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Non è quel che sembra
Non è quel che sembra
Non è quel che sembra
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Non è quel che sembra

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About this ebook

Bianca, una bellezza mozzafiato. Ma il suo splendore esteriore non è che un pallido riflesso di quello interiore. Fino a dove può arrivare l’amore per una sorella, per la propria famiglia, devastata da uno scherzo del destino? Da un giorno all’altro, da un minuto all’altro, l’esistenza di quattro persone è stravolta. Niente sarà più come prima. E il destino non sembra ancora sazio. Bianca nasconde un terribile segreto che verrà svelato, nel commovente finale, solo alla sorella Lucia, alla quale strapperà la promessa di non rivelarlo mai a nessuno. Misteri, gioielli, travestimenti, intrecci degni dei migliori thriller, ma anche tanto sentimento per questo appassionante romanzo di Maria Grazia Curto, scritto con l’abilità di chi sa catturare il lettore già dalle prime parole. 

Mariagrazia Curto, laureata in giurisprudenza, si è dedicata all’insegnamento ed è impegnata in diverse attività socio-culturali.Vive da sempre a Caltanissetta, felicemente sposata e madre di due figli.
LanguageItaliano
Release dateAug 25, 2018
ISBN9788893847186
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    Non è quel che sembra - Mariagrazia Curto

    Mariagrazia Curto

    Non è quel che sembra

    EDIFICARE

    UNIVERSI

    © 2018 Europa Edizioni s.r.l. | Roma

    www.europaedizioni.it

    I edizione elettronica agosto 2018

    ISBN 978-88-9384-718-6

    Distributore per le librerie Messaggerie Libri

    a Cristiana e Giulia

    Milano, 30 Aprile 2013

    Erano le tre del mattino quando Bianca Manguitti si avvicinò cautamente alla porta della camera da letto dei suoi genitori. Ascoltò in attesa di qualche rumore. Nonostante l’ora tarda, era possibile che il padre fosse ancora sveglio. Era così ormai da tanto tempo e precisamente da quando tutto era andato a rotoli. Ma quella notte tutto taceva e con grande sollievo si ritirò nella sua camera. Era importante che nessuno la sentisse, nemmeno la sorella Lucia che dormiva nella stanza accanto, per questo si mosse con estrema attenzione. Raccolse da sotto il letto il borsone che aveva nascosto già dal mattino, controllò che ci fosse tutto e lo richiuse con un gesto nervoso e deciso. Agiva con rapidità, i suoi movimenti veloci e precisi non tradivano la tensione che traspariva chiaramente dal suo viso. Se non avesse pianificato tutto in ogni dettaglio, forse ora l’emozione le avrebbe fatto commettere qualche sbaglio. Era arrivato il momento e aveva fatto la sua scelta, ma si concesse lo stesso un ultimo sguardo che le consentisse di abbracciare tutto quello che stava lasciando.

    Indugiò ancora un istante per prendere una fotografia attaccata alla parete, poi, silenziosamente, si avvicinò alla porta di casa richiudendola dolcemente alle spalle. Uscì nel buio della notte e sparì per sempre.

    Milano, 1 Maggio 2013

    Casa Manguitti

    UNO

    Lucia era sempre stata mattiniera, anche quando le agiate condizioni della famiglia le permettevano di poltrire più a lungo in attesa che la cameriera le portasse la colazione a letto. Le capitava continuamente di pensare a come era prima e, anche se con nostalgia, il ricordo dei tempi felici l’aiutava a sopportare un presente così difficile. Altri si sarebbero lasciati avvelenare dai ricordi, a lei invece servivano a lenire quella nuova quotidianità così diversa da affrontare.

    Si alzò e le bastarono pochi passi per entrare in una cucina che, pur di modeste dimensioni, era vissuta da tutta la famiglia anche come stanza da lavoro. Vi trovò già la madre intenta a tradurre le ultime pagine di un documento per conto di un importante ufficio legale al quale forniva saltuaria collaborazione, aveva già fatto il caffè, perciò le si sedette accanto baciandola dolcemente.

    Osservò il suo capo chino sui fogli e notò che qualche striscia di grigio si mischiava al biondo dei capelli; anche il viso appariva tirato e stanco e molte piccole rughe attorno agli occhi contribuivano a pensare che stava lentamente invecchiando. Sentì un nodo in gola e avrebbe voluto piangere.

    Ciao– le disse– perché già al lavoro?.

    Anna guardò sorpresa la figlia: aveva forse dimenticato che ogni lavoro finito era un guadagno necessario? Non dette peso a quelle parole e si limitò a sorriderle in silenzio. Del resto perché sorprendersi? La domanda di Lucia era il riflesso istintivo di una mentalità cresciuta e formatasi in un ambiente familiare e culturale in cui il lavoro era generalmente affidato ad altri che erano costretti a farlo.

    –Scusa, mamma, a volte mi dimentico–

    Anna De Blasi era una donna ancora bellissima, alta e sottile, dotata di una classe innata che aveva perfezionato presso i collegi più prestigiosi che aveva frequentato.

    Figlia di un importatore di pietre preziose, alla morte della madre, aveva accompagnato il padre in tutti i suoi spostamenti in oriente dove, avendovi soggiornato a lungo, aveva imparato senza difficoltà il giapponese e il cinese.

    Adesso, quello che aveva acquisito per puro piacere, le tornava estremamente utile.

    –Papà ha riposato? – chiese la figlia.

    Anna la guardò negli occhi e fece di sì con la testa. Luigi Manguitti era l’uomo di cui si era perdutamente innamorata e che aveva sposato con grande entusiasmo. Suo padre era stato felice della scelta e aveva considerato quel matrimonio il coronamento dei suoi sogni per quell’unica figlia che adorava e per la certezza che Luigi, così tanto ricco di suo, non la sposava per il suo patrimonio.

    Tutto nella loro vita sembrava perfetto. Erano nate due bellissime bambine che adoravano e per merito di Bianca, la loro seconda figlia, tanto forte e determinata, non rimpiangevano la nascita di un maschio.

    Le bambine non potevano essere più dissimili fra loro, la più grande bionda ed esile come la madre era di carattere dolce e remissivo, la piccola, scura e forte come il padre, era di carattere ribelle e molto sicura di sé.

    Luigi Manguitti, dottore in fisica nucleare, era titolare di una florida industria chimica che produceva moltissimi prodotti destinati alla commercializzazione e un settore dedicato alla sperimentazione a cui teneva molto e di cui andava fiero. Era stimato per la serietà professionale e la lungimiranza con cui guidava gli affari.

    Particolarmente baciato dalla fortuna trasformava qualunque impresa, anche la più rischiosa, in un clamoroso successo e come conseguenza aveva molti ammiratori e pure detrattori. Se poi a tutto ciò si aggiungeva una splendida donna come moglie e una vita familiare felice, veniva facile pensare che gli dei gli avessero regalato tutti i doni esistenti nel creato.

    Ma un giorno, nonostante periodici controlli da parte di ditte specializzate su tutto l’impianto, un apparecchio non funzionò perfettamente durante un delicatissimo processo di sintetizzazione molecolare, facendo esplodere quasi per intero la fabbrica, provocando venti morti tra tecnici e operai. Fu un incidente di proporzioni inaudite per il quale venne incriminato per disastro ambientale ed omicidio colposo.

    Nessun principe del foro riuscì a salvarlo, dovette pagare cifre colossali in risarcimenti, impegnando tutti i suoi beni e pure quelli della moglie. Fece qualche mese di galera e poi tornò a casa senza un soldo e con la disperazione nel cuore per tutte quelle vittime di cui si sentiva responsabile.

    Intanto amici e ammiratori sparirono nel nulla.

    L’unica cosa rimastagli era un piccolissimo appartamento in un antico quartiere di Milano, miracolosamente salvato dal sequestro giudiziario, che aveva abitato la sua vecchia tata, Norina Mangano, e dove si trasferirono fingendo di esserle parenti.

    Fu difficilissimo ricominciare. Lucia, la figlia più grande, era al secondo anno di università e la piccola Bianca, diciassettenne, si era dedicata con più entusiasmo agli sport e ai divertimenti che non agli studi. Quanto alla moglie, poi, non aveva mai lavorato e le molte cose in cui eccelleva non le sarebbero certo servite a trovare alcuna occupazione.

    Per quanto riguardava se stesso sapeva che non avrebbe più potuto vantare, dopo il disastro, le sue capacità professionali.

    In quel periodo così amaro riuscirono solo a provare a se stessi quanto fossero uniti e forti nelle avversità.

    Svendettero pellicce, gioielli e ogni bene commerciabile che consentì loro di sopravvivere per un discreto periodo, fino a quando Luigi non trovò un lavoro di commesso presso un piccolo negozio di ferramenta e Lucia fu assunta come segretaria dal notaio di famiglia, Gabriele Gambelli, unico tra tanti amici latitanti a rimanere ancora legato alla famiglia Manguitti.

    Nulla era più come prima, ma cercavano con tutte le forze di dare un nuovo equilibrio alla loro vita.

    DUE

    Era già tardi e Lucia si chiese infastidita perché la sorella ancora non si fosse alzata.

    Entrò senza bussare e dicendo: – Svegliati, poltrona! – si diresse verso la finestra che dava luce alla piccola camera. Ma rimase senza parole nell’accorgersi che il letto era intatto e che di Bianca non c’era l’ombra. Si guardò intorno, tutto era in ordine e non mancava apparentemente nulla con la sola eccezione, tra le tante foto che tappezzavano una piccola parete e che riflettevano i fasti della vita passata, di quella che li ritraeva tutti e quattro abbracciati in barca a vela.

    Ma non si chiese nemmeno il perché. Maledisse mentalmente la sorella, ancora una volta non aveva dormito a casa e lei era stufa di coprirla con mamma e papà. Si chiese cosa si sarebbe dovuta inventare, questa volta, ma non le venne in mente niente, tranne la solita versione che forse aveva dormito in casa di un’amica.

    Presto non sarebbe più bastata come scusa, ma avrebbe provato lo stesso.

    Per fortuna quella mattina nessuno fece obiezione, si erano tutti abituati alle intemperanze che Bianca da un po’ di tempo manifestava e la giustificavano per la sua giovane età e perché ritenevano che stesse soffrendo più di tutti.

    Anche Lucia era stata sempre indulgente con lei, ma adesso cominciava a preoccuparsi per quel suo sguardo sempre cupo e pensieroso, per i frequenti sbalzi d’umore e per i troppi lunghi silenzi. Quella bellissima sorella dai lunghi capelli corvini, con un corpo atletico e perfetto, sembrava aver perso, tutto ad un tratto, la voglia e la gioia di vivere. Sapeva per certo che non erano i fatti contingenti ad averla trasformata perché, nel momento della tragedia, era stata la prima a reagire e ad infondere coraggio a tutti, perciò adesso intuiva che qualcosa di più terribile la tormentava e ciò la preoccupava e spaventava.

    Intanto si era fatto tardi, salutò velocemente la madre e corse in strada.

    Seduta sul bus che la portava al lavoro si concentrò intensamente su quello che poteva ora offrirle la nuova vita, voleva con tutte le forze trovare una speranza, ma sentiva solo un nodo alla gola e il respiro che le si fermava.

    Aveva dovuto rinunciare pure a Giulio, nonostante lui le avesse giurato che nulla sarebbe cambiato. E invece tutto era cambiato e le fu chiaro fin da subito perché lo sguardo che accompagnava le sue parole voleva dire tutt’altro.

    Di quel terribile periodo, quello che ricordava più chiaramente fu l’improvviso silenzio che circondò la sua famiglia: nessuno più telefonava, nessuno bussava alla porta e lentamente il mondo di cui credeva di far parte sparì per sempre.

    Guardò dal finestrino e si accorse che alla prossima fermata sarebbe dovuta scendere, perciò si fece coraggio. Anche quella mattina avrebbe dovuto sforzarsi di camminare il più velocemente possibile, sperando di non incontrare qualcuno che la conoscesse, davanti alle bellissime ed eleganti vetrine del lussuoso quartiere milanese dove si trovava lo studio notarile presso il quale lavorava e che un tempo frequentava solo per lo shopping e per prendere l’aperitivo con le amiche. Gli occhi le si velarono e si disse che così non poteva certo continuare.

    TRE

    La giornata trascorse velocemente e Lucia pensò che solo il lavorare intensamente l’avrebbe salvata dai suoi pensieri. Erano le diciannove quando entrò in casa e si sforzò di sorridere malgrado non lo sentisse. Abbracciò i genitori e raccontò tutto d’un fiato quello che aveva fatto durante la giornata, poi chiese dove fosse Bianca.

    – Non è tornata e non risponde al cellulare – rispose la madre e solo allora notò le loro facce preoccupate.

    – Vado a cercarla – disse – e state tranquilli, ci sarà sicuramente una spiegazione.

    Ma le sue parole suonarono false e tradivano l’ansia che l’aveva assalita.

    Lungo la strada pensò velocemente ai posti dove poteva trovarla e, per primo, si recò in una caffetteria dove si riuniva la sera con gli amici. Vide Riccardo ed Elena e si precipitò da loro per avere informazioni, ma nessuno dei due disse di averla vista e poi, guardandosi negli occhi, aggiunsero che in effetti era da più giorni che non si faceva sentire e vedere nei soliti luoghi d’incontro. Lucia voleva chiedere altre informazioni, ma un istintivo riserbo la frenò. Passò davanti alla palestra dove, di solito, la sera Bianca si allenava, ma tutto era ermeticamente chiuso. Adesso non sapeva veramente dove andare e si rammaricò di non aver prestato più attenzione ai comportamenti della sorella e di non avere approfondito affrontandola.

    Si ricordò all’improvviso di un ragazzo che le ronzava intorno, uno abbastanza carino, ma non ricordava il suo nome.

    Intanto si era fatto tardi e capì che era costretta a rientrare, anche se non sapeva cosa avrebbe detto ai suoi.

    Aprì la porta e si trovò di fronte il padre che la fissava con lo sguardo smarrito, quasi a temere una conferma a ciò che stava pensando.

    – È andata via, vero? – chiese– mancano alcuni vestiti dal suo armadio. Temevo che prima o poi sarebbe successo, non si può rinchiudere un cavallo da corsa.

    La madre accennò qualche parola, ma si intuiva ch’era della stessa opinione.

    Cenarono nel più totale silenzio, ognuno chiuso nei propri pensieri carichi di domande e privi di risposte. Quella sera, quando a letto chiusero gli occhi fingendo di dormire, ognuno liberò le proprie angosce chiedendosi quante colpe attribuirsi e quanti sbagli avessero fatto.

    Luigi sapeva di essere il più colpevole, la figlia lo ammirava incondizionatamente e avrebbe voluto vederlo lottare, battersi e non arrendersi in quel modo, ma più di tutto, per la prima volta, si chiese se la forza e la sicurezza che un tempo aveva spavaldamente dimostrate non fossero solo frutto di circostanze estremamente favorevoli, sparite le quali, era emersa la sua vera debole natura.

    Anna pensò a quanto una vita facile e dorata l’avesse resa fragile e incapace di fronteggiare eventi così disastrosi e capì di non essere stata un punto di riferimento per le figlie.

    Lucia si interrogò e scoprì che si era troppo commiserata nel ricordo di quello che aveva perduto; chiusa nei suoi pensieri si era allontanata inesorabilmente dalla sorella.

    New York, Maggio 2013

    Hethel Hathawey

    La mattina del 7 Maggio a New York, all’angolo tra la Fifth Avenue e la West 34 TH al numero 42 della quinta strada, una bellissima donna dai capelli rossi scese da un taxi e, con passo deciso, si avviò verso l’edificio sede del prestigioso ufficio legale Tarner, Travis & Coleman.

    Indossava un tailleur Armani color verde bottiglia, tacchi vertiginosi e una borsa a tracolla Gucci che esaltavano il suo fisico perfetto. Grandi occhiali scuri nascondevano parte del viso, ma certo non impedivano di immaginare la perfezione dei suoi lineamenti.

    Si fermò per accertarsi del piano e prese l’ascensore. In pochi minuti raggiunse il trentasettesimo e, quando le porte si aprirono, si trovò direttamente all’interno dello studio legale accolta da una graziosa segretaria alla quale disse il suo nome.

    La donna sorridendole l’accompagnò in silenzio. Gli spazi erano ampi ed arredati con grande eleganza da preziosi mobili, quadri di notevole importanza adornavano le pareti e il rumore dei passi era delicatamente attutito da soffici tappeti.

    – La signora Hathawey – annunciò la segretaria aprendo delicatamente la porta.

    Hethel non sentì alcuna risposta, ma varcando la soglia vide venirsi incontro un distinto signore di mezz’età, un po’ stempiato, che la guardava con grande interesse da dietro un occhiale dalla sottile montatura di metallo che lasciava intravedere due occhi piccoli e penetranti.

    – Bob Trevor – disse, presentandosi, e aggiunse – la stavo aspettando con ansia, lei sa bene che il tempo ci è nemico e quello che ci prepariamo a fare deve essere eseguito in modo rapido e preciso.

    Con molta calma Hethel si sedette, si tolse i grandi occhiali scuri e offrì al suo interlocutore la magnificenza dei suoi occhi color smeraldo. Trevor la guardò incantato, era bellissima da togliere il fiato e pensò che, se non avesse saputo chi era e cosa si preparava a fare, avrebbe potuto perdere facilmente la testa innamorandosene perdutamente. Poi sorrise tra sé pensando a Carol, sua moglie, e al pericolo che avrebbe potuto correre.

    – Avete preparato il contratto – disse Ethel – e aggiunto le due condizioni per me imprescindibili? –

    – Abbiamo avuto, in realtà, molte perplessità data l’eccezionalità del caso e ci siamo chiesti se questa poteva compromettere il risultato dell’operazione, ma data la sua intransigenza, abbiamo sottoposto le sua incredibile richiesta a chi di dovere. Devo dire che tutti l’abbiamo trovata strana e di difficile comprensione, poi la consapevolezza che solo le sue peculiarità consentono di poter realizzare un così delicato progetto, ci ha convinto ad accettare. Vede, è sempre il tempo la causa prima di tutte le nostre preoccupazioni–

    – E il danaro sarà trasferito nei tempi previsti e nelle modalità da me indicate? – fece di rimando Hethel.

    – La correttezza e la notorietà del nostro studio non verrebbero mai meno all’impegno preso. Faremo tutto come lei ha predisposto –

    Poi, chinandosi ad aprire un cassetto della scrivania, prese un fascicolo che allungò in sua direzione, aggiungendo: – Questo è l’elenco dei nomi e il loro indirizzo. Per due di essi, come d’accordo, le abbiamo predisposto false credenziali che le consentiranno di avvicinarli con facilità, per gli altri dovrà trovare da sola il modo –

    A quel punto Bob Trevor le porse il contratto ed Ethel cominciò a leggerlo attentamente. Il suo viso era visibilmente teso poi, dopo un tempo che all’avvocato sembrò interminabile, prese la penna e firmò.

    Si alzò lentamente e tutta la sua splendente figura sembrò torreggiare nella stanza, porse la mano a Trevor che la guardava con evidente ammirazione e disse:

    – Addio! Lei sa che non ci vedremo mai più–

    L’altro non aggiunse nulla, addio era la sola parola giusta.

    All’uscita del palazzo le venne incontro un uomo, vestito come un lord, che l’accompagnò ad una limousine che sostava lì davanti, dicendole che aveva avuto ordine di condurla dove voleva.

    Hethel si adagiò sul sedile e gli disse che voleva fare un giro per New York senza una meta precisa, pensando che questo era l’unico modo per salutare quella città che tanto amava e che conosceva benissimo.

    Alle tre del pomeriggio si fece accompagnare in albergo, non aveva mangiato nulla ma non sentiva alcun appetito, salì in camera e si gettò sul letto. Chiuse gli occhi cercando di

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