo con le sue labbra calde.

    -Si carine-

    Pasto veloce. Divano bianco. Io e Silvia. Accucciati. Vicini, ma lontanissimi.

    Le sue dita cominciano a insinuarsi come serpenti maliziosi sulle mie cosce, seguono con i polpastrelli le cuciture dei pantaloni, percorrono la cintura, risalgono la camicia lasciando sul loro cammino bottoni aperti e brividi di pelle tesa.

    E’ un esile folletto dai capelli ricci e corvini, occhi leggermente a mandorla e bocca regolare. Sensualità filiforme, ingenua e spontanea, per la quale ho momentaneamente perso la testa.

    La mia testa ora è sul collo. Il mio cervello sul comodino.

    -Domani devo andare a Milano-

    -Milano? –

    -Abbiamo la committenza di un congresso e va pianificato subito-

    -Uffi..ma mi avevi promesso che andav…

    -Domani vado a Milano. Stop. -

    -Mamma mia che nervosismo…non è che sta bussando qualche gallinella a questa porta- dice con voce da bimba sfiorandomi sul petto.- Non hai messo il cartellino occupato..?-

    Comincia a fare la gattina. Tutte le donne sanno diventare feline, ma ad alcune crescono anche le vibrisse e gli artigli. Silvia era una di queste.

    Facemmo sesso tutta la notte.

    Non so come ci riuscii. L’ansia mi attanagliava. Ma era il miglior modo per non pensare, per scappare dalle mie sensazioni, per non parlare e confidarmi, per non farle sapere niente, per non preoccuparla. Proprio per questo cominciavo a pensare di amarla.

    Il suono acido della sveglia spegne le mie misere ore di sonno.

    Allungo il braccio e spengo l’allarme con le palpebre e le labbra incollate.

    Sono in coma. Ho un sonno bastardo. L’ansia mi scuote il cervello come una scossa, come una caduta nel vuoto. Apro gli occhi e son dentro ieri. Ma devo affrontare oggi.

    Silvia dorme. Meglio così.

    Il mio tipico malumore post-risveglio tocca livelli mai raggiunti. Una sua mano tenta di fermare inutilmente il mio scatto verso le pantofole. Attraverso l’andito con il telo in mano.

    Accendo la radio nel bagno.

    … and all the children are insane…

    Ancora i Doors. Ancora The end .

    Come una colonna sonora. Ancora Jim Morrison si sveglia con me ed accompagna le gocce d’acqua che scrosciano sul mio corpo, sul mio cervello, sui miei cattivi pensieri. Ma non li lavano via.

    Costruisco un’ipotetica valigia da viaggio di lavoro. Annodo la cravatta. Annodo le mie parole in gola. Annodo un bacio alla donna che stanotte, durante i miei sogni agitati, forse è entrata nel mio mondo, ma che ora al mattino non può ricordare nulla.

    Sono davanti a un cappuccino fumante nel solito bar sotto casa.

    -Una mezza naturale, grazie.-

    -L’hai presa grossa ieri notte?-bofonchia Niccolò il barista che da anni fa iniziare bene ogni mia giornata.

    Sorrido. Pago e mi dileguo tra avvocati, commesse, muratori e studenti, che affollano il banco del bar, in attesa della loro colazione.

    Prendo un taxi.

    -All’aeroporto grazie-

    Io non ho paura. I vigliacchi non hanno paura. Fuggono prima di averla. Io sto andando a farmi venire paura.

    Da tanto non beccavo un’hostess così bella. Una stangona bionda con due perle di smeraldo al posto degli occhi. Mi sorride. Lo fa con tutti è la prassi, ma il mio umore ne beneficia ugualmente.

    Sguaino i giornali di gossip accuratamente nascosti dentro il Corriere della sera. Un volo in compagnia delle tette al vento dell’ultima velina è quello che ci vuole per arrivare in Sardegna.

    Mancano trenta minuti all’atterraggio, mentre l’hostess mi serve un bicchiere d’acqua con la stessa accortezza che ci vorrebbe per un flute di Dom Perignon. Ha le mani ossute e unghie ben curate.

    Riesco ad assopirmi nonostante l’alito fetido dell’anziano conterraneo, che lotta tutto il viaggio con il mio gomito, per il possesso del bracciolo della poltrona. La lotta estenuante finirà in pareggio.

    -Benvenuti a Cagliari- Air-Sardinia vi ringrazia e si augura di ospitarvi a bordo…

    Vaffanculo, siete gli unici che fate questa rotta e mi ringraziate pure di avervi scelto.

    Scendo la scaletta e sniffo a pieni polmoni l’aria salata dell’isola.

    Un sole pallido ma caldo, e la parlata strascicata mi trascinano nella mia terra e nel motivo del mio ritorno.

    Fa caldo. Sono le 10 del mattino di un martedì di metà aprile, e fa già un caldo boia.

    C’è un discreto via vai di gente all’aeroporto di Cagliari. Molte giacche e cravatte, qualche longuette e tacchi. E poi loro, gli studenti pezzenti.

    Mi soffermo a guardarne uno che fa la fila per un panino. Ha tre valigie più grandi di lui,la barba lunga, i jeans sfatti. Inevitabilmente ricordo i miei ritorni, i miei pellegrinaggi universitari, i miei sogni.

    -Ferrari! Alessandro Ferrari!-

    Chi caz….

    Una voce non del tutto sconosciuta mi fa girare di scatto, e fa scoppiare come una bolla i miei pensieri.

    La dura legge degli aeroporti e delle stazioni. Qualcuno che non vuoi incontrare, alla fine lo incontri sempre.

    Claudio Chiarelli, L’avvocato Claudio Chiarelli, vecchia conoscenza universitaria, mi guarda con occhi di finto stupore e malcelata superiorità.

    Ascolto, annuendo a intervalli regolari, il pavoneggiante racconto degli ultimi dieci anni della sua vita, e mentre lo guardo impettito nel suo abito antracite, e impiccato in un nodo della cravatta più grande del suo cervello, noto che ha la braghetta aperta come quando lo conobbi all’appello di diritto privato, quindici anni or

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