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Anime contro
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Anime contro

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È Natale e in una Viareggio addobbata a festa si incrociano le vite di quattro ragazzi in bilico tra adolescenza e età adulta, quattro anime in cerca del loro posto nel mondo. Jonathan, l’amico che tutti vorrebbero e che teme di non essere niente più di quello che gli altri si aspettano da lui; Francesca, saggia e riflessiva, schiava di un doloroso passato da cui non riesce a liberarsi; Leonardo, il grande correttore, costretto a reggere sulle sue giovani spalle il peso di una famiglia che non funziona, e Veronica, solare e pasticciona, innamorata della vita e di un sogno d’amore.

Quattro storie che si intrecciano, si influenzano, si sostengono l’un l’altra, tra incontri e feste al bar del gruppo, l’amato “Delafia”, amori non corrisposti e sogni per un futuro incerto. “Anime contro” sono loro, i ragazzi di oggi, contro se stessi e contro la vita, che a volte non è come l’avevano immaginata. Ma non per questo hanno deciso di rinunciare a credere e a lottare.

I sogni. Cosa sono davvero? Chimere che tentiamo di cavalcare nelle nostre notti senza sonno? Favole che ci vengono raccontate fin dall’infanzia, per spingerci a credere in qualcosa, per spingerci a credere nel futuro, che esista un futuro? O forse solo illusioni? Fuochi fatui destinati a non scaldarci mai?
 
LanguageItaliano
PublisherNPS Edizioni
Release dateSep 30, 2018
ISBN9788831910064
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    Anime contro - Alessio Del Debbio

    ANIME CONTRO

    Alessio Del Debbio

    © Associazione culturale Nati per scrivere

    Piazza Diaz 10, 55041 Camaiore (LU)

    www.natiperscrivere.webnode.it

    Titolo: Anime contro

    I edizione: settembre 2018

    Pagina Facebook: Anime contro

    Grafica di copertina a cura di Mala Spina.

    Questo libro è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono il frutto dell’immaginazione degli autori. Qualunque somiglianza con fatti e persone reali è puramente casuale.

    O Viareggio più bella dell’Oriente,

    che nell’immacolato celeste delle tue sere

    esali l’acuto profumo dell’oleandro,

    in te son nato

    in te spero morire.

    (Mario Tobino)

    FRANCESCA

    C’è stato un tempo in cui ho amato il Natale. L’ho amato davvero. Un tempo in cui tutti questi baci, questi auguri che ci scambiamo, questa speranza per un futuro migliore avevano davvero un significato. O quantomeno credevo lo avessero, pensò Francesca, appoggiata ai vetri del Delafia, lo sguardo perso tra i passanti del centro, infreddoliti nei loro cappotti, intrappolati, come lei, in quello scorcio di secolo appena iniziato. E non erano solo i sogni di un bambino, l’infantile necessità di andare oltre l’esistenza quotidiana e lavorare di fantasia, bensì il raggiungimento degli stessi, il concretizzarsi di un’emozione, a cui potevo dare un nome, un volto, dei lineamenti ben precisi.

    Era amore. Per quel poco che è durato.

    Le risate degli amici la rubarono ai suoi pensieri, riportandola al tavolo 24 del locale dove si trovavano ogni settimana, nel pieno centro di Viareggio. Jonathan, seduto di fronte a lei, stava stuzzicando la sua ragazza, tentando di morderla sul collo, e lei, da sempre schiva a qualsiasi esuberanza, lo stava tenendo a bada con l’indice smaltato della sua mano perfettamente curata, soffocando il resto dei presenti con il nuovo profumo di Laura Biagiotti. Leonardo e Luna, seduti sulla panca ad angolo, discutevano a bassa voce, probabilmente della salute della loro mamma, sebbene a Frà non scapparono le occhiate che, di tanto in tanto, la sorella minore di Leo lanciava alla coppia, convinta che nessuno la stesse osservando. Era silenziosa Luna, ma anche molto bella, nella sua cruda semplicità di diciottenne.

    Troppo bella per essere una ragazza da parete, sospirò Francesca. Troppo bella per essere come me.

    «Allora, quando arriva la vostra amica? La stiamo aspettando da mezz’ora!» esclamò infine Laura, roteando il braccio in maniera plateale per mostrare a tutti il suo Rolex. Forse anche a quelli dei tavoli accanto, non essendo una novità per nessuno dei presenti.

    «Ah, non preoccuparti, sarà qui a momenti! Vero è così, lei e la puntualità hanno litigato da piccole» le rispose Jonathan, infilzando l’oliva del suo Martini con uno stuzzicadenti e avvicinandola alla bocca di Laura. Ma lei neppure rispose, la scansò con un dito e riprese a lamentarsi del ritardo di Veronica, un argomento che, a giudizio di Frà, soffriva di poca originalità.

    Per quel che ricordava, l’amica non era mai giunta puntuale a nessun appuntamento e Francesca temeva che sarebbe arrivata in ritardo persino all’esame di maturità. Quel pensiero le strappò un sorriso, portandola a distogliere lo sguardo da Jonathan e Laura.

    Era amore. Proprio come il loro. Forse più grande, più puro, rifletté, prima di scuotere la testa e mordersi le labbra, infastidita da quei cinici pensieri che non erano da lei.

    Fu lo scampanellio della porta a distrarla, seguito da un alternarsi di voci e saluti, che anticiparono la comparsa della sua migliore amica sulla piattaforma rialzata dove si trovava il tavolo 24: nell’angolo nord, da cui era possibile abbracciare con un solo sguardo l’intero locale.

    «Scusate ragazzi, lo Scarabeo mi ha lasciato a piedi e mio padre non mi ha voluto dare neanche cinquemila lire, quindi me la son dovuta fare a piedi. Sono distrutta!» esclamò Veronica, gettandosi a sedere sulla panca accanto a Frà e guardandosi velocemente attorno.

    «Vai tranquilla! La compagnia non mancava, né il divertimento» disse Jonathan. «Quando c’è Max in servizio, razione doppia di stuzzichini per tutti».

    «Potevi chiamarmi. Sarei venuta a prenderti» disse Francesca, mentre Vero si spogliava, togliendosi la sciarpa e quel buffo cappello rosa che la copriva fino alle orecchie.

    «Sono senza soldi nel telefono, ma non è una novità. E super affamata!» rise l’amica, afferrando qualche patatina dalla ciotola sul tavolino. «Ma potrai accompagnarmi a casa. Più tardi. Quando avremo finito…» e le strizzò l’occhio, lasciando qualcosa in sospeso tra di loro. Un gesto che Francesca aveva imparato a decifrare.

    Non disse altro e spostò lo sguardo sul tavolo alle spalle di Jonathan, dove tre ragazzi stavano discutendo tra loro. Da quella distanza, Frà non poté udire la loro conversazione, ma era certa che l’amica non fosse interessata a quella. Sorrise e tornò ad ascoltare Leonardo che stava spiegando come avrebbero proceduto.

    «Luna ha scritto i nostri nomi su questi biglietti. Ne estraiamo uno per uno e compriamo un regalo a quella persona».

    «Un regalo cumulativo. Mi piace quest’idea risparmiosa» si entusiasmò subito Veronica. «Anche perché non ho una lira. Campo sperando che zia Petronilla e qualche altro parente si ricordino di me questo Natale».

    Leonardo le chiese il cappello, dove gettò i sei bigliettini, mescolandoli, poi invitò gli amici a pescare. Il primo fu Jonathan che chiuse gli occhi e allungò una mano. Frà dovette sforzarsi di non riderle in faccia quando notò l’espressione di Laura mutare in palese fastidio nel leggere il nome di Luna sul biglietto.

    «Non che io sia un genio in matematica, ma qualcuno avrebbe dovuto spiegarle che era più probabile uscisse il nome di qualcun altro, che non il suo» le sussurrò Vero nell’orecchio, prima che Frà le desse una gomitata e chiedesse a Leo di passarle il cappello.

    Fu Veronica la fortunata, che batté le mani felicissima all’idea di ricevere un regalo dalla sua migliore amica.

    «In realtà lo sapevo. L’oroscopo di questa mattina aveva promesso una gradita sorpresa a tutti i nati nell’Acquario, e sapete bene che l’oroscopo non mente mai» disse.

    «L’oroscopo o quel veggente che frequentavi?»

    «Ramon non è un veggente, ma un super esperto di astrologia».

    «Solo tu puoi credere a queste scemate» ironizzò Francesca.

    L’amica sbuffò e pescò un biglietto dal cappello, ripetendo una preghiera sottovoce, così piano che nessuno, se non Frà, che le stava accanto, riuscì a capire cosa dicesse.

    «Fa’ che non sia Laura! Fa’ che non sia Laura! Fa’ che non sia Laura!» E in effetti non fu lei. Ma Leonardo. E questo la lasciò per un momento attonita e silenziosa.

    Evento che tende a verificarsi di rado, pensò Francesca.

    «Ah ah ah! E cosa gli regalerai? Una confezione di preservativi?» disse Jonathan, rompendo la magia del silenzio.

    Delicato come sempre.

    «No, stupido. Tanto non li userebbe!» esclamò Veronica, facendo una smorfia, e Francesca si chiese cosa avrebbe regalato al migliore amico di Jonathan, con cui non aveva mai legato.

    Fu proprio Leonardo a estrarre il biglietto successivo, sorridendo nel leggere il nome di Jonathan. Meno felice fu Luna, a giudicare dalla sua espressione contrita, che doveva aver già intuito come sarebbe andata a finire. C’erano rimasti due biglietti, quello con il nome di Francesca e quello con il nome di Laura.

    E la fortuna non si è mai seduta al nostro tavolo, pensò Frà, quando la sorella di Leonardo mostrò il foglietto estratto.

    «Molto bene. Dato che Luna dovrà comprarti il regalo, deduco che a te tocchi Francesca» intervenne Jonathan, mettendo una mano attorno al collo della sua ragazza e baciandola su una guancia. «Se vuoi, posso darti qualche consiglio su cosa non comprarle».

    «Grazie ma non ne ho bisogno. Sono molto intuitiva nel capire i gusti delle persone e sono certa che saprò scegliere per il meglio» esclamò Laura, con una determinazione che, Francesca intuì, serviva solo a mascherare il suo disappunto per non aver estratto il nome di Jonathan.

    Qualunque cosa le avesse comprato, di certo non le sarebbe piaciuta. Non che fosse un problema, in fondo, per una che il Natale non lo sopportava più. Il regalo di Laura era davvero all’ultimo posto nella lista dei suoi pensieri.

    In quel momento arrivò Max, in tenuta da lavoro, con la divisa rossa e lo stemma del locale sul cuore: una birra bionda da cui usciva una morbida schiuma che avvolgeva la scritta Delafia. Salutò tutti con la sua solita allegria e chiese se volessero ordinare qualcos’altro. A Francesca non sfuggì il sorriso speciale che rivolse a Veronica, dai cui occhi azzurri non riusciva a distogliere lo sguardo.

    «Per me una cioccolata» disse l’amica. «Bisogno d’affetto. E di scaldarmi un po’. Paghi te, vero, Frà? Te li ridarò, prima o poi».

    «Cioccolata calda in arrivo. Magari con qualche pasticcino della Lia appena sfornato» rispose Max, facendola sorridere.

    «Tu sì che sai come conquistarmi» rise Veronica, mentre il cameriere si allontanava, lanciandole un altro sorriso.

    È troppo assurdo. Veronica è la persona che più di tutti cerca un ragazzo, eppure è incapace di accorgersi dei segnali che gli altri le mandano, pensò Francesca, prima che la voce di Jonathan la distraesse. Voltandosi, vide che l’amico e Laura stavano indossando i loro cappotti.

    «Ma come? Andate già via?» esclamò Veronica.

    «Spiacente, siamo qua da un’ora» disse Laura, preparandosi per uscire. Vero non fece caso alla frecciatina della ragazza, o forse aveva imparato a fregarsene. Proprio come avrebbe voluto fare lei, di molte cose, troppe, che continuavano a tormentarla.

    «Ehi, potremmo venire al tuo negozio a comprare i regali! Magari puoi farci qualche sconto. Com’è che si chiama? È tempo di noi?» disse Vero.

    «Mi dispiace ragazzi, anche volendo non potrei proprio farlo» rispose Laura, afferrando la mano di Jonathan e trascinandolo verso l’uscita del locale.

    «Beh, noi andiamo» disse lui. «Ci sentiamo dopo» aggiunse, guardando prima Francesca poi Leonardo.

    Quando si furono allontanati abbastanza, Veronica fu la prima a commentare, a voce bassa ma non troppo, di modo che anche i due fratelli potessero udirla.

    «È una mia impressione o il Natale l’ha resa ancora più acida?»

    «Ad alcune persone fa questo effetto» ironizzò Francesca.

    «Se io stessi con Jonathan, saprei come avere qualche soddisfazione dalla vita. Avete visto che posteriore? E quei pettorali? Oh, con quella maglietta stava benissimo!» disse Vero, facendo ridere l’amica. Leonardo diede un colpetto di tosse imbarazzato e Luna arrossì, proprio mentre Max ritornava con la cioccolata calda.

    I quattro amici rimasero a parlare per una mezz’ora, finché i due fratelli non se ne andarono, lasciando le ragazze da sole.

    «Dimmi tutto!» esclamò Francesca, intuendo che l’amica avesse qualcosa da raccontarle. Conoscendola, qualcosa di piccante.

    «Ma non ti ho insegnato proprio niente? Dobbiamo solo… guardarci intorno. E cogliere le occasioni» le sorrise Vero, prima di alzarsi e avviarsi verso la toilette. Non fece neppure quattro passi, che inciampò e cadde in avanti, finendo tra le braccia di uno dei ragazzi seduti al tavolo accanto. Nell’impatto, i fogli che questi reggeva finirono dappertutto, anche sotto le scarpe di Veronica, che subito si scosse, rialzandosi e scusandosi per quell’incidente, a sentir lei, fortuito.

    Nell’udire quella parola chiave, Francesca ridacchiò, prima di essere chiamata dall’amica, che intanto aveva già fatto conoscenza con i tre ragazzi appena investiti.

    «Cesare, Martin e… non mi ricordo più. Pietro?» esclamò, indicando un tipo tozzo con i capelli rasta e un’enorme felpa gialla e rossa con una foglia di maria stampata sopra.

    «Pedro! Vengo da Bogotà, in Colombia».

    «Ah, dev’essere un nuovo quartiere vicino al Varignano» disse Veronica, prima che Francesca le tirasse una gomitata su un fianco.

    «Scusate per l’intrusione, vi lasciamo ai vostri… studi».

    «Ma no, restate! Fa sempre piacere conoscere nuova gente. E poi abbiamo finito, stavamo solo sistemando gli ultimi dettagli per le prove di domani»

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