Le imprese di successo: Tra capitale proprio e valore di mercato
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Le imprese di successo - Alberto Cavicchi
DIGITALI
Intro
Nell’elaborare questo saggio l’autore ha inteso raffrontare quanto emerso dai suoi studi e ricerche presso un campione di imprese italiane con le tesi contenute in R.E.S. Boulton, B.D. Libert e S.M. Samek Cracking the Value Code
- Arthur Andersen, 2000. Nel biennio 2016-17, precedentemente alla stesura del saggio, l’autore si è dedicato all’esame della documentazione raccolta e all’analisi delle trasformazioni avvenute nel panorama d’impresa italiano. Tanto la documentazione raccolta quanto le verifiche sul campo hanno confermato le tesi principali qua sostenute, ovvero che il valore d’impresa è determinato dalla quantità e qualità degli asset che essa ha in portafoglio.
A Cristina,
alla quale va il mio amore
e quel poco che la vita mi ha insegnato.
AVVERTENZA
Nell’elaborare il saggio Le imprese di successo: tra capitale proprio e valore di mercato l’autore ha inteso raffrontare quanto emerso dai suoi studi e ricerche presso un campione di imprese italiane con le tesi contenute in R.E.S. Boulton, B.D. Libert e S.M. Samek Cracking the Value Code
- Arthur Andersen, 2000 - (traduzione italiana " Il segreto del profitto " Fazi Editore, Roma, 2001). Per omogeneità l’autore ne ha utilizzato, rivedendoli, i grafici e le tavole dell’edizione statunitense. Ne è emerso che, anche se a distanza di anni, le conclusioni a cui erano pervenuti gli autori di Cracking the Value Code
, sono simili a quelle a cui è pervenuto l’autore di questo saggio italiano.
Nel biennio 2016-2017, precedentemente alla stesura di Le imprese di successo: tra capitale proprio e valore di mercato, l’autore si è dedicato all’esame della documentazione raccolta e all’analisi delle trasformazioni avvenute nel panorama d’impresa italiano. Tanto la documentazione raccolta quanto le verifiche sul campo hanno confermato, una volta in più, le tesi principali sostenute dall’autore nel suo saggio, ovvero che il valore d’impresa, riconosciuto in modo esplicito dal mercato, è determinato dalla quantità e qualità degli asset che essa ha in portafoglio.
INTRODUZIONE: l’evoluzione del concetto di valore
L’economia italiana, come del resto quelle degli altri paesi avanzati, è oggi più leggera
di quanto non fosse nei decenni scorsi e questo perché la composizione del Prodotto interno lordo (PIL) ha perso la pesantezza
che un tempo lo contraddistingueva e che era determinata dalle tradizionali attività agricole, manifatturiere e commerciali.
In effetti, le rilevazioni più recenti confermano che, nei decenni tra il secondo dopoguerra e la fine degli anni Ottanta, il PIL italiano è aumentato considerevolmente. Analizzando quanto accaduto a partire dai primi anni Novanta, rileviamo, però, che la crescita dei decenni precedenti si è trasformata prima in stagnazione (crescita zero), quindi in recessione (crescita negativa) e, infine in crescita lenta e stentata. La successione delle fasi di crescita, stagnazione, recessione e crescita irrilevante ci porta a concludere che dalla metà del secolo scorso a ora si è assistito a una crescente incapacità delle imprese operanti nei settori economici tradizionali ad accrescere la ricchezza totale netta prodotta dal paese.
A chi e a che vanno imputate le cause di aver prima frenato, poi azzerato e, quindi riavviato la stentata crescita produttiva che abbiamo verificato in questi ultimi anni? Se, come suggeriscono i dati che abbiamo raccolto e analizzato, il PIL complessivo italiano in questi ultimi anni è cresciuto meno e più lentamente di quello degli altri paesi dell’Unione europea (il PIL dei soli settori tradizionali è ancora stagnante) possiamo concludere che il sistema produttivo italiano non ha ancora concluso Del resto il cammino che avrebbe dovuto trasformarlo da officina di beni tangibili
(merci e prodotti) a laboratorio di beni intangibili
(servizi e soluzioni) ovvero che avrebbe dovuto segnare il passaggio dal sistema d’impresa, produttore di concretezze
, a quello elaboratore di illusioni
, non potrà avvenire se non cambieranno le modalità e gli strumento di misurazione e rendicontazione contabile del patrimonio e delle attività d’impresa.
Ancor oggi molte imprese italiane si limitano, nel definire il loro valore, alla disamina ex-post dei dati di bilancio (stato patrimoniale e conto economico) e alla misurazione della realizzazione del valore (quantificazione degli utili o delle perdite d’esercizio). Tant’è che analizzando la forma e i contenuti del classico bilancio a partita doppia, artefice della quantificazione della realizzazione del valore d’impresa, rileviamo che gli asset principali che vengono costantemente contabilizzati sono quelli del patrimonio fisico (immobili, terreni, macchinari) e quelli finanziari (contante e titoli di credito). Ce lo conferma la successiva tavola 1 (Configurazione standard del bilancio tradizionale d’impresa
).
La tavola 1 Configurazione standard del bilancio tradizionale d’impresa
, sopra schematizzata, è costruita per evidenziare le tre capacità che le imprese organizzate contabilmente in modo tradizionale prendono in considerazione nel processo di misurazione e di rendicontazione del loro valore: la capacità economica, quella finanziaria e, infine, quella monetaria. Nessuna di queste capacità, com’è evidente, prende in considerazione gli asset intangibili, i quali, invece, dovrebbero far parte, a pieno titolo, del portafoglio degli asset dell’impresa, in quanto essi oggi sono i veri artefici della creazione (e non della realizzazione) del valore d’impresa.
Gli asset intangibili (di cui parleremo diffusamente più avanti) sono gli artefici primi della crescita continua della capitalizzazione di mercato delle imprese. Ma nonostante ciò sia internazionalmente noto, in Italia sono ancora troppe le imprese che continuano - per quantificare il proprio valore - ad utilizzare esclusivamente i tradizionali indici di redditività . Mentre le più innovative
si spingono a misurare la loro capacità economica servendosi esclusivamente degli indici più noti: il ROI (return on investment), indice di redditività del capitale investito, del ROE (return on equity), indice di redditività del capitale proprio e del ROD (return on debts ), costo medio del capitale ricevuto da terzi.
Quando le imprese italiane si spingono oltre, utilizzano - per misurare la loro capacità finanziaria - il PFF (prospetto del flusso dei fondi), che individua le fonti e gli impieghi dei fondi finanziari e il QdS (quoziente di struttura), di cui fanno parte, tra gli altri, il QER (debt to equity ratio o leverage), indice di indebitamento espresso dal rapporto tra passività e patrimonio netto, e il TCFAR (total capitalization to fixed assets ratio), quoziente di copertura delle attività fisse, ricavato mettendo in rapporto tra loro la somma del patrimonio netto e delle passività consolidate con le attività fisse nette. Infine, nella maggior parte delle imprese italiane, la loro capacità monetaria è misurata utilizzando il QdL (current ratio o working capital ratio), quoziente di liquidità o di disponibilità, prodotto dal rapporto intercorrente tra attività e passività correnti, e del CF (cash flow), il flusso di cassa, ricavato sottraendo alle entrate correnti le uscite correnti.
In sintesi, le misurazioni e le rendicontazioni contabili tradizionali, concentrandosi esclusivamente sugli asset tangibili, sono in grado di calcolare solo il valore realizzato dalle imprese e non anche il loro valore creato che, come vedremo meglio in seguito, è all’origine della loro crescita di capitalizzazione di mercato. Per confermare questa sintesi è sufficiente osservare la tavola 2 (Coordinamento degli indici di mercato
). la quale prende in considerazione solo tre ambiti contabili tradizionali: la struttura del conto economico, quella dello stato patrimoniale e l’indice di rotazione dell’attivo circolante.
Come si può notare, anche nel coordinamento degli indici di mercato
(come del resto nella configurazione standard del bilancio tradizionale d’impresa
sono presenti solo gli indici di redditività: ROE, ROI, QER, e ROS, ai quali si aggiungono l’IRI (indice di rotazione degli impieghi), rapporto tra i ricavi provenienti dalle vendite e il totale degli impieghi e l’IIGNC (indice d’incidenza della gestione non caratteristica), scaturito dalla relazione intercorrente tra l’utile d’esercizio e il risultato operativo . Dunque anche il coordinamento degli indici di mercato
, che dovrebbe raffigura l’immagine del valore realizzato
, non riconosce però gli asset intangibili, i quali - creando valore ulteriore d’impresa - danno origine alla crescente capitalizzazione di mercato delle imprese.
La tesi che intendiamo sostenere è che, tanto la configurazione standard del bilancio tradizionale d’impresa
quanto il coordinamento degli indici di mercato
utilizzati nella rendicontazione contabile tradizionale non sono più in grado di determinare il reale valore d’impresa. E non lo saranno fino a quando non saranno in grado di