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Otto piccole etnie: Storia, cultura e prospettive di comunità umane a rischio d'estinzione
Otto piccole etnie: Storia, cultura e prospettive di comunità umane a rischio d'estinzione
Otto piccole etnie: Storia, cultura e prospettive di comunità umane a rischio d'estinzione
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Otto piccole etnie: Storia, cultura e prospettive di comunità umane a rischio d'estinzione

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About this ebook

I mapuche: nell’estremo sud del continente americano, un antichissimo popolo amerindo lotta per sopravvivere al furto delle proprie terre da parte di Cile e Argentina, e alle rapine di multinazionali come la Benetton.
Gli amis: sono i circa 150.000 “aborigeni” di Taiwan, un’isola che molti credono, erroneamente, una semplice propaggine del mondo cinese.
I calmucchi: appartengono alla Federazione Russa e – caso unico nel continente europeo – sono di origine mongolica e professano il buddismo.
I sentinelesi: piccola e misteriosissima comunità nell’arcipelago delle Andamane, gli abitanti di North Sentinel sono rimasti allo stadio neolitico e difendono con la violenza qualsiasi tentativo di contatto.
I sappadini: sono gli abitanti della cittadina di Sappada/Plodn; stanziati da secoli nelle Dolomiti tra Veneto, Friuli e Austria, parlano un dialetto austriaco-bavarese.
I lakota: ramo dei sioux, sono il fiero popolo che a Standing Rock ha difeso strenuamente il proprio territorio ancestrale dalla costruzione di un oleodotto.
I moriori: nelle fredde nebbie delle Isole Chatam, questa pacifica etnia polinesiana si è virtualmente estinta nel XIX secolo a causa della feroce invasione maori, anche se qualche lontano discendente sta tentando di riportarne in vita la tradizione.
I mixtechi: di civiltà non inferiore a maya e aztechi, i discendenti di questo popolo precolombiano devono la sopravvivenza della loro tradizione culturale ai preziosi codici geroglifici che sono stati tramandati fino ai giorni nostri.
Stefano Bossi racconta la storia, la lingua, le tradizioni e le prospettive future di queste otto affascinanti comunità: lontanissime dal punto di vista etno-antropologico, ma proprio per questo esempio e celebrazione di quella “biodiversità umana” che il mondialismo sta tentando di distruggere.
LanguageItaliano
PublisherRivista Etnie
Release dateSep 27, 2018
ISBN9788829516001
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    Otto piccole etnie - Stefano Bossi

    Stefano Bossi

    OTTO

    PICCOLE ETNIE

    Storia, cultura e prospettive

    di comunità umane a rischio d’estinzione

    Rivista Etnie

    Il libro

    I mapuche: nell’estremo sud del continente americano, un antichissimo popolo amerindo lotta per sopravvivere al furto delle proprie terre da parte di Cile e Argentina, e alle rapine di multinazionali come la Benetton.

    Gli amis: sono i circa 150.000 aborigeni di Taiwan, un’isola che molti credono, erroneamente, una semplice propaggine del mondo cinese.

    I calmucchi: appartengono alla Federazione Russa e – caso unico nel continente europeo – sono di origine mongolica e professano il buddismo.

    I sentinelesi: piccola e misteriosissima comunità nell’arcipelago delle Andamane, gli abitanti di North Sentinel sono rimasti allo stadio neolitico e difendono con la violenza qualsiasi tentativo di contatto.

    I sappadini: sono gli abitanti della cittadina di Sappada/Plodn; stanziati da secoli nelle Dolomiti tra Veneto, Friuli e Austria, parlano un dialetto austriaco-bavarese.

    I lakota: ramo dei sioux, sono il fiero popolo che a Standing Rock ha difeso strenuamente il proprio territorio ancestrale dalla costruzione di un oleodotto.

    I moriori: nelle fredde nebbie delle Isole Chatam, questa pacifica etnia polinesiana si è virtualmente estinta nel XIX secolo a causa della feroce invasione maori, anche se qualche lontano discendente sta tentando di riportarne in vita la tradizione.

    I mixtechi: di civiltà non inferiore a maya e aztechi, i discendenti di questo popolo precolombiano devono la sopravvivenza della loro tradizione culturale ai preziosi codici geroglifici che sono stati tramandati fino ai giorni nostri.

    Stefano Bossi racconta la storia, la lingua, le tradizioni e le prospettive future di queste otto affascinanti comunità: lontanissime dal punto di vista etno-antropologico, ma proprio per questo esempio e celebrazione di quella biodiversità umana che il mondialismo sta tentando di distruggere.

    Indice

    Copertina

    Frontespizio

    Il libro

    1 - I mapuche, popolo della terra in lotta per la sopravvivenza

    Dove si trovano oggi

    Denominazioni e possibili origini

    Epoca precolombiana: l’influenza incaica

    I coloni spagnoli e la Guerra di Arauco

    Periodo repubblicano: occupazione dell’Araucania e incorporazione statale

    Suddivisione territoriale

    Organizzazione sociale, politica ed economica

    Cosmologia e credenze

    Prodotti tessili e argenteria

    Il mapudungun

    L’identità mapuche oggi: tra legame con la tradizione e risemantizzazione

    Il conflitto moderno

    I mapuche argentini e il caso Benetton

    Quale futuro per questa etnia?

    NOTE

    2 - La minoranza amis, gli aborigeni di Taiwan

    La Cina nazionalista

    Il rapporto con i coloni stranieri

    Denominazioni e localizzazione degli amis

    Taiwan, terra d’origine delle lingue austronesiane

    Società matrilineare e struttura gerarchica per anzianità

    L’universo culturale

    La Festa del Raccolto

    Gli aborigeni nella società attuale

    NOTE

    3 - Una enclave buddista in Europa: il popolo calmucco

    La Repubblica di Calmucchia

    Chi sono i calmucchi?

    Nell’URSS, deportazione e ritorno

    Lingua ed etnonimici

    Nomadismo, yurte e lamaismo: pilastri della società

    La Repubblica di Calmucchia: un rilancio problematico

    NOTE

    4 - L’eccezionale caso antropologico dei sentinelesi

    Un lembo di preistoria

    North Sentinel e l’arcipelago delle Andamane

    Contatti sporadici, isolazionismo secolare

    Chi sono davvero i sentinelesi?

    Minacce attuali: virus dei pescatori e safari umani

    NOTE

    5 - Sappada, isola di lingua germanica tra Veneto e Friuli

    Tra le Dolomiti

    Dalle origini misteriose agli impianti di risalita

    Un’isola linguistica germanica

    Borgate, antichi mestieri e gastronomia

    Arte, architettura e religiosità

    Tradizioni e riti folclorici: il carnevale e il pellegrinaggio mariano

    Musei e Associazione Plodar

    Dal Veneto al Friuli

    Orgogliosamente sappadini

    NOTE

    6 - Il popolo lakota e le proteste di Standing Rock

    Contro il Serpente Nero

    L’origine del gruppo

    La cultura lakota

    Lo scontro con i coloni

    Attivismo e rivendicazioni

    Il caso della Repubblica di Lakota

    Un esempio per tutti

    NOTE

    7 - L’etnocidio dei moriori, un misfatto interno al mondo polinesiano

    Il luogo dello sterminio

    Le Isole Chatham, un ambiente difficile

    Chi sono i moriori?

    L’arrivo nell’arcipelago

    Adattamento

    Società e cultura moriori

    Incontro con gli europei

    La conquista maori e il genocidio

    Estinzione e rinascimento

    Uno scontro dall’esito inevitabile?

    NOTE

    8 - I mixtechi, un popolo precolombiano raccontato dai geroglifici

    Nello stato messicano di Oaxaca

    L’epoca precolombiana

    Dall’èra coloniale all’epoca contemporanea

    La lingua mixteca

    Scrittura e codici

    Architetti e orafi: cosa è rimasto dell’arte mixteca

    Una migrazione transnazionale

    NOTE

    L’autore

    Copyright

    1

    I mapuche, popolo della terra in lotta per la sopravvivenza

    Dove si trovano oggi

    Nelle estreme propaggini del continente sudamericano, in pieno emisfero australe, in un’ampia fetta di spazio tra il Cile centro-meridionale e l’Argentina meridionale, è posizionato il territorio originario di un antico popolo amerindo, i mapuche. Il nome significa popolo della terra nella loro lingua madre, il mapudungun, dalla combinazione della parole che, popolo, e mapu, terra. E già il nome suggerisce quanto questo gruppo umano sia fortemente legato alle proprie radici e ai propri luoghi ancestrali, tanto da rendersi protagonista nei secoli di una strenua difesa della regione contro l’impero inca prima e i conquistadores spagnoli dopo, per soccombere solamente nel corso del XIX secolo al neonato governo cileno, con cui fu siglato un trattato che segnava l’annessione del regno mapuche al nuovo Stato.

    Questo assoggettamento comportò il dominio di fatto del Cile sui mapuche e l’inizio della loro inevitabile decimazione, portandoli da mezzo milione a 25.000 nel giro di una sola generazione. Attualmente i discendenti dei sopravvissuti vivono sempre tra Cile e Argentina principalmente in Araucania e, in misura minore, in Patagonia, mentre una buona parte di loro ha preferito migrare alla volta dell’area metropolitana di Santiago del Cile in cerca di migliori opportunità lavorative. Secondo le più recenti stime i mapuche dovrebbero attestarsi sul milione e 700mila individui circa, di cui 1 milione e 500mila in Cile e 205mila nella parte argentina. Essi rappresentano inoltre circa l’80% degli indigeni del Cile, il 9% della popolazione complessiva del Paese.

    I mapuche, famosi anche per le lavorazioni in argento e i manufatti tessili, nell’area di loro influenza dal fiume Aconcagua alla pampa argentina, hanno da sempre costituito un’etnia variegata composta da gruppi differenti, che condividevano però la medesima struttura e organizzazione sociale, religiosa, economica, così come un’eredità linguistica comune; in caso di guerra tendevano a unirsi in entità più estese, dimostrando notevole compattezza e uno spirito combattivo non indifferente.

    Queste caratteristiche sono perdurate fino ai giorni nostri, tanto che negli ultimi decenni i leader di molte comunità mapuche sono coinvolti nel cosiddetto conflitto mapuche per le legittime rivendicazioni dei loro diritti sulle terre ancestrali e sul riconoscimento dei soprusi e crimini commessi dai governi centrali nei loro confronti. L’obiettivo finale di questi gruppi sarebbe il recupero della piena sovranità sui territori originari dell’etnia attraverso una battaglia pacifica e legale contro i governi cileno e argentino, dai quali vorrebbero essere quantomeno autonomi se non indipendenti.

    Denominazioni e possibili origini

    Nonostante il termine mapuche abbia un forte significato evocativo e rivesta notevole importanza per gli stessi indigeni, non è l’unica denominazione utilizzata per definirli: i coloni spagnoli li hanno sempre chiamati araucanos (araucani), dal nome della regione cuore del loro territorio; termine che ha però un’accezione negativa, e soprattutto oggi viene considerato peggiorativo se non dispregiativo. Incerta è l’origine della parola che potrebbe derivare, secondo la versione più attendibile, dal nome geografico mapuche ragko (arauco) significante acqua argillosa, oppure dalla parola quechua awqa (ribelle, nemico).

    Incerta è anche la genesi del popolo mapuche: ritrovamenti archeologici hanno suggerito che questa cultura fosse già presente in Cile tra il 600 e il 500 a.C. Dal punto di vista genetico è provato che differiscono dalle vicine popolazioni autoctone della Patagonia: il dato è stato quindi interpretato come il prodotto di una diversa origine territoriale oppure di un lungo periodo di separazione tra i due gruppi. Anche analizzando la nascita del mapudungun, la lingua mapuche, non è stato possibile stabilire con certezza l’esatta provenienza, anzi si è ipotizzata una parentela con famiglie linguistiche totalmente differenti, senza alcuna prova definitiva che propenda per una precisa ipotesi.

    Una teoria sostenuta da Ricardo E. Latcham e ampliata successivamente da Francisco Antonio Encina, supponeva una migrazione dei mapuche dalla pampa sul lato andino orientale verso l’attuale Cile, dove si sarebbero imbattuti presso il fiume Cautìn nella civiltà chincha-diaguita, poi incorporata. A sostegno vi erano prove linguistiche rigettate in seguito dai moderni studiosi. Un’altra ipotesi, elaborata da Tomas Guevara, avanzava l’idea che i primi mapuche si fossero stanziati lungo la costa a causa dell’abbondante presenza di risorse marine e poi si sarebbero spostati all’interno risalendo il corso di ampi fiumi. Secondo Guevara il popolo della terra discenderebbe dai changos del nord, una popolazione costiera poco conosciuta migrata verso sud. Anche in questo vi sarebbero evidenze linguistiche a supporto, con somiglianze tra il mapudungun e un idioma del XIX secolo definito proprio changos.

    Nel 2007 si è diffusa un’ulteriore singolare teoria su un possibile contatto tra i mapuche e popolazioni polinesiane del Pacifico occidentale: presso El Arenal nella penisola di Arauco, sito abitato da mapuche, sono state rinvenute ossa di pollo datate al radiocarbonio tra il 1304 e il 1424, ovvero prima dell’arrivo degli spagnoli e della loro introduzione di questi animali. A un primo esame, il dna sembrava lo stesso di quello di una specie di polli viventi nelle attuali Samoa e Tonga, fatto poi seccamente smentito da successivi e più approfonditi esami. Nonostante ciò, l’ipotesi di un collegamento tra mapuche e gruppi polinesiani è stata riproposta da altri scienziati in seguito al ritrovamento di teschi umani dai tratti polinesiani sull’Isola Mocha, situata a poca distanza dalla costa cilena nella provincia di Arauco e abitata anche da mapuche. Tuttavia, l’impegno degli studiosi non ha ancora prodotto prove reali di un contatto mapuche-polinesiano prima dell’arrivo dei coloni.

    L’esatta origine geografica di queste genti risulta dunque nebulosa, anche se è assolutamente da circoscrivere all’interno della grande area comprendente l’insieme dei territori ancestrali mapuche, tra il Cile centro-meridionale e l’Argentina sud-occidentale, tanto da poterli ritenere a tutti gli effetti nativi del Sudamerica.

    Epoca precolombiana: l’influenza incaica

    In età precoloniale gli inca, con il loro vasto e organizzato impero, furono gli indiscussi dominatori dell’area costiera pacifica del continente sudamericano: e qui le prove si trovano – e certe – del diretto contatto e scontro tra i mapuche e la nazione inca. È assodato che le truppe dell’impero andino raggiunsero il fiume Maule nell’attuale Cile centro-meridionale, dove si fronteggiarono con i mapuche in una serie di battaglie tra lo stesso Maule e il fiume Maipo più a nord. Da molti storici infatti il Maule viene ritenuto l’estremo confine meridionale dell’impero inca, mentre è assai probabile che essi si siano spinti ancora più a sud, fino al fiume Bio Bio, nel cuore del territorio mapuche.

    Il principale motivo che spingeva gli inca verso sud era la ricca presenza di miniere d’oro nella zona mapuche, causa evidente di contesa che spiega i diversi scontri tra le due popolazioni. Tuttavia è anche accertato che gli inca non riuscirono mai ad attraversare il fiume Bio Bio né tanto meno, cosa ancora più importante, ad assoggettare e sottomettere i mapuche, i quali invece opposero una tenace resistenza dimostrandosi validi guerrieri. La presenza incaica nell’area risulta comunque forte ed è testimoniata anche da alcune pitture murali e dalla diffusione linguistica del quechua, ancor oggi parlato in queste terre e vivo grazie anche a numerosi toponimi. I prolungati contatti con gli invasori inca segnarono per i mapuche il primo incontro con una popolazione dotata di un’organizzazione a livello statale, instaurando in loro la consapevolezza collettiva della differenza tra noi e gli altri. Fino a quel momento, infatti, essi erano organizzati in singoli gruppi o tribù isolate con limitati e sporadici contatti reciproci, senza la minima organizzazione socio-politica statale, privi dell’idea stessa di appartenenza comunitaria, di essere un unico popolo.

    Queste guerre, con il rischio di perdere per sempre i territori in cui vivevano da secoli, portò i mapuche ad allearsi in piccole unità claniche per respingere l’avanzata e gli assalti dello straniero, nemico comune. Il successo di questa azione difensiva e l’esempio di società fornito dagli inca contribuirono al formarsi di una prima identità mapuche di gruppo, avviando un percorso di sviluppo associativo, peraltro ancora lontano da un’organizzazione statale vera e propria.

    I coloni spagnoli e la Guerra di Arauco

    I conquistadores spagnoli, giunti in Sudamerica all’inizio del XVI secolo, iniziarono a interessarsi ai territori cileni intorno al 1536 quando Diego de Almagro condusse una vasta spedizione di oltre cinquecento uomini raggiungendo la Valle dell’Aconcagua. Successivamente inviò Gomez de Alvarado verso sud dove, presso il fiume Itata, avvenne il primo scontro con i mapuche, la battaglia di Reynoguelen. L’inaspettata e tenace resistenza locale costrinse il condottiero a fare ritorno al nord senza aver ottenuto nulla di quanto sperato: né terre né oro.

    In quell’epoca, all’arrivo dei primi coloni europei, la quasi totalità della popolazione indigena era concentrata nell’area dal fiume Itata all’Arcipelago di Chiloè, heartland del territorio mapuche, e contava dalle 705.000 alle 900.000 persone. Successivamente un altro conquistador, Pedro de Valdivia, sopraggiunse in Cile dal Cuzco nel 1541 e lo stesso anno fondò la città di Santiago. L’espansione spagnola in Cile è infatti da leggersi come un prolungamento dell’azione che aveva portato all’occupazione e alla conquista del Perù.

    Alcune tribù mapuche settentrionali, conosciute come promauces e picunches, provarono a fermare fin da subito l’avanzata europea, ma vennero inizialmente sconfitte dai nemici meglio addestrati ed equipaggiati. Da questo momento in poi si verificheranno una serie di scontri tra mapuche e invasori riconducibili a un più vasto e complesso conflitto, dominato dalle opposte logiche di resistenza e volontà di occupazione e sottomissione, durato per tre secoli durante i quali i mapuche combattendo uniti riuscirono a resistere ai conquistadores, usando il fiume Bio Bio come frontiera naturale, per arrendersi solamente nel corso del XIX secolo. Il conflitto ultrasecolare è stato denominato Guerra di Arauco, in quanto la regione dell’Araucania ¹ fu il principale terreno di scontro: una guerra protrattasi per un lunghissimo periodo (più di 350 anni) in cui si è vista l’alternanza di periodi con numerose battaglie sanguinose ad altrettanti con combattimenti sporadici.

    Nel 1550 lo stesso Pedro de Valdivia, che aveva assoggettato buona parte del territorio cileno fino allo Stretto di Magellano, riprese la marcia alla conquista del territorio mapuche. Gli spagnoli occuparono parte dell’area fondando diverse città come Concepcion, Valdivia e Imperial, ed eressero numerosi forti ad Arauco, Purèn e Tucapel avanzando verso meridione. L’obiettivo primario era infatti prendere possesso delle vallate a sud del Bio Bio ricche di oro: il progetto aveva lo scopo di assicurarsi lo sfruttamento dei giacimenti auriferi, usando i mapuche, numerosi in quelle zone, come lavoratori schiavizzati una volta conquistati.

    Tuttavia i mapuche non erano disposti a diventare servi dei conquistadores nei loro territori ancestrali, così nella seconda metà del secolo organizzarono una resistenza collettiva cingendo d’assedio città e fortificazioni nemiche. Guidati da Caupolicàn e Lautaro, nel 1553 uccisero Pedro de Valdivia nel corso della battaglia di Tucapel sconfiggendo gli spagnoli. Un’epidemia di tifo fermò i mapuche dal tentativo di altre azioni militari fino a quando, quattro anni più tardi, un piccolo contingente, sempre comandato da Lautaro, tentò senza successo di raggiungere Santiago e liberare l’intero Cile centrale dal dominio spagnolo.

    Negli anni successivi gli scontri non cessarono mai, ma diminuirono e la guerra si trasformò così nel cosiddetto conflitto a bassa intensità. Nelle prime battaglie contro gli invasori i mapuche riscossero notevoli successi: fin dai tempi degli scontri con gli inca, infatti, essi avevano imparato l’arte di adattarsi al nemico, osservando il modo di combattere e le tecniche altrui e facendole proprie. Così i mapuche non solo cominciarono a servirsi dei cavalli e a calibrare quantità sufficienti di uomini per sconfiggere le truppe dei coloni, ma dagli stessi impararono anche a costruire fortezze difensive sulle colline, a scavare buche e trappole per far cadere i cavalieri spagnoli, a usare elmi e scudi di legno contro gli archibugi. Inoltre perfezionarono la loro arte bellica sviluppando nuove tattiche di guerriglia quali imboscate e agguati.

    Come era già successo in occasione del conflitto con l’impero inca, la guerra provocò cambiamenti anche all’interno della sfera socio-politica del gruppo: la pratica adottata da diverse tribù di unirsi in entità più grandi e solide per far fronte ai nemici venne ripristinata e s’intensificò ulteriormente. Venne introdotta la aillarehue, una nuova unità politica su più ampia scala rispetto alle precedenti rehue (insieme di poche tribù). La trasformazione, che perdurò per più di un secolo, testimonia il passaggio a una forma organizzativa maggiormente evoluta, comprovando un grado di solidità militare associativa sovralocale e intertribale dei mapuche, nonostante l’intera popolazione non avesse ancora una strutturazione politica a livello statale.

    L’incontro con gli spagnoli provocò significativi mutamenti anche sul piano demografico, e purtroppo il numero dei mapuche iniziò a ridursi drasticamente: le epidemie, le guerre e il lavoro nelle pericolose miniere di alcuni nativi schiavizzati segnarono un primo, considerevole e sintomatico aumento della mortalità indigena. Da qui un ulteriore cambiamento, relativo alla distribuzione della popolazione sul territorio, in quanto i mapuche – in particolare gli abitanti delle valli di Purén e Lumaco – cominciarono ad abbandonare il tradizionale modello di insediamento basato su una miriade di microcomunità sparpagliate e isolate, per andare a concentrarsi in villaggi più ampi e popolosi.

    Oltre ai cavalli e ad alcuni strumenti bellici, i mapuche adottarono dagli spagnoli anche la coltivazione del grano, allora sconosciuta nel nuovo mondo, degli alberi da mele e l’allevamento dei maiali, che riscossero un discreto successo. La coltivazione locale più sviluppata rimaneva ancora la patata, prodotto che meglio di tutti si adattava all’ambiente geografico. L’allevamento delle pecore, introdotto nel XVII secolo, superò l’allevamento dei tradizionali chilihueque (i lama), che entrò decisamente in crisi: alla fine del XVIII secolo saranno solo i mapuche di Mariquina e Huequen a crescere questi animali tipici.

    Il perenne conflitto con gli spagnoli non si arrestò mai: nel 1598 alcuni guerrieri locali tesero un’imboscata alle truppe di Martin Garcia Onez de Loyola, quasi tutti i soldati furono sterminati o fatti prigionieri. Da questo momento i mapuche iniziarono un’insurrezione generale che portò alla distruzione di tutte le città spagnole nel sud del Cile, così che gli oppressori stranieri furono scacciati verso nord e tutti i territori a sud del

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